Budding star, Jules Houplain

Il giovane attore francese Jules Houplain ha fatto il suo debutto nel 2014, iniziando a recitare sul palco a solo 12 anni e partecipando a serie televisive e film, incluso Hidden Kisses, vincitore di molti premi, sulle lotte e problemi di un teenager gay nell’era dei social media. Interpreta il figlio di Juliette Binoche nel film in uscita Celle que vous Croyez e ha già un altro film in programmazione per il 2019  –  tutto questo e non ha ancora 20 anni. Abbiamo incontrato Jules durante alcune riprese, per scoprire cosa lo ispira.

 Hai studiato in una scuola di arte drammatica: come è cambiato il tuo approccio al lavoro?
Sono cresciuto, la mia recitazione è diventata più forte e le mie tecniche di preparazione sono migliorate. La gente, probabilmente, ha una sorta di talento naturale per la recitazione, ma esse un attore richiede molto lavoro.

Cosa ti ispira?
Il cinema francese.

Chi è il tuo mentore?
Mio zio Ludo.

Con quali registi sogni di lavorare?
Nicole Garcia, Francois Ozon e Xavier Dolan.

Chi sono i tuoi attori/attrici preferiti? 
Al Pacino e De Niro per le loro performance sempre perfette e Juliette Binoche con cui sto lavorando proprio adesso per un film. 

Qual è il tuo segreto per recitare al meglio?
Ho bisogno di conoscere gli attori con cui lavoro, instaurare una sorta di amicizia con loro, così da essere più sincero.

Come attore, è importante che i tuoi ruoli abbiano un impatto su tematiche sociali?
Si. E’ necessario aprire nuove vie di pensiero e dialogo sulle tematiche sociali. Il mondo sta cambiando. Un attore dovrebbe rappresentare e dare una voce a coloro che non ne hanno. 

Come ti prepari per un nuovo ruolo?
Cerco somiglianze con le persone che conosco.

Quali sono i criteri per cui decidi di prendere parte ad un nuovo progetto?
Il personaggio, la storia e il regista.

Come ti prendi cura della tua creatività?
Mi alleno, leggo e guardo film – spesso anche diverse volte così da poterli analizzare per bene.

Ti aspettavi che la tua carriera iniziasse così?
Non ho mai pensato che sarei stato capace di vivere facendo questo lavoro.

Dove ti vedi tra dieci anni?
Facendo ancora questo lavoro, spero! E qualche progetto internazionale, perchè no? Sarebbe molto gratificante.

®Riproduzione Riservata

Talent: Jules Houplain
Interview by Kim Laidlaw
Photographer: Edoardo de Ruggiero
Styling: Nicholas Galletti
Grooming: Sebastien LeCorroller @ Airport agency for Bumble&Bumble

ASA ONLUS CELEBRA IL CANDLE LIGHT MEMORIAL

Fervono i preparativi per l’International Candlelight Memorial una manifestazione nata con l’obiettivo di sensibilizzare le persone sul tema della prevenzione dell’HIV, un evento previsto per domenica 20 maggio in contemporanea in 115 città nel mondo.

Per questa speciale occasione ASA Onlus organizza due eventi. Il primo, venerdì 18 maggio dalle 1830 (in sede ASA di Via Arena 25 a Milano) con la presentazione del libro “Se hai sofferto puoi capire”. Il secondo domenica 20 maggio 2018, dalle 19.00 alle 24.00 al Teatro Franco Parenti di Milano, con l’evento “International Candlelight Memorial” che vede la partecipazione di diversi artisti sul tema U=U – Undetectable = Untrasmittable, un messaggio che invita a superare la diffidenza verso le persone sieropositive ancora soggette a discriminazioni.

Il primo appuntamento di venerdì 18 maggio è con la presentazione del libro “Se hai sofferto puoi capire” di Giovanni F. con Francesco Casolo (edito da Chiare Lettere) in cui Giovanni ci racconta la sua scoperta dell’HIV e come affronta la convivenza con questo “ospite” di cui non può parlare. Dalle pagine del libro emerge forte e chiaro lo stigma che circonda ancora oggi l’HIV. Leggendo i racconti di Giovanni appare evidente che le persone hanno paura di infettarsi e di conseguenza prendono le distanze dalle persone sieropositive. Al talk parteciperanno: Marinella Zetti (giornalista), Francesco Casolo, editor di chiare Lettere e co-autore di Giovanni F, Simona Trotta, psicologa del reparto pediatria dell’Ospedale Sacco e Angelo Ascari cardiologo e volontario all’ospedale Sacco.

Il secondo evento organizzato da ASA – Associazione Solidarietà AIDS Milano, è domenica 20 maggio 2018, dalle 19.00 alle 24.00 al Teatro Franco Parenti, con l’International Candlelight Memorial, una serata di incontro (con invito gratuito per la cittadinanza) durante la quale si alterneranno performance, reading di attori sul tema, e dj set che accompagnerà la serata. Il nome stesso ‘Candlelight’ rimanda al concetto di una fiaccolata commemorativa, ma ogni comunità nel mondo declina l’evento a secondo della mission che si propone. ASA, negli ultimi 10 anni, incorpora nell’evento principale una serie di iniziative rivolte ad un pubblico giovane per creare aggregazione e partecipazione. Quest’anno – grazie alla collaborazione con il Teatro Franco Parenti – ASA ha chiamato la compagnia teatrale Animanera che mette in scena lo spettacolo teatrale” Try Creampie! Vuoi venire a letto con me?”. Una performance interattiva one to one “per 10 spettatori ogni 10 minuti, il cui tema ruota proprio intorno alle storie di amori diversi all’insegna dei desideri travolgenti e totali. Amori che scorrono sulla sottile linea rossa che separa vita e morte, eros e violenza, autocoscienza e confusione. Un viaggio attraverso esperienze artistiche e letterarie, dove l’amore viene scandagliato nelle sue pieghe più segrete: dall’ossessione alla gelosia, dall’abbandono all’appagamento dei sensi, dalla lontananza al contatto fisico, dall’immaginazione alla realtà, attraverso parole sublimi ed evocative, a volte dolorose a volte ironiche. La seconda performance vede protagonisti i due attori Angelo Di Genio e Riccardo Buffonini che hanno scelto di interpretare alcune scene da The Normal Heart, film diretto da Ryan Murphy e tratto dall’omonima opera teatrale del 1985 di Larry Kramer, fervente attivista gay, sieropositivo, e fondatore del Gay Men’s Health Crisis, la più grande associazione di assistenza per malati di Aids nel mondo. Infine la serata vedrà uno speciale DJ SET di Thomas Costantin, artista e dj resident del Plastic, che si distingue per sonorità elettroniche e sperimentali. Thomas ha da poco lanciato il suo primo EP, Fire, prodotto da Emerald & Doreen Records,EP e vanta già collaborazioni importanti nel mondo della moda e del design.

INVITO7
Commenta Massimo Cernuschi, medico infettivologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano e presidente di Asa: “Il Candlelight è nato nel 1983 per ricordare i morti di AIDS. Oggi è anche un modo per sensibilizzare contro la discriminazione e lo stigma che ancora colpisce le persone sieropositive e per diffondere informazioni sulla prevenzione. Due messaggi che in Italia vengono diffusi poco. Siamo davvero entusiasti di poter lavorare con attori e performer al Franco Parenti per coinvolgere le persone con il teatro e far conoscere le attività di ASA”.

ASA Milano punta a trasmettere il messaggio di prevenzione, invitando a superare lo stigma verso le persone sieropositive. Durante tutta la durata dell’evento saranno a disposizione operatori qualificati per fornire informazioni e distribuire materiale informativo.

libro
CALENDARIO EVENTI

Venerdi 18 maggio, presentazione del libro “Se hai sofferto puoi capire”

Via Arena 25 a Milano, dalle 18.30 

Domeninca 20 maggio, International Candlelight Memorial

Teatro Franco Parenti

Via Pier Lombardo 14 – Milano

Cocktail, Performance & Dj set

 

Dalle 20.00 alle 24.00 Spettacolo ” Try Creampie! Vuoi venire a letto con me?” di Animanera  

Dalle 20.30 alle 21.00 Performance di Riccardo Buffonini e Angelo Di GenioDalle

Dalle 21.30 alle 24.00 – DJ SET by Thomas Costantin

 

®Riproduzione Riservata

Viaggiare con stile.

Alle vacanze estive mancano ancora alcuni mesi, ma la bella stagione sta arrivando e così anche la voglia di passeggiate, gite e week end fuori porta. Che nei vostri programmi rientri la visita a un borgo antico, a una città europea o un viaggio d’affari oltre oceano senza dubbio avrete bisogno del bagaglio giusto. Per chi ama essere elegante in qualsiasi occasione non può fare a meno di scegliere le novità proposte da Tumi, azienda americana leader nella produzione della valigieria di lusso da oltre quarant’anni, per una valigia dal design semplice, sofisticato, ma soprattutto leggerissima. La nuova collezione Latitude infatti è costruita con l’innovativo polipropilene rinforzato, un materiale durevole, estremamente leggero, e allo stesso tempo incredibilmente resistente.  Se siete invece un tipo cento per cento funzionalità e qualità le valige Samsonite e Piquadro sono quello che fa per voi uomini urbani contemporanei, le mille tasche e l’organizzazione impeccabile diventeranno un must have per le vostre trasferte. In particolare la collezione Paradiver Light firmata Samsonite viene realizzata in tessuto teflon, facile da pulire e resistente a graffi e urti, perfetta per chi, di fretta, deve attraversare la città.

Colore, tocco sportivo e praticità invece sono le parole d’ordine per chi certamente non sta andando a lavorare ma desidera sfruttare questi primi weekend assolati; ecco che allora Freitag, Mandarina Duck e Eastpak entreranno a far parte della vostra lista dei desideri. La sacca Freitag, ormai da anni simbolo di funzionalità, sarà una perfetta compagna di avventure: leggera, vivace, ma soprattutto assolutamente impermeabile. C’è chi però alle ruote non può proprio rinunciare e anche nei viaggi brevi il trolley è una vera e propria necessità; le valigie firmate Mandarina Duck e Eastpak saranno allora una giusta via di mezzo tra dimensioni contenute, design contemporaneo e comodità. Per i più modaioli, anche quando si tratta di viaggi, consigliamo di dare un occhio alle borse e agli zainetti proposti quest’estate da Bally per un gusto sofisticato, pulito e colorato oppure, se avete un’anima un po’ retrò, Marni sarà la vostra scelta finale. Se invece è l’assoluta esclusività che cercate impazzirete per la collaborazione tra uno dei brand più in voga del momento e la valigia più desiderata di sempre. Parliamo di Supreme x Rimowa una collaborazione in cui tendenza e funzionalità combaciano perfettamente.

Non fatevi trovare impreparati, il momento di viaggi e trasferte è quasi arrivato, stanchi dall’anno trascorso fatevi trasportare dal desiderio di fuggire lontano e concedetevi lo sfizio di lasciarvi andare a una compagna di viaggio in più, la compagna di viaggio per eccellenza, una nuova valigia.

®Riproduzione Riservata

PROFUMERIA ARTISTICA: I TREND DI STAGIONE

Andare oltre i soliti schemi utilizzando audaci accordi olfattivi capaci di lasciare davvero il segno, è la costante e il DNA dei più noti brand di questo settore. Questo filone è per antonomasia esclusivo e selettivo: le fragranze sono realizzate ad arte da maestri del profumo e rivolte a profondi conoscitori del mondo della profumeria, i packaging sono decisamente riconoscibili collocati in atelier raccolti e suggestivi.

Se è vero che la nicchia porta con sé un velo di mistero proviamo a svelarlo conoscendo più da vicino alcuni must have per questa stagione:

Intoxicated e Vodka on the rocks di Kilian

Appartengono alla collezione Addictive State of Mind e sono l’ideale per accompagnare con un tocco lussuoso e irriverente le serate estive. Del resto, questi profumi accattivanti con ingredienti e oli squisiti non possono che suscitare pensieri pericolosi. Come la miscela afrodisiaca di Intoxicated con vaniglia, geranio e bergamotto, oppure Vodka on the rocks con la suggestione orientale del cardamomo e del coriandolo uniti a rosa e mughetto.


Tepidarium di Calé Fragranze d’Autore

Come un cocktail dal nettare deliziosamente fruttato, a base di rum, acacia e un accordo di pina colada. Una sfumatura caramellata accompagna a scoprire il fondo legnoso e muschiato da cui fa capolino un ammaliante thè verde. Un concentrato di energia effervescente sulla pelle, un invito al relax talmente goloso da far venire l’acquolina in bocca.

Bergamotto di Positano di Floris

E’ un omaggio allo spettacolo mozzafiato della Costiera Amalfitana l’esplosione iniziale di freschezza data dall’intreccio tra bergamotto, mandarino e note marine. Il cuore è una combinazione vivace di fiori d’arancio e zenzero con un tocco di vaniglia, dal carattere morbido e cremoso, che conduce all’incontro tra legni, ambra e ambretta. L’accenno di calore che chiude la composizione evoca l’atmosfera delle serate mediterranee.

BLACK SAFFRON di Byredo

Una composizione orientale speziata con Zafferano del Kashmir. Note di testa di pomelo, zafferano, bacche di ginepro, cuore di violetta nera, accordo cuoio, rosa cristallo e per ultimo nel fondo legni chiari, lampone e vetiver.

Bois d’Hadrien di Annik Goutal

Nel 1981, data di creazione della Masion di profumi, Annick Goutal compose Eau d’Hadrien, oggi  reinventata  con Bois d’Hadrien, un fragrante Eau de Parfum con note più contrastanti che riflettono le asperità della terra ocra della Toscana.

Scherzo e Tender di Miller Harris

 

Prendendo spunto dal capolavoro di cambiamento e contrasto di F. Scott Fitzgerald, Tender is the Night, due profumieri hanno interpretato a loro modo lo stesso passaggio del romanzo, ciascuno applicando la propria abilità artistica per tradurre il testo in profumo. Proprio come viviamo un romanzo in un modo personalmente unico, lo stesso vale per la fragranza. Scherzo e Tender sono espressioni separate e intime, che esplorano il contrasto e il viaggio sensuale tra oscurità e luce.

COLLABORATION ALERT: VUARNET X NOAH

Ispirazione anni ’80 e impegno nell’artigianalità sono i valori che uniscono VUARNET, marchio parigino nato nel 1957, e NOAH, giovane brand newyorchese diventato già un cult, fondato da Brandon Babenzien, Direttore artistico di SUPREME per più di dieci anni. Da questa unione nasce una capsule retrosportswearin edizione limitata, composta da felpe, t-shirt, cap, swimwear, teli mare, tote bag e occhiali da sole, il core business di VUARNET, che ha rivoluzionato il mondo degli occhiali da sole, grazie all’invenzione di una lente eccezionale, la SKYLYNX, in grado di offrire la visione del rilievo, con cui lo stesso Jean Vuarnet ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi invernali di Squaw Valley nel 1960. “Vuarnet condivide la stessa filosofia ed estetica di Noah. Le montature sono ideate per affrontare qualsiasi condizione di luminosità, dal mare alla montagna, mantenendo sempre uno stile molto elegante”: così Brendon Babenzien, fondatore e direttore artistico di NOAH, ha commentato la collaborazione, i cui occhiali, con le montature abbinate al colore del vetro minerale, sono Made in France by Vuarnet, mentre gli hoodies, le t-shirt, i cappellini e le tote bag sono Made in USA. Il costume da bagno dai colori vivaci è invece prodotto in Italia e il telo mare in India da un partner impegnato nel riciclaggio dell’acqua e che contribuisce alla formazione dei suoi dipendenti. La collezione è già disponibile a Parigi, New York, Tokyo, Londra e online.

us.vuarnet.com

noahny.com

®Riproduzione Riservata

Sergio Melone, un personaggio dai diversi talenti

Personaggio poliedrico, attore, cantante e ballerino, Sergio Melone racconta il suo percorso, dei suoi sogni (realizzati) e di quelli nel cassetto su cui sta lavorando. Lo raccontiamo nell’intervista e nell’editoriale scattato da Davide Musto a Roma.


Come sei arrivato a Maggie & Bianca?
La danza è stata la mia prima passione. Ho studiato in Puglia fino a sedici anni per poi arrivare a Roma, dove avevo superato il provino di ammissione all’Opera di Roma.  Dopo essermi trasferito a Roma ho capito che la passione per la musica stava trovando un posto d’onore nella mia vita e quindi, dopo le prime lezioni di danza ho iniziato a prendere lezioni di canto e pianoforte. La recitazione è stata una conseguenza naturale di tutto questo. Non essere riuscito a superare l’esame finale all’Opera mi aveva posto a fronteggiare la domanda su chi volessi veramente essere. La risposta però arrivò anche troppo facilmente. MI ero reso conto che nel musical potevo cantare e ballare e inevitabilmente avere anche un’attitudine al teatro di prosa. Così, frequentando la Da.Re.C Academy di Gino Landi e grazie a corsi di perfezionamento negli Stati Uniti è iniziata la mia avventura.

Justin Timberlake, Ryan Gosling, Britney Spears, Christina Aguilera e Miley Cyrus, sono alcune star che hanno iniziato sui canali per i più giovani. Cosa andrebbe migliorato in Italia per avere, almeno in patria, la stessa popolarità?
Penso sia impossibile, ma d’altronde siamo italiani e noi adoriamo le cose impossibili. Tutti questi attori e cantanti sono da sempre una mia fonte d’ispirazione. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America canali come Disney Channel o Nickelodeon, producono molte più serie tv dedicati al mondo dei ragazzi e le più importanti etichette discografiche ne hanno capito il potenziale. In Italia siamo ancora indietro da questo punto di vista e forse c’è ancora poco talent scouting. Qui da noi i talent hanno la meglio e sono quasi diventati una schiavitù, ma a mio avviso sono prodotti fini a sé stessi e raramente portano veramente alla consacrazione di veri talenti.

Grazie a Maggie & Bianca avete girato il mondo in tour e inciso album, come ci si sente ad avere fan che vi acclamano come vere Rock Star?
Essere riconosciuti e apprezzati è una sensazione meravigliosa. Non riesco ancora ad abituarmici, ma credo che sia il giusto premio dopo tutti questi anni di studio e fatica e di tempo trascorso lontano dalla mia famiglia per coronare il mio sogno. Mi piace essere in contatto con i miei fan e spesso quindi mi collego in direct sui social per rispondere a tutte le loro domande. D’altronde come potrei non farlo? Solo loro che creano le fan page e si informano su qualsiasi cosa io abbia fatto in passato, cercano (e trovano) mie foto letteralmente introvabili. Sono qui anche grazie a loro.

Come ti spieghi il nuovo fenomeno teen movie da Rai Gulp a Disney Channel?
Tutto ha avuto inizio negli Stati Uniti  grazie al Disney Channel e all’impiego di molti bambini di talento che facevano parte del Mickey Mouse Club. Poi sono arrivate le prime serie che hanno incoronato i primi talenti diventati dei fenomeni commerciali di assoluto rilievo come Hilary Duff e Miley Cyrus. Il fenomeno è approdato in tutta Europa e anche la Rai ha deciso da qualche tempo di creare un canale dedicato ai più gioveni, Rai Gulp appunto. Maggie & Bianca Fashion Friends è la prima serie teen italiana marchiata Rainbow, che è lo stesso produttore delle Winx e Rai Gulp.

Qual è la parte che Sergio vorrebbe interpretare per farsi conoscere dal grande pubblico?
Un ruolo drammatico, perché vorrei che la gente vedesse la mia poliedricità nel recitare. Sento la necessità di confrontarmi con un ruolo più maturo e adulto ed evitare di essere riconosciuto solo per il ruolo del bello ma scemo in Maggie & Bianca.

Vita in Italia o all’estero?
Tutti quelli della mia generazione sognano l’Estero. Non si sa perché, ma fuori dai confini tutto sembra migliore, più facile. I miei impegni lavorativi al momento non me l’ho permettono, ma c’è un detto che dice :”if your dreams don’t scare you, they aren’t big enough”.

Forse dovrei iniziare a crederci. Bisogna puntare alla luna per arrivare alle stelle no?


Se dovessi scegliere tra danza e cinema, chi tra Roberto Bolle e Luca Guadagnino?
Roberto Guadagnino (ride). Non potrei mai scegliere tra danza, musica e cinema, non c’è una cosa che preferisco meno delle altre, sono tutte allo stesso livello e tutte mi realizzano e sono la mia grande passione. Forse un film sulla danza o sulla musica aiuterebbe a unire i diversi campi in uno.

Qual è il tuo rapporto con i social? Quanto tempo trascorri con il tuo smartphone?
Il mio rapporto con i social è decisamente contrastante. Li amo e li odio allo stesso tempo. Viviamo costantemente con l’ansia di essere presenti in quel canale o nell’altro. Vogliamo fare apparire le nostre vite sempre al top e far apparire noi stessi come, purtroppo spesso, non siamo. In più c’è la febbre dei follower. Tutti a preoccuparsi dei numeri. Quenti follower o quanti like e tutto questo, a mio avviso, ci sta rendendo schiavi. Forse sarò un po’ old school, ma preferisco artisti che quando stanno male, prendono una chitarra e scrivono una canzone. D’altro canto, trovo i social una buona piattaforma dove ognuno di noi può avere una voce e, dove, ognuno di noi può esprimere la propria creatività senza essere un numero.

Cosa ti vedi a fare da grande?
Spero ancora di fare questo mestiere, anche se è veramente tanto difficile. Sono pienamente convinto che non smetterò mai di avere queste passioni, anche se non dovessero diventare il mestiere che mi darà da mangiare.  

Cosa non manca mai nella tua valigia quando viaggi?
Il mio stile lo definirei molto “geek chic style”, perciò nella mia valigia non mancano mai le magliette dei band anni ’80 o ’90 o t-shirt con frasi tratte da telefilm o da canzoni famose, personaggi di cartoni animati, supereroi oppure con i loghi dei grandi brand commerciali come Pepsi o Coca-Cola. Sono un grande amante del vintage perciò, giro sempre con la Polaroid formato Wide! E’ il mio tesoro più grande.

Photography: Davide Musto
Total look: David Naman


®Riproduzione Riservata

Lubiam: un connubio tra moda e arte

Siamo stati a Mantova con Lubiam, la storica sartoria maschile mantovana che ha rinnovato anche quest’anno la propria collaborazione con Mantova Creativa e il Complesso Museale di Palazzo Ducale, sostenendo la nuova edizione di “Scultura in Piazza”, un progetto che porta l’arte contemporanea nel cuore della città, in Piazza Castello.

L’azienda ha offerto il proprio supporto logistico e di risorse nella realizzazione dell’opera “Guscio” dell’artista Eduard Habicher. L’opera è un grande nastro in ferro Semioscillante dipinto di rosso e sembra parlare in modo dinamico con l’architettura di Palazzo Ducale. Una scultura attraversabile, un vero e proprio disegno nello spazio, segno della contemporaneità riconoscibile al centro di una scena rinascimentale. L’artista la definisce “quintessenza di impegno ed arte”. Per realizzarla ha ripensato proprio al rapporto virtuale dello spettatore con i pieni della scultura e del proprio corpo, invitando ad entrare nella struttura composta di travi di ferro per toccarla e sentirne la forza compressa.

La prima edizione di questa kermesse nel 2016, aveva visto protagonista lo scultore giapponese Hidetoshi Nagasawa e l’opera Vortici, ora in esposizione permanente nello spazio verde di Lubiam. Proprio nel cortile dell’azienda tra un anno verrà posizionato anche “Guscio”.


®Riproduzione Riservata

LE PERSONALITA’ DI ONESOUL BY GUARDIANI IN UN VIDEO

Onesoul_manypersonalities, il progetto di Guardiani che racconta le varie anime della sneaker unisex ONESOUL, diventa un video, diretto dal noto videomaker berlinese Senio Zapruder. I protagonisti, vicini al mondo dei Millenials,  interpretano le varie personalità della scarpa dall’animo sportivo, che non è una semplice sneaker, ma unisce elementi di design, combinando un fondo tipicamente running ad una tomaia essenziale dai volumi più formali, caratterizzata da logo della casa in metallo applicato alla fascia. La Guardiani Gang è composta dal BOY NEXT DOOR, con un completo rosso sdrammatizzato dalla canotta e dai movimenti decisi, come quelli dei lifestyle influencers; c’è poi il suo corrispettivo femminile, la ROCK ‘N BLONDE, una influencer a tinte dark. TECH LOVER rappresenta invece gli amanti della new wave dell’elettronica e techno, accanto all’altro grande fenomeno musicale contemporaneo del TRAP PRINCE, ovvero il purista della trap, conoscitore della storia del rap e hip-hop. Infine c’è THE V- DANCER, ballerino di Vogueing, simbolo della cultura queer worldwide. Insieme esprimono la loro joie de vivre sullo sfondo di luci colorate e tracce musicali che si alternano, come in una radio che si sintonizza in stazioni diverse.

®Riproduzione Riservata

How to train like a Spartan

“Credo che ci sia un eroe in ognuno di noi. Lascia che ti mostri il tuo”. È questo il motto di Dimitri Filomena, il giovanissimo personal trainer alla Virgin Active di Milano Diaz, che da qualche mese ha deciso di condividere sui suoi account social la preparazione atletica per la Spartan Race, la competizione leader mondiale delle corse a ostacoli, con una classifica a livello globale, che spinge i partecipanti a superare i propri limiti, indipendentemente dalla preparazione atletica di partenza. Abbiamo chiesto a Dimitri di condividere con noi alcuni suggerimenti in tema di allenamento e alimentazione.

Cosa ti spinge a partecipare alla Spartan Race?
Nel mondo del fitness, e dello sport in generale, non si finisce mai di imparare e sperimentare cose nuove. La Spartan Race per me non è stata una semplice gara, ma un mezzo per riconoscere e affrontare alcuni miei limiti fisici e mentali che nella routine di tutti i giorni non mi rendevo nemmeno conto di avere.
Mettersi continuamente alla prova e superare sé stessi è ciò che ci spinge a dare il meglio di noi e, personalmente, ciò che mi fa sentire davvero vivo.

Quale tipologia di gara affronterai (sprint, super o beast)?
Ho già affrontato la sprint. Al momento sto preparando la Super che si terrà il 30 giugno ad Alleghe, sulle Dolomiti. In un prossimo futuro ci sarà sicuramente anche la beast.


Che programma di allenamento stai seguendo?
La mia preparazione si basa su un allenamento differenziato di sei volte a settimana.
Per affrontare una Spartan la prima cosa da fare è sicuramente allenare il fiato. Dedico quattro sedute, per almeno parte del mio allenamento, alla corsa, che può essere sulla breve, media o lunga distanza a velocità intervallata. Completo il tutto con allenamenti a corpo libero e funzionale ad alta intensità volti a migliorare forza ed agilità.

Quali sono le attività che possono aiutare anche i non professionisti a prepararsi?
All’aria aperta, come detto prima, sicuramente corsa e corpo libero. Se si ha la possibilità di frequentare una palestra, il Crossfit può essere una delle discipline più adatte alla preparazione della gara. In entrambe i casi, se non si è atleti, sarebbe meglio farsi seguire da un professionista del settore per rendete efficace ogni allenamento e dare un senso all’intera preparazione.

E per quanto riguarda l’alimentazione?
La più classica delle risposte a volte è anche quella più corretta; deve essere varia ed equilibrata. Fondamentale è l’apporto del giusto quantitativo di carboidrati, proteine e grassi che ci consente di avere le giuste energie per affrontare al meglio ogni allenamento. E’ giusto specificare, però, che questo è altamente soggettivo. Può variare da persona a persona a seconda di diversi fattori come età, sesso, metabolismo ecc… Ancora più fondamentale è ricordarsi di bere ALMENO 3 litri di acqua al giorno di cui uno durante l’allenamento per il recupero dei sali minerali persi durante questo

Il consiglio più importante per chi vuole partecipare?
Non aver paura. La paura di fallire e di sbagliare spesso non ci consente di vedere ciò che potremmo davvero essere o fare. Prova. Buttati. Di fatto, la Spartan è una gara contro se stessi dove ogni Spartano che corre con te è lì a darti sostegno e a ricordarti di non mollare mai.
Preparati. Tu dovrai fare lo stesso per ognuno di loro.

Perché hai deciso di condividere i tuoi workout sui social? Che ruolo hanno nella tua professione?
Mentirei se dicessi che non li utilizzo per allargare il mio business, ma prevalentemente uso i social per motivare i miei follower. In una società come la nostra è importante riuscire a comunicare che lo sport non è solo un passatempo, ma un vero e proprio stile di vita che migliora noi e tutti quelli che ci circondano.

®Riproduzione Riservata

The irresistible Salim Kechiouche

L’attore franco-algerino Salim Kechiouche inizia da giovane, recitando nel film À Toute Vitesse a soli 15 anni. Prima di decidere di perseguire la carriera di attore a tempo pieno, si dedica allo sport diventando, nel 1998, campione di kick-boxing in Francia. Adesso, a quasi 40 anni, ha finito di lavorare con l’acclamato regista francese Abdellatif Kechiche, nel cui prossimo film lo vedremo recitare, dopo anni di collaborazioni, come per Blue is Warmest Colour ed il più recente Mektoub My Love.
Lo abbiamo incontrato a Parigi.

Boxe e recitazione, cosa hanno in comune e in cosa sono diversi?
Il desiderio di essere sotto i riflettori, di essere visti, di mostrare ciò di cui si è capaci. Il fatto di dover fare sacrifici e avere una mente forte. Nella boxe, devi nascondere il tuo dolore, nella recitazione è il contrario: devi aprirti e mostrare i tuoi sentimenti. Ho sempre sentito di essere spinto verso due direzioni diverse. Adoro quando vedi attori o attrici che si lasciano andare a quel pizzico di pazzia o si confrontano con delle emozioni molto forti. Puoi mantenere la tua forza e allo stesso tempo essere un po’ fragile. E’ un equilibrio delicato.

Hai lavorato a tre film con il regista Abdellatif Kechiche. Che tipo di relazione hai con lui?
Ne sono molto fiero. Abbiamo moltissimo rispetto l’uno per l’altro. Ci sono molte cose che ci accomunano: lui stesso ha fatto boxe e recitato,in passato. E’ come se fossimo una famiglia – un fratello maggiore. Ha una forte influenza su di me, non vi è dubbio. Lavorare con lui ti porta a cambiare l’approccio che hai con questo lavoro. Kechiche è un regista impegnato e lavorare con lui è impressionante. Si può imparare moltissimo.

In che modo ti approcci ad un nuovo ruolo?
Tu diventi il personaggio e il personaggio diventa te – i due si incontrano. E’ un processo istintivo, bisogna provare avere fiducia di sè.

Nei tuoi lavori hai affrontato temi diversi, l’adolescenza, la mascolinità, la sessualità. Secondo te che ruolo ha l’attore in relazione a queste tematiche?
Molta gente mi scrive dicendomi che alcuni ruoli, da me interpretati, li hanno aiutati a sentirsi più liberi. Spesso i vari ruoli hanno dei messaggi – questo è tanto interessante quanto le persone che ne vengono toccate in maniera profonda. Io cerco di mantenere la mia libertà e, per me, cinema e teatro sono spazi intoccabili destinati alla libertà. Quindi, se un messaggio può essere veicolato, è un bene porsi come un modello nella società.

Cosa accadrà adesso?
Il prossimo film con Kechiche, che abbiamo appena finito di girare! Mi piacerebbe tornare a teatro e vorrei scrivere – è qualcosa di completamente diverso, ma ci provo!

®Riproduzione Riservata

Talent: Salim Kechiouche
Interview: Kim Laidlaw
Photographer: Lucie Hugary
Styling: Nicholas Galletti
Grooming: Richard Blandel @ B agency

 

 

A FIRENZE IL MENSWEAR DALLA GEORGIA

La ricerca di Pitti Uomo continua con le nuove generazioni di menswear dalla Georgia. In occasione di Pitti Immagine Uomo 94 –  in collaborazione con MERCEDES BENZ FASHION WEEK TBILISI – a Firenze saranno presentati sei designer georgianiche presentaranno le loro collezioni alla Fortezza da Basso, nell’area speciale dello Spazio Carra (Padiglione Centrale – Piano Inferiore). GUEST NATION GEORGIA è un progetto realizzato grazie anche al supporto di LEPL Enterprise Georgia, l’agenzia che fa capo al Ministero dell’Economia georgiano e che favorisce e promuove lo sviluppo economico del paese.

I designer – selezionati  da Sofia Tchkonia, organizzatrice di MERCEDES BENZ FASHION WEEK TBILISI – sono: AZNAURI, ANUKA KEBURIA, GOLA DAMIAN, SITUATIONIST, TATUNA NIKOLAISHVILI, VASKA. 

Commenta Lapo Cianchi, segretario generale della Fondazione e direttore comunicazione ed eventi speciali di Pitti Immagine: ”La Georgia e l’Est-Europa stanno diventando luoghi tra i più dinamici per la creatività nel fashion, per questo abbiamo deciso di presentare sei tra i più innovativi brand georgiani pubblico di buyer e alla stampa internazionale. Nella selezione che porteremo a Pitti Uomo, inclusi progetti di menswear sviluppati per l’occasione, ci sono designer giovanissimi accanto a brand già affermati, ma tutti capaci di esprimere l’essenza del design più contemporaneo dalla Georgia, aperti alla sperimentazione e a una contaminazione creativa tra tradizione e modernità.

 Questi I profili dei brand che vedremo a Pitti Uomo 94:

 AZNAURI _ fondato a Tblisi nel 2016, Aznauri, con il suo direttore creativo Irakli Rusadze (fondatore del brand Situationist), mixa tradizione – il nome del marchio richiama la classe nobiliare georgiana – a stili che guardano agli anni ’90, per un moderno neo minimalismo. Partendo da una collezione di abbigliamento agender, il brand ha dato vita a un guardaroba completo con borse e calzature, per uno stile ricco di understatement.

AZNAURI
AZNAURI

ANUKA KEBURIA _ diplomata in Shoe Design alla St.Martin di Londra e con una vasta esperienza alle spalle che include la realizzazione di costumi per il teatro, la designer georgiana fonda il brand che porta il suo nome nel 2006. Nelle sue linee di abbigliamento, accessori e calzature, materiali naturali incontrano una grande qualità artigianale. Fil rouge: l’uso del nero e uno stile minimalista che unisce unisex e street style.

 GOLA DAMIAN _ a new dandy: nelle creazioni del brand Gola Damian, tagli e silhouette sportswear sono esaltati da materiali preziosi e geometrie inconfondibili. Con un mash-up tra contemporaneità e stile vittoriano, le sue collezioni fondono una molteplicità di ispirazioni eclettiche per uno stile sopra le righe e decisamente unico.

SITUATIONIST _ Irakli Rusadze è uno dei designer georgiani più noti a livello internazionale. Lo stilista autodidatta – che ha sfilato con Situationist durante la Milano Fashion Week – si ispira alla terra natale, la Georgia, e alle sue donne cresciute tra le difficoltà di una nazione post sovietica. Nelle sue creazioni, apprezzate anche da Gigi Hadid, una forte impronta tailoring incontra uno stile vintage con influenze culturali georgiane.

TATUNA NIKOLAISHVILI _appassionata di disegno e moda fin dall’infanzia, la designer Tatuna Nikolaishvili elabora, con il suo eponimo brand, creazioni dalle silhouette e dai cut originali per uno stile femminile e contemporaneo allo stesso tempo.

 VASKA _ laureato in architettura, Vasili Tabatadze debutta nel 2005 nel fashion con la sua prima collezione. Nel 2013 dà vita al suo brand Vaska. Nelle sue creazioni tessuti speciali, come antiche sete giapponesi, e naturali incontrano linee e geometrie quasi scultoree, per una linea dalla tiratura limitata.

®Riproduzione Riservata

Moda e fotografia a Hyères

Meta turistica per il mare e la natura rigogliosa, forse meno a la page rispetto ad altre città della riviera, Hyères si anima di presenze sempre più internazionali grazie a due appuntamenti molto speciali a Villa Noailles: l’International Festival of Fashion, Photography and Fashion Accessory e poi a luglio il festival del design.

Due appuntamenti che portano in città creativi e professionisti da tutto il mondo. Si è concluso da pochi giorni il Festival dedicato alla moda e alla fotografia, che ha visto protagonisti dieci designer per ciascuna delle categorie Moda, Accessori e Fotografia; i giovani selezionati hanno presentato i loro lavori durante una mostra e una sfilata, sottoponendo le loro creazioni al giudizio di una giuria, che quest’anno è stata presieduta da Haider Ackermann per la moda e Bettina Rheims per la fotografia. Così nella cornice modernista di Villa Noailles sono protagoniste una serie di mostre tra moda, fotografia e arte contemporanea, installazioni, performance, proiezioni e workshop. Grazie al lavoro di Jean-Pierre Blanc, fondatore e direttore generale del festival, la manifestazione è cresciuta in modo esponenziale, pur mantenendo un’atmosfera informale e dallo spirito indipendente, grazie al supporto di numerosi sponsor, che mettono a disposizioni importanti premi in denaro per i giovani.

“Dopo l’edizione con Karl Lagerfeld e la presenza di Chanel – spiega Jean-Pierre Blanc  – il Festival ha avuto un grande impulso. Si è realizzato il sogno di poter avere in giuria grandi nomi della moda, ma l’obiettivo non è quello di diventare sempre più grandi,  ma di organizzare un evento culturale che si di supporto per i talenti”.  Oggi tra gli sponsor del Festival spiccano grandi aziende come Swarovski, Chloé con il suo Prix per la silhouette che rivisita l’heritage del marchio, mentre Premiere Vision, la fiera leader nel tessile ospita i designer a Parigi mettendoli in contatto con le aziende tessili che vogliono supportare i giovani. E infine Mercedes-Benz, che dal 2012 sostiene il festival dimostrando il proprio impegno nel campo della moda. Per questa edizione ha presentato per la categoria Moda, lo showroom “The Shortlisted”, e “The Formers”, con pezzi d’esposizione firmati dai partecipanti delle precedenti edizioni.

Come negli anni passati, Mercedes-Benz  invita il vincitore del Grand Prix du Jury Première Vision o del premio Chloé a presentare la sua collezione allo spazio MBFW durante la Berlin Fashion Week a luglio 2018. Tra le mostre da non perdere a Villa Noailles: quella curata da Haider Ackermann dal titolo “A Vanishing Act” con i look di designer per lui importanti come ispirazione, da Undercover, Rick Owens fino a Madame Grèse Azzedine Alaïa;  per la fotografia la mostra-installazione “Bettina and Bill“ che tramite stampe e collage ripercorre le cover e gli editoriali di Bettina Rheims scattati a Los Angeles tra il 1994 e 1997 per il magazine Details. Tra i numerosi eventi il workshop presentato da Mercedes-Benz nell’ambito della #WeWonder fashion story con la partecipazione di Kevin Ma, fondatore di Hypebeast,  che ha riscosso grande interesse. “Sostenere talenti emergenti è uno dei motivi per cui sono orgoglioso di essere parte di #WeWonder – racconta Kevin Ma. E ‘stato bello vedere la creatività e l’entusiasmo di tutti i partecipanti selezionati con Mercedes-Benz. Mi sento privilegiato di essere stato in grado di parlare con loro del mio tema ‘Progression’, e spero che abbia contribuito a ispirare a pensare in modo innovativo su come costruire i loro marchi in futuro”.

La 33esima edizione del Festival di Hyères si è chiusa con la vittoria del Grand Prix per la moda al marchio menswear, Rushemy Botter & Lisi Herrebrugh, un duo proveniente dai Paesi Bassi che si è formato alla Royal Accademy di Anversa. “Fish Or Fight” è il titolo della loro collezione che vuole rendere un omaggio alle origini caraibiche dei designer: outfit tridimensionali e in apparenza caotici in cui si mescolano influssi street, tailoring, elementi femminili e dettagli recuperati dalla mondo marino. Rushemy Botter & Lisi Herrebrugh hanno portato una ventata di freschezza per lo styling ridondante,  il senso del colore e i patch decorativi che ricorrono su felpe e giubbotti. Un tocco sperimentale anche sulle scarpe pensate come zattere e realizzate in collaborazione con Nike, che ha creduto nel loro talento.  Il Grand Prix per la fotografia è andato all’irlandese Eva O’Leary, diplomata a Yale. La fotografa basata a New York ha realizzato una serie di ritratti di adolescenti cui di fronte ha posto uno specchio per coglierne la reazione dinanzi alla propria immagine riflessa.

®Riproduzione Riservata

INTERVISTA AL “NASO MATTO”: ALESSANDRO GUALTIERI

Irriverenza, trasgressione, ricerca interiore ed eccesso caratterizzano le fragranze delle linee create da Alessandro Gualtieri. Nasomatto da un lato, con le sue essenze di forte impatto che non hanno faticato ad entrare nei cuori di milioni di clienti in tutto il mondo e dall’altro il progetto Orto Parisi ispirato dal nonno Vincenzo, figura iconica del suo passato alla quale ha voluto dedicare un’emozione più viva e vibrante rispetto a quella di una semplice biografia.

Le composizioni sono accattivanti ed originali realizzate con materie prime di eccellente qualità e abilmente accostate tra loro. L’estrema persistenza è data dalla loro concentrazione in estratto.

Si dice che Alessandro sia un naso in fuga, e i suoi profumi siano talmente pregni di personalità perché mirano a soddisfare prima di tutto lui stesso e poi il pubblico come confermano le sue battute di seguito:

Come sviluppi i tuoi concept di fragranze?
Tutte le mie creazioni sono molto personali, mi lascio guidare dall’istinto.

Come li rinnovi?
Non li aggiorno nè li rinnovo, ciò che è fatto è fatto, sono sempre alla ricerca di nuove creazioni.

Come scegli i tuoi pack e la comunicazione del prodotto?
Ho un rapporto viscerale con tutti i materiali che uso, ogni dettaglio delle mie creazioni ha un significato, una storia o una dichiarazione.

Personalmente, che tipo di fragranze preferisci?
Mi piacciono sempre quelle/a nuove a cui sto lavorando.

Novità e anticipi su progetti futuri?
Sto cercando di fare qualcosa di diverso e comunicare con il pubblico attraverso altri canali. Sono in programma delle installazioni artistiche quest’anno, probabilmente mi vedrete al MANIFESTA 12 di Palermo. Ho appena lanciato la nuova fragranza Nudiflorum e sto lavorando ad un nuovo profumo per Orto Parisi. Infine ci sono alcuni work in progress di cui non posso ancora svelare nulla.

®Riproduzione Riservata

È TEMPO DI GELATO!

È bastata una settimana di caldo e i consumi di gelato sono volati. Infatti in quest’ultimo ponte lungo si sono mangiati il 30% in più di coppette e coni rispetto alla settimana precedente. Secondo l’analisi Coldiretti/Ixè il preferito dagli italiani (ne consumiamo oltre 6 kili l’anno) è il gelato artigianale nei gusti storici anche se cresce la tendenza nelle diverse gelaterie a offrire “specialità della casa” come i gelati con frutta e verdura locali ma anche con formaggi Dop o grandi vini.

Tutto il comparto utilizza ogni anno 220mila tonnellate di latte, 64mila di zuccheri, 21mila di frutta fresca e 29mila di altre materie prime. Quando siamo indecisi sul locale dove gustare il gelato è importante premiare quelle gelaterie che impiegano frutta e latte freschi italiani perché questi sono gli indicatori del vero gelato e non di un prodotto realizzato con surrogati di bassa qualità. Un rischio che non si corre nelle agrigelaterie, che garantiscono la provenienza della materia prima dalla stalla alla coppetta con gusti che vanno dal latte di asina a quello di capra fino alla bufala.


Esiste anche un campionato mondiale del gelato artigianale: il Gelato Festival World Masters 2021, un torneo individuale internazionale di categoria con partner Carpigiani e Sigep – Italian Exhibition Group. In tutto il mondo concorrono alla conquista del titolo ben 5000 gelatieri che, dopo le varie eliminazioni, si ridurranno a 36 e parteciperanno alla tappa finale che si terrà in Italia. Il percorso di qualificazione dei gelatieri si snoderà attraverso una serie di appuntamenti, dalle centinaia di selezioni nelle sedi dei concessionari Carpigiani denominate “Gelato Festival Challenge” (non aperte al pubblico) alle oltre 50 tappe di Gelato Festival in giro per Europa e Stati Uniti, fino ai tre “Carpigiani Day” che si terranno nella sede di Anzola Emilia tra il 2019 e il 2020.

Il 5 e 6 maggio sarà la volta di Torino. In piazza Vittorio Veneto verrà allestito il Gelato Village dove si potranno assaggiare i lavori dedicati al capoluogo piemontese: dal gelato del patrono San Giovanni a quello ispirato al Gran Torino, da quello che valorizza le nocciole e il gianduja fino a gusti d’ispirazione più mediterranea o addirittura esotici. La prossima settimana toccherà Milano in piazza Castello (12 e 13 maggio) nell’ambito della Milano Food City e da giugno il Festival si sposterà all’estero con le tappe al McArthurGlen outlet di Berlino (1-2 giugno), Varsavia (9-10 giugno), a Covent Garden a Londra (23-24 giugno) e al McArthurGlen outlet di Parndorf (Vienna) il 6 e 7 luglio.
Il programma continentale culminerà con la All Star a Firenze (14-16 settembre), la gara dei campioni, che riunirà su un unico palco tutti i vincitori del Gelato Festival dal 2011 a oggi, prima di varcare l’Atlantico per l’edizione americana, in 8 tappe tra la West Coast e, per la prima volta, la East Coast.

 ®Riproduzione Riservata

B&W STUDIES BY SARA BARCAROLI

Photography : Sara Barcaroli (sarabarcaroli.com) @sara_barcaroli
Stylist: Rebecca Muzzioli (rebeccamuzzioli.com)@rebecca_muzzioli
Assistant Stylist: Emilie Carlach @emiliecarlach
Makeup: Julia @juliawretzky
Hair: Sayaka Otama @sayakaotama

Models:
Kandioura @ Rockmen / @kandioura_fissourou
Bakay Diaby @ Bananas Models / @iambakay
Adama @ Rockmen / @slimdvms
William @ Rockmen / @wtrashn
Thierno B @ M Management / @titi_wap

MORESI: UNA STORIA D’ECCELLENZA

Una storia iniziata nel 1977 quella di Moresi, azienda di maglieria di lusso in cashmere e cotone, interamente realizzata in Italia e, più precisamente, a Como. Da gennaio 2018 il brand ha completato la sua gamma, disegnando anche la linea maschile, presentata a Pitti Uomo 93.
La collezione è caratterizzata da uno stile artigianale e di alta qualità, con linee pulite ed essenziali, che si discostano dalla tradizione pura, rinnovandosi costantemente attraverso una ricerca continua. I filati utilizzati seguono la stagionalità: per la stagione invernale, i capi sono realizzati interamente in cashmere e lana merinos, mentre per quella estiva in cotone e viscosa della migliore qualità. La linea maschile si compone di capispalla che attualizzano le tradizionali silhouette dei blazer e dei cappotti e si arricchiscono di pattern originali, aggiunti ai classici intramontabili, come lo spigato, il pied-de-poule, il tartan e il Principe di Galles, declinati in diverse varianti cromatiche, dalle più classiche ad altre insolite.

Inoltre, la scelta della maglia, rispetto al tessuto, conferisce una maggiore morbidezza e comfort ai capispalla dalla vestibilità unica, che aggiungono eleganza e ricercatezza al guardaroba maschile di tutti i giorni.

 

THE INSIDER: @SIMONEDECHECCO FOUR SEASONS HOTEL RITZ LISBON

Una città dal ritmo lento e sornione: Lisbona è la città ideale dove starsene seduti al sole per un pomeriggio intero su un miradouro, guardando il mare di tetti e le imbarcazioni che navigano sul fiume Tago.
Colta, moderna ed organizzata il fascino di una delle più piccole capitali europee è chiaro fin dal primo sguardo, qui tradizione e modernità si fondono in un concerto armonico ben riuscito.

Museu Berardo

Sotto il sole caldo si potrebbe camminare senza una meta, perdersi nelle viette strette dell’ Alfama, il vecchio quartiere dei pescatori che ancora conserva gran parte del suo antico aspetto, visitare la Torre di Belém, che con i suoi delicati intarsi accoglie i visitatori che arrivano dall’ acqua, ed ammirare il Monastero dos Jerónimos, il monumento più importante della città.

Lisbona è una citta dalla cultura fervida e attiva. Il Museu Berardo raccoglie una delle collezioni di arte moderna e contemporanea più prestigiose del mondo. Il Museu Nacional do Azulejo, all’interno del cinquecentesco convento Madre de Deus, ospita invece una sorprendente collezione di azulejo, piastrelle di ceramica dipinta che rivestono le facciate delle case più antiche e ornano chiese e monumenti. Il MAAT, il nuovo Museo di arte, architettura e tecnologia disegnato da Amanda Levete, possiede una forza architettonica tale da renderlo un edificio-monumento: uno spazio pubblico che dialoga con l’ambiente e la città.

Di notte Lisbona conserva un fascino sornione. I ristoranti sono il luogo di incontro e di socializzazione preferito dai portoghesi: si mangia bene praticamente ovunque e la cucina tradizionale si fonde con garbo a sperimentazione e innovazione. Da provare le specialità della Taberna Moderna e del Cantinho do Avillez. Per una serata cool il posto del momento è JNcQuoi: un restaurant, bar, gourmet Store e Men’s Fashion Clinic da non perdere.

Sia che si decida di soggiornare a Lisbona un weekend, sia che si voglia rimanere per più tempo, l’hotel da prenotare è il Four Seasons Hotel Ritz Lisbon: una struttura anni 50 dove, tra arredi art decò e Louis XVI, vengono accolte opere d’arte eclettiche, dipinti ed arazzi che rendono questo luogo un vero museo di arte contemporanea portoghese.
Fondamentale ritagliarsi un’ora per allenarsi nella palestra sul rooftop e praticare running all’esterno ammirando dall’alto la città.

Suggestivo il SideCar tour proposto dall’hotel: 4 ore tra le vie antiche della città, passando per il Castelo de São Jorge e la Praça do Comércio con una sosta d’eccellenza presso la Pastéis de Belém, un’ istituzione della città.

®Riproduzione Riservata

Pubblicità e sport: due mondi che spesso trovano una via comune

Che ci sia un legame tra il mondo dello sport e quello della pubblicità è un dato di fatto, una constatazione più che legittima. In effetti la scelta di un testimonial per un brand di un certo tipo può ricadere su attori e attrici, modelle e modelli, ma molto spesso sono proprio gli sportivi a dare quella marcia in più a una campagna pubblicitaria e di comunicazione istituzionale. I casi che si possono fare sono davvero moltissimi, passando dal circuito del tennis mondiale, con i vari Roger Federer, Rafa Nadal e soprattutto con Novak Djokovic, campione serbo e uomo immagine che per certi versi richiama quel tipo di sportivo come Andre Agassi e John McEnroe. 

Dal tennis alla F1, dal calcio attuale a quello passato: la pubblicità e lo sport

Dal tennis, sport nobile ed elegante per eccellenza, si può passare con continuità al circuito della formula Uno, argomento hype e sicuro trend topic di questo periodo. Ed è facile accendere la tv o fare un giro sui canali social di ambito sportivo per trovare testimonial d’eccezione come Hamilton e Verstappen, visto che il concetto di sfida e di duello è intrinseco in una competizione individuale come quella della Formula Uno. Anche gli sport di squadra però possono avere il loro fascino, per via dei molti atleti che lo vanno a comporre. Si pensi ad esempio alla sfida del secolo tra i due campioni del calcio come Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Gli spot con questi due assi del calcio sono davvero numerosi, passando dai prodotti di abbigliamento, a profumi, doccia-shampoo e ovviamente ai giochi di simulazione come EA Sport FIFA 22, dove però in copertina spesso sono state le nuove stelle del firmamento calcistico attuale come Neymar Jr. e Mbappé, asso del PSG e della Nazionale francese a rubare la scena ai due campioni più stagionati. Eppure quando tocca scendere in campo ci sono ancora campioni come Gianluigi Buffon, Giorgio Chiellini o Dries Mertens, che riescono a fare ancora la differenza. 

Il caso di Zlatan Ibrahimovic: un campione con una carriera infinita

Senza dimenticare come uno dei giocatori simboli del Milan di Stefano Pioli ancora in corsa per la vittoria dello scudetto, sia proprio quello Zlatan Ibrahimovic. L’attaccante svedese, classe 1981 si segnala per la sua carriera longeva e ricca di trionfi individuali e di squadra. La sua carriera è un esempio per molti calciatori alla ricerca di un primato e di un record da battere. Record che sono stati infranti da uomini simbolo come Andrés Iniesta, faro del centrocampo della Nazionale spagnola e naturalmente del mitico Barcellona, dove militavano anche Lionel Messi, Busquets, Mascherano, Piqué, Suarez. 

Puntare sulle capacità comunicativa è una scommessa come pronosticare sui risultati del campionato. Quando un calciatore diventa così famoso e popolare diventa una scommessa vincente, come ad esempio i nostri Andrea Pirlo, Fabio Cannavaro o per guardare sempre al passato Bobo Vieri, Alessandro Del Piero, Francesco Totti, è piuttosto abituale che il mondo della pubblicità, della moda sportiva e in generale lo spettacolo, dedica di utilizzare volti tanto noti e sportivi così vincenti come testimonials. Si tratta di un sistema vincente e virtuoso, che ancora oggi a distanza di tempo tende ad attirare sportivi ed ex atleti che si sono costruiti la loro fama grazie a vittorie indimenticabili, in competizioni mitiche che non sono semplici da replicare.  

LIFESTYLE TIPS

Una serie di suggerimenti tra moda, food, beauty e musica. Scopriamo l’immaginario e il lifestyle di Stefano Terzuolo, fondatore di Gum Salon a Milano.

”Per la sera opto per l’Apollo Club Milano, cocktail bar, ristorante e discoteca nato dall’idea di Marcellina e Tiberio fondatori di “Rollover Milano”, dove mi sento accolto come nelle famose SoHo house. 1000mq suddivisi in 4 sale per poter vivere esperienze diverse: Cocktail room dove fermarsi per l’aperitivo, Ristorante, Gaming room ( con ping-pong, flipper e videogames ) e ovviamente una sala disco dove ballare.
Mi piace per l’atmosfera intima e privata che si riesce a vivere rimanendo comunque in un ambiente dal sapore internazionale, dato anche dalla cucina ricercata dello chef italo-brasiliano Bruno Cassio con sapori da tutto il mondo, in una fusion tra la cucina classica e la cucina moderna globalizzata. Il mio piatto preferito? Polpo con Crema di Zucca.”

Per il pranzo quando ho bisogno di un Exit Way dal mio solito tran tran mi concedo un momento di ricreazione da EXIT. Il nuovo progetto nato dall’idea di Matias Perdomo, Thomas Piras e Simon Press: lo stesso trio che ha portato al successo Contraste. Un classico chiosco milanese riconvertito a Chiosco Gourmet con una trentina di posti a sedere. L’ambiente è luminoso, la mise en place di una trentina di coperti semplice ed elegante, con un blocco di Ceppo di Grè (una pietra ornamentale con cui la gran parte dei palazzi meneghini è stata costruita) usato come poggia posate. Il piatto da provare? L’UOVA all’ EXIT!

Il mio punto di riferimento per lo shopping a Milano sicuramente è Groupies Vintage, in via Gian Giacomo Mora. Non un semplice vintage shop ma un ambiente in divenire che non segue le mode, le costruisce. Nato con l’idea di recupero e riciclo di capi di abbigliamento vintage in potrete trovare diverse tipologie di abiti, principalmente identificabili in tre categorie:
-Vintage selected: capi selezionati dagli anni 50 agli 80 provenienti da Londra e Berlino.
-Vintage recycled: una linea innovativa disegnata da Alice, che ha dato nuova vita a diversi capi rimodernizzandone le linee.
-Kilo Vintage, ossia è possibile comprare abbigliamento vintage “al chilo” scegliendo tra innumerevoli stili e pezzi a costo ridotto.
La mia ossessione? Le vintage shirts.

Il mio momento beauty? Da Bahama Mama, a due passi dai Navigli. Un concept store, interamente dedicato alla bellezza ma anche un ricercato vintage shop con bar dove puoi goderti la coccola sorseggiando un frullato o una tisana. Un ambiente moderno e familiare, ma dal tocco retrò, sottolineato non solo dagli oggetti che decorano gli spazi, ma anche dal look anni 40 del personale.

Extra: l’album del momento AS YOU WERE di Liam Gallagher.

Prodotto beauty: PURE-CASTILE LIQUID SOAP.

®Riproduzione Riservata

UNA PRIMAVERA CON GLI OCCHIALI

Finalmente, dopo settimane indecise e gelide, che facevano venire poca voglia di uscire, è arrivata una primavera calda che ci spinge a mettere la testa fuori di casa. Uno dei must del nostro look per ogni stagione in cui il sole la fa da padrone è sicuramente un bel paio di sunglasses!

Per chi vuole solo sapere le ultime tendenze nel settore o per chi vuol farsi ispirare e spingere ad un nuovo acquisto, abbiamo preparato questa sequenza di occhiali che vengono dalle collezioni s/s 2018. Ce n’è per tutti i gusti, dalla funzionale mascherina sportiva a doppia lente di Moncler all’occhiale in acetato dalle sfumature particolari e dalle dimensioni oversize di DSquared2.
Prevale, osservando.i modelli che abbiamo scelto per voi, una forma più arrotondata, dal gusto retrò, ma senza eccessi. Forse non è tempo per le eccentricità, meglio essere ricordati per lo sguardo che sfoggiamo una volta tolti gli occhiali da sole, piuttosto che per una montatura troppo strana.
Eccovi le nostre proposte.

IL BEST OF DAL SALONE DEL MOBILE 2018

Allestimenti teatrali, prosceni domestici, la fotografia della “casa che tutti vorremmo”, i set d’arredo di questo Salone del Mobile 2018 hanno lasciato il segno.
Non a caso il risultato è più che positivo, arrivato alla sua 57a edizione, conta 434.509 presenze provenienti da 188 paesi, con un incremento del 17% rispetto all’edizione 2016.
Il Salone del Mobile si riconferma quindi leader di attrattiva commerciale e di rappresentanza dei valori e delle esigenze del mercato.

Qui abbiamo voluto raccogliere una parte delle aziende che hanno esposto al Salone del Mobile 2018, ecco il nostro BEST OF:

BADGLEY MISCHKA HOME
Madonna, Jennifer Lopez, Rihanna, Sharon Stone, Julia Roberts, Kate Winslet, Taylor Swift e Sara Jessica Parker hanno indossato i loro abiti nelle serate di gala e durante occasioni mondane, oggi il brand di moda Badgley Mischka veste le stanze di casa.

Dopo il grande successo che li ha visti nominati tra i 10 migliori designer americani da Vogue America, la coppia artistica Mark Badgley e James Mischka, si cimenta nelle loro passione dell’interior design, con una collezione presentata per la prima volta nel febbraio 2017 durante la New York Fashion Week ed ora all’evento di design che raccoglie addetti al settore di tutto il mondo: Il Salone del Mobile di Milano.

L’ispirazione è quella della Hollywood anni ’40, con 200 pezzi fatti a mano e destinati all’arredo di sale da pranzo, soggiorno e camere da letto, con oggetti decorativi quali sculture, candele, cornici di metallo lavorato, dalle forme essenziali e pulite.
Per la collezione Bagdley Mischka Home, i tessuti utilizzati vengono prodotti in America, per gli accessori invece è nata una partnership con PTM Images di Los Angeles, produttore leader di carte da parati e mobili, un matrimonio nato per consentire un livello qualitativo molto alto e soddisfare così i clienti più esigenti.

CITCO
Per il Salone del Mobile CITCO Privè ci porta in viaggio verso Cina, Cambogia, Indonesia, dove troviamo animali selvaggi e maestosi dragoni, intagliati rigorosamente su pregiati pezzi di marmo.

I colori sono vivi come quelli delle foreste, verdi accesi come le foglie e arancio brillanti come l’uccello del paradiso.
Nella serie “Saigon” CITCO omaggia le tradizioni dell’antica Cina, dove il dragone è simbolo di potere, di forza e buona fortuna. Dietro l’intaglio del drago, sono state apposte strisce di colore verde bianco e nero, linee accurate che lasciano spazi vuoti per far meglio risaltare la figura dell’animale.

All’India è dedicato il prestigioso pezzo del rinoceronte, animale spesso associato al mitologico unicorno per via del corno che sorge tra i suoi occhi. Questa gloriosa testa di rinoceronte è un incredibile esempio delle più avanzate tecniche di progettazione digitale. Progettato con un so ware parametrico e realizzato esclusivamente con macchinari a controllo numerico, questo pezzo vanta un design molto dettagliato.

SMANIA
Smania riconferma la sua presenza al Salone del Mobile con uno spazio dedicato al lusso senza tempo e presenta un ampio ventaglio di nuove proposte raffinate ed eleganti che interpretano al meglio la cultura artigianale aziendale. Per quest’anno l’architetto Massimo Iosa Ghini si fa portavoce SMANIA con una collezione completa e ricercata, espressione di passione e dedizione, l’unione tra tradizione e contemporaneità.

Nel caleidoscopico catalogo di Smania troviamo:

BELMOND, un divano modulare componibile in pelle e tessuto, con cuscini di grande formato riposizionabili;

EMBASSY, un’originale seduta dinamica ed accogliente, dalle superfici e dalla scocca interamente imbottite e dai braccioli con forma arcuata;

GRAND SOHO, un letto matrimoniale impreziosito dalla testiera imbottita in pelle, che coniuga il comfort quotidiano ad un aspetto morbido e avvolgente;

DALTON, un pouf imbottito dalle linee essenziali e dalle forme arrotondate, pensato come accessorio da abbinare al letto Grand Soho.

A completamento, la volontà di dare spazio a un’estetica accogliente e ricercata, con la collezione SMANIA outdoor firmata  Alessandro La Spada,  forme organiche, linee morbide e curve sinuose, ispirate ai profumi e alle sensazioni di meravigliosi giardini in fiore.

ALTAMODA ITALIA IN TOSCANA
Sono le meraviglie delle terre toscane, luogo di nascita del brand, che fanno capolino nella collezione ALTAMODA in questo Salone del Mobile 2018. Dalla camera da letto alla zona living, tutto il profumo dei fiori e degli aromi di una terra magica, i colori che ci regala, la sinuosità delle sue colline.
Arredare la casa a 360 gradi si può con ALTAMODA, che produce tendaggi con preziosi tessuti made in Italy, complementi d’arredo, lampadari, ma anche essenze e fragranze.

Allo stand E29 fino al 22 aprile, ALTAMODA sfoggia un kimono, simbolo di stile eleganza e grazia, come pezzo iconico della nuova collezione 2018.

VG CONCEPT & DESIGN BY LEA CHEN
Uno spazio le cui creazioni sono collocate come nelle tradizionali case cinesi, patria dell’architetto e interior designer Lea Chen.

Auspicio Dresser è una reinterpretazione di una cassettiera larga e bassa, tradizionalmente collocata al centro delle zone living posta di fronte al bang riscaldato, un tradizionale letto matrimoniale fatto di mattoni. Cassettiere che contenevano oggetti di uso quotidiano e talvolta includevano scomparti segreti per riporre oggetti di valore, lo abbiamo visto fare anche dalla nonna, che nascondeva soldi e gioielli all’interno di qualche mobile antico. Può essere utilizzato come mobile contenitore all’interno di un grande armadio o essere collocato in camera da letto; grazie alla sua dimensione può anche fungere da credenza in sale da pranzo o zone giorno.

Esiste un armadio che pare abbia mille occhi, compare spesso nelle scene dei film provenienti dal Sol Levante, sono ex mobili da farmacia, contenitori per centinaia di scatolette e prende il nome di Yaochu. Tutti i cassetti sono estraibili per porvi dentro in tutta comodità erbe ed ingredienti della medicina cinese. Oggi reinterpretato Royal Medicinal Cabine, ha uno stile raffinato e contemporaneo, i cassetti sono incorniciati da un top ed un supporto arrotondato in finitura oro lucido 24k, mentre i dettagli dei cassetti includono una finitura bicolore che separa l’esterno e l’interno, con pomelli in finitura oro lucido 24k che conferiscono eleganza all’intera struttura.

®Riproduzione Riservata

BORGO PIGNANO, IL LUSSO DELL’AGRITURISMO

Quando si parla di agriturismo la mente corre a una cascina spartana dove gli ospiti vengono risvegliati alle 5 di mattina dal muggire delle mucche, dove le attività extra contemplano passeggiate nei campi, raccolta delle uova o riassetto delle stalle. Si fa quindi fatica ad associare una struttura come Borgo Pignano (in provincia di Pisa fra Volterra e San Gimignano) al concetto di agriturismo. È vero ci sono i campi dove vengono coltivati il grano, la frutta e la verdura che si ritrova in cucina ma l’atmosfera di stanze, suite e maisonette è quella di un boutique resort. Insomma un agriturismo 2.0. molto lontano dall’insediamento dei cavatori di pietra di Volterra etruschi che fondarono il borgo ma sicuramente elegante e raffinato come la villa signorile del XVIII secolo che sorse sulle rovine del villaggio.

Borgo Pignano

Oggi, la tenuta si estende per più di 300 ettari fra boschi incontaminati, panorami fiabeschi con stagni e laghetti, orti coltivati secondo regime biologico e biodinamico. Dopo quindici anni di importanti interventi di recupero, architettonico e paesaggistico, condotti seguendo rigorose tecniche di restauro conservativo, la villa è stata suddivisa in quattordici eleganti stanze e suite, alcune delle quali presentano affreschi originali, tutte con bagno privato in marmo e travertino.

Adiacente alla villa c’è la Canonica, ovvero “la casa del prete”, che presenta alcuni elementi originali del XIII, come la costruzione in pietra, le arcate e le colonne, i soffitti a volta, i pavimenti in terracotta e gli affreschi perfettamente restaurati. In alcune camere si ritrovano anche particolari della prima edificazione della chiesa romanica del borgo dedicata a San Bartolomeo Apostolo, che è ancora consacrata anche se non viene più usata per le celebrazioni che si svolgono invece nella vicina Volterra. Buona parte degli edifici del Borgo sono stati convertiti a spazi adibiti all’ospitalità. Così si può scegliere di dormire nelle maisonette ricavate dalle antiche stalle, o nelle camere ottenute dalle case dove abitavano i contadini o ancora dai locali del casale. Ogni maisonette è indipendente e dispone di balconcini o terrazze private, camere da letto con bagno en-suite e cucina completamente attrezzata. L’arredamento e le decorazioni sono curati nei dettagli, mantenendo lo stile rustico toscano. Il grande casale “La Fonte”, è perfetto anche per ospitare retreats di vario tipo (yoga, pittura, musica e cucina).

Una delle ultime novità è la SPA, un centro benessere dove i prodotti utilizzati sono totalmente biologici e creati appositamente dall’erborista del Borgo, Lisabetta Matteucci, esperta di piante officinali. Alla base di questi cosmetici ci sono le piante, aromatiche e officinali e gli ingredienti biologici prodotti nella tenuta. Il Borgo ha anche una propria galleria d’arte che ospita, oltre alle opere di artisti e scultori della zona, anche talenti emergenti nazionali e internazionali. Il Borgo infatti offre ospitalità a giovani artisti talentuosi, grazie al mecenatismo del proprietario sir Michael Moritz e alla collaborazione con la Royal Drawing School di Londra, fondata nel 2000 dal Principe Carlo d’Inghilterra.

Nell’ala ovest della villa c’è il ristorante Villa Pignano. Qui tutto esprime il concetto del “chilometro 0”. Non solo le pietanze, che lo chef Vincenzo Martella prepara utilizzando sole materie prime biologiche di stagione e provenienti dal territorio circostante, ma anche la mise en place vede protagonisti bicchieri e candelabri di cristallo, realizzati a Colle Val d’Elsa e portapane in alabastro di Volterra.

®Riproduzione Riservata

“FUTURE IS NHOW”: IL FUTURO DEL DESIGN RACCONTATO DA NHOW MILANO

La Milano Design Week si è appena conclusa e, con lei, anche gli eventi aperti al pubblico del Fuorisalone, fra cui ricordiamo il percorso espositivo di design e arte contemporanei “Future is nhow”, organizzato dall’hotel nhow Milano, che è culminato ieri 22 aprile con un Unconventional Closing Party presso T35 e terrazza in zona Tortona.

Tanti sono stati i marchi di design, fashion e beauty che hanno partecipato all’evento e hanno presentato le loro creazioni. Tra i protagonisti, il team di 404 Tattoo Shop, che unisce l’arte orafa ai tatuaggi, alla ricerca di un segno che unisca, Muah bijoux, con un’installazione di prodotti divertenti e sorprendenti da toccare e condividere, Rebirth Italy, che non è una semplice linea di gioielli ma una collezione di design, di “sculture da indossare” ispirata alla Roma imperiale e all’Antico Egitto, Adolfo Chiesa con i suoi manufatti in legno lavorati a mano, Angelo Po con le sue attrezzature di cottura attente all’ambiente e al risparmio energetico, accanto ai mobili-scultura di B.M.A. Italian Contract & Furniture.

Innovazione è la parola-chiave anche di Boretti, che sviluppa un concetto di cucina moderno, in cui gli elettrodomestici diventano elementi di arredo e design. Gli oggetti di uso quotidiano sono l’ispirazione di Andrea Clessi, il designer fondatore di CLIQUE Rielaboratorio, che riutilizza, rielaborandoli, materiali come rame, legno, acciaio, pelle e vetro, che prendono una nuova vita. Il riciclo è alla base anche dei “Robottini Orfani” di Massimo Sirelli, assemblati con vecchie scatole di latta e vari oggetti di scarto. CREATIVE EL VISION di Elona Izrailova, invece, punta all’ottimizzazione, presentando elementi d’arredo e tessuti che si adattano a tutti gli spazi e che sono decorati e personalizzati a mano. Presente anche una mostra di Design Language, incentrata sull’identità culturale che si nasconde dietro a ogni oggetto e che invita ad accogliere e apprezzare la diversità.

Lobby_Nhow_Milano_RC_NH_nhow-milano_275

In tema beauty, il Dr. Hauschka presenta la propria cosmesi per il viso e per il corpo e una linea Make-up professionale completa, autenticamente naturale e di qualità biologica. Ancora design con Giardini Wallcoverings, il marchio leader mondiale nei rivestimenti murali tessili, a cui si aggiungono la squadra di INTENTIONS guidata da Francesco Piazza, che raccoglie diverse novità nel campo dei complementi d’arredo, MORELATO, con la propria Fondazione Aldo Morelato, che si identifica da sempre con la cultura e la ricerca progettuale, Pascale De Backer, le cui opere poetiche si trovano al confine tra arte e funzionalità, Queenlight, con i suoi pannelli retroilluminati a led dal design sottile ed elegante, che vedono la collaborazione di artisti internazionali e Roberta Cipriani, con le sue opere ispirate alla natura e realizzate con la creta. Infine, Karim Rashid ha portato il suo Karim Lounge, un ambiente caratterizzato da linee sinuose, motivi audaci, forme morbide e multifunzionalità. A rappresentare il mondo fashion c’era Irma Kennaway, che ha iniziato a creare anche tavolini e lampade ispirate al mondo dei gelati. Presente anche il tema food&beverage con il marchio Leffe, che ha dato la possibilità di degustare i suoi prodotti di punta, la Leffe Blonde e la nuovissima Leffe Ambrée, mentre Lenari Italia s.r.l. ha presentato il nuovo prodotto “Banco gelateria INSÙ”, una rivoluzionaria vetrina gelato che permette una lettura verticale del prodotto, ottimizzando lo spazio ed enfatizzando la comunicazione visiva.

®Riproduzione Riservata

T35_by_nhow_-_Terrace_MRE_NH_nhow-milano_280

RZ STUDIO: L’HUB DEI GIOVANI TALENTI DI MODA

L’expertise dell’imprenditore e del team di professionisti che lo seguono offrono una stimolante visione del panorama moda.

Cosa rende un brand più interessante di un altro? Esaminando alcuni fattori, sicuramente è noto che una buona strategia di comunicazione può risultare vincente, se accompagnata dall’autenticità del manufatto. La cura maniacale da riservare all’immagine pubblicitaria è un’altra componente essenziale. Certamente, però, il fattore imprescindibile è l’idea alla base del prodotto. La moda 2.0 non può non tenere a mente tutti questi ingredienti speciali, che sono la ricetta alla base del successo. Considerando tutti questi elementi, l’art director Roberto Zampiero, classe 1984, grazie ad un lungimirante asset imprenditoriale e a un team di ottimi collaboratori, ha fondato RZ Studio. Le sue consulenze di stile a 360° rappresentano la solida base su cui new talent e marchi già affermati stanno realizzandosi professionalmente, grazie all’expertise dell’imprenditore, frutto di anni di lunga gavetta. Poi si sa, l’unione fa la forza: interessanti nomi del panorama moda nostrano, come il giovane influencer/PR Filippo Bologni, il trasgressivo fotografo Emanuele Ferrari e l’emergente Stella Bortoli, i quali collaborano con RZ Studio, hanno permesso al creativo di potersi costruire un’interessante reputazione. Il creativo e braccio destro di Roberto è Riccardo Comi: la sua collezione rappresenta la punta di diamante dello studio.

Abbiamo scambiato alcune domande con Roberto Zampiero in merito all’eleganza maschile.

La più grande idea che tu abbia mai avuto?
Questa è una domanda a cui al momento non trovo risposta. Sicuramente sono consapevole del fatto che tutte le idee che mi vengono in mente siano e possano diventare grandi progetti! Al momento Rz studio credo sia una grande idea d’innovazione nel nostro settore, ossia quella di mettere insieme persone valide per creare e portare a grandi successi brand emergenti che, probabilmente, con poca esperienza e mezzi limitati altrimenti farebbero molta fatica.

La tua sfida più grande?
La vivo tutte le mattine quando apro gli occhi. Mio nonno Nicolino, un grande uomo e imprenditore di successo, mi ha sempre insegnato che la sfida più importante la vivi con te stesso. Solo noi possiamo sapere quali sono e quanto sono grandi i nostri obiettivi, poi si tratta solamente di capire quanto siamo disposti a sacrificarci per raggiungerli.

Quali musicisti ci sono nella tua playlist?
Oasis, Nirvana e Blur mi accompagnano sin dalla mia infanzia, amo anche tutto quello che è il mondo disco e deep house. Negli ultimi anni Cesare Cremonini. Lo so, l’ultimo va un po’ in contrasto con gli altri generi espressi, ma dentro di me c’è comunque un po’ di sano romanticismo all’italiana.

Cos’è per te il lusso?
Avere il tempo da dedicare a te stesso e alle persone a cui vuoi bene e permetterti di viaggiare, non identifico il lusso con il denaro.

3 errori di stile imperdonabili?

  1. L’abuso di accostamenti di colore o fantasia: non tutti possono permetterselo! La maggior parte delle volte non si parla più di moda, ma di cattivo gusto e ostentazione forzata.
  2. Ostentare l’accostamento di loghi e firme!
  3. Per la donna le calze collant: se una donna ha delle belle gambe non vanno coperte!

Qualcuno che trovi veramente autentico tra le figure della moda contemporanea e perché?
Trovo autentico un designer che non segue le masse, ma che crea e mantiene una sua linea di stile nel tempo, Hedi Slimane e Phoebe Philo sono i miei preferiti in assoluto, se dovessi stilare una classifica al 3° posto rientra a pieno titolo anche Antony Vaccarello.

Il look per essere cool durante questa Primavera-Estate 2018.
Lo street wear è entrato prepotentemente nel fashion system di prima fascia quindi, camicia manica corte stile Prada, t-shirt irriverente Emanueleferraristudio, rain coat Balenciaga, pantalone cargo, tuta in acetato e immancabile sneakers anni ’90. Mio consiglio personale: l’utilizzo di colori non troppo sgargianti: semplicità e pulizia! Sarete sempre impeccabili!

®Riproduzione Riservata

Photo by Stella Bortoli

Inside Ballantyne con Fabio Gatto

Oggi l’azienda scozzese fondata nel 1921 grazie alla guida di Fabio Gatto, si rinnova con nuovi progetti e aggiungendo nuovi intarsi figurativi e lavorazioni per creare spettacolari sfumature. Si rivisitano e decostruiscono i capi che hanno reso famoso Ballantyne come i pullover con intarsi a rombo fatti a mano, o quelli con lavorazioni e pattern iconici per il brand: aran, a treccia, tartan, fisherman. E nasce anche il Ballantyne Lab, un progetto di ricerca e sperimentazione che partendo dagli archivi storici propone capsule collection innovative, vendute in selezionati punti vendita. Ne parliamo con Fabio Gatto, designer e imprenditore visionario che ha saputo traghettare l’azienda verso nuove sfide e mercati.

FABIO GATTO
FABIO GATTO

Da stilista e imprenditore come sei riuscito a combinare queste due facce di un percorso anche molto diverso?
Diventi imprenditore dopo che questo lavoro inizi ad amarlo in maniera viscerale. Sono arrivato in Ballantyne per sistemare un po’ le cose e poi pensare al brand. Poi, come spesso è accaduto nel mio percorso professionale, il sentimento ha poi influenzato le mie scelte. Mi sono innamorato di questo marchio e davanti all’archivio ho capito quante persone hanno lavorato con sensibilità e lungimiranza. Ecco perche brand come Chanel o Hermes si affidavano per fare le loro maglie.

Non ho mai pensato all’aspetto solo economico e di business, ma a quello di dare nuovo lustro a questo brand, praticando delle strade diverse.

Tra Italia e Scozia come stai organizzando la filiera produttiva?
Agli inizi per recuperare credibilità il primo step è stato di tornare a produrre in in Italia, in modo da avere contatto diretto col prodotto e con la materia prima. Poi non abbiamo fatto solamente “l’operazione Italia”, ma abbiamo ripreso anche “l’operazione Scozia” dopo anni. Ci siamo approdati constatando che della Scozia, di quel periodo, è rimasto poco. Quando sono arrivato lì mi hanno detto: “Ma come? Lei vuole la maglia che lei ha nell’archivio? Ma non vuole il prodotto di Brunello Cucinelli? Perché noi facciamo la maglia di Cucinelli.” E mi sono detto “Ho sbagliato tutto.” Dunque è stato faticoso e adesso stiamo capendo che se vogliamo aumentare la produzione in Scozia (oggi è il 10%, la vorrei far diventare almeno un 30%) devo diventare assolutamente un partner e  dunque io devo essere lì con loro e coinvolto perché allora le cose si fanno come le vuoi tu, diversamente sei uno dei tanti clienti.

Come sei riuscito a rileggere in modo moderno un elemento così riconoscibile come il rombo?
Questo era un sacrosanto dovere, noi dovevamo pensare di interpretare il passato con nuove vestibilità e colori. Il progetto del Lab deve servire a questo, per raccontare in chiave attuale e sperimentale il passato. La collezione, non dico conservatrice, ma rassicurante c’è sempre ma il Lab deve servire a comunicare il nostro pensiero. Io spero che un giorno questi pezzi saranno nell’archivio per testimoniare questo importante momento di cambiamento.

Sul Lab pensi anche di coinvolgere dei designer emergenti?
Sicuramente ci sarà un grandissimo lavoro sul Lab e tantissime novità. Questo è solamente un inizio per capire il sentimento e avere un primo feedback. Per questo ho deciso che non più di 13-15 punti vendita avranno in vendita la collezione del Ballantyne Lab. Saranno limited edition perché prima di tutto è impensabile industrializzare questo prodotto realizzato in una sorta di atelier dove viene costruita questa capsule. Questo però non vuol dire che non potrà avere uno sviluppo, anzi questo mi ha dato la possibilità di muovermi liberamente per quanto riguarda tempi e modi. Non sarà forse rivoluzionario, ma di sicuro molto moderno per approccio e design.

Come vedi il fenomeno del retail online?
Sappiamo che oggi c’è una minore frequentazione dei negozi, però non possiamo secondo me abbandonare e spostarci tutti sull’online, perderemmo una parte di italianità. E quell’idea di negozio-bottega che solo in Italia abbiamo. Sarebbe come perdere il Colosseo… Dunque noi dovremmo fare di tutto per conservare i nostri negozi, e non è una cosa impossibile, anche perché se tu analizzi, l’online è una cosa molto più fredda: tu clicchi, fai il tuo ordine, ti arriva, te lo guardi, capisci se piace o non. Vuoi mettere il calore di entrare in un negozio e trovare persone competenti che capiscono quello di cui tu hai bisogno, anche fosse il desiderio, mentre acquisti una maglia, di raccontare che ieri sei andato a vedere una mostra. È un aspetto da non trascurare, i negozi devono servire anche a questo. Io sto lavorando su questo anche per il nuovo e-shop di Ballantyne in modo da renderlo più accogliente se virtuale.

Cosa pensi di questa esplosione di Instagram come social media?
Penso che è un frutto di questi momenti, che non va demonizzato, anzi cerchiamo di estrapolarne il buono. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno rispetto al mezzo vuoto. Non è qualcosa che si può fare part-time, senza un pensiero, come l’online. Prima era sufficiente fare la foto e chi la indossava poteva essere banale, e solitamente lo era, il fotografo doveva fare una foto tecnica. Oggi secondo dobbiamo entrare nella sfera più emozionale.

BALLANTYNE 22212

Prossime sfide e progetti?
Sicuramente la Ballantyne Lab è una sfida e un progetto, insieme a tutta la nuova parte accessori che ci sta regalando grandi soddisfazioni ed è andata subito in sold-out. È incredibile. Il mondo degli accessori deve essere ancora sviluppato bene perché è molto interessante e molto promettente.


®Riproduzione Riservata

COACHELLA TIME. Il visual diary del festival e alcuni suggerimenti tra stile, arte e nightlife

Deserto, vento caldo, mi sporgo al finestrino osservando quelle strade piene di macchine che vanno in un’unica direzione, nella testa una canzone ‘ on the stero listen as we go, nothing’s gonna stop me now, California here we come, right back where we started from’.

Ecco un altro sogno della mia adolescenza realizzarsi, ecco la strada verso il Coachella.

Tra i festival musicali più noti è sicuramente l’esperienza che tutti dovrebbero fare almeno una volta nella vita.

Un’esperienza da vivere a pieno, tra gente da tutto il mondo, colori e tanto altro.

Ecco i miei cinque tips su cosa osservare se anche voi siete in viaggio verso Palm Springs:

  • MUSIC: il Coachella offre numerosi show accontentando i gusti musicali di tutti. È divertente spostarsi tra i vari stage e vedere come la musica unisce persone così diverse tra loro. Unico accorgimento, se vuoi stare in front row, indirizzati allo stage trenta minuti prima dello show.
Nella foto @katyschaef
  • COOL PEOPLE: è veramente divertente osservare i look della gente attorno a te, la cura e lo studio dello styling per vivere un’esperienza all’insegna dei colori. Un suggerimento di stile all’insegna della praticità: indossate un look a strati e portate con voi una felpa, di sera fa freddo nel deserto.
 
  • FOOD: il festival offre differenti postazioni food e beverage, cercando di accontentare le abitudini alimentari di tutti. Troverete dal classico junk food, alle healthy bowls, veggie food e persino plant based. Munitevi di una mappa del festival per individuare immediatamente il posto che fa per voi.
 
  • ART: ogni anno numerose installazioni artistiche fanno da scenario al festival. Per questa edizione ospite anche l’artista italiano Edoardo Tresoldi con ETHEREA. Il mio consiglio è di  osservarle al calar del sole, di notte c’è un’atmosfera magica.
Nella foto @valentinasiragusa al party di @iceberg
  • PARTY: come in ogni occasione che si rispetti, anche durante il Coachella sono numerosi i pool party organizzati dai brand moda. Attivate i vostri pr-radar per assicurarvi l’accesso e vivere a pieno l’esperienza dello spring-break, non scordate la protezione solare!

®Riproduzione Riservata

AN ITALIAN CHAMPION: SWIMMER LUCA DOTTO

Photographer Alisson Marks
Stylist 3
Stylist assistant Cristina Florence Galati and Emanuela Cinti
Grooming Gianluca Casu
Read the interview by Federico Poletti on manintonw.com
®All Rights Reserved

Il bello del nuoto: a tu per tu con Luca Dotto

Non solo un campione di stile libero con una profondo amore per il mare, ma anche un modello realmente appassionato di moda e social media, come dimostrano le sue collaborazioni con brand come Armani e Baume & Mercier. Classe 1990, orgogliosamente veneto (nato a Camposampiero in provincia di Padova ma di base a Roma), Luca si sta preparando per difendere a maggio il suo primato europeo a Glasgow.  Lo abbiamo incontrato sul set del nostro servizio curato da 3.

Quando hai sentito saresti diventato un nuotatore?
Ho capito sin dalle elementari che volevo fare il nuotatore e rappresentare l’Italia in giro per il mondo. Anche se da piccolo non ero così bravo rispetto ai miei compagni, ma sentivo che quella sarebbe stata la mia strada

Quale la figura che ti ha ispirato?
Un grande maestro è mio padre, che è l’uomo che ammiro più di tutti e invidio (in senso buono, ride) perché è capace di fare tutto, ed è un uomo molto pratico. Per me è un esempio di onestà  e mi ha davvero ispirato e incoraggiato molto.

Come hai scoperto la tua inclinazione per lo stile libero?
Quando ero più giovane avevo iniziato con le gare a dorso e non riuscivo mai a vincere. Poi per caso un anno, nel 2005,  ho partecipato a una gara di 50 stile libero e ho vinto subito. Da lì ho capito che stavo sbagliando tutto e ho iniziato un nuovo percorso.

Raccontami delle tue passioni…
Amo moltissimo viaggiare e ascolto sempre musica con le cuffie perennemente addosso. Sono un fan di Spotify e mi piace scegliere una colonna musicale adatta a miei viaggi. Sin da piccolo seguo la musica rap e in particolare 2Pac (rapper americano e attore Tupac Amaru Shakur ndr). Ultimamente ascolto molto Post Malone con brani come Congratulations e Psycho. Mi piace molto anche leggere le storie di intrighi di Dan Brown o libri molto specialistici sul mare che parlano di archeologia marina.

Documenti i tuoi viaggi su Instagram?
Sono una persona molto social e amo postare le foto dei miei viaggi e dei miei allenamenti sul mio account @dottolck

Raccontami del tuo ultimo viaggio
Il mio ultimo viaggio è stato Turks e Caicos, un arcipelago corallino nelle isole caraibiche con la mia fidanzata. Un’esperienza incredibile, avevo casa di fronte all’Oceano e ho fatto escursioni in bicicletta in mezzo alla natura incontaminata tra grandi barbecue al tramonto.

Quale dei diversi luoghi ti ha maggiormente colpito?
Due i posti che mi hanno davvero impressionato: il deserto di Abu Dhabi e le spiaggia deserte delle Bahamas, dove riesci a dimenticarti della nostra vita frenetica.

Cosa non manca mai nella tua valigia? E un tuo consiglio per chi viaggia.
Non mancano mai i costumi di Arena! Perché se non viaggio per nuoto, viaggio per andare al mare! E poi la macchina fotografica perché amo documentare i miei viaggi. Per essere sempre comodi con stile porto sempre un Jeans, una camicia bianca e un maglioncino. Un passe-partout che consiglio sempre.

Come nata la collaborazione con la moda?
E’ nata per caso con le Olimpiadi di Londra nel 2012. Armani, che era sponsor, aveva selezionato degli atleti per rappresentare il brand. Mi hanno notato dopo i primi shooting e poi proposto di collaborare sulla linea underwear, per gli occhiali e per il profumo Acqua di Giò. Grazie a questa esperienza ho avuto la fortuna di conoscere un mondo molto diverso dallo sport di cui spesso non si capisce tutto il lavoro che è dietro le quinte.

Le prossime sfide?
Mi sto preparando per gli europei che si terranno a Glasgow a metà agosto dove devo difendere il titolo europeo dei 100 stile. Quindi sono molto concentrato per raggiungere questo obiettivo, oltre a quello di migliorare continuamente me stesso per sfidare i limiti. Questa è la parte più importante del mio lavoro, che è poi la mia vera passione.

Discover the editorial by StefanoGuerrini, shot by Alisson Marks on manintown.com

®Riproduzione Riservata

Il futuro del living secondo Buro Belen alla Milano Design week

Il design tangibile del futuro, interpretato dal duo di Buro Belén, formato dalle olandesi Brecht e Lenneke, è esposto ad Alcova, la nuova location in zona NoLo a Milano, durante la Design Week.  Le due donne, che si sono conosciute nella prestigiosa Accademia di Eindhoven, sono affascinate dall’utilizzo innovativo dei materiali e cercano un approccio intuitivo, emozionale e sensuale che sfocia in manufatti non convenzionali. Quest’anno presentano il progetto SUN + dedicato al sole, raccontando, attraverso abiti leggiadri, parasoli, paraventi e copricapi, come sfruttare l’influsso benefico del sole senza incorrere nei danni causati dalla sovraesposizione. Le loro creazioni sono state progettate tramite l’utilizzo delle più moderne tecnologie, in modo da ridurre gli effetti negativi del sole sulla pelle e l’inquinamento legato all’uso delle creme da sole tradizionali. In occasione dell’evento di inaugurazione, che si terrà il 19 Aprile 2018 dalle 18 alle 20, Mama Vodka ha ideato un cocktail speciale tutto in rosa, chiamato Mama Vodka Pink Sun.

®Riproduzione Riservata

Le identità creative di Superdesign Show. È di scena: Only The Best

A Milano, è risaputo, vengono fuori mode con più frequenza di uno spot pubblicitario, ma ci sono eventi e luoghi che sono sempre presenti nell’immaginario collettivo, perché sanno essere precursori e innovatori ogni qualvolta vanno in scena. Nella babele creativa del Fuori Salone, dove tutti vogliono far sentire la loro voce spicca, come di consueto, il Superstudio Più di Tortona 27, con il progetto Superdesign Show che, a questa edizione, si avvale della direzione artistica di Giulio Cappellini. Anche quest’anno Gisella Borioli, cuore e anima della manifestazione, lancia il suo manifesto programmatico: Only The Best, ideato e costruito attorno ai grandi nomi del design, ai progetti innovativi, alle tendenze del lifestyle e alle soluzioni tecnologiche che ci aiutano a vivere meglio. Quattro grandi identità creative partono da Superstudio Più per allargarsi ai confini del mondo: la mostra di Nendo – tra i più importanti studi di design – Dassault Systèmes con Kengo Kuma, all’insegna dell’alta tecnologia e della sostenibilità; l’esposizione Smart City e il Superloft, con i top brand del design italiano.

Da Nendo ci si aspetta sempre qualcosa di spettacolare e, anche stavolta, lo studio giapponese non delude le attese, portando in Tortona 27 un labirinto misterioso, con 10 concept basati sull’idea del movimento per condurre i visitatori in un avvincente viaggio nel cuore della creatività.

Kengo Kuma realizza un progetto esperenziale per Dassault Systèmes, nell’ambito della mostra Design in the Age of Experience, ideata per proporre soluzioni fattive al problema dell’inquinamento dell’aria.

Smart City: Materials, Technologies & Peoples invita a riflettere sul tema delle città intelligenti, proponendo soluzioni materiche innovative e tecnologie applicate ai cambiamenti attuali.

Superloft: più reale che immaginaria l’abitazione creata da Cappellini, raccoglie al suo interno il non plus ultra del design made in Italy. Brand iconici e maestri artigiani concorrono a delineare le stanze di questa ipotetica casa dove la creatività è protagonista in ogni stanza. Da Barovier & Toso, a Piero Lissoni, da Alessandro Mendini a Fontanot, Da Ron Arad a Tom Dixon, Superloft è un concentrato di visioni contemporanee che hanno come oggetto il living.

Se Calvino diceva che, «la fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane», qui c’è da farne scorpacciata.

®Riproduzione Riservata

La storia di Polaroid Eyewear raccontata dalla collezione Heritage

Gli occhiali Polaroid Eyewear che hanno fatto la storia grazie all’invenzione delle lenti polarizzate, sono omaggiati dal progetto Heritage, che comprende diverse capsule collection con lo scopo di raccontare la storia del brand dagli anni ’30 a oggi. Grazie al filtro polarizzante ideato da Edwin Land, è stato possibile proiettare il primo film commerciale in 3D nel 1939, in occasione dell’esposizione internazionale World Fair di New York, ed è stato proprio il marchio Polaroid Eyewear a produrre le prime mascherine che permettevano di vedere l’innovativo genere cinematografico. Proprio da questi modelli trae ispirazione la collezione Heritage, con un ritorno del clip-on, rivisitato in chiave contemporanea, su nuovi modelli acetati dalla forma rettangolare e disponibili in tre colorazioni: bianco, nero e rosso. Nella parte frontale la scritta “Press” indica il punto dove bisognava premere per applicare la mascherina ed è ancora visibile il dettaglio in metallo che serviva a sostenerla. Completano la collezioni i modelli in metallo, che rappresentano un’evoluzione del clip-on, con forma pilot e quadrata e quelli in acetato dallo stile easy to wear, nella versione con montatura rotonda e quadrata. Inoltre tutte le lenti della collezione Heritage sono UltraSight™, per offrire una visione perfetta: eliminano il riflesso, aumentano il contrasto, riducono l’affaticamento della vista e proteggono al 100% dai raggi UV. Cinque sono i modelli iconici dal gusto artigianale che celebrano e ripercorrono ottanta anni di storia rivoluzionaria, come lo sguardo dell’inventore del brand, le cui scoperte ancora oggi sono centrali nelle moderne tecnologie della polarizzazione, dalle lenti fotografiche agli schermi.

®Riproduzione Riservata

Primi step verso il mare

Pronti a salutare inverno e freddo, il pensiero vola direttamente alle calde giornate primaverili, che ci condurranno dritti verso l’estate. Con il primo sole sarà impossibile resistere a una piccola fuga al mare, per assaporare la brezza frizzante e affondare i piedi nella sabbia tiepida e accogliente.Come ogni anno, però, i professionisti del bagnasciuga potranno inaugurare la stagione con i must have del momento. Cosa portare con noi, quindi? Ecco una serie di proposte per iniziare in bellezza i nostri weekend fuori porta:

La borsa
Partiamo proprio dalla borsa da spiaggia con Vilebrequin che ci propone borsoni super colorati in tinta unita 100% cotone, che si possono arrotolare per ottimizzare al massimo lo spazio, una volta riposti. Una soluzione ancora più leggera è invece la sacca di ispirazione training di Nike, minimal, ma capiente.

ll costume
Per gli amanti del modello a pantaloncino, Safe Milano ci sorprende con una collezione dai colori semplici e vibranti, stampe divertenti con animali o decorazioni glamour. Immancabile la zip pocket, tocco di classe del brand. Questa tasca semplice, ma sofisticata risulta molto pratica in spiaggia e utile durante le nostre giornate estive. A completare il tutto possiamo abbinare il nostro costume con la beach towel coordinata o optando per un’altra divertente fantasia, per non passare mai inosservati.

La crema solare
Altro elemento che non può mancare è la crema, soprattutto quando iniziamo a scoprire la pelle dopo l’inverno. Per questo è meglio optare per le alte protezioni, come le nuove lozioni solari viso/corpo con spf 30 o 50 di Shiseido. La protezione elevata si potenzia a contatto con acqua e traspirazione. È stata riformulata per essere completamente invisibile su qualunque carnagione. Dimenticatevi, quindi, le tanto odiate patine bianche.

Specifico per la pelle maschile invece c’è GENTLEMEN, una Limited Edition Intense di Australian Gold, con Miscela di Caviale. Un cosmetico solare lussuoso, che dona un colore intenso per una formulazione anti-age.

Gli occhiali
Ultimi, ma non meno importanti, ci proteggono dai raggi solari e conferiscono quel twist in più al nostro look, come i Superthin Metal di Italia Independent, caratterizzati da un design minimal, ma ricco di dettagli. Le montature sono in metallo super sottile, impreziosite dal logo realizzato in alto rilievo all-over lungo il profilo frontale; i frame a monoblocco permettono un facile inserimento delle lenti, mentre i naselli in ceramica garantiscono comfort prolungato. Le aste sono in metallo con logo forato.

®Riproduzione Riservata

MILAN ART WEEK 2018: A BALANCING ACT

Fra uno scroscio improvviso e uno spiraglio di luce abbagliante Milano è elettrizzata per l’arrivo della sua stagione più amata, la lunga e attesa kermesse primaverile della creatività, che inizia con la fiera d’arte moderna e contemporanea MIART e prosegue, poi, con il Salone del Mobile

Milano si sveglia in questi giorni più aperta che mai a nuove idee e nuovi progetti culturali, che invadono letteralmente la città, in tutti i suoi molti poli culturali. Tutti sono invitati a prendere parte a questo “banchetto” della cultura, non soltanto i Vip stranieri e nostrani. Tanti i progetti di arte pubblica offerti da mecenati come la Fondazione Trussardi che, dal 12 al 15 aprile, invita l’artista inglese Jeremy Deller – già vincitore del Turner Prize nel 2004 – a portare nel cuore del parco delle sculture di CityLife il gigantesco gonfiabile Sacrilege, che ricostruisce in scala 1:1 il sito archeologico di Stonehenge. Poco più in là, nei padiglioni di Fieracity, è protagonista assoluta invece la fiera MIART, diretta da Alessandro Rabottini che con grande maestria armonizza le sette sezioni della fiera con i suoi 184 espositori provenienti da 20 Paesi, spaziando dal contemporaneo al moderno.

 

Da non perdere le sezioni Emergent, a cura di Attilia Fattori Franchini e Generations, a cura di Lorenzo Benedetti. Quest’anno, fra i moltissimi progetti da segnalare in città, seguendo un asse nord-sud, la retrospettiva dell’artista americano Matt Mullican all’Hangar Bicocca. The Feeling of Things, a cura di Roberta Tenconi è la più grande mostra personale mai realizzata da Mullican, che ha concepito l’imponente struttura scultorea sulla forma delle sue iconiche cosmologie in cinque colori, occupando quasi completamente i 5mila metri quadrati dello spazio espositivo delle Navate dell’Hangar. In via Solferino invece, presso lo show-room Missoni, viene presentata al pubblico, dal 13 al 22 Aprile, l’installazione site-specific dell’artista Rachel Hayes a cura di Mariuccia Casadio. E per finire, per chi ancora non avesse avuto modo di vederla, imperdibile la mostra alla Fondazione Prada Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943, una riflessione del critico Germano Celant sull’arte in Italia, tra prima e seconda guerra mondiale.

®Riproduzione Riservata

 

THE INSIDERS: CASTELLO DEL NERO

Un fine settimana nelle campagne fiorentine è la migliore soluzione per fare rifornimento di energia. Giochi di olivi chiari e di cipressi scuri accolgono la vista in un concetto di bellezza rigorosa, tra antico e moderno.

Il Chianti, tra vigneti e tradizione è la zona perfetta per rigenerarsi. Questo luogo situato tra Firenze e Siena ha il fascino della vacanza bucolica a pochi passi dal rinascimento. Al centro di esso sorge il Castello del Nero Hotel & Spa, aristocratica residenza di campagna del XII secolo, un hotel dal lusso discreto, perfetto per un soggiorno romantico, un tour eno-gastronomico o una ricorrenza speciale.

Circondato da 300 ettari di colline è considerato il primo hotel ad offrire un’esclusiva “destination Spa” con massaggi all’olio di oliva e trattamenti personalizzati oltre a poter vantare un ristorante One Star Michelin.

All’interno del Castello del Nero Hotel & Spa tutto parla di storia: arredi, affeschi, stemmi araldici e levrieri rampanti, simbolo della famiglia che lo costruì.

All’esterno, invece, la campagna toscana, forte e dolce insieme.

®Riproduzione Riservata

LO STILE VINCENTE DELLA SCUDERIA FERRARI COLLECTION FW18

Il rosso fiammante, insieme al giallo e al nero, sono diventati sinonimo di lusso, stile e velocità. I colori iconici della Ferrari ispirano la nuova collezione autunno/inverno 2018 di Scuderia Ferrari, e si declinano in proposte trasversali, ideate per un casualwear pensato per i più appassionati, per il tempo libero e per lo sport. I cultori dei valori della F1 possono riconoscersi nei motivi grafici come le stampe a freccia, i dettagli Icon Tape e gli inserti a contrasto che, insieme al colore rosso della monoposto, il nero e il giallo dello Scudetto della Scuderia Ferrari, caratterizzano capi spalla, giacche e T-shirt, che coniugano comodità e stile distintivo. Mood metropolitano, invece, per il tempo libero, in cui lo stile si fa più casual e rilassato, senza mai perdere l’attenzione al dettaglio. I materiali performanti si adattano a una vita dinamica e sono funzionali anche nelle stagioni più rigide. In questo caso, elementi cromatici forti nelle tinte del blu e del rosso sono attenuati da altri più neutri come il nero e il grigio.
Infine, per i workout indoor e outdoor, la Scuderia Ferrari Collection ha pensato a tessuti tecnici e innovativi altamente performanti che accompagnano prestazioni di ottimo livello durante l’allenamento. Leggerezza e resistenza, flessibilità e traspirabilità contraddistinguono look dinamici e confortevoli. Completano la collezione gli accessori, ispirati allo stile dei leggendari piloti del passato, con tonalità più calde e neutre.

Non solo stile, ma una vera esperienza, come racconta il nostro inviato Frank Gallucci: “La 24 ore con Ferrari inizia romanticamente e si chiude in maniera roboante…La dimora notturna, se così si può chiamare con una certa blasfemia, è ubicata nella splendida cornice dei colli fiorentini in prossimità del Mugello dove affreschi, verde rigoglioso e un silenzio assordante la fanno da padrone. Padroni del Mugello per una notte: ad attenderci troviamo il team Ferrari, che dopo aver fatto gli onori di casa, ci mostra la nuova collezione firmata dal cavallino rampante. Una collezione fresca, che strizza poco l’occhio alla moda, ma che arriva dritta al cuore dell’appassionato Ferrari”.

 

®Riproduzione Riservata

 

La personalizzazione è al primo posto da Zalando. Alle startup: «Non abbiate paura di commettere errori»

Come fare business digitalizzato in modo innovativo? Zalando è una di quelle aziende che, oggi, ci riesce benissimo. Primo sul fronte numeri, grazie a un 2017 archiviato in corsa a doppia cifra a oltre 4,4 miliardi di euro di fatturato, secondo grazie a una rosa di consumatori attivi, che hanno superato i 23 milioni. Al centro della sua strategia, l’e-tailer tedesco basato a Berlino mette proprio il cliente, lavorando su una customer experience personalizzata a tutti gli effetti. A raccontarla a MANINTOWN è Alessandro Pantina, Senior brand manager South Europe della società, con uno sguardo verso il futuro e qualche consiglio alla new generation di talenti.

Cosa significa fare innovazione nell’online per Zalando?
Mantenersi in movimento, ripensare lo status quo ed esplorare nuove opportunità e modalità. Siamo nati nel 2008 come sito di e-commerce e, nel 2015, abbiamo annunciato la nostra platform strategy. Da allora abbiamo ampliato significativamente il nostro business: permettiamo ai clienti di acquistare prodotti sulla piattaforma e offriamo servizi, prodotti e soluzioni a brand, retailer o fashion stylist. L’obiettivo di questa strategia è connettere tutti i player del settore fashion.

Quale è la vostra chiave di successo?
L’identificazione nei nostri clienti, capire cosa vogliono e di cosa hanno bisogno.

Nel corso degli ultimi anni quali sono state le iniziative più di rilievo?
La svolta è arrivata nel 2014, dopo una visita di Robert Gentz, ceo e co-founder del gruppo, in Cina. Le potenzialità e i progressi delle piattaforme cinesi ci hanno dato l’ispirazione per passare al livello successivo. Tra gli esempi più recenti, lo scorso mese abbiamo lanciato il progetto gax-system, che prevede l’integrazione di piccoli retailer indipendenti nella nostra piattaforma. In questo modo hanno la possibilità di digitalizzare il loro business e spedire i prodotti ai clienti di Zalando, in Germania. Per chi, invece, dispone già di un’infrastruttura tecnologica, può beneficiare di una maggiore integrazione e vendere i prodotti sul nostro Fashion store, attraverso il Partner program.

Come può oggi rinnovarsi la moda in rete?
Personalizzazione, sostenibilità e tecnologie d’integrazione sono la chiave per innovare e crescere nell’industria fashion. L’innovazione, però, non si limita solo alla moda, è piuttosto un atteggiamento generale. Il nostro focus al momento è rendere la customer experience personale, e lo stiamo facendo con un team di 600 persone.

Quali saranno i vostri prossimi obiettivi?
Vogliamo continuare a innovare l’industria del fashion e creare una nuova esperienza per i nostri clienti. Stiamo lavorando a nuovi servizi di consegna, all’ampliamento dell’assortimento e a ulteriori collaborazioni con i brand. Il nostro focus sarà sulla profittabilità.

Ha qualche consiglio da dare ai giovani startupper e alle nuove imprese?
Non abbiate paura di commettere errori.

Qual è, secondo lei, l’errore più frequente delle aziende che cercano di fare business in rete?
L’incertezza è un errore che può compromettere le aziende, che operano sia online sia offline. È importante sapere quando è necessario essere coraggiosi e audaci, ma anche quando il momento in cui è meglio mettere da parte un progetto.

Quali sono oggi i siti di e-commerce più competitivi?
Le aziende che mettono il cliente al centro e sanno veramente cosa vuole, sono quelle che hanno più successo. Pensiamo a Spotify: sulla piattaforma posso cercare e selezionare ciò che mi piace e ciò di cui ho bisogno. Allo stesso tempo la società apprende le mie preferenze e mi fa delle proposte, permettendomi di scoprire nuovi artisti o canzoni.

Ci può dare anche un consiglio di stile?
La cosa più importante è sentirsi sicuri di sé e a proprio agio in ciò che s’indossa. Se una persona lo è, avrà sicuramente successo.

Quali sono gli account che segue maggiormente su Instagram?
Sono soprattutto legati a fashion, in particolare le principali testate, food e ristoranti. Seguo anche quelli dedicati allo sport, soprattutto a tema arrampicata e corsa.

Ci può raccontare due momenti speciali che ha scattato e postato su Instagram?
Nel primo scatto sono al Treptower Park, un momento importante perché il team building e la condivisione di esperienze con i colleghi sono aspetti che danno un valore aggiunto al capitale umano dell’azienda. Nel secondo, invece, mi trovo sulla Rainbow Mountain… la perfezione della natura qualche volta supera quella dell’uomo e le esplorazioni rendono gli spiriti più liberi.

®Riproduzione Riservata

ALBERT WATSON E BLUMARINE. IN MOSTRA A CARPI LE STORICHE CAMPAGNE DEL MARCHIO SCATTATE DAL FOTOGRAFO SCOZZESE

Dal 7 aprile al 17 giugno i Musei di Palazzo dei Pio ospitano Fashion, Portraits & Landscapes, circa cento stampe originali in bianco e nero, fotocolor e look book che raccontano l’idillio creativo tra Blumarine e Albert Watson.

«In tanti anni che ci conosciamo, Anna Molinari è sempre stata glamorous. Sono sicuro che se anche la svegliassi alle tre di notte, riuscirebbe a essere meravigliosa e a non rinunciare ai tacchi alti». Albert Watson, fotografo scozzese tra i più amati e significativi, e Anna Molinari, fondatrice di Blumarine, se la chiacchierano da vecchi amici poco prima della presentazione ufficiale di Fashion, Portraits & Landscapes, la mostra organizzata a Carpi per raccontare le dodici campagne realizzate tra il 1987 e il 1992 da Watson per la maison guidata dal figlio di Anna, Gianguido Tarabini.
Dal 7 aprile al 17 giugno i Musei di Palazzo dei Pio ospitano un centinaio di immagini, per lo più originali in bianco e nero, stampati da Watson in persona in camera oscura, accompagnati da fotocolor e look book d’epoca che riportano d’un balzo i visitatori a quell’epoca gloriosa in cui la moda amava scommettere sulla creatività a briglia sciolta.

L’allestimento, ricco e compatto, merita la visita per come Watson riesce a costruire un legame consistente tra gli abiti, le modelle e l’ambiente che le circonda. Un intreccio che esula dalla pura fotografia fashion, per trasformarsi in un universo a tutto tondo, affascinante anche per chi di moda non è esperto.
L’exhibition è il naturale proseguimento dell’appuntamento di due anni fa quando, sempre a Carpi, era stato rivissuto il sodalizio tra Blumarine ed Helmut Newton, nel periodo compreso tra il 1993 e il 1999. «Siamo stati felici di esplorare il dialogo avuto a suo tempo con Newton», ha spiegato Molinari, «ma tra tutti, Albert è stato quello che meglio ha interpretato l’essenza del nostro marchio, fatto di romanticismo, seduzione e femminilità. È stata mia figlia Rossella Tarabini, ai tempi referente di Watson per le nostre produzioni, a lanciare l’idea di aprire l’archivio aziendale. Riprendere in mano queste stampe e rivederle tutte insieme per noi è stato molto emozionante».
La stilista ha poi ricordato alcuni momenti particolari vissuti sui vari set. «Abbiamo scattato a Los Angeles, in Scozia, Las Vegas, Londra, New Mexico, San Francisco, Napoli, Miami, New Orleans e Watson sapeva sempre creare una relazione tra i luoghi e la nostra moda. Quanto alle modelle, abbiamo avuto alcune tra le donne più spettacolari di quell’epoca, da Cindy Crawford a Nadja Auermann, Helena Christensen, Michaela Bercu, Naomi Campbell e Carré Otis. Queste ultime due le scattammo insieme a Venezia ed erano caratteri totalmente diversi. Naomi, in ritardo cronico e con qualche capriccio. Carré dolcissima e sempre pronta a mettersi in gioco sul set. Al tempo era ancora legata a Mickey Rourke, che ogni giorno le faceva recapitare una corona di fiori accompagnata da un biglietto in cui minacciava di ucciderla, una volta rientrata a casa. Lei era molto turbata, ma Watson la rassicurava e la faceva sentire protetta: è sempre stato un vero gentiluomo».

Watson dal canto suo, ha sottolineato la libertà d’azione garantitagli dal brand. «Nessuna di queste foto è stata sottoposta a post-produzione. All’epoca non c’era il foto ritocco, bisognava ottenere l’effetto desiderato direttamente sul set e Anna si fidava completamente di me, senza mai pormi vincoli o limiti. Certo sono immagini forti, di grande carattere, una caratteristica sempre meno presente nella fotografia contemporanea, ma sono sempre state costruite rispettando sia le modelle e sia gli abiti. Penso, ad esempio a certi scatti con le gambe aperte: per me non erano atteggiamenti provocatori, ma semplici stratagemmi per tracciare linee grafiche nella  composizione dello scatto. Soprattutto, non ho mai imposto a una modella una posa, le ho sempre proposto l’idea, cercando di capire se si sentiva a suo agio».

®Riproduzione Riservata

Shades of blue

Il blu è protagonista di questo nuovo editoriale scattato da Marco Conte. Declinato in molti modi, ma sempre in rapporto ad un trend che sembra non perdere di smalto stagione dopo stagione: i microprints. Il must di stagione sarà mescolare tonalità di blu e disegni stampati, ma sempre con sobrietà.

Riscoprire i grandi classici: per questa primavera vi consigliamo i macro-checks.

Il completo più divertente? A quadrettini e con il micro-bomber al posto della giacca.

La giacca bianca solo se indossata su una camicia dai microprints floreali.

Giocate con le tonalità di blu!

Una sciarpa dai disegni allegri e colorati è sempre un’ottima idea per le serate primaverili.

Il bomber da indossare sul completo, ma i colori sono rigorosamente a contrasto.

 

Photographer: Marco Conte
Stylist: 3
Model: Matthew Williams @Urban Models Milano

Stylist assistants: Cristina Florence Galati, Carmen Anna Romano
Grooming: Matteo Bartolini @freelanceagency

®Riproduzione Riservata

Maestri di Cerimonia

Per un certo periodo il paradigma del menswear ha oscillato tra il classico, il casual e l’urban. La continua ricerca di una nuova tendenza non si è attenuata, i brand di lusso, un tempo associati a outfit classici, si sono buttati nel mondo del casual, e persino i brand street wear sono caduti nella tentazione di far salire di fascia le proprie collezioni. Questi brand stanno esplorando nuovi territori e spesso creano pezzi interessanti, tuttavia, alcuni nuovissime realtà hanno deciso di attenersi alle proprie capacità, e di concentrarsi sull’essere tra i migliori nel proprio campo.

Sciamát, Ambrosi, e John Sheep si sono silenziosamente imposti come maison da osservare per la loro creatività e da cui imparare per la loro maestria.

In relativamente poco tempo, Valentino e Nicola Ricci fondano Sciamát nel 2002 nella loro città, Bitonto, emergendo, come uno dei maestri capaci di trasforma i tessuti in opere d’arte. Anche avere diverse filosofie non é abbastanza per differenziarsi da brand simili, e Valentino Ricci, forza creativa di Sciamát, sulla base di questo ha iniziato a ridisegnare la forma base dell’abito per creare qualcosa che sembrasse una seconda pelle. Mentre molti possono pretendere di creare qualcosa di artistico, pochi possono esprimerlo al meglio attraverso i propri prodotti come Sciamát.

Ambrosi, situato nel cuore del quartiere spagnolo di Napoli, gestisce un negozio di pantaloni che abbraccia due generazioni, creando un prodotto, eccellente per dettagli, artigianalità, e il perfetto fit; Salvatore Ambrosi, il figlio, ha esteso il suo raggio nel resto del mondo, viaggiando costantemente tra New York, Hong Kong, e varie mete durante l’anno. Salvatore ha trovato un modo per spostare i riflettori dalle giacche, felpe, magliette per puntare l’attenzione sui pantaloni. Comfort ed eleganza sono il risultato del lavoro di padre e figlio, mentre la tradizione e il carattere irriverente di Napoli fanno di Ambrosi un nome per un pubblico selezionato.

John Sheep è una inaspettata perla che, con estrema facilità, unisce diversi mondi. Questo marchio di blazer nel distretto artigianale di Martina Franca, produce giacche da navigazione/vela che congiungono lo stile dell’Ivy college con il lato raffinato del Sud Italia. Specializzatosi nelle giacche a maglia sfoderate, John Sheep ha accuratamente esplorato quell’area grigia tra il divertente e il classico. Coniugando entrambi gli spiriti, questa giacca rappresenta il lato “cool”, non mirato a una determinata fascia di età, bensì a quell’ attitudine che ruota intorno a stile e comfort.

Benchè Sciamát, Ambrosi e John Sheep vivano in un periodo dove mix e rifacimenti sono all’ordine del giorno, loro hanno scelto di rimanere fedeli a ciò in cui credono ed eccellono. Sciamát e John Sheep sono presenti a Pitti Uomo, uno dei più prestigiosi eventi del settore menswear. Ambrosi, invece, che non espone in Fortezza da Basso, si vedrà comunque indossato da alcuni degli uomini più stilosi nell’industria della moda in giro per la fiera.

®Riproduzione Riservata

FASHION BRANDS IN THE FOOTBALL WORLD: a matter of style and identity

Questione di stile, in campo e fuori.
Le grandi squadre di calcio hanno intrapreso da anni un percorso chiaro, che mette al centro l’immagine come strumento di definizione della propria identità. Così, le differenze che si percepiscono in campo tra le grandi squadre europee si riflettono anche nel loro vestiario ufficiale, curato dai più noti stilisti del fashion system.

La Juventus ha confermato l’unione con Trussardi, nel segno dell’eccellenza italiana, in campo come nella sartoria: divisa formale caratterizzata dall’eleganza rilassata tipica del brand, composta da un completo gessato blu scuro con giacca, cardigan in cashmere e seta molto caldo e idrorepellente.

Anche il Milan sceglie il made in Italy: per il secondo anno i rossoneri vestiranno Diesel, coronando il sogno di Renzo Rosso, fondatore del brand, «I nostri percorsi sono sostanzialmente simili: siamo due grandi player italiani, iconici, affini nello spirito e con una risonanza globale». Dopo la divisa total black proposta nella scorsa stagione, quest’anno Bonucci e compagni indossano un’uniforme ispirata da Herbert Kilpin e dal suo celebre “rosso come il fuoco”. Pattern del tutto nuovo, simile a un camouflage: il CAMO-FIRE, elegante, ma al tempo stesso informale e rock.

La storia dell’Inter, votata all’apertura internazionale, si riflette nella scelta di Brooks Brothers, storica label newyorkese, che veste Icardi e compagni anche in questa stagione. Un abito fedele allo stile del brand, creatore di diversi capi diventati iconici, come la camicia Oxford bianca button-down, che completa l’abito in tessuto birdseye, con giacca monopetto tre bottoni e che presenta una particolare coccarda sul revers. Outfit definito dalla cravatta blu navy in pura seta, con logo dell’Inter ton sur ton all’interno.

Uno dei marchi più presenti nel panorama calcistico è Hugo Boss, da questa stagione partner anche della Roma. Un feeling nato nel nome di carisma e dinamismo, che si traduce nel guardaroba di De Rossi e compagni: spicca il completo blu tre pezzi, abbinato con camicia e cravatta della linea “Create Your Look”. L’attenzione allo stile coinvolge anche i grandi club europei: la migliore lana italiana di Hugo Boss è protagonista anche del completo stagionale del Bayern Monaco, mentre Commune de Paris ha creato una linea per i tifosi del Paris Saint Germain, rivisitando i classici della sua collezione con i colori della squadra.

È questione, in campo e fuori, di classe, identità e stile.

®Riproduzione Riservata

Sneakers. I 5 modelli da non perdere

Sneakers, sneakers e ancora sneakers. Le iconiche scarpe da ginnastica, rivisitate dalle collaborazioni più cool del momento, continuano sempre più a fungere da tela per moltissimi designer. Noi ne abbiamo selezionate cinque, ma la stagione non è ancora finita e la caccia alle novità è ancora aperta. 

ADIDAS BY RAF SIMONS
Rosso scarlatto e ruggine; blu cobalto e nero; nero e bianco crema; sono tre le varianti di RS Replicant Ozweego, proposte per la primavera/estate 2018 da Raf Simons. Il designer lancia sul mercato una sneakers caratterizzata da forme geometriche, decise e contemporanee, che guardano da un nuovo punto di vista le precedenti rivisitazioni. La nuova running dà spazio al calzino, enfatizzato da pannelli ritagliati che lo fanno diventare parte integrante della scarpa. La limited edition, infatti, è presentata in una confezione personalizzata, nella quale ogni paio viene venduto con tre set di calzini abbinati che reinterpretano il design della sneaker.

 Y-3 BYW BBALLJAMES HARDEN INSPIRED CAPSULE COLLECTION
Ispirata all’iconica silhouette da basket degli anni ’90 e caratterizzata dalla moderna tecnologia BOOST™, studiata da adidas, la Y-3 BYW BBALL è l’utima novità firmata Y-3. BYW sta per “BOOST you wear” e fa parte della capsule collection dedicata a James Harden, superstar degli Houston Rockets. adidas e Yoji Yamamoto hanno voluto rendere omaggio al campione, disegnando una collezione dove il fiore botan, simbolo nella tradizione giapponese, di coraggio, nobiltà e onore, diventa protagonista, sottolineando le qualità di Harden. La sneakers oltre che per il design esclusivo, la firma di Yoji Yamamoto impressa sulla scarpa e l’allacciatura a zig-zag, presenta una tomaia in neoprene altamente flessibile capace delle più alte prestazioni.

ICOSAE FW18 BY CHRISTIAN LOUBOUTIN
Le sneakers dall’animo streetwear, caratterizzate dalla più alta manifattura italiana e disegnate da Christian Louboutin, hanno fatto il loro debutto a Parigi sulla passerella che ha visto sfilare la collezione fall/winter 2018 firmata ICOSAE. Un perfetto connubio tra i due brand, che vede protagonista il rosso, dettaglio icona per Louboutin, e colore che lega tutta la collezione ICOSAE. Una collaborazione imperdibile già alla seconda stagione; e noi, fiduciosi, aspettiamo la terza, perché, come si dice, non c’è due senza tre.

Nike Air VaporMax Moc 2 x ACRONYM®
Applicazioni grafiche e colori a contrasto, come nero e giallo fosforescente, sono i primi dettagli che conferiscono alla nuova Nike Air VaporMax Moc 2 un aspetto dinamico, aggressivo e veloce. La quarta silhouette Nike firmata da Errolson Hugh, co-fondatore di ACRONYM® nasce proprio da questo approccio, creare qualcosa di assolutamente innovativo e pieno di dettagli nascosti. Il risultato finale, infatti, è frutto di vari tentativi di mimetizzazione ispirato al nome del marchio; la grafica nasce proprio dall’intersezione e dalla rielaborazione della “A” di ACRONYM®.

https://www.youtube.com/watch?v=BdPxKPpb63A

 J.W. Anderson x Converse
Simply_Complex è l’ultima interpretazione delle iconiche scarpe Converse firmata J.W. Anderson; una collezione che riflette l’attenzione ai dettagli in un continuo gioco tra elementi moda e dettagli street style. Lo stesso Anderson definisce questa collaborazione: un lavoro di amore e ossessione. Un racconto che mostra come una scarpa si possa evolvere nel tempo, attraverso dettagli innovativi, pur continuando a essere indossata tutti i giorni da persone di tutte le età. Thunderbolt e Chuck 70’s non smettono di essere i modelli principali con cui Anderson dialoga, per creare rivisitazioni provocatorie frutto di approfondita ricerca nello stile e nei materiali.

®Riproduzione Riservata

D1 MILANO: la new generation dell’italianità. Anche negli orologi

«Due cose al mondo sono esteticamente perfette: il gatto e l’orologio». Se sui felini domestici bisogna dare ragione a Émile-Aguste Chartier, filososofo e scrittore francese, cui si deve l’aforisma; sull’orologio, invece, c’è ancora un largo margine di miglioramento, come dimostra D1 Milano. Questo brand di marca tempo made in Italy, con headquarter a Dubai e diramazione a Hong Kong, ha dimostrato all’ultima edizione di Baselworld che, non solo è possibile migliorare l’orologio, ma che l’italianità è un valore aggiunto tutt’ora vincente e convincente, e che sono proprio gli italiani più global a mantenerne intatti spirito e significato. Infatti, in una Basilea sferzata dal freddo invernale e dal cattivo funzionamento del WiFi, Dario Spallone (presidente e ceo del marchio nato nel 2013) ha presentato il modello Super Slim della collezione Polycarbon, ultima versione del modello iconico del brand, ma ha anche qualificato il valore dell’italianità insita nei suoi prodotti e nel suo approccio al mercato. Se si pensa che Dario ha 25 anni e il suo team non supera i 40 e sono tutti sparsi per il mondo, vuol dire che le nuove generazioni di italiani hanno le idee chiare e che non è un documento anagrafico a sancirne l’identità, quanto il modo di pensare e di agire.

Diciamo la verità, c’era bisogno di un nuovo orologio?
Secondo me non c’è mai bisogno di qualcosa di nuovo. A meno che non ci sia uno scopo di  natura strettamente economica, però deve comunque avere un’identità che rappresenta qualcosa. Per noi è stato importante realizzare un prodotto con un’attenzione ai dettagli e un’autenticità marcatamente italiana. Mancava nel mercato un orologio che potesse essere acquistato a un prezzo accessibile e che nello stesso tempo avesse uno status sociale, una valenza strategica.

Anche il nome è stato scelto in funzione di questa identità così ben definita?
Il nome è nato in maniera fortuita. Ci piaceva foneticamente (D1, si legge, The one, ndr.) perché rappresenta qualcosa di esclusivo e unico. Ci abbiamo aggiunto Milano, che identifica il luogo di origine del brand, nato durante la Milan Fashion Week del 2013. Credo che il nome sintetizzi bene la provenienza e anche cosa vogliamo rappresentare: uno stile unico, iconico e allo stesso tempo giocoso.

C’è un pubblico di riferimento oppure è un orologio trasversale, che piace a tutti?
Ovviamente c’è un target di riferimento. Il nostro è un pubblico attento alla moda, che apprezza i dettagli estetici, in linea con le ultime tendenze e che vuole un orologio che simboleggia uno status quo. Alla fine, è un segna tempo che non compete nella fascia bassa e nemmeno con i prodotti di nicchia, superiori ai 10mila euro. È un range di mercato abbastanza a sé, rivolto a una persona tra i 25 e i 35 anni, capace di stimare tendenze e particolari inconsueti.

Quali passi stai muovendo per il domani del marchio?
Si sta sviluppando in maniera veloce, perché siamo riusciti a creare una struttura snella e allo stesso tempo a crescere nei numeri. Il team è unito, siamo una ventina di persone in tutto, e abbiamo una capillarità distributiva forte. Ci avvaliamo di collaboratori in tutto quanto il mondo e di distributori locali, che poi fanno riferimento alla nostra squadra, capace di essere molto reattiva. Questo è un punto di forza strategico, perché siamo abbastanza veloci in un mercato relativamente lento. Così si riesce anche ad accrescere l’identità del brand.

A livello stilistico cosa succederà?
Ovviamente D1 Milano ha una sua identità, che vogliamo rafforzare attraverso l’iconicità degli anni ’70 e con forme geometriche, riproposta con una lettura più attuale e giocosa. Per me è davvero un orologio che rappresenta l’italianità in maniera giocosa. Ci focalizziamo su un range di prezzo sotto i mille euro per due fasce di mercato, una è quello più street style, con la collezione in policarbonato; l’altra strizza l’occhio alla gioielleria e va su un posizionamento più classico. Per i prossimi anni vogliamo puntare su questi due canali. Ovviamente il design è consolidato, anche se dovremo riallinearci ai cambiamenti di mercato che si succederanno, perché è in continua evoluzione e non possiamo mai fermarci.

Che volumi ha la produzione?
Nel 2017 abbiamo chiuso con 50mila orologi venduti, una produzione piccola, ma con una distribuzione che raggiunge 20 Paesi. Nei primi mesi del 2018 stiamo già superando i pronostici e dovremmo chiudere intorno agli 80mila pezzi venduti. Quindi, una crescita sostanziale.

Milano come capitale dove è nato il progetto, però ci sono anche Dubai e Hong Kong.
Abbiamo base a Dubai, per motivazioni strategiche. Anche per la vicinanza all’hub di produzione di Hong Kong, dove ha sede l’altra nostra sussidiaria. Importiamo componenti globalmente, dall’Italia, dall’Europa, dal Giappone e poi assembliamo ad Hong Kong.

Come mai Hong Kong?
Nella fascia di mercato sub 10mila euro, la componentistica di Hong Kong è la più specializzata, quindi è stata presa una decisione strategica, perché lì abbiamo trovato i migliori fornitori. La parte più difficile è stata mantenere l’italianità. Per me vuol dire avere anche un team italiano, perciò sia a Dubai che a Hong Kong ho portato gente dall’Italia, che ha accettato di trasferirsi in questi Paesi. Certo non è stato facile però, paradossalmente, questa criticità nel mio business model è stata anche un punto di forza, perché se venti persone vanno a Dubai o a Hong Kong vuol dire che sposano il progetto in maniera sostanziale. Questa caratteristica ha rafforzato l’identità del marchio e il rapporto tra i membri della squadra. Ed è quello che fa la differenza. Non tanto il dettaglio o la corona dell’orologio, anche se abbiamo un’attenzione ai particolari che gli altri competitor non hanno – perché noi come italiani amiamo il bello – però non è qualcosa di concreto o esplicito a fare la differenza, ma tutto il team.

Anche l’età media è relativamente giovane
Andiamo dai 25 ai 37, però abbiamo tutti un’esperienza profonda sia nel campo dell’orologeria, che della moda. E abbiamo voglia di metterci in gioco. Lavoro con persone che hanno una solida conoscenza del settore, ma che sono capaci di pensare in maniera giovane. Il motivo per cui ora noi, in un mercato che è quasi in declino, siamo in espansione esponenziale è perché pensiamo in maniera diversa, rispettando comunque le regole del gioco.

Quindi l’italianità per voi ha ancora un valore significativo?
È molto più importante di quello che gli danno altri marchi, che si dicono made in Italy, ma che non hanno un’italianità di fondo. Cos’è l’italianità? Per me sono le persone. Oggettivamente parlando, in un sistema globalizzato che si focalizza sulla specializzazione – questo lo diceva Adam Smith nell’Ottocento (filosofo ed economista scozzese, ndr.) – ognuno deve fare il suo lavoro. Non possiamo pretendere di partire da zero su un progetto e fare tutto quanto in Italia, non esiste più il sistema autarchico. Per me, italianità significa creare delle fondamenta per il brand, che siano italiane. Io faccio proprio questo, creo il mio nucleo italiano e prendo persone che la pensano come me, che hanno questo amore per la bellezza, per la cura dei dettagli, per la giocosità. Da qui si rafforza l’italianità. Per questo noi, anche se produciamo globalmente e distribuiamo in giro per il mondo, siamo comunque uno dei brand giovani e italiani, più forti, perché rispettiamo l’autenticità di questo concetto. Anche se vivo a Dubai sono italiano e così il brand. In un contesto di evoluzione e cambiamento, siamo la new generation dell’italianità.

®Riproduzione Riservata

Pari Ehsan: Present and Future of Social Media

«Mi considero una creatrice a tutto tondo, piuttosto che un’influencer». Inizia così la conversazione con Pari Ehsan, il volto dietro il fenomeno Instagram Pari Dust (@paridust, 200k followers). Metodica, perfezionista e uberchic Pari Ehsan, con un’esperienza alle spalle da architetto e interior designer, nel 2013 da vita al suo popolare account, individuando una nicchia esclusiva nel cross-over arte e moda. Oggi però – come ci spiega questa 34enne americana, nata nel Kentucky e che vive a New York – la definizione di influencer le va stretta: «La capacità di influenzare il gusto per me è una qualità multiforme e radicata nella creazione, nell’assimilazione e nell’attitudine creativa di contenuti e nella condivisione tale esperienza».

Come definiresti quindi il tuo processo creativo?
Continuo a educare me stessa attraverso un’immersione performativa in un ambiente, in un’estetica, in un contesto emozionale e ciò a cui aspiro è sintetizzare e condividere quello che mi colpisce e apporta valore alla mia community e a chiunque ne sia affascinato.

C’è qualche differenza nel modo in cui mostri la moda che ami e l’arte che ammiri?
Cerco di colmare il divario tra moda e arte, per sfumarne i contorni e alterarne la percezione, in modo tale che siano sempre meno chiari i confini dell’uno e dell’altra.

Le tre mostre più rilevanti che hai visitato, fino ad ora, in questo 2018?
Kaye Donachie, Silent as Glass, da Maureen Paley, a Londra. Le donne nei suoi dipinti si trasformano in natura, in parole per poi divenire di nuovo umane. Poi, Cyprien Gaillard, Nightlife, da Gladstone Gallery, a New York. Un’incantevole trance, video 3D di alberi danzanti, fuochi d’artificio cuciti nell’antichità: tutto ciò ha per me la capacità di arrestare l’attimo. Rick Owens, Subhuman Inhuman Superhuman, a La Triennale di Milano, un vero testamento delle infinite possibilità della moda.

Come definiresti la tua estetica in tre hashtag?
#zen #space #discovery.

Qualche consiglio per gli artisti emergenti che stanno iniziando con i loro account sui social media?
Direi di pensarlo come un moodboard della propria esistenza. Uno specchio che rifletta la propria immagine, la propria storia, le proprie intuizioni e le emozioni che si vogliono esprimere.

Come funzionerà il social del futuro?
In maniera cerebrale, visualizzando immagini e narrazioni direttamente nella propria mente e condividendole con le persone con cui siamo in sintonia o cercandole attraverso i propri pensieri.

L’ultimo posto fantastico che hai visitato durante i tuoi viaggi?
Torino, dove si respira ovunque Arte Povera, la natura e tutto ciò di cui il mondo ha bisogno.

Cinque luoghi da visitare nella tua città preferita?
Amo Berlino. Questi sono i miei luoghi imperdibili: la collezione Feurle, la raccolta d’arte privata che preferisco. Si tratta di un ex bunker riprogettato da John Pawson, che giustappone l’arte contemporanea con mobili cinesi Qing. The Bikini, un negozio che è esattamente l’opposto di quello che il nome potrebbe suggerire. Il parco dell’aeroporto di Tempelhof. Lo Schinkel Pavilion, dove l’architettura storica incontra un visionario programma sperimentale di arte contemporanea. I cigni sul canale Landwehr.

Hai recentemente visitato Milano: cosa ti ha affascinato di più?
I milanesi, che mi hanno catturano con i loro gesti, con il loro modo di porsi attraverso i loro vestiti, con il modo in cui coltivano l’arte dell’ospitalità, il rispetto  che è visibile e palpabile nel loro ambiente, e nel ricco contesto storico della città in generale.

Come immagini il tuo futuro: online o offline?
Vedo un connubio fra più elementi; mi piacerebbe progettare e avere una creatività più diretta, fare cose con le mie mani, ma anche trasmetterle attraverso il mio cervello digitale e la mia piattaforma.

®Riproduzione Riservata

VICKY LAWTON: THE VISUAL FANATIC

Vincitrice lo scorso anno del Creative Circle Award, per la Best New Female Commercials Director, Vicky Lawton è regista, fotografa, lavora al fianco di Rankin in qualità di Creative Director, ha diretto numerosi fashion film per rinomati marchi internazionali, tra cui Elie Saab e Chanel, e ha realizzato video musicali per artisti influenti, come Dua Lipa. Ecco qualche curiosità su questa talentuosa e camaleontica artista.

Ti definisci una “fanatica di elementi visivi”. Quando hai capito che le arti visive sarebbero diventate la tua professione?
Da quando ho iniziato a comprare Vogue a circa 14 anni e strappavo le pagine per utilizzarle come carta da parati. Poi mi sono interessata sia di moda che di fotografia, scattando dei servizi fotografici nella mia stanza e in giardino con i miei amici!

Come hai conosciuto Rankin?
Ho fatto uno stage da Rankin durante il mio secondo anno alla Kingston University, dove studiavo Graphic Design e fotografia. Ho fatto un tirocinio di tre settimane, siamo rimasti in contatto e mi hanno chiesto di tornare una volta completati gli studi.

Quali sono le tue principali fonti di ispirazione?
Mi piacciono da morire Irving Penn, Richard Avedon, Meisel, ma ammiro anche fotografi come Cass Bird ed Ellen Von Unworth, che hanno stili e approcci unici. Cerco attraverso blog, libri, visito più gallerie d’arte possibili, ma la mia più grande ispirazione è il cinema.

Come fotografa di moda, qual è il tuo rapporto con il fashion nella vita quotidiana?
La moda per me è un modo perfetto per riflettere il mio mood. È anche un’opportunità di sperimentare, sono una grande fan degli abiti vintage e mi piace visitare Los Angeles per trovare qualche pezzo unico e irripetibile.

Non ci sono così tante fotografe e registe famose. Credi che sia un ambito prevalentemente maschile?
Non più!

Quali profili social trovi particolarmente interessanti e perché?
Mi piace particolarmente @celestebarber, perché la moda può essere davvero divertente.

Qual è il tuo social media preferito?
È senz’altro Instagram. Rappresenta un’opportunità di vedere nuovi lavori, nuove idee e di mettere orecchie da coniglio sui miei selfie. Come si fa a non amarlo?

The Full Service is a one-stop creative entity that combines the strategic thinking of an advertising agency with the pragmatic problem solving of a production house.

thefullservice.co.uk
thegraft.uk
tonicreps.co.uk
rankin.co.uk

®Riproduzione Riservata

Antica Cannoleria 811, quando il cannolo diventa eterno

L’arte da sempre si ispira al vero, ma nel caso dell’Antica Cannoleria 811 di Catania l’imitazione si è spinta oltre. Infatti, i cannoli siciliani in ceramica di Davide Brancato non solo sono una copia perfetta del dolce, ma vengono anche realizzati con la stessa tecnica. «Dopo aver condotto diverse ricerche per trovare la ricetta originale – racconta Davide – ho scovato quella autentica di origine araba. I passaggi prevedono di creare la cialda, “scoccia” in dialetto e friggerla in olio bollente per ottenere il tipico colore brunito che contraddistingue il cannolo siciliano. Solo quando la “buccia” è ben fredda la si riempie con la ricotta lavorata. Infine si decorano le estremità con granella di pistacchio o cioccolato e si finisce il tutto con una spolverata di zucchero a velo». Così Davide crea la cialda di ceramica e, per darle il colore e le bolle della frittura, la cuoce con il cannello alla temperatura di 600 °C. In questo modo la ceramica perde tutta l’umidità e crea, appunto le bolle. Sempre con la ceramica, però leggermente più fluida, l’artista realizza la farcia e, proprio come un pasticcere, riempie la scoccia con una sac a poche. Il tutto si fa asciugare naturalmente e poi si lascia cuocere in forno per una notte a 980 °C. Una volta raffreddato il cannolo in ceramica, come il suo omologo dolce, viene decorato con i granuli e spolverato per rientrare poi in forno per un’altra notte sempre a 980 °C. «La cottura – spiega Davide – è un passaggio molto delicato. In questa fase il manufatto si può crepare o rompere, vanificando così tutto il lavoro. Quando il cannolo è pronto si passa alla fase di decorazione. Lo dipingo impiegando una serie di pennelli giapponesi in pelo di castoro, gli stessi che vengono usati dagli amanuensi e che riescono a creare delle sfumature e degli spessori unici». Per renderle ancora più verosimili, Davide ha intriso le sue creazioni nelle essenze tipiche della pasticceria (zagara, fiori d’arancio, canditi, cannella e zucchero a velo) così che, emanando il profumo della pasticceria fresca, vadano a sollecitare non solo la vista, ma anche l’olfatto. Questo avviene grazie a una serie di microfori (invisibili a occhio nudo) che fanno penetrare il profumo all’interno del manufatto, che ne rimane impregnato. «Il mio – prosegue il designer – è un progetto per dolci eterni che nutrono l’anima. Mi piace che facciano fare un salto nel passato a chi li sceglie, quando si andava a fare la spesa nella bottega sotto casa». Oltre al cannolo, nella pasticceria dell’anima dell’Antica Cannoleria 811 ci sono le cassatelle, le minnuzze di Sant’Agata (un dolce simile alla cassata che viene preparato durante i festeggiamenti in onore della Santa Patrona di Catania) e fette di torte tipiche della tradizione siciliana. A breve, come accade nelle migliori pasticceria dell’Isola, al dolce si affiancherà il salato. Davide, infatti, sta studiando per realizzare gli arancini in chiave pop. Le creazione dell’Antica Cannoleria 811 si possono acquistare tramite la pagina Facebook della bottega o presso l’Antica Dolceria Bonaiuto di Modica (con cui l’artista sta creando il cioccolato eterno). Per chi si trovasse quest’estate a Noto, il suggerimento è di fare una visita a Palazzo Nicolaci di Villadorata, dove Davide sarà il curatore di una mostra che indagherà sul rapporto fra cibo e design con un focus sulle ricette devozionali.

®Riproduzione Riservata

A VERONA L’INNOVAZIONE NELL’EYEWEAR DI FIELMANN

Verona non è più – e soltanto – la città degli innamorati, con il balcone di Giulietta e Romeo. Da oggi è anche quella con la vista più acuta e di design, grazie all’opening del primo flagship store italiano di Fielmann. Sviluppato su tre livelli e con più di 4mila montature al suo interno, lo store di via Mazzini 64 è l’ultimo (solo in ordine di tempo) step che il brand di Amburgo, specializzato nell’eyewear retail, sta compiendo in Italia, dopo le 10 aperture nel nord Italia, fra cui Vicenza, Trento, Varese, Piacenza, Brescia e Bergamo. La parola che meglio descrive Fielmann è innovazione, ottenuta unendo efficienza e tecnologia tedesche al design italiano. Il fondatore, Günther Fielmann è stato un precursore nel settore dell’ottica, grazie all’introduzione di servizi inediti per il consumatore, di cui un esempio è stato l’accordo avveniristico con la cassa mutua tedesca, per rendere mutuabili 90 modelli di tendenza contro i soli otto esistenti fino a quel momento, eliminando così la discriminazione sociale nei confronti di coloro che non potevano permettersi un paio di occhiali. Ancora oggi, una vasta gamma di vantaggi rende unica l’esperienza nei centri dell’azienda tedesca, come spiega Ivo Andreatta, Country Manager di Fielmann Italia: «Desideriamo che Fielmann sia un punto di riferimento per il cliente italiano e che le nostre filiali siano luoghi in cui affidarsi a ottici e consulenti specializzati, capaci di trovare la soluzione migliore. È ciò su cui siamo focalizzati da ormai due anni e continuerà a essere la nostra priorità. Il cliente può provare migliaia di montature in totale libertà e avere la certezza di pagarle al miglior prezzo sul mercato e usufruire dell’esame gratuito della vista senza necessità di prenotazione». MANINTOWN ha incontrato Marco Collavo, managing e creative director di ROKKU Designstudio, società controllata al 100% da Fielmann AG, che progetta per Fielmann e altri fashion brand, per carpire i segreti di un design così progressista. 

In un momento in cui gli occhiali si fanno sempre più grandi e imperversa la logo mania, perché Fielmann Made in Italy decide di invertire questa tendenza?
L’idea di mettere il logo solo all’interno della montatura risponde alla volontà di non legare l’occhiale al nome, e di prediligere il design, la qualità e, soprattutto, il servizio per il cliente. Il complesso totale, della montatura e della lente, segue il comfort e la qualità piuttosto che la riconoscibilità del brand.

L’obiettivo è quello di far riconoscere Fielmann anche senza l’evidenza del logo?
Sì, questo è uno degli scopi della collezione Made in Italy per esempio. Riuscire a creare una linea con la sua identità, più collegata agli shape, ai colori, allo spessore delle lavorazioni, perché riteniamo che il logo sia molto seasonal e molto forte nelle fashion house, in cui il brand è riconoscibile, anche in riferimento ad altri prodotti e accessori. Fielmann è specializzato esclusivamente nel mondo dell’ottica, e sta a noi costruire l’idea del marchio, soprattutto per quanto riguarda lo stile del prodotto e le sue caratteristiche tecniche, in particolare la lente, che è un elemento fondamentale e che va a completare l’offerta. Deve essere un qualcosa di timeless, che dia effettivamente un valore aggiunto al cliente.

Da dove trai ispirazione in merito al design e ai colori?
La tendenza è quella di rivisitare il passato. Adoro andare nei mercatini e ho una grandissima collezione di occhiali vintage, che parte dagli anni ’50 e ’60. Grazie ai designer che fanno parte del mio team, cerchiamo di riproporre qualcosa di già assaporato, rivisitandolo in chiave moderna. A questo si collegano le combinazioni di colori, che non caratterizzano il singolo pezzo, ma creano un’armonia all’interno di tutta la collezione. Proponiamo cromie che il mercato richiede e soprattutto che sono apprezzate nei diversi Paesi in cui siamo presenti. Giochiamo con gli spessori, le tecnologie, tecnicismi e costruzioni più moderni, con colori di tendenza che danno vita a un prodotto nuovo e fresco. Le collezioni presentano tonalità classiche abbinate ad altre più particolari, striate, fluorescenti, o colori pastello piuttosto carichi, che, nei paesi solari che amano i look più aggressivi, danno la possibilità di sentirsi più freschi, giovani, originali.

Cosa rende unico Fielmann?
La capacità di proporre un prodotto che si basa su una grande ricerca, come avviene nelle maggiori case di moda, attraverso ricerche di mercato e produttive, indagini di colori e di ispirazioni. Tutto questo si integra con uno studio di design. Ogni occhiale è disegnato, anche la parte interna del metallo, e ogni colore è ricercato, con delle tinte dedicate sulla linea Made in Italy. Il valore aggiunto è l’unicità dell’occhiale Fielmann, creato appositamente per il brand, e ogni collezione ha in sé un filo conduttore, che può essere, ad esempio, la particolare lavorazione. Qualità e design sono offerti, inoltre, a un prezzo molto competitivo, perché tagliamo la filiera della distribuzione.

Cosa c’è di italiano e cosa di tedesco nella collezione Fielmann Made in Italy?
Di italiano c’è sicuramente il design, la ricerca, la creatività e l’estro. Per la linea Made in Italy la produzione è 100% italiana, creata in Italia con materiali e know-how italiani. Da italiano, è per me motivo di grande orgoglio. Tutto questo è abbinato alla precisione tedesca, che riguarda il controllo della vista, tutte le garanzie comprese nel prodotto e la qualità delle lenti. Ritengo che questo sia un buon connubio per offrire al cliente un ottimo servizio, che lo possa rendere soddisfatto.

®Riproduzione Riservata

Wine experience su misura: House Of Vino

Il mondo dei vini si apre a nuove e più personali esperienze grazie a House of Vino, un progetto nato dall’intuizione di un giovane imprenditore Luca Genova, manager della comunicazione e appassionato da sempre di eno-gastronomia. House of Vino propone degustazioni private a casa (o in location su richiesta specifica del cliente) per trascorrere una serata diversa alla scoperta di sapori, odori e colori unici. Una serata tra amici si trasforma così in un’esperienza speciale e inconsueta che può basarsi solo sul vino o essere arricchita grazie all’accompagnamento di cibo, musica e momenti di intrattenimento. Un’esperienza multisensoriale che si può arricchire di volta in volta anche tramite collaborazioni con producer musicali, piccoli produttori, artisti e tutto ciò che possa rendere l’esperienza unica ed irripetibile. Abbiamo infatti incontrato Luca e House of Vino durante una speciale degustazione di bollicine per l’opening del GUM Bar, una nuova iniziativa di GUM SALON di Milano.

Di dove siete e come è nato il progetto?
Io sono siciliano, il mio socio friulano. Vivo a Milano da dieci anni. Vengo dalla comunicazione, ho lavorato per 9 anni con Lapo (Elkan, ndr) e ho una mia agenzia di comunicazione, Dreamers&Makers. Ho fondato House of Vino con un approccio legato a una comunicazione più da storytelling che da tecnico del vino. Parallelamente abbiamo, poi, una linea di business che sviluppa progetti di comunicazione legata al Food & Beverage, con cui aiutiamo cantine, istituzioni o consorzi attraverso consulenze e progetti nel mondo del vino. Sentiamo la necessità di svecchiare il settore. Il Food, grazie agli chef e ai grandi marchi, non fa fatica, ma gli altri comparti sì e non riescono a togliersi la polvere di dosso, vuoi perché siamo poco ricettivi alle innovazioni o perché abbiamo sempre paura e non siamo in grado di fare squadra. Il vento sta cambiando, però.

Quali le proposte di House of Vino?
Eventi privati di degustazione, abbinati a cene o aperitivi, in base al format richiesto. Lavoriamo molto sulle cene di business, con persone che vogliono avere un approccio più forte sui propri clienti o fornitori. Le persone chiedono qualunque cosa, dalle degustazioni di coppia a quelle per il papà, o da soli. Da ogni mail o telefonata, nasce qualcosa di nuovo. Creiamo progetti tailor made, sulla base delle informazioni o delle richieste. Vogliamo avvicinare le persone al vino, non spaventarle. Le degustazioni private sono per piccoli gruppi, facili da gestire e con cui avere rapporto più diretto. Oltre le quindici persone progettiamo eventi ad hoc, considerata la necessità di appoggiarsi a supporti diversi, come il catering.

Per Gum Bar hai scelto una degustazione di Champagne…
Per due ragioni: la prima è che Stefano Terzuolo (founder di GUM, ndr) ne è un amante; la seconda è la location, così accogliente, con i velluti e lo stile vintage – da Francia del 700 – che poteva accompagnarsi solo a dello Champagne.

Quali sono le differenze tra i tre Champagne scelti?
Sono tre vini provenienti dalla stessa cantina. Uno è il Tradition, classico Champagne composto da Pinot nero, Chardonnay e Pinot Meunier. Il secondo è un gradino più su, prodotto da una selezione degli stessi vitigni: un millesimo della medesima annata. Il Brut Selection, più complesso, strutturato e avvolgente. L’ultimo, Fleur de Vigne, dalla bottiglia particolare, è un assemblaggio contente anche piccoli vitigni autoctoni, in percentuale minore, ma capaci di conferire una freschezza diversa, rendendolo un vino più facile. Se ne potrebbe bere una bottiglia senza accorgersene, al contrario degli altri, più stucchevoli.

Qual è la degustazione più creativa che vi sia stata richiesta?
Abbiamo lavorato anche con clienti stranieri, progettando degustazioni dal budget molto alto, con bottiglie da due/tremila euro ciascuna. La costruzione dell’evento è più impegnativa ma interessante. Si sfida un terreno molto forte. A noi, poi, piacciono molto i percorsi regionali particolari. In Sardegna, ad esempio, siamo partiti dai bianchi, dai Moscati secchi, per arrivare a delle bollicine di Vermentino pazzesche, affinate sott’acqua, nella Riserva Marina di Alghero. C’è anche Giovanni Montisci, proprietario di una cantina sotto casa sua e produttore di un Cannonau in purezza, dalla forte gradazione alcolica, il Barrosu. Un’elegenza e una raffinatezza egregie, difficile da catalogare, con una ricerca di varie eccellenze regionali.

 Come gestite la ricerca delle piccole cantine?
La portiamo avanti personalmente con molto piacere e tanta fatica, ma è un aspetto fondamentale del lavoro. Ci aiuta, questa vicinanza al prodotto, alla cantina e al contadino stesso, perché possiamo farcene forza quando lo proponiamo a progetti anche con aziende. Non è una cosa scontata. È facile pensare a un progetto di comunicazione di un vino, ma conoscerlo, servirlo e aver parlato col contadino ti dà una serie di nozioni utili per un approccio diverso. Teniamo molto a questa ricerca, e lavoriamo con cantine piccole che stanno tracciando la linea dei vini naturali, trend nascente, in Italia. Siamo la nazione con più autoctoni al mondo, con più varietà di uva, anche rispetto alla Francia e alla Spagna e alla Napa Valley in California. Questo ti dà l’idea di cosa si potrebbe scoprire nell’arco di un viaggio in Italia.

®Riproduzione Riservata

TECH ESSENTIALS

Ormai parte del nostro quotidiano, gli indispensabili accessori che ci accompagnano sono sempre più all’insegna dell’hi-tech. Tra collaborazioni esclusive, evoluzioni e nuovi oggetti curiosi ce n’è davvero per tutti i gusti. Chi ha detto poi che la moda non possa essere utile, o addirittura pratica, e viceversa? Funzionalità ed estetica – perché no? -possono andare di pari passo. Prova ne è il periodo storico che stiamo vivendo, dove le parole fashion e tecnologia diventano talvolta addirittura sinonimi.

APPLE WATCH HERMÈS
Apple Watch di Hermès: ovvero un concentrato di eccellenze. Un oggetto per il quale si potrebbero fare follie. Ecco un classico esempio dove l’alta tecnologia e uno dei brand più chic di tutti i tempi si uniscono, creando un accessorio che racchiude amore per il design, altissima qualità e, naturalmente, eleganza francese.

MOLESKINE Smart Planner
Probabilmente il sogno di tutti. Il promemoria che ci ricorda gli appuntamenti, senza che si rinunci alla classica agenda e agli appunti scritti a mano. Stiamo parlando di Moleskine Smart Planner, il classico libricino nero che oggi, grazie a una tecnologia fluida e intelligente e all’utilizzo della Moleskine Pen+, sincronizza le annotazioni vergate a mano direttamente sul dispositivo.

PIQUADRO – linea COLEOS BAGMOTIC
Piquadro, fusione perfetta tra design e tecnologia. I nuovi prodotti della linea Coleos Bagmotic esplorano la moderna filosofia dell’IoT, Internet of things. IoT ci permette di interagire con il nostro bagaglio attraverso smartphone e smartwatch: basta scaricare Connequ, la app ideata dal brand. Un esempio è lo zaino porta computer. Rintracciabile ovunque grazie a un dispositivo GSM, lo zaino, attraverso un sistema di allarme, ci avverte quando ce ne si allontana, è in grado di ricaricare la batteria del nostro smartphone e, sul retro, è dotato di piccoli led, che fungono da veri e propri fanali posteriori, dotati anche di stop a luce rossa in caso di frenata. È, infatti, elettivamente dedicato a chi si sposta in bicicletta.

MASTER & DYNAMIC for ERMENEGILDO ZEGNA
Qualità e raffinatezza sono solo alcuni degli aggettivi per descrivere l’esclusiva collaborazione Master & Dynamic for Ermenegildo Zegna. I due brand hanno unito le loro competenze, per creare oggetti di stile e dotati di altissima tecnologia. Il giradischi PELLE TESSUTA™ combina, infatti, l’acustica di Master & Dynamic con il rivestimento firmato Ermenegildo Zegna in Pelle Tessuta; una lavorazione, realizzata a mano, creata e sviluppata dalla Maison.

®Riproduzione Riservata

PANTALONI SLIM-FIT vs BAGGY

Non è solamente una questione di comodità, la scelta tra pantalone baggy e slim-fit (o skinny se è di denim che parliamo) oltrepassa i confini di uffici, palestre e ambienti più formali, pronti a declinarsi in base alle occasioni. Esistono tantissime forme e tagli tra cui destreggiarsi, e trovare il modello più adatto alla propria fisicità può sembrare un’impresa. Scopriamoli insieme.

PANTALONI SLIM-FIT
Quando si tratta di scegliere il modello di pantaloni da indossare, molti uomini hanno le proprie idee consolidate, che potrebbero non essere quelle più adatte alla loro struttura fisica. Spesso si opta, erroneamente, per un modello regolare, magari di una taglia superiore, per avere la giusta larghezza lungo le gambe, con il risultato che, a livello del punto vita, la vestibilità non è ottimale, ma risulta troppo generosa. Negli ultimi anni sono tornati in voga i pantaloni, jeans e chino, con vestibilità slim attorno alla gamba che si fermano appena prima di toccare stivali e sneaker. Lo stesso vale per i pantaloni del completo, che richiedono una giacca altrettanto slim, con cravatta e bavero sottili, in virtù dell’armonia delle proporzioni. Quali sono le linee guida da seguire nella scelta? In linea generale, i jeans a quattro bottoni dovrebbero poggiare sull’anca, e non più in vita, così da essere idonei anche per gli uomini con un ventre pronunciato, grazie alle giuste proporzioni che si vengono a creare tra busto e bacino. Diverso il discorso per i pantaloni chino e del completo, che dovrebbero essere posizionati appena sopra le anche, cosa che permette di infilare dentro la camicia senza preoccuparsi che esca fuori, magari nel bel mezzo di un appuntamento di lavoro. I jeans slim-fit, inoltre, sono i più indicati a essere accostati a un abbigliamento più classico, da sfoggiare in occasioni semi-formali dove un mix tra abbigliamento casual ed elegante si rivela senz’altro la scelta migliore.
Questo tipo di pantaloni calza perfettamente ai fisici più asciutti, per i quali i pantaloni larghi o baggy creerebbero un look sbilanciato in termini di proporzioni con il resto del corpo. Detto questo, è necessario trovare il giusto tipo di skinny: modelli troppo attillati faranno sembrare le gambe ancora più sottili ed evidenziati rispetto al resto. Meglio optare per soluzioni leggermente più rilassate o create su misura per un capo passe-partout. Invece, se si possiedono quadricipiti più massicci, come nel caso degli sportivi, probabilmente il modello slim-fit non è il più indicato. In alternativa sarebbe meglio indossare modelli più dritti o affusolati.

PANTALONI BAGGY
Se i jeans skinny sono spesso considerati da “hipster”, i jeans baggy si ricollegano immediatamente alla scena musicale rap.
Il modello baggy fa parte della categoria dei pantaloni con la vita bassa, la cui cintura è posizionata a 5-6 cm sotto il giro vita. Si caratterizzano per un taglio dritto e oversize dall’altezza dei fianchi fino alla base. Si ispirano all’abbigliamento da lavoro, comodo per necessità, grazie alla forma non costrittiva e alle numerose tasche, ma è stata la cultura dell’hip-hop, a metà degli anni ’90, a renderli protagonisti. Nel 1995 il duo musicale Mobb Deep li ha scelti per la copertina dell’album The Infamous, indossati con un paio di Timberland gialle, un abbinamento molto diffuso nel mondo rap. Questa cultura è stata poi legittimata da brand streetwear come Stüssy, Supreme e A Bathing Ape, che hanno portato alla proliferazione di capi dall’animo urbano.
Negli anni 2000 si è completamente affermata l’era dei pantaloni dal taglio largo, abbassati a tal punto da rivelare l’intimo, molto spesso boxer, e stretti da una cintura, lasciata volutamente allentata. È il cosiddetto “sagging”, proprio anche dello stile skater e rave. Spesso i jeans baggy erano portati con una t-shirt oversize e, quasi sempre, con le Air Force 1 bianche, una sorta di uniforme riconoscibile. Negli stessi anni un giovanissimo Eminem si faceva fotografare a Detroit da Jonathan Mannion con indosso solo tute dal taglio baggy, e non solo lui, ma tutto il movimento hip hop inneggiava all’abbigliamento comodo, perfetto per ballare e protestare contro la società americana che ghettizzava la comunità afro. Successivamente il taglio del baggy sale in passerella, ma, prima di farlo, cambia tessuto, abbandona il jersey felpato per vestirsi delle lane più morbide e calde. Certamente non più adatti a improvvisare una breakdance per le strade del Bronx, ma perfetti per essere eleganti tutto il giorno. Da indossare con una camicia, magari dello stesso colore, o da accostare a maglioni e felpe con dettagli e lavorazioni tutt’altro che casuali. Il baggy è l’arma del nuovo uomo metropolitano un po’ shabby chic e un po’ dandy che non ha bisogno di giacca e cravatta per dichiarare il suo status, ma riesce ad essere elegante anche indossando linee morbide ed avvolgenti.

®Riproduzione Riservata

 

La California sognata da Nove25

Un progetto “On the road” per raccontare, attraverso i suggestivi e sterminati panorami della West Coast californiana, lo spirito di libertà dei gioielli di Nove25. Il brand milanese ha deciso di avvalersi dell’obbiettivo di Randall Mesdon, ritrattista e regista di fashion movie, per la nuova campagna, che incastona le creazioni di Nove25 nelle atmosfere dell’istituzionale hotel Chateau Marmont di Sunset Boulevard, per poi passare agli angoli esclusivi dello Yucca Desert, fino a toccare le terre spirituali e mistiche tra le montagne di San Bernardino e lo Joshua Tree National Park, leggendarie per gli avvistamenti di UFO. È in questi scenari che si muovono i due protagonisti di questa jewel story, David Alexander Flinn, newyorkese, artista, pittore, fotografo e la bellissima Audrey Marvin, californiana, punta di diamante di The Lions Models Management di Los Angeles. I due testimonial sono i perfetti interpreti dello spirito di libertà che si respira nelle creazioni di Nove25, sottolineato anche dalla maestria di Mesdon, già autore per i più blasonati luxury brand come Calvin Klein, Dolce & Gabbana, Giorgio Armani, Levi’s e Tommy Hilfiger. A seguire la regia della nuova campagna, lo studio creativo PopKorn films con base a Milano, fondato da Daniele Testi e Francesco Giannini. Le pietre dure e preziose, i metalli finemente cesellati, sembrano scaturire direttamente dai paesaggi assolati e aridi che Randall ha voluto per questo progetto, incorniciando modelli e gioielli nei tramonti californiani, nel deserto bruciato dal sole e nei larghi boulevard incorniciati da palme altissime, sognando la California ad occhi aperti. Non tutti i sogni sono relegati in un cassetto però, perché la nuova collezione Ophis è acquistabile online e negli store Nove25.

®Riproduzione Riservata

MotoGP, ricomincia la sfida

Valentino Rossi_Courtesy Movistar Yamaha

Di questo marzo imbronciato due sono gli eventi memorabili: il ritorno dell’ora legale a fine mese e l’inizio della stagione 2018 del Motomondiale. Piloti, tecnici, sponsor e appassionati si lasciano alle spalle la carestia invernale di adrenalina per scoprire cosa succederà, dal 16 marzo, sul circuito di Losail in Qatar, quando prenderanno il via le prove libere del primo Gran Premio dell’anno tra Moto3, Moto2 e la classe regina, la MotoGP. Il campione del mondo Marc Márquez ritroverà i suoi rivali, a cominciare dal secondo classificato nel 2017, Andrea Dovizioso. E poi, Jorge Lorenzo, Valentino Rossi, Dani Predrosa, Maverick Viñales, Johann Zarco, Danilo Petrucci, Cal Crutchlow, Andrea Iannone: tutti pronti a combattere fino all’ultimo metro per vincere e, possibilmente, diventare leggenda. Diciannove appuntamenti sparsi ai quattro angoli del mondo, con il debutto della tappa in Thailandia il 7 ottobre. Diciannove storie da scrivere tra pieghe feroci, staccate tachicardiche, sorpassi impensabili.
Uno che se ne intende di cuore in gola, battaglie epiche, scontri tra duri, amicizie, risate e purtroppo anche tragedia è Paolo Beltramo, dal 1979 al seguito delle gare motociclistiche per testate come La Repubblica, Motociclismo, Il Giornale (ai tempi di Indro Montanelli), Il Giorno, per poi cimentarsi con le cronache in Tv. Nel 1990 inizia la sua avventura da inviato nei box della 500 e poi della MotoGP, un’esperienza durata fino al 2013 che lo ha reso tra le figure più amate del settore. A lui abbiamo chiesto di fare qualche pronostico per il campionato, ma siccome è una miniera di ricordi e spunti che condivide con generosità rara, ci siamo fatti raccontare di quando i paddock quasi somigliavano a un campeggio e i motor-home erano semplici roulotte.

In Qatar si riaprono i giochi: come vede questo mondiale?
Il quadro è semplice: tutti contro Márquez. È lui il fenomeno, il presente e il futuro della MotoGP. Vederlo in pista è tantissima roba, Marc è una specie di marziano, è moderno, ha innovato l’approccio alla guida, con la spalla di fuori e, anche se in tanti non lo amano, è un ragazzo simpatico. Di sicuro resta l’uomo da battere.

Chi potrebbe farcela?
Andrea Dovizioso, per esempio. Ora che gli è scoccata dentro la scintilla della consapevolezza, ha capito che è una sfida alla sua portata, se la può giocare. Prima era convinto che gli mancasse qualcosa per stare con gli altri, adesso sa di essere anche lui al top. Tutto è cambiato in lui, tranne una cosa: il suo essere una persona veramente per bene. Poi c’è Lorenzo, sempre che riesca a tirare fuori quello che ha dimostrato in passato di saper fare, e anche Viñales. Zarco è forte, però dubito che sia in grado di reggere il confronto, se non avrà una moto ufficiale. Quanto a Petrucci, nei test è andato alla grande, ma bisogna vedere se sarà in grado di fare bene nell’unico momento che conta, la gara.

E Rossi dove lo mettiamo?
Se la Yamaha gli saprà dare una gran moto, io dico che ce la può ancora fare. Quello che di Valentino che mi lascia davvero a bocca aperta è la sua passione infinita. Avere voglia di correre al top a 39 anni, significa essere totalmente dedicato a quella emozione, come quando era un ragazzino. All’inizio giocava, ora si allena come un matto giorno dopo giorno e proprio non molla. Il decimo campionato lo vuole eccome e tra tutti quelli che ho visto correre di persona, il più forte per me è lui, per come ha saputo coniugare la sua potenza di pilota a una personalità carismatica. Certo ha degli spigoli e il suo enorme successo suscita invidia, ma ha in sé una grande umanità e me lo ha dimostrato più volte. C’è chi lo accusa di essere falso, ma Rossi è totalmente vero quando corre, prova o parla di moto e questa è l’unica cosa che conta, perché lui è un pilota. E poi diciamocelo, per vincere così tanto devi essere un po’ bastardo, nell’accezione sportiva del termine.

In che senso?
Márquez vince perché è un bastardo, così come Lorenzo o, ai suoi tempi Giacomo Agostini. Marco Simoncelli era il ragazzo più buono del mondo, ma in pista era cattivo. Quando a Sepang nel 2015 Rossi accusò Márquez in conferenza stampa di averlo danneggiato a favore di Lorenzo (che poi vinse il titolo, ndr), per me fu una dimostrazione di debolezza da parte sua. Forse dentro di sé Vale era spiazzato dall’essersi trovato di fronte uno più bastardo di lui.

In effetti, in Italia non è ancora andato giù a tanti quel mondiale andato a Jorge.
Lorenzo è un po’ come Max Biaggi: si presenta peggio di quel che è. A me piaceva soprattutto all’inizio, quando era sempre incazzato e con una voglia della madonna di vincere. La mia sensazione è che non riesca  divertirsi abbastanza. Forse ogni tanto dovrebbe mangiarsi un dolce, bersi una boccia di vino, insomma, lasciarsi un po’ andare. Quando io ho iniziato a frequentare le corse era tutto molto più semplice. Si stava insieme, era come un campeggio di gente con una grande passione in comune. Adesso tutto è compresso, frenetico.

Se lo ricorda il suo primo Gran Premio da giornalista?
Certo, Salisburgo nel 1978. Avevo conosciuto da poco un fotografo molto in gamba, Franco Varisco che mi propose di seguire insieme quella tappa. Mi disse che avremmo potuto raggiungere il circuito prendendo un passaggio da Virginio Ferrari, allora tra i piloti italiani in pista. Montammo una tenda dentro al paddock, perché ai tempi nessuno ci faceva caso e capitava spesso di vedere file di mutande stese al vento ad asciugare fuori dalle roulotte dei piloti. Ricordo il freddo terribile, dei meccanici ci prestarono dei sacchi a pelo in più per coprirci ed eravamo sempre bagnati perché pioveva e a un certo punto aveva pure attaccato a nevicare. Eppure ci divertivamo tantissimo e c’era più unione tra le persone. La sera si cantava al suono delle chitarre, si beveva e si fumava. Marco Lucchinelli, spesso ci chiamava per dirci che a loro era avanzata un po’ di pasta, ma la realtà era che diceva alla sua fidanzata di buttarne giù di più apposta per darla a noi. Ai tempi solo Ferrari si allenava e in tanti lo prendevano in giro. Una volta Franco Uncini gli disse: «La moto si deve guidare, mica spezzare». Per lui l’idea di una preparazione atletica era inconcepibile.

Lei ha raccontato con allegria e genuinità la vita dei box. Come ha sviluppato il suo stile?
Credo di avere messo a fuoco un mio modo di trasmettere le corse nel 1983, dopo il grave incidente di Franco Uncini ad Assen, in Olanda. All’inizio la situazione sembrava disperata e io avevo preso in prestito una macchina per raggiungerlo in ospedale, dove stazionavo in attesa di notizie che poi passavo ai colleghi in sala stampa. Dopo un paio di giorni mi resi conto che iniziavano ad arrivare messaggi di incoraggiamento per lui e disegni fatti da bambini. Lì ho capito il senso di quello che tutti noi stavamo facendo, perché non si trattava solo di andare forte in moto, ma di dare divertimento alla gente, una cosa molto importante. Da quel momento ho sempre cercato un approccio umano al mio lavoro, parlando con tutti, sparando cazzate, seguendo l’istinto che mi portava a cogliere le tensioni, gli sguardi, i rapporti intricati che si creano nei box. Quando i diritti Tv sono passati da Mediaset a Sky e il mio contratto non è stato rinnovato è stata dura. Però quel momento di stallo mi è servito per capire quanta fortuna ho avuto nel poter fare il mio mestiere. E l’astinenza forzata ha rinnovato la mia passione per le gare. Adesso seguo 5/6 Gran Premi all’anno, commentando da studio e mi va bene così.

C’è un personaggio che ha amato più di ogni altro?
Con Marco Simoncelli ci volevamo un gran bene. Era un ragazzo fantastico perché non aveva rivincite da prendersi sulla vita. La sua famiglia era unita, felice, costruita su solidi valori e a lui piaceva la stabilità emotiva. Stava maturando, aveva tutte le carte in regola per vincere e presto le avrebbe suonate a tutti quanti. Ridevamo tantissimo insieme, ci inventavamo mille gag. Spesso Marco diceva che non trovava due decimi che gli servivano per vincere e io facevo finta di raccoglierli da terra e darglieli. A un certo punto mi era venuta l’idea di ritagliare tante tesserine che rappresentassero ognuna un decimo: le misi tutte in una scatola e gliela regalai. Suo padre mi ha detto che dopo la sua morte (in Malesia nel 2011, ndr), quando gli hanno sfilato la tuta, ci hanno trovato dentro due di quelle tessere. A raccontarlo oggi, mi vengono ancora i brividi.

®Riproduzione Riservata

Guarda indietro per essere avanti

Oggi più che mai l’ispirazione arriva dal passato. Tra i brand che ogni anno ripropongono un capo iconico in diverse varianti, modernizzato e a nato nei dettagli e nei materiali, e quelli che invece frugano letteralmente negli archivi per riportare in vita item che hanno segnato un’epoca, potete stare tranquilli: tutti saranno soddisfatti. Chi ama stare al passo con i tempi e indossare le nuove proposte di stagione e chi, invece, preferisce riesumare le vecchie glorie, tirando fuori dall’armadio l’amata felpa o le intramontabili sneakers. Attenti a non commettere il grosso errore di pensare che le rivisitazioni siano frutto di atteggiamenti nostalgici o di scarsa inventiva. Sbagliato. Il passato è esperienza, consapevolezza, cultura e i brand come K-Way, North Sails, Adidas, Bally, Vuarnet e altri ne sono un esempio più che mai attuale.

KWAY® – LE VRAI™
Dopo oltre 50 anni di storia K-Way fa ancora parlare di sé. Chi non ha mai posseduto quel pratico marsupio che in un batter d’occhio si trasforma in giacca a vento? Quel geniale, comodo e pratico, giubbino antipioggia e antivento in Nylon nasce in Francia nel 1965. Il modello ‘Le Vrai’ dal design indimenticabile, ripiegabile su se stesso – rivisto nei dettagli e disponibile in una vastissima gamma di colori – da qualche anno è tornato a essere un accessorio indispensabile, da tenere a portata di mano “in caso di…”.

adidas FOOTBALL – PREDATOR 18+

Le adidas Predator, un sogno dal 1994. Da qualche anno non ne sentivamo più parlare, ma ecco che, intramontabili, tornano e non solo sui campi da calcio. Riproposti quasi ogni anno, i famosissimi scarpini, indossati da molti dei migliori calcatori di tutti i tempi, tornano in una nuova rivisitazione, progettata e realizzata in materiali super tecnici e innovativi. Vengono proposti in tre varianti, da sfruttare in molteplici occasioni: Stadium, Cage e Street.

NORTH SAILS – 60TH ANNIVERSARY

Un “must have” per gli appassionati di vela e non solo. North Sails, infatti, ha accompagnato intere generazioni. Il 2017 è stato un anno importante per il brand, che ha celebrato il suo sessantesimo anniversario. Per questa occasione ha proposto una capsule collection, che vede protagonisti i best seller e gli iconici item di sempre, riproposti con grafiche e palette colori ispirata alla bandiera degli USA.

BALLY – VITA PARCOURS
Quando si dice riportare in vita gli anni Sessanta e Ottanta. Con il suo iconico motivo a scacchi, il modello Vita-Parcours, firmato Bally, risale al lontano 1974, ma la prossima estate lo ritroveremo, intatto nel design e nell’essenza, ma con la suola modernizzata, a calcare le strade urbane e non. La scarpa proposta nei colori blu oceano, curry e grigio fa parte della collezione Retro Sneaker, lanciata dal brand; di questa fanno parte anche i modelli Competition, Galaxy e Super Smash.

GHURKA – EXPRESS
Funzionalità e stile americano è il marchio di fabbrica del brand Ghurka, nato in Connecticut e specializzato da oltre quarant’anni, in pelletteria top di gamma. Realizzati a mano da maestri artigiani, tutte le borse, i borsoni e gli accessori sono studiati nei dettagli. Perfetti sia per le fughe da weekend che per il viaggio vero e proprio. Icona indiscussa della firma è il modello Express che, lanciato negli anni ‘70, viene rivisitato e riproposto, anno dopo anno, rimanendo sempre e comunque un pezzo attuale e senza tempo.

DRUMOHR – RAZOR BLADE
Torna in voga il Razor Blade, più comunemente conosciuto negli anni Settanta come fantasia a “biscottino”, marchio di fabbrica dello storico brand Drumohr, specializzato in maglieria di altissima qualità fin dal 1770. Oggi come allora, il rinomatissimo pattern rimane simbolo di uno stile e un’eleganza in cui combaciano passato e contemporaneità. Il tutto in puro cashmere.

VUARNET – GLACIER
Indossati dai migliori alpinisti degli anni ’80, gli occhiali firmati Vuarnet sono ancora simbolo di qualità e stile. Ne è esempio il modello Glacier, vera e propria icona del brand. L’occhiale di James Bond in Spectre, infatti, viene oggi riprodotto in una versione che rende omaggio alla Francia, patria del marchio, caratterizzato dai colori della bandiera francese: acetato blu, bianco e rosso, abbinato alla montatura tartaruga.

@Riproduzione Riservata

Colors’ addiction

Se è vero, come noi crediamo e sosteniamo, che la moda è una fantastica forma di linguaggio, allora noi, attraverso gli abiti, possiamo raccontare molto di chi siamo, oltre a come ci sentiamo in un determinato momento. L’abito, ma anche l’accessorio, è spesso la carta d’identità più immediata e noi possiamo usarlo per nasconderci oppure per aprirci al mondo. Non vogliamo fare filosofia spicciola, ma da sempre il total look nero ha rappresentato una sorta di coperta di Linus, il rifugio di chi non ama gli eccessi, di chi rifiuta certi diktat. Quando, invece, ci si affida ad una tavolozza cromatica più eterogenea, scegliamo forse una maggiore esposizione, un’apertura anche nei confronti della moda.
Per la spring/summer 2018 tante le proposte per i colors-addicted. E questo trend ci è piaciuto molto e da subito, perché in tempi bui scegliere il colore è anche una bella dichiarazione di intenti, la voglia di rispondere alle brutture del mondo in maniera propositiva, solare, coraggiosa.
Ecco una carrellata di look da sfilata e di accessori che, siamo certi, potranno diventare protagonisti del vostro guardaroba nella bella stagione che è alle porte!

Ha collaborato Giuseppe Porrovecchio
®Riproduzione Riservata

Camicia Classica VS Camicia a Fantasia

Ricordate la serie Tv Smalville? Siete più tipi da camicia classica, a tinta unita ed elegante come il ricchissimo e oscuro Lex Luthor, o preferite la camicia a quadri in flanella del bello e leale Clark Kent?

La Fantasia al potere

Sicuramente più casual è la camicia a quadri, reinterpretata con diversi tessuti: cotone, lino, denim e morbida flanella, ce n’è davvero per tutti i gusti. Non solo quadri, la fantasia non deve avere limiti o restrizioni. Colori, sfumature e applicazioni sono le benvenute. Dal floreale alla micro fantasia, l’uomo è sempre alla ricerca di un pattern che lo distingua rispetto alla tradizionale combinazione tra camicia monocromatica e giacca. Per occasioni più formali, o per una riunione di lavoro, è meglio preferire un motivo sobrio, magari un micro quadretto tono su tono o, ancora meglio, una riga sottile. Le righe sono la prima fantasia a essere stata introdotta, e già nell’ottocento erano indossate in particolare dai business men. I modelli più formali di camicia a righe presentano un fondo bianco, con righe sottili, di colore medio o scuro, e ravvicinate. A proposito di giacche, meglio non esagerare: con una camicia a fantasia restate prudenti, optando, piuttosto, per un capo basic che la lasci risaltare. Molto di tendenza è mixare la camicia a capi sportivi in tessuto tecnico e sneaker, come consiglia Alfredo Fabrizio di Shirtstudio: “Oltre agli abbinamenti più consueti, è interessante attingere dal mondo street, un mix & match in cui la camicia si abbina a pantaloni dal taglio sportivo, sneaker e cappelli baseball per un uso daywear. Anche la camicia più ricercata per tagli e costruzioni, che trova il suo più classico abbinamento con completi sartoriali, può essere sdrammatizzata e trovare nuovo appeal con bomber, pantaloni chino e scarpe sportive.”

Classico ma esuberante

Per l’uomo che sente l’esigenza di rimanere sullo stile classico, ma che non vuole rinunciare a essere casual, si può azzardare un gioco di sovrapposizioni e, perché no, di dettagli atipici. Le camicie a tinta unita con le borchie, per esempio, conferiscono un tocco rock ed eccentrico al look, l’importante è che almeno il colletto sia semplice e senza rifiniture particolari. Un’altra proposta potrebbe essere quella con maxi taschini e inserti, anche di tessuti differenti, di ispirazione militare, come suggerisce Alfredo Fabrizio: “La camicia è assolutamente un musthave, un evergreen con una forte potenzialità per essere rinnovata, offre ai designer un’infinita possibilità per trovare forme e costruzioni non consuete, per poi essere appetibile anche a una clientela per nulla scontata come quella dei millennials. Reinterpretata in chiave contemporanea può essere realmente un capo cool e trovare spazio anche nel guardaroba dei giovani che non rinunciano alle sneaker e che affrontano la vita con uno spirito sporty”. Molto chic il black su black, soprattutto se la camicia eccede in lunghezza. Che dire, poi, della camicia di jeans? Se non si vuole sbagliare, il look classico prevede una semplice t-shirt bianca e la camicia portata un po’ sbottonata, da abbinare a dei jeans, per un total look denim, o a pantaloni cargo o sportivi. Per chi vuole osare, la camicia di jeans può essere portata con un blazer e addirittura con una cravatta, ad esempio per andare in ufficio.

L’eleganza del classicismo

Un tempo la camicia bianca immacolata rappresentava l’unica alternativa per un gentleman, una sorta di riconoscimento di coloro che svolgevano un lavoro per cui non ci si doveva sporcare. La versione azzurra, invece, è notoriamente quella che dona maggiormente a tutti i tipi di carnagione, dalle più chiare alle più olivastre. La camicia in tinta unita rimane la soluzione più semplice, e quindi la più adatta in occasioni formali, a meno che non si tratti di colori particolarmente sgargianti. Non per questo è l’opzione più scontata. Si può spaziare, infatti, tra moltissimi tipi di tessuto, che, a seconda della lavorazione e della tessitura, possono cambiare la loro occasione d’uso. Il tessuto Oxford, dall’aspetto punteggiato, è indicato soprattutto per camicie con collo bottom down e taschino, il Pin point, più pregiato del precedente, è tipicamente impiegato per camicie eleganti, mentre il twill, che produce un effetto cangiante, è utilizzato per occasioni semi-formali. Il popeline è uno dei più comuni, soprattutto nelle collezioni primaverili o estive, invece la sua variante, fil à fil, è adatta in ogni stagione e i colori risultano piuttosto brillanti. Il lino, come è noto, è un tessuto molto pregiato che, grazie alle sue proprietà termoregolatrici, si indossa soprattutto nelle stagioni calde. Come il lino, anche lo zephir è leggero e traspirante, al contrario della flanella, realizzata con cotone e lana.

E il colletto?

Ricordatevi la legge che vige per ogni camicia vestita sotto la giacca o pullover: il colletto, qualunque esso sia, va sempre sotto. Non importa se siete studenti o lavoratori, la legge della camicia è universale e non ammette intransigenze.

®Riproduzione Riservata

THE PARIS CLUB MUSIC RENAISSANCE – SECONDA PARTE

La scena della musica disco francese si è attenuata dopo l’era del French Touch negli anni ’90, ma ora, con l’arrivo di una nuova generazione dinamica di DJ e produttori francesi, il revival della cultura dei club parigini è in corso. Riempiendo le piste da ballo, sostituendo la radio, girando il mondo e lanciando cd con case discografiche internazionali, questa nuova guardia di musicisti sta portando un eclettico sound elettronico – una combinazione che sfida i generi tradizionali e che include musica techno, house e hip hop con influenze britanniche e africane – sul più ampio palcoscenico mondiale. Abbiamo incontrato dieci delle figure più influenti sulla scena, per capire di più riguardo al ritorno di Parigi sulla scena della musica contemporanea.
In questa seconda parte: Betty, Simo Cell, Sam Tiba e Miley Serious.

Essendo una delle più talentuose DJ nel circuito della club music francese, a Betty Bensimon piacciono i mix inaspettati che fanno muovere il pubblico. A lei può essere attribuito il merito di aver creato una community intorno alle sue feste Bonus Stage, sia a Parigi che a Londra. È ospite di un programma radiofonico mensile su Rinse France, ed è comparsa anche nella piattaforma di trasmissione della musica online globale Boiler Room (due volte) e suona un po’ ovunque in tutta Europa. Il DJ francese e produttore Simo Cell crea un sound eclettico, combinando techno, UK Bass e musica elettronica. È stato il primo artista straniero ad avere un EP lanciato dall’autorevole etichetta discografica britannica Livity Sound (in più ha un nuovo EP da lanciare con loro), la cui fama si estende oltre Parigi e che intraprenderà un tour in Asia a maggio. Membro del gruppo francese di musica elettronica Club Cheval, il DJ e produttore Sam Tiba è anche un solista a tutti gli effetti, che inietta una buona dose di hip hop nei suoi set esplorativi. Attualmente sta lavorando al suo primo album, che sarà pubblicato all’inizio del 2018. La DJ Miley Serious è un membro del gruppo musicale tutto al femminile TGAF, un team di quattro ragazze che è ospite di un programma radiofonico mensile su Rinse France e che si è esibito alla BBC Radio 1. Miley mixa musica elettronica, house e techno per creare una forte energia, un sound contagioso e ha appena lanciato la sua etichetta discografica, la 99ct Records.

Come descriveresti il tuo stile?
B: Mi piace la musica che può essere suonata nelle discoteche e che fa ballare le persone. Mi piace indossare il rosso, capi di pelle e le t-shirt delle mie etichette discografiche preferite.
S: Il mio stile è molto semplice: scarpe da ginnastica, jeans, pullover di lana, un cappello qua e là. E capi essenziali: semplici t-shirt bianche o nere leggermente oversize.
M: Mi piace il nero, ma anche il romanticismo. Perciò, potrei descrivere così lo stile del mio abbigliamento e della mia musica. Quando suono, mi piace indossare belle scarpe, presto molta attenzione ai miei outfit e non cerco di nasconderlo.

Chi e cosa influenza te e la tua musica?
B: Al momento, lo stile di abbigliamento delle donne in The Sopranos e la musica suonata ai matrimoni e ai Bar Mitzvahs.
S: Ora Paul Pogba e mia madre.
S.T.: Un po’ di tutto: Parigi, i miei amici musicisti, i film che guardo.
M: Le mie influenze sono piuttosto varie ma poi si uniscono. Sono una che fruga, è parte del mio lavoro. Sono appassionata di oggetti di uso quotidiano, di riviste, di New York City, di Manchester e delle controculture. Per quanto riguarda chi mi ispira, la lista sarebbe troppo lunga.

Che ruolo hanno i social media nel tuo lavoro?
B: I social media sono uno strumento importante di promozione. Utilizzarli è per me un lavoro più che un piacere.
S: Ho una tendenza a essere molto dipendente dai social media. Per cui, più ne resto lontano e più mi sento meglio. Non ho nemmeno uno smartphone.
S.T.: Un po’ meno di prima. Credo che l’autopromozione sia diventata davvero noiosa negli anni e forse è l’unica cosa che non mi piace dei social media.
M: Sono importanti, ma ciò mi rattrista. Odio vedere che l’interesse dipende dall’immagine usata o dal momento del giorno in cui viene postata.

Parigi è tornata sulla scena musicale? Qual è il tuo ruolo in questa community?
B: Sono una DJ: il mio obiettivo è quello di far ballare le persone nelle discoteche, di diffondere la musica grazie al mio programma radiofonico mensile su Rinse France e di formare una community attorno alla dance music nella mia città.
S: C’è un bel dialogo tra generazioni: le persone che sono nell’ambiente da più tempo sono abbastanza aperte al lavoro delle persone più giovani e viceversa. Siamo rappresentati meglio sulla scena internazionale e tutti noi vogliamo collaborare e crescere insieme. Non esiste uno stile musicale che appartiene a questa nuova scena emergente: ciascuno proviene da un modo diverso e porta il suo tocco personale.
S.T.: Parigi non è mai scomparsa. Per me, questa città è sempre spumeggiante, succede sempre qualcosa e l’ambiente si sta semplicemente ingrandendo. Forse sono tra due generazioni, la vecchia e la nuova, e qualche volta cerco di trovare un compromesso. L’arrivo di stazioni radio come Hotel Radio e Rinse France ha permesso a un mondo fantastico di emergere. Il futuro della musica parigina è davvero eccitante.
M: Non so se possiamo dire che Parigi sia tornata, ma ammiro ciò che le persone stanno cercando di fare, proprio adesso. Il mio ruolo come DJ o con la mia etichetta musicale è quello di essere il punto di collegamento fra lo studio e la pista da ballo e per me questo ha un’importanza enorme.

Cosa indossi durante le tue performance?
S.T.: Le stesse cose che porto nella vita quotidiana: un mix tra capi basic e vintage. Come il 95% dei parigini oggi, in un certo senso.

Photographer| Lucie Hugary
Stylist| Nicholas Galletti
Assistant Stylist| Ariane Haas
Hair Stylist| Delphine Goichon @Backstage Agency
Make up Artist| Ludovic Cadeo @Backstage Agency

®Riproduzione Riservata

Beauty break: 4 indirizzi per la pausa di bellezza

Lo sappiamo bene, il benessere richiede tempo e dedizione, ma girando per il centro di Milano esistono spazi dove possiamo ricaricarci. Anche in 20 minuti. Siamo costantemente alla ricerca di luoghi in cui conciliare mente, corpo e spirito, ma nella quotidianità degli impegni e della routine lavorativa non sempre è possibile farlo. Sulla filosofia degli experiential store, eccovi delle oasi di relax e di bellezza, ideali per chi desidera concedersi una pausa dalla vita frenetica, ma ha poco tempo a disposizione.

Aveda Store – (Via Fiori Chiari, 12)

Il richiamo alla natura è il tema principale, che ha ispirato la creazione di questo spazio. Al centro della sala, il caratteristico Community Table di Aveda, tavolo realizzato in legno sul quale è posizionato un lavandino in pietra, circondato da quattro poltroncine per far accomodare i clienti e vivere un’esperienza con servizi dedicati, testando i prodotti del brand. Le Beauty Expert vi offriranno gli inconfondibili Aveda Rituals: un Aroma Sensory Journey con l’esclusiva collezione di aromi Pure-Fume™ per offrire un momento di benessere attraverso un viaggio sensoriale tra le essenze e un’Esperienza Anti-Stress, come i massaggi per testa, collo, spalle e mani per rilassare il corpo e alleviare le tensioni del giorno. Infine lo Styling Express, 5-10 minuti per rinvigorire e ridare forma alla propria acconciatura.

Blend Milano – (Via Marghera, 26)

In questo saloon boutique di tendenza possiamo scegliere tra servizi di Hair and Barber Styling, Beauty e Benessere. Infatti, convivono armonicamente una sezione dedicata ai capelli e l’altra ai rituali spa nelle ampie cabine di trattamento, una combinazione perfetta per chi è sempre di fretta e vuole ottimizzare. Il salone fornisce esclusivamente trattamenti e prodotti della massima qualità, ecofriendly, biologici e rispettosi sia della persona, che della natura.

Tonsor Club – (Via Palermo, 15) 

È il ritrovo per i veri gentlemen di Milano, uno spazio completamente dedicato alla cura maschile in cui genio del taglio e creatività dadaista si incontrano per rendere protagonista assoluto l’uomo contemporaneo. Ispirato al nome latino “tonsor”, che significa “barbiere” e che nell’antichità rappresentava per il mondo maschile un punto di ritrovo e condivisione della vita quotidiana, il Club non solo offre un servizio professionale, ma una vera e propria esperienza a 360°. È un luogo dove è possibile staccare dalla quotidianità, sorseggiare un drink, sfogliare un buon libro, mentre si ascolta un brano jazz e si vive l’antica tradizione della barberia italiana.

Clarins Skin Spa – (c/o Virgin Active Collection, Corso Como, 15)

Da un lato la boutique, dall’altro l’Istituto: uno spazio tutto Clarins dove poter scoprire segreti di bellezza e benessere che, associati ad un’attività sportiva costante, ne ottimizzano i risultati. La Spa offre la possibilità di evadere dai ritmi frenetici della routine quotidiana, tuffandosi in un universo unico, dove pulsa il DNA del brand. Oltre alle cabine di trattamento, lo spazio accoglie un inedito concept retail: Skin Beauty Express, look prêt-à-porter takeaway, veri e propri menu di bellezza completi per esaudire desideri specifici, racchiusi in accattivanti packaging da asporto!

®Riproduzione Riservata

Taste porta in tavola bacche, erbe e fiori

Week end dedicato al food italiano d’eccellenza quello che sta per cominciare a Firenze. Sabato, infatti, alla stazione Leopolda aprirà le porte la 13esima edizione di “Taste – In viaggio con le diversità del gusto”. Quest’anno il tema della manifestazione, che vede la partecipazione di 400 aziende, sarà il “foraging” ovvero la nuova tendenza culinaria che porta in cucina le piante selvatiche. Alghe, erbe, arbusti, licheni, semi, resine, radici, saranno i protagonisti di Ring, incontri con esperti del settore, moderati dal Gastronauta Davide Paolini, che si tengono all’interno del teatro dell’Opera, e di una serie di eventi curati da Pitti Immagine in collaborazione con Wood*ing, Wild Food Lab, il laboratorio di ricerca animato da Valeria Mosca. Il cibo selvatico è un’importante risorsa alimentare e culturale a impatto quasi nullo sul pianeta.
Tra gli eventi dedicati al tema il talk, condotto dalla forager & chef Valeria Mosca, con lo chef Roberto Flore del laboratorio di ricerca Nordic Food Lab di Copenhagen, “La Geografia del Foraging -Dalle Alpi alle coste italiane fino agli habitat del nord Europa. Perché raccogliere oggi? Secondo quali dinamiche è giusto farlo?”. Sabato 10 marzo, dalle 15 alle 17, le Serre Torrigiani ospiteranno invece Miniforaging: uno speciale workshop con merenda dedicato ai bambini dai 5 ai 10 anni, a cura di Wood*ing. Per tutta la durata della manifestazione, che si chiuderà lunedì 12 marzo, nel piazzale tra la Stazione Leopolda e il Teatro dell’Opera, si terrà “Storie di bosco”, la mostra-installazione di Dispensa  magazine.
Alla fine del tour di degustazioni è possibile acquistare i prodotti al Taste Shop in Piazzale Gae Aulenti. La scorsa edizione il negozio ha presentato 2.180 prodotti, 43.000 pezzi in catalogo, e sono stati oltre 20.200 i pezzi venduti.

Gli orari di apertura:
sabato e domenica dalle 9.30 alle 19.30 e lunedì dalle 9.30 alle 16.30

®Riproduzione riservata

CROSSFIT MANIA

Si riconferma trend per il 2018 il CrossFit, la disciplina creata da Greg Glassman negli Stati Uniti nel 2000, che mira a rafforzare la forza e la prestanza fisica generale dell’individuo attraverso esercizi ad alta intensità, calibrati alle capacità psico-fisiche di ognuno, eseguiti in brevi intervalli di tempo. Si tratta di un allenamento vario, che attinge a diverse discipline, tutte con differenti funzioni e caratteristiche, per raggiungere una preparazione fisica generale. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Bosio, Head Coach di CrossFit Cremona che in esclusiva per Manintown darà nelle prossime settimane ulteriori suggerimenti su come affrontare questa disciplina.

Che cos’è il CrossFit?
Il CrossFit è un programma di forza e condizionamento, che ha come scopo il miglioramento delle capacità psicofisiche dell’individuo, espresse nelle dieci componenti del fitness riconosciute: resistenza cardiovascolare e respiratoria, stamina (resistenza muscolare specifica), forza, flessibilità, potenza, velocità, coordinazione, agilità, equilibrio e precisione. Ciò, quindi, su cui si basa il nostro sport è la preparazione fisica generale. Nel CrossFit non si è specializzati solo su un elemento o su un dominio ma si è pronti ad affrontare prove multiple e costantemente variate. Tutto ciò si traduce nello sviluppo delle nostre capacità motorie tramite i tre grandi insiemi: ginnastica (elementi a corpo libero, sbarra e anelli, ecc.), sollevamento (olimpico, powerlifting, kettlebell lifting, strongman) e monostrutturale (corsa, vogatore, nuoto, bike, skierg).

Cosa significa esattamente? A cosa sono funzionali i movimenti?
Molto semplice, alla vita quotidiana! Imparare a sollevare un oggetto da terra in maniera sicura ed efficiente, trasportare un oggetto da un punto A a un punto B, imparare ad accovacciarsi e rialzarsi senza distruggerci un ginocchio è fondamentale, sia per un uomo d’affari che passa molto tempo in ufficio sia per un campione olimpico che fa della performance il suo pane quotidiano.

E la relativa alta intensità? Cosa significa?
Il CrossFit fa dell’alta intensità (relativa) una parte fondamentale della propria programmazione in quanto, insieme ad i movimenti funzionali, ci porta a un’ottimizzazione della risposta neuro endocrina. Con il termine alta intensità intendiamo la capacità di muovere tanto peso, per una distanza sempre maggiore e nel minor tempo possibile. Ovviamente, come anticipato, essa sarà relativa alle capacità psicofisiche di ognuno al momento dell’allenamento. All’interno del box, quindi, troverete un WOD (così chiamiamo l’allenamento del giorno, Workout Of the Day) che sarà frutto della programmazione studiata e ristudiata dai coach. La programmazione CrossFit è costantemente variata, vero, ma ciò non significa casuale. Ogni programmazione deve rispondere ai criteri scientifici di osservabilità, misurabilità e ripetibilità ovvero ogni singolo risultato deve poter essere registrato, misurato e ripetuto (o meglio migliorato) ed ogni classe deve essere condotta secondo i principi di sicurezza, efficienza ed efficacia dei movimenti.

Come è possibile misurare il miglioramento di un soggetto?
Molto semplice: tramite i cosiddetti allenamenti Bennchmarks, ovvero dei test sempre uguali che, periodicamente, vengono proposti nella programmazione stessa.

Il CrossFit è per tutti?
La mia risposta è sempre affermativa, dal momento che ogni classe è governata dal principio di scalabilità degli esercizi, ovvero la capacità di poter ridurre o modificare il grado di difficoltà di un determinato esercizio proprio per renderlo accessibile a chiunque. Questo è il motivo per cui, nella stessa classe, i coach riusciranno a guidare sia i principianti che i ragazzi più esperti verso il raggiungimento del risultato.

Come è nata la tua passione per il CrossFit?
L’amore per il CrossFit nasce più di 6 anni fa, ancora ero un semplice personal trainer in una globo gym, studente di Scienze Motorie. Il bisogno di una sfida con me stesso, di qualcosa che mi mettesse alla prova, in cui io potessi dare tutto me stesso, mi portarono a conoscere il CrossFit (allora non diffuso come oggi). Il box (chiamiamo così le nostre palestre) più vicino era a Parma ed ogni giorno, insieme ad un amico, prendevamo l’auto da Cremona ed andavamo ad allenarci. Dopo circa un anno e mezzo di allenamenti decisi di sostenere l’esame da CrossFit Level 1 Trainer per insegnare agli altri il nostro sport. Nell’ottobre 2014 ho iniziato a lavorare come coach per CrossFit Piacenza. Col passare degli anni ho ottenuto anche il CrossFit Level 2 e il CrossFit Kettlebell Trainer Certificate e ora sono qui, a CrossFit Cremona. La cosa più bella che potessimo realizzare (grazie al collega ed amico Gianluca Guzzon, owner del box) è stata proprio quella di portare lo sport del fitness nella città dove siamo cresciuti.

Hai altri progetti oltre al CrossFit?
Lavoro insieme alla mia compagna, farmacista, a un progetto chiamato Fuel Academy BM, volto all’ incremento delle performance di un atleta piuttosto che al miglioramento della salute di un utente, grazie alla combinazione di una corretta nutrizione/integrazione ed una precisa programmazione sportiva.

Photos by Gloria Perdomini
®Riproduzione Riservata

Frank Gallucci – proud to be italian

Cover_suits Suitsupply, Shirt Navigare, Turtleneck Brooks Brothers Belt Brunello Cucinelli, Watch Panamera, Shoes Barbanero

Appena si apre il suo profilo Instagram da 131 mila follower è impossibile non notare l’hashtag sotto al suo nome, #proudtobeitalian. Ed è proprio dello stile italiano che Frank Gallucci ha fatto la sua forza, per diventare ciò che è oggi. Classe 1986, una laurea a Perugia in scienze politiche ed economiche e un viaggio in Australia anticipano la creazione del suo blog quattro anni fa, che è diventato in poco tempo un punto di riferimento del lifestyle tricolore.
Come ti definiresti?
Rappresento l’uomo italiano, che veste con versatilità e disinvoltura più stili, dall’elegante allo sportivo.
Qual è la tua idea di stile?
Semplice. Credo nella bellezza italiana e nel Bel Paese.
Chi è oggi un influencer?
Colui che riesce a influenzare le scelte della gente. Io cerco di farlo trasmettendo il mio stile di vita, non solo con la moda, ma anche attraverso i miei gusti musicali, viaggi, food e molto altro.
Come vedi l’evoluzione dei social?
Facebook di sicuro non scomparirà mai. In generale, l’audience di questi anni non finirà, ma potrà essere veicolata in altre direzioni o verso la nascita di nuove forme di social marketing.
E quella del tuo business invece?
Sto lavorando per diventare consulente di stile, un punto di riferimento per aziende e designer.
Come immagini il tuo lavoro in un futuro lontano?
Tra 10 anni mi potrei vedere Ambassador.
C’è un lato negativo della tua professione?
Sì, quello di non staccare mai la spina.
Numeri del tuo business.
(Non risponde. E ride, ndr.)
Hai una città a cui ti senti legato?
Milano, dove vivo da quattro anni. Ha un dinamismo tramite il quale puoi riuscire in ciò che vuoi.
Quanti dei tuoi consigli sono veri?
Sono uno di quelli che rifiuta i lavori, soprattutto se mi vengono imposti. A questo proposito sottolineo che non sono seguito da agenzie, preferisco tessere personalmente le relazioni.
Conta più una bella faccia o un buon contenuto?
Il contenuto, anticipato da una bella immagine.
Quanto tempo dedichi alla preparazione del tuo look?
Non si parla di ore, ma molto meno.
Quali app usi per ritoccare le foto?
Mi affido sempre ai fotografi. Le foto postate al momento, invece, sono scattate dalla mia fidanzata Giulia Gaudino, che usa Snapseed.

Photo| Karel Losenicky
Stylist| Lucio Colapietro
MUA & Hair| Giuseppe Giarratana
Fashion Collaborators| Orsola Amadeo and Dario Amato

Read more on MANINTOWN magazine available in the best newsstands.

®Riproduzione Riservata 

The winner is: Gin Collesi

Il Gin Collesi si attesta come migliore gin italiano 2018, secondo la prestigiosa classifica mondiale dei “World Gin Awards”. Dopo una valutazione in tre round, una giuria indipendente composta da esperti del settore, critici e giornalisti ha decretato i vincitori tra centinaia di gin analizzati, suddividendoli in 9 categorie. Tra questi, il Gin Collesi ha conquistato, appunto, il titolo di miglior gin per l’Italia in ben due categorie: “classic gin” (gin che hanno una base pulita con un sapore neutro, che permetta di esprimere al meglio gli aromi degli elementi botanici dove, però, il ginepro è sempre dominante) e “contemporary style” (gin dal profilo organolettico in cui il ginepro è ben riconoscibile insieme ad altri aromi, come note agrumate, speziate o floreali, che nella tradizione sono meno prominenti). «Quello dei World Gin Awards è un prestigioso riconoscimento internazionale che apporta un’ulteriore conferma della qualità del nostro prodotto – sottolinea Giuseppe Collesi, presidente di Tenute Collesi – e ne siamo ancor più orgogliosi considerando la rapidità con cui è arrivato il premio dal suo lancio, avvenuto nemmeno due anni fa». Interamente made in Italy, il Gin Collesi, è frutto di una lavorazione artigianale che nasce da ingredienti di prima qualità, che l’azienda coltiva nelle sue tenute (con sede nelle Marche, ad Apecchio). L’acqua purissima del Monte Nerone, gli orzi, le bacche di un ginepro tipico dell’Appennino, le visciole, una dolcissima ciliegia nativa delle Marche, insieme ad altri preziosi botanici (luppolo, rosa selvatica, guscio di noce, e scorze di arancio e di limone italiani) creano la ricetta del gin vincitore.

®Riproduzione Riservata

Old Randa, le scarpe da Gentle Dandy

Per lui le scarpe sono l’equivalente della tela intonsa per i pittori o della pagina bianca per gli scrittori: una superficie su cui sbizzarrire la propria fantasia e far risaltare l’indole creativa. Lui è Andrea – Gatti all’anagrafe, Old Randa (vecchio randagio) per tutti – uomo dai mille interessi e talentuoso shoemaker, che ha fatto della patina la sua tela. Già, perché la vera passione di Gatti è la colorazione artistica delle calzature, detta con parole accessibili ai più. Il punto di partenza è sempre il medesimo, la scarpa con pellame in crust (bianco neutro) a cui Old Randa si accosta con estro e creatività. Una delle ultime applicazioni ideate da Gatti è il Grape Must, ottenuta dal mosto del vino. Le fasi di questa lavorazione sono varie e particolareggiate, le scarpe vengono dapprima immerse nel mosto per circa una settimana; successivamente si attua un processo di lavaggio. Per i due passaggi successivi, sempre a contatto col mosto, s’impiegano diverse settimane passate le quali, le scarpe vengono ripulite minuziosamente e infine vengono montate le suole personalizzate, con tavole antropologiche del ‘600 e viene effettuata la tipica bombatura delle calzature Old Randa. Il tocco finale viene dato dal cirage (lucidatura che regala alla pelle riflessi porcellanati) per esaltare ogni singola sfumatura data dal mosto e dal tempo intercorso. Non è finita qui. Le scarpe di Andrea possono avere anche la suola dipinta a mano, «La mia passione per i dettagli mi spinge a lavorare anche per 10 ore su un unico paio di scarpe» e il risultato non è mai uguale a nessun altro. Insomma, più che un pezzo unico, una calzatura irripetibile.

®Riproduzione Riservata

Milan Fashion Week: alla sfilata JZ JUZUI, conosciamo Liu Tao

Si chiama Liu Tao, ma in Patria è nota anche come Tamia Liu. Trentanove anni, segno del Cancro, carattere riservato ma grintoso che non le preclude di comunicare con un sorriso che abbatte ogni difesa, raccontando di lei più di mille parole. Una laurea in legge, due figli, in primo piano nelle cronache mondane e protagonista, attiva e seguitissima, sui social network. È attrice e cantante vincitrice di numerosi premi, brand ambassador e testimonial agli eventi di alcune delle più prestigiose griffe internazionaliLouis Vuitton, Prada e Fendi, per citarne alcune e manifesta quell’equilibrio tra bellezza interiore ed esteriore che è poi quello tra mente e corpo, ragione e sentimento. Abbiamo scorto l’allure discreto della sua figura mentre saliva le scale che, da Piazza del Duomo, conducono a Palazzo Reale, dove è stata madrina e special guest della sfilata JZ JUZUI, a chiusura della Milan Fashion Week. Presentazioni, sorrisi sofisticati e un po’ naïf nei photocall e qualche intervista gestita con gentilezza e un’empatia fatta di vaghezza e malizia.  È stato il marchio cinese, nella Runwalk che ha segnato il debutto della Maison in Italia, a volerla come volto che incarnasse i valori, non solo estetici, del brand. È difficile pensare a una scelta migliore. Con una personalità eclettica, Tamia esprime davvero il DNA di JZ JUZUI e della sua Collezione, dedicata a una donna moderna e dinamica, emancipata da qualunque senso di sottomissione al sesso maschile, protagonista di scelte decise. E così fa la Collezione, che ha riscoperto nella Gioia il proprio leit-motiv (scegliendo, non a caso, il quadrifoglio come simbolo), immaginata come sintesi tra Leisure, New Office e Party. Gli ingredienti? I tre momenti ideali della donna di oggi: un tempo libero vissuto con comfort, seducente self-confidence nella vita professionale, una sera tutta da giocare nel segno di una femminilità senza riserve, fatta di gusto e misura.
In occasione della sfilata, abbiamo avuto modo di chiederle:

Quali emozioni le ha trasmesso questa sfilata?
Mi ha dato un’idea precisa di come stia crescendo, per innovazione e qualità, l’industria della moda cinese. Sono stata sorpresa di quanti passi avanti siano stati fatti. Ho amato la sfilata e in particolare il suo tema, la gioia.

Quali aspetti di JZ JUZUI l’attraggono maggiormente e quali sono i punti di contatto che sente di avere col brand?
Amo il suo celebrare una femminilità elegante che nasce “da dentro”, dalla consapevolezza di sé e dalla gioia, come dicevamo. Io cerco di vivere la vita con positività, per quanto possibile. Come attrice, non importa quale sia il tuo percorso, devi cercare di riempire il tuo cuore di felicità e scorgere nel futuro prospettive sempre nuove. Come donna, poi, non conta la tua età, devi essere sicura, serena e positiva. Per questo posso dire che i valori che respiro in JZ JUZUI e che ho potuto vedere in questa collezione coincidono davvero con i miei.

Con il suo dinamismo, lei incarna il simbolo della nuova donna cinese. Attrice, cantante, testimonial, per non parlare della sua presenza sui canali social. Allo stesso tempo, mamma. Come riesce a coniugare tutto questo?
Semplice: con la voglia di vivere la vita appieno. Di scorgere in ogni occasione la possibilità di maturare e di crescere. Vivo la consapevolezza di avere un forte seguito come una responsabilità: so di essere un esempio per alcuni e così ho scelto un messaggio, cercando di comunicarlo con forza: la bellezza di spendersi sfruttando fino in fondo il proprio talento, vivendo il proprio tempo con intensità.

®Riproduzione Riservata

Francesco Marinelli: Domani è un altro ciak

Raccontami del tuo percorso…
Sono arrivato a Roma circa 4 anni fa all’età di 18 anni, subito dopo il diploma. Proprio Roma mi ha offerto l’opportunità di immergermi nel mondo del cinema. Durante le scuole superiori, grazie ad una mia cara professoressa (a cui sono sempre molto grato) ho girato due cortometraggi e durante queste primissime esperienze ho cominciato a pensare di poter intraprendere la carriera dell’attore. Ho capito subito che recitare rappresentava per me una grande passione. Mi sono immediatamente trasferito a Roma dove mi sono iscritto ad un’accademia di recitazione. Per mantenere gli studi ho cominciato a fare il modello, ho lavorato con diversi brand e ho girato l’Italia. Grazie a questo lavoro ho conosciuto molte persone, soprattutto vari fotografi, che mi hanno permesso di crescere professionalmente.

Quali le esperienze professionali per te più importanti?
Ho avuto la possibilità di girare video clip musicali e spot pubblicitari. Tra le collaborazioni per me importanti è stata quella con il gruppo musicale The Giornalisti per “Riccione”; ho lavorato per uno spot pubblicitario per Lavazza, fino al recente videoclip musicale di Mario Biondi “Rivederti” con cui ha partecipato a Sanremo 2018.  Grazie a queste esperienze ho avuto l’opportunità di confrontarmi con vari artisti. Attualmente sto lavorando per la prima volta nel mondo del cinema e credo sarà una bellissima esperienza, ma al momento non posso ancora svelare nulla! Intanto seguitemi su Instagram per scoprire il mistero @_francescomarinelli_

Come hai affrontato la sfida nel video Rivederti di Mario Biondi?
Lavorare con un’artista del calibro di Mario Biondi è stato sicuramente un immenso piacere, ma soprattutto grande motivo di crescita professionale e artistica. Ho affrontato questa sfida con tanta determinazione, ma come sempre con umiltà. Credo che non si smetta mai di imparare, ho fatto tesoro dei grandi consigli di questo artista, ora sono nel mio grande bagaglio di esperienze professionali.

La tua playlist con le 5 tue canzoni del momento?
Ram Jam –Black Betty
Litfiba – Vivere Il mio tempo
AC/DC – T.N.T.
Rino Gaetano – E cantava le canzoni
Lucio Battisti 29 Settembre

Una città che ti ispira e in cui vorresti tornare?
Non c’è una città particolare che mi ispira o in cui vorrei vivere o tornare. Ogni città mi ha dato a modo suo un’emozione e mi ha permesso di lavorare, incontrare gente e fare esperienze.

Photographer, stylist: Davide Musto
Grooming: Martina Storani
Model/Actor: Francesco Marinelli
Intimo: Calvin Klein
Leather Jacket: HE by Mango

®Riproduzione Riservata

JACK SAVORETTI, LA FORZA DELLA MUSICA TRA ITALIA E UK

Una voce ruvida, profonda e nostalgica e una chitarra. È Jack Savoretti, nome d’arte di Giovanni Edgar Charles Galletto Savoretti, cantante britannico di origini anglo-italiane: il padre, Guido, è genovese. L’esordio musicale avviene con due duetti, presenti nell’album del 2005, della cantautrice britannica Shelly Poole, mentre il suo vero primo disco, Between The Minds, arriva sul mercato nel marzo 2007, debuttando alla posizione numero 5 della UK Indie Charts. Fattosi notare anche in Italia, grazie ad alcune collaborazioni live con Elisa e con il cantautore genovese Zibba, ha pubblicato il suo ultimo album, Sleep No More, dedicandolo, interamente, alla moglie. Recentemente è stato anche scelto da GQ Italia tra i 30 uomini più eleganti durante la serata GQ Best Dressed Man.

Il tuo pubblico ti ama e ti segue soprattutto per i bellissimi live che proponi, in cui risulti molto coinvolgente e autentico.
Credo sia dovuto, anche, a chi ci segue e ci ascolta. Siamo riusciti, come in tutte quelle amicizie che crescono lentamente e non si basano su una moda, a creare un rapporto più vero. Chi viene a vederci ci conosce da molto e noi lo percepiamo.
Sappiamo il motivo per cui sono ai concerti, perché si sono informati per esserci: anche perché noi non veniamo ospitati su tutti i canali TV o in tutte le emittenti radio. In qualche modo, sono usciti dalla loro vita quotidiana per scoprire il nostro lavoro e ciò è fonte di rispetto reciproco. In più, è bello non solo per il pubblico, ma anche per noi. Ho tanti amici in questo business, molti hanno avuto successo e, spesso, soffrono, in quanto suonano per due ore davanti a un pubblico interessato a una sola canzone. Certo, aver creato un tormentone permette di avere alcuni lussi, ma da artista non è bello sapere che la gente è lì solo per quello. Non riesci a creare una connessione.

Quindi, il non avere un tormentone, ti ha permesso una maggiore libertà nell’esprimerti artisticamente?
Sì, è stata, un po’, la mia fortuna. In alcuni momenti – nei più difficili – sarebbe stato bello averlo creato, ma solo perché ti permette di guadagnare tanto da poter fare le cose a cui si è davvero interessati.

Forse, questo, è uno dei motivi per cui sei andato via dall’Italia?
Non sono mai partito dall’Italia, anzi, qui sono arrivato molto tardi. È stato molto difficile perché, senza il loro aiuto (Elisa e Zibba, con cui ha collaborato, ndr), l’industria musicale mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. Sono italiano, ma non abbastanza, perché non canto in italiano. Io e la mia band partiamo dai live. Volevo che la gente ci conoscesse realmente, ma, in Italia, esistono dinamiche diverse: o vai in tv e in radio o nulla. Noi come band veniamo dalla scuola di Guccini, Paolo Conte e Capossela. Abbiamo iniziato, ed è durato tre anni, dalle osterie e dalle pizzerie. Tutti ci dicevano che in quel modo non saremmo andati da nessuna parte, ma, poi, sono arrivati i teatri e, piano piano, siamo diventati ciò che siamo adesso, con un bel tour in programmazione. Ora, abbiamo degli amici in Italia ed è sempre un gran piacere tornarci, per la sua calda accoglienza e per il nostro seguito.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Sono cresciuto ossessionato da Lucio Battisti: è morto che avevo 13 anni ed era proprio l’età in cui scoprivo cosa significasse, per me, la musica. Prima di allora, era un qualcosa da suonare a una festa e basta. In quegli anni ho scoperto Simon & Garfunkel e Bob Dylan e sono rimasto sconvolto dal potere della musica italiana, vedendo reagire mio padre all’ascolto di Battisti: una montagna, un gigante (papà è sempre papà) intoccabile. Quando da immigrato italiano viveva a Londra, si stendeva quasi in lacrime e diceva: «ascolta questo». Diventava un altro uomo, un cucciolo e io ero affascinato da come questa musica potesse trasformare una montagna in un bambino. Da lì, ho ascoltato molta musica italiana per riuscire ad avere lo stesso effetto su mio padre.

Sono state importanti la tua famiglia e la sua storia, nella decisione di dedicarti alla musica?
In parte. Il motivo per cui mi sono buttato sul mercato italiano è legato alla passione e alla mia famiglia. Professionalmente, era un’idea sciocca. Tutti i contatti, con cui lavoravamo all’estero, erano contrari a questa scelta. Non funzionava, non vendevamo dischi, giravamo per suonare. A Londra e nelle osterie, qui. «Perché lo fate? È un mercato piccolo e non vi sta aiutando». Io volevo farlo per l’affezione alla musica italiana.

Una domanda di stile: cosa porti con te nei tuoi viaggi, come definiresti il tuo stile, cosa ti piace nella moda?
Adoro la moda, ma ho paura dei trend. Come vedi non sono trendy, mi piacciono le cose che avrebbe potuto mettersi mio nonno e che spero possa indossare mio figlio. Mi piacciono tutti quei capi senza tempo.

Cosa non può mancare in valigia?
Un bel cardigan di cashmere, soprattutto qui a Cortina (dove si è esibito ndr). Un cappellino è sempre importante e utile; gli occhiali da sole – specialmente nel nostro mestiere, in cui a volte si fa tardi – bisogna sempre averne un paio dietro; dei jeans che ti stiano bene addosso come fit.

Come ti rapporti ai social media?
Sono il brutto, il bello e il buono, dipende da come li usi. Io ho scelto Instagram, perché adoro le fotografie e mi piace, ma lo uso solo per lavoro. Ho un’unica regola: no family.

®Riproduzione Riservata

La nuova moda è limited edition

Ogni giorno, tra le fashion news, leggiamo della nascita di una nuova co-lab, pronta ad unire stili, clientele e differenti ambiti artistici. Stiamo parlando delle collaborazioni tra brand e artista, o tra due marchi, un modello win-win che dà vita a capsule collection inaspettate e nuovi trend concepiti da originali mix.
L’abbiamo visto l’anno scorso con la collezione che Supreme ha realizzato per Louis Vuitton. Cosa ha in comune il brand più parigino e bon ton con la comunità di skater americana? Assolutamente nulla, ma il risultato portato sulla passerella e poi nei negozi vende, e tanto anche, come se quello che il mercato vuole siano gli opposti che si attraggono.

Sempre più designer di firme high level collaborano con etichette low cost, offrendo uno stile delineato, riconoscibile e alla portata di tutti. Il direttore creativo di Loewe, Jonathan Anderson, ha realizzato la seconda collezione insieme al marchio giapponese UNIQLO. Il designer Irlandese ha scelto di ispirarsi allo scenario della tipica “British Summer” degli anni ’50. La spiaggia è quella di Brighton, i tessuti utilizzati sono il lino e il cotone in colori soft, bruciati dal sole: blu cobalto, rosso papavero, verde salvia, alternati ai classici bianco e beige.
La co-lab si compone di giacche di jeans riprese dai fifties, camicie a tunica, maglie a righe, polo, bomber, gonne a campana e camicie con nastri e increspature del tessuto, dettagli iconici del designer Anderson. La collezione primavera/estate 2018 è stata presentata a Tokyo lo scorso 24 gennaio e sarà acquistabile dal 20 aprile sul sito UNIQLO.com e negli store UNIQLO di 19 paesi.
La contaminazione stilistica tra due modi differenti di vedere lo stesso stile, permette di rivisitare un trend in una maniera del tutto nuova. L’opportunità di una collaborazione offre una nuova estetica anche per Kappa, che continua il suo percorso di posizionamento e co-branding con vari stilisti tra cui Gosha Rubchinskiy, Marcelo Burlon e Opening Ceremony. È arrivato ora il turno di Danilo Paura, designer affermato e icona dello streetwear. Un livello sartoriale applicato al trend dei mitici anni ’90 delinea un nuovo stile nel mondo streetwear. La genialità e l’originalità della banda, iconica ripetizione del logo degli omini, è applicata su denim e tessuti pregiati, su pantaloni e blazer dai tagli sartoriali, su bomber in morbida pelle con lavorazioni all over o ricami. La collezione è un flash della Spring- Summer 2018 ed è distribuita da metà Dicembre in store selezionati.
Per ASICS, Kiko Kostadinov lancia la GEL-BURZ 1, la scarpa sportiva con un sottile strato di gomma ricoperto da tessuto. La palette colori spazia dal limeade, al birch, al black, perfettamente in linea con la collezione del designer. La nuova silhouette è il risultato di una costruzione ibrida, che combina elementi della GEL- NIMBUS 20 e della GEL-VENTURE 6.
Dover Street Market a Londra ospita dal 4 Gennaio 2018 la prima collaborazione GEL- BURZ in numero limitato. A Febbraio 2018 si è tenuto il lancio globale nel Dover Street Market di Ginza, a Tokyo, che include – in un’installazione realizzata all’interno del loro iconico Elephant Space – la collezione ready-to-wear Kiko SS18 e le scarpe realizzate insieme ad ASICS.
Da Converse si celebra la street culture di LA, attraverso quattro collaborazioni che vogliono mettere in luce l’essenza dello streetwear californiano. A febbraio Converse ha lanciato le partnership con i brand Babylon LA, Rokit, RSVP Gallery e CLOT. Ciascun co-branding ha ridisegnato i classici modelli Converse: FASTBREAK HI, CHUCK 70 LO, ONE STAR CC e le CHUCK 70 HI, declinandoli in diversi colori e accompagnandoli da una capsule di abbigliamento.
Babylon LA è l’etichetta che ha creato un senso di comunità per i giovani di Los Angeles. Le silhouette rivisitate sono la FASTBREAK HI e la CHUCK 70 LO, il colore che predomina è il grigio, utilizzato per materiali come il velluto e il camoscio, con dettagli di alta visibilità come l’argento riflettente.
Anche lo streetwear label Rokit ha dato una propria visione delle FASTBREAK MID e delle CHUCK 70 HI, inserendo il segno distintivo del cerchio arancione di Rokit.
RSVP GALLERY declina le storiche ONE STAR CC e le CHUCK 70 HI, con stampe grafiche sui toni del giallo.
CLOT realizza le ONE STAR CC e le CHUCK 70 HI sui toni del viola e usa pelle scamosciata, maglia e velluto per la collezione di abbigliamento, una rappresentazione dell’anima cool e rilassata dello streetwear californiano.
Eden Park x Adidas dà vita ad un’esclusiva capsule collection, pensata per gli amanti dello sport che non vogliono rinunciare allo stile. Tra i capi di punta troviamo una felpa oversize stile bomber, una felpa sportiva con cappuccio, una polo, una canottiera, pantaloni sportivi da tuta disponibili in blu navy o grigio melange. La collezione include anche una novità assoluta: le Rugby Predator. L’iconico design della scarpa da rugby è stato progettato in onore di Dan Carter – neozelandese dal cuore francese – due volte vincitore del Rugby World Cup con gli All Blacks e giocatore del Racing 92. La collezione, composta da 17 proposte maschili e femminili, è disponibile presso l’e-commerce e i negozi Eden Park, sull’e-commerce di Adidas e su rugbyshop.com e boutique-rugby.com.
Carhartt WIP x HYPERFLY annunciano la loro capsule collection, disponibile nei negozi da fine febbraio. La co-lab consiste in una serie di Gi, outfit tipico per la pratica del Jiu-Jitsu, di cui Hyperfly, brand californiano, tiene alto il mantra “You Can’t Teach Heart”, riunendo una comunità di combattenti che hanno in comune il valore dell’autenticità, della diligenza e della perseveranza. Allo stesso modo la collezione riserva un’attenzione speciale nel dettaglio dei capi utilitari, carattere comune sia a Carhartt WIP che a Hyperfly. I Gi sono stati realizzati in tre colorazioni: blu navy, black ed Hamilton brown. Nei negozi monomarca Carhartt WIP di tutto il mondo sarà possibile acquistare gli outfit di tonalità nera, mentre il Gi nelle altre due colorazioni verrà distribuito da Hyperfly.
Reebok rinnova la partnership con i designer vincitori del NEWGEN per la stagione SS 2018, dopo il successo della prima capsule Cottweiler for Reebok, presentata all’interno di Pitti Uomo a gennaio 2017. Oggi, 1 Marzo 2018, avverrà il lancio ufficiale online e in selezionati fashion stores. La capsule collection SS18 celebra l’heritage sportivo di Reebok e la visione avveniristica di Cottweiler, in un’interpretazione rivoluzionaria dei capi sportswear tecnici. La collezione si compone di giacche leggere con cappuccio, track pants, t-shirt, short e poncho declinati nelle colorazioni sabbia, pietra vulcanica e lava. Un’audace palette di colori e le linee pulite definiscono la nuova linea in ogni elemento, con accessori e scarpe dal design polivalente e ricchi di dettagli funzionali e finiture esclusive. La capsule collection utilizza tecnologie all’avanguardia, quali strati di protezione UV, elementi multi-funzionali, silhouette versatili e ripiegabili unite a tagli di design per celebrare il DNA fitness di Reebok e l’approccio fashion contemporaneo del duo di stilisti britannici.

Sportive o streetwear, le collaborazioni sono il giusto twist per una moda che cambia sempre più velocemente, vendendo grazie all’edizione tanto limitata quanto esclusiva. Le firme di brand di nicchia o di personaggi di spicco nell’ambiente sportivo creano aspettative e trepidazione tra gli affezionati al marchio o tra chi, semplicemente, vuole essere alla moda e avere nell’armadio il Pezzo del Momento.

®Riproduzione Riservata

ADAM KATZ SINDING – Non chiamatelo influencer

cover_portrait by Jonathan Daniel Pryce Garconjon.com

Non gli piace essere chiamato streestyler, né tanto meno influencer. Preferisce essere chiamato fotogiornalista, perché considera il suo lavoro un report visuale di tutto ciò che avviene nel mondo della moda.
Il suo stile l’ha reso uno dei più importanti fotografi di street, questo è innegabile, ma soprattutto per quel tocco speciale e quella luce così intensa che solo le sue foto hanno, catturando l’occhio dei più prestigiosi brand di moda (da Gucci, passando per Dior o Helmut Lang) e magazine internazionali come W Magazine, In Style e Highsnobiety. Parliamo di Adam Katz Sinding, di cui tutti conoscono il lavoro sul suo sito le21eme.com ma di cui tutti, o quasi, sbagliano a scriverne entrambi i nomi.Grazie al suo talento ha iniziato anche una carriera di fotografo vero e proprio, realizzando campagne fotografiche, lookbook ed editoriali. Con il tempo è diventato una presenza costante a tutte le settimane della moda. È un artista on the go, animato da passione e temperamento da duro, il cui unico vizio è non fermarsi mai.

Chi è l’nfluencer più forte sui social?
Penso che Chiara Ferragni regni incontrastata se si parla di moda. Altrimenti in campi affini sono al top personaggi come le Kardashian, il clan Jenner e le Hadid.

Ti consideri un influencer dato il tuo seguito sui social?
Anche se suppongo che per definizione sarò considerato così, non mi identifico con questo titolo, anche perché non considero il livello di engagement così alto.

In che modo i social sono importanti per il tuo lavoro?
Mi appoggio molto a Instagram o Facebook per il mio business. Senza questi canali il lavoro non sarebbe lo stesso e non potrebbe essere visto dallo stesso audience in termini di grandezza. Il tuo account social diventa come creare una piccola galleria d’arte digitale, curata da te.

Utilizzi anche la tua immagine per promuovere il tuo lavoro e ottenere più like e follower? Funziona?
Cerco di evitare di postare foto di me stesso su Instagram. Sento che, anche se i miei seguaci sembrano apprezzare i contenuti personali, non ho piacere che il mio canale social sia seguito grazie alla mia immagine piuttosto che alle foto che scatto. Posto l’acronimo #AKSForeheadSelfie accompagnato da un selfie in cui si vedono gli occhi e la fronte. La mia opionione sul selfie è che darsi tutta questa auto-importanza è davvero noioso.

Quali sono i contenuti che hanno una migliore performance online?
Triste da dire, ma è il contenuto commerciale a fare da padrone, oppure immagini dai colori sgargianti come il rosso, il rosa o il giallo. Spesso la qualità delle fotografie ha poco a che fare con quanti like possano ottenere.

®Riproduzione Riservata

Quanto è buono questo selfie

Preparate i vostri smartphone e iniziate a fotografare i piatti che vi piacciono di più. Potreste essere i prossimi vincitori di “Selfie Food – una foto, una ricetta”, una nuova rubrica di cucina che andrà in onda, a partire da lunedì 5 marzo, su La7d (canale 29 del digitale terrestre). Dal lunedì al venerdì alle 18.00 e la domenica alle 17.40 Stefano Cavada, giovane food blogger di Bolzano, che ha trasformato la sua passione per la cucina in professione, cercherà sui social la foto più invitante, per poi studiarne e realizzarne in cucina la giusta ricetta, ricreando il piatto raffigurato, fino al “selfie piatto” finale.  Ogni giorno Stefano sceglierà una foto tra le 3 inviate dai telespettatori e riprodurrà, il più fedelmente possibile il piatto, inventandone la ricetta. Nella puntata speciale di domenica saranno ricordati i 5 piatti presentati in settimana e sarà decretato il vincitore.  Durante il programma Cavada andrà alla ricerca dei segreti della grande cucina: la preparazione di un piatto partendo da un ingrediente principe, le migliori tecniche per equilibrare i sapori e gli odori, fino ai tempi di cottura. Giurata d’eccezione della prima puntata sarà la food writer Csaba dalla Zorza, mentre nelle puntate successive sarà l’autore della fotografia del piatto vincitore della settimana precedente a vestire i panni del giudice.

Con Filippo Sinisgalli il menù è da Oscar

cover_L’executive chef de Il Palato Italiano Filippo Sinisgalli e la sua brigata 

Coniglio arrostito con mela e funghi; millefoglie di capasanta, mango giallo e zenzero; cappelletto farcito di burrata, limone e parmigiano reggiano con bisque di gambero rosso; ma anche wafer di astice e crema di ceci di Spello. Queste alcune delle proposte che lo chef Filippo Sinisgalli ha inserito nel menù della Oscar Lounge. Un menù speciale con piatti unici che dall’antipasto al dolce uniscono Nord e Sud in un’unica notte di tradizione e sapori italiani. Così Filippo ha studiato una reginella al ragù come omaggio alla nostra grande Sofia Loren, passando per la Liguria con dei “mini” cappon magro e proponendo anche un piatto davvero semplice come “il panino alla mortadella” oltre a una rivisitazione delle “fettuccine all’Alfredo”. Così, nella notte più importante per tutto lo star system internazionale la sfida per l’eccellenza nel gusto e nel saper trasformare un racconto in un’esperienza unica è già stata vinta da “Il Palato Italiano”, che per la seconda volta cucinerà per la “Gbk Luxury Gift Lounge”, una location aperta nei due giorni che precedono la cerimonia e sono di avvicinamento per tutti i Vip che si trasferiscono a Los Angeles per la notte degli Oscar.

Per quanto riguarda i dolci si inizia con il Gianduiotto (rivestito di carta dorata) che nasce a Torino (e ricorda nel nome la maschera piemontese Gianduia) dalla pasticceria dei primi dell’Ottocento, un cioccolatino che è quasi un tentativo di contrapporsi alla pasticceria francese, allora fatta di elementi d’architettonica nomea e “struttura”. Due secoli fa la maestria italiana ricercava stupore e bellezza in un’eleganza semplice che poteva permettersi l’uso di materie “semplici” come burro, cioccolato e nocciole. Questo cioccolatino per Palato nasce da un esperimento di un cuoco di brigata, fondendo elementi tradizionali come il bicerin e la gianduia. «Sì perché i dolci devono farli i pasticceri – sottolinea Filippo – ma i cioccolatini e le ganache (i ripieni) devono farli i cuochi, perché osano fino al limite, provando e riprovando fino a che quel gusto che si è solo immaginato o sentito nella mente venga espresso in appieno». Segue poi la morbidezza del “Cremino ai 3 cioccolati” sarà una delle esperienze culinarie che accompagneranno le stelle di Hollywood. «È il cioccolatino italiano per antonomasia – sostiene Sinisgalli – perché mette d’accordo tutti gli amanti e integralisti del cacao (il nostro ha una componente di fondente 85%)». Ci saranno anche il “Cioccolato e Strega” e il “Cioccolato e Limoncello”, i più amati dallo chef, che li descrive così: «Unire un liquore e del cioccolato non è semplice, le prove e le arrabbiature che hanno portato alla realizzazione di questi due cioccolatini sono talmente tante che potrebbero fare da combustibile per un volo transoceanico. Nei confronti dello Strega, in particolare, ho una sorta timore reverenziale, forse perché mia nonna lo conservava per le grandi occasioni, era il liquore “buono” da offrire al medico, al prete e a pochissimi altri eletti. Sul Limoncello che dire, sono un uomo del Sud, ho il sole dentro; credetemi, essere inebriati dal profumo dei limoni della Costiera che io stesso seleziono, crearne un elisir profumato del colore del sole stesso, unirlo a un cioccolato finissimo del Madagascar al 70% è un’esperienza sicuramente da provare».

A tutti gli ospiti della Gbk Luxury Gift Lounge verrà omaggiato con un esclusivo “kit spaghetti”. Si tratta di una scatola contenente ingredienti selezionati di produttori e artigiani italiani.

®Riproduzione Riservata

ALESSANDRO ENRIQUEZ – THE POWER OF BEING A 360° CREATIVE

Arrivano direttamente dal cuore dell’Italia le ispirazioni di Alessandro Enriquez. Nato a Palermo, in quella Sicilia pulsante dell’immaginario collettivo, ha girato il mondo per seguire i suoi studi di moda. Riconosciuto, da subito, come un designer di successo, ha lavorato per sette anni per Costume National, prima di lanciare la sua linea di borse e quella di abbigliamento, caratterizzata dalle “collezioni all’italiana”, che invece porta il nome del primo libro pubblicato da Alessandro, “10×10 An Italian Theory”. Un testo di moda, food e lifestyle, che lo ha avvicinato alle riviste con cui collabora tuttora e che, come tiene a precisare, non può che considerare, «il proprio portafortuna».

Il tuo è un percorso eclettico: dal design al digital. Raccontaci il tuo DNA creativo e in che modo lo declini in ambiti diversi?
Il mio percorso “misto” mi ha condotto verso strade creative diverse, che mi piacciono e stimolano tanto. Invento ed elaboro, con un occhio comunicativo, proprio per la voglia e il desiderio di creare comunicando e viceversa. Laureato in Lettere e appassionato di letteratura antica e di moda, ho sempre mixato diversi mondi. Dopo gli studi mi sono dedicato al mondo della moda, disegnando per Costume National, di Ennio Capasa – che reputo uno dei mie piu bravi “maestri di vita”, oltre che professionali – per sette anni. Durante gli ultimi due anni, “di nascosto”, mi sono dedicato alla scrittura di un libro che, nel 2012, è stato pubblicato in lingua italiana. “10×10 An Italian Theory”, un testo di moda, food e life style ricco di illustrazioni. Il riscontro positivo di questo testo, che considero un portafortuna, mi ha avvicinato a diverse riviste, con le quali ho iniziato, e tuttora continuo, a collaborare. Parallelamente è nata una linea di abbigliamento che porta lo stesso nome del libro. Mi ha regalato molte soddisfazioni, soprattutto le “collezioni all’italiana”, come quella con la pasta, facendomi diventare una sorta di ambassador dell’italianità all’estero. Mi ha permesso di costruire il mio DNA creativo. Alla collezione di abbigliamento ho affiancato, nel 2016, una collezione di borse con il mio nome, interamente made in Italy.

La tua definizione di influencer/blogger/ambassador
Colui che consiglia, comunica e porta il suo esempio, il suo stile. Una formula moderna di un micro giornale – in formato app – che ognuno di noi possiede. Come tutti i giornali, il suo esito è soggetto all’interesse dei lettori.

Come vedi l’evoluzione del mondo social e del tuo business?
Sicuramente il mondo social crescerà ancora di più e assumerà sfaccettature diverse. Oggi, gli influencer sono diventati una sorta di celebrity, attraverso una forma democratica di comunicazione. Forse, domani, grazie ai social nasceranno nuove figure. Credo che tutto questo sarà di supporto per molte persone.

Quale è, secondo te, il social del futuro?
Instagram è sicuramente il più gettonato, al momento. Sono convinto che verrà potenziato e che, a poco a poco, ci saranno tanti aggiornamenti. Il passo successivo? Non saprei. Ci affidiamo ai geni, sperando di imparare velocemente l’uso delle novità.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
I miei quote sono tutti sinceri e vengono dal cuore. Alcuni divertenti, altri con un tono più tagliente, ma tutti rispecchiano il mio pensiero.

Come vedi l’evoluzione della moda con il digital e fenomeni come “see now buy now”?
È sicuramente una soddisfazione, per i clienti fanatici della moda, ma credo che la scelta di alcune Maison francesi – di ritagliare delle piccole capsule in vendita solo in boutique, immediatamente dopo averle mostrate in passerella – possa essere una svolta positiva per risollevare il mercato. Trovo sia giusto ricreare quel rapporto cliente/negozio che oggi si sta un po’ indebolendo.

La professione dell’influencer ha una data di scadenza?
È una professione che non scade. Si è artefici della propria data di scadenza. Ognuno di noi sa bene che i social sono come le macchine e vanno alimentati tanto.

La tua passione per il mondo dei cartoon e per il lato pop nella moda
Mi ritengo un eterno Peter Pan, e il mondo dell’illustrazione è sempre stato di mio interesse. Con i cartoon ho un bellissimo rapporto e, molte volte, gli “chiedo di giocare” con le mie collezioni, donandogli una cittadinanza italiana. Titty cucina la pasta, Bugs prende il caffe napoletano, Felix sogna l’Italia. Per me, sono parte della nostra storia, di quella del cinema, e credo che abbiano un grande valore. Avere come partner colossi come Universal o Warner Bross, è un grande riconoscimento per il mio lavoro. Di loro non mi stanco mai.

I tuoi 5 posti del cuore in Italia o nel mondo?
Sono siciliano, amo la cucina e cucinare, e mi affascinano i luoghi dove posso assaporare i gusti di una volta. C’è un piccolo ristorante, nel cuore di Ortigia (Siracusa), che si chiama La Foglia: ricette tipicamente siciliane rivisitate, arredamento kitsch-vintage colorato e proprietari dolcissimi. A New York, il ristorante pugliese Mercato, mi ricorda l’Italia ogni volta che vado. A Barcellona, città del cuore, dove ho vissuto diversi anni, visito sempre il MACBA (Museo di Arte Contemporanea) e subito dopo, corro a bere un caffe e ad assaggiare i dolci realizzati nei conventi spagnoli. Tutto questo al Caelum, nella zona gotica in centro. I “marche au pouce” di Parigi e Portobello, di Londra, sono la mia passione. Banner e 10corsocomo a Milano i department store che preferisco, con una bellissima selezione e un’attenta cura al cliente.

®Riproduzione Riservata

4 FITNESS TREND PER IL 2018

In cima alla lista dei buoni propositi per l’estate prossima c’è sempre lei: l’attività fisica. Se ancora non avete rinnovato l’abbonamento in palestra, ecco quattro nuovi trend per il 2018, in fatto di allenamento da cui lasciarvi ispirare e tentare.

GET! Gymball Evo Training

Un unico attrezzo richiesto: la gymball “Original Pezzi”® Gymnastikball MAXAFE®. È il GET! Gymball Evo Training, un allenamento funzionale, ideato da Davide Zanichelli, che sfrutta il sovraccarico naturale e che necessita solo di questo attrezzo colorato e divertente. Un’attività da fare in gruppo o da soli, ma rigorosamente a tempo di musica. Tre sono le tipologie tra cui scegliere, o, perché no?, da alternare per un training completo: G.A.G. (Gambe, Addominali e Glutei), Cardio e BODY. Il primo tipo si concentra negli arti inferiori e i glutei, il secondo richiede un lavoro più specificatamente cardiovascolare e, infine, il terzo consiste in un allenamento total body in cui sono interessati braccia, spalle, petto e dorso. I benefici sono un aumento dell’equilibrio, della coordinazione e dell’agilità, oltre a una buona dose di buonumore.

RUNNING

Un paio di scarpe buone è l’equipaggiamento sufficiente a praticare la corsa, che raccoglie sempre più appassionati, in tutte le sue forme, dalla camminata veloce al nordic walking, fino alle maratone. I neofiti potrebbero iniziare in palestra, correndo sul treadmill, che permette un controllo costante della frequenza cardiaca, migliorando, di conseguenza, la resistenza aerobica senza rischiare picchi di frequenza cardiaca. Dopo aver preso confidenza, si può passare all’allenamento all’aria aperta, che implica un maggiore dispendio di ossigeno e quindi una maggiore efficacia in termini di attivazione muscolare e sforzo fisico. Se si vuole allenare tutto il corpo, si può optare per il nordic walking, una camminata che necessita di due appositi bastoni su cui esercitare una certa forza a ogni passo. Si vanno a sforzare i muscoli della parte superiore del corpo, andando a lavorare anche sulla mobilitazione articolare di polso, gomito e spalla. Inoltre, rispetto a una semplice camminata, si registra un incremento del 46% sul consumo di calorie!

PILATES

Accanto ad attività principalmente cardio, troviamo il Pilates, una disciplina che aiuta ad assumere e a mantenere una postura corretta e a conferire maggiore agilità e fluidità nei movimenti quotidiani. Alla base si lavora sulla consapevolezza profonda del proprio corpo e della propria mente che, insieme, agiscono per eliminare rigidità, tensioni e problemi alla schiena: il Pilates, infatti, è un’attività utilizzata anche in campo riabilitativo. La respirazione è fondamentale, e deve essere coordinata ai movimenti, cosa che implica un grande controllo, precisione e concentrazione nell’esecuzione corretta delle sequenze di esercizi. Il Pilates può essere praticato a corpo libero, con l’uso di piccoli attrezzi, o con macchine come il Reformer, la Cadillac e la Chair, che sfruttano l’azione di alcune molle per andare a lavorare su muscoli profondi che normalmente non sono sollecitati in assenza di gravità. Il Matwork, invece, prevede semplicemente l’uso di un tappetino ed è più faticoso rispetto alle macchine, in quanto si va contro la forza di gravità.

YOGA

Lo yoga è una delle discipline orientali più antiche, che comprende molteplici espressioni e correnti diverse. Un esempio è l’Ashtanga Vinyasa yoga, caratterizzato da uno schema ben definito di sequenze asana, talvolta complesse e impegnative dal punto di vista fisico. Negli ultimi anni si sono sviluppate anche delle forme ibride più “estreme”, come il surfing yoga, ancor meglio se praticato nelle meravigliose spiagge del Portogallo, del Marocco o del Sud America. Per tutte le coppie più audaci di amici o innamorate esistono l’acroyoga e lo yoga volante, che consistono in sequenze da fare in due, sfruttando al massimo il peso corporeo, allenando l’equilibrio, la forza, la coordinazione e, non per ultimo, il senso di fiducia. Un esempio di yoga più cardio e combattivo è il boxing yoga, che unisce le asana, le posizioni classiche dello yoga, con elementi della boxe. Infine, se amate andare in discoteca, il clubbing yoga potrebbe fare al caso vostro. Musica elettronica, hip-hop o pop ad alto volume fa da colonna sonora per lezioni divertenti e anticonvenzionali, che favoriscono l’interazione con gli altri componenti del gruppo, siano essi principianti o esperti.

®Riproduzione Riservata

MAGIA IN CUCINA

Nella sua cucina ingredienti, utensili, pentole e piatti levitano, creando una magia che gli ha fatto guadagnare quasi 60mila follower su Instagram. «L’idea di fotografare oggetti sospesi – spiega Francesco Mattucci, ideatore di @kitchensuspensionnasce da una situazione assolutamente quotidiana, per ragioni di spazi, necessità, esigenze la cucina è il posto della casa che vivo di più. Guardandomi attorno ho pensato di creare un luogo dove gli oggetti che popolano la mia cucina possano “animarsi” in maniera insolita, quasi a giocare tra loro e quindi uno spazio dove il cibo non abbia più una rappresentazione classica, dove possa estraniarsi dai contesti nei quali viene normalmente immortalato, vivendo quasi una vita propria e, naturalmente, divertendosi». Per lui la svolta da creativo a influencer è stata quasi immediata. Prima la pubblicazione di una serie d’immagini nella home page di Repubblica e, pochi mesi dopo, l’intervista sul blog di Instagram, hanno portato al progetto grande visibilità in tempi ristretti. «Non mi ritrovo tanto nella definizione di “influencer” – continua Mattucci – non mi sento tale e non credo che le mie immagini possano invitare le persone all’acquisto di un prodotto, invece che un altro. Io credo che il progetto di @kitchensuspension funzioni, perché le immagini che lo compongono sono sempre in grado di sorprendere e bloccare per un secondo l’attenzione degli utenti che vi incappano. Questo è un profilo studiato ad hoc per l’online e in questo contesto funziona, il mio follower sa sempre cosa aspettarsi dalla prossima foto ma, in realtà, ne rimane ogni volta sorpreso». Ogni scatto di Francesco ha dietro un lavoro lungo e paziente, basti dire che per fotografare la coppa con il gelato sospeso in volo, ci sono voluti quasi due giorni di lavoro. «Non esiste un metodo per ottenere questi scatti – conclude – ogni immagine ha le sue caratteristiche e il sistema per sostenere gli oggetti che la compongono cambiano di volta in volta, il difficile sta proprio nel costruire set diversi per ogni scatto. È comunque fondamentale una massiccia dose di post-produzione per ottenere gli effetti voluti».

®Riproduzione Riservata

Carlo Sestini: cittadino del mondo

Nato e cresciuto a Firenze, Carlo Sestini si è trasferito in Svizzera all’età di tredici anni e, successivamente, a Londra per frequentare la Regent’s University. È un appassionato di arte e di alta moda. Il suo stile è sofisticato e ricercato, il suo guardaroba include pezzi iconici e capi vintage. È appena rientrato da Los Angeles, dove ha studiato recitazione.

La tua definizione di influencer/blogger/ambassador?
È una persona che riesce a influenzare i gusti e gli acquisti del pubblico attraverso i propri profili social, anche se è un termine spesso usato in modo inappropriato.

Come vedi l’evoluzione del mondo social e del tuo business?
L’universo digitale viaggia così velocemente da permettere di poter realizzare in futuro tutto quello che oggi è solo frutto di immaginazione anzi, nella maggior parte dei casi, qualcuno lo sta già brevettando. Mi piacerebbe acquistare direttamente da Instagram, senza dover passare per i singoli siti di vendita online, significherebbe risparmiare tempo e avere la possibilità di comprare esattamente quello che vedo. So che Instagram sta già testando questa nuova funzionalità in diversi Paesi, ma in Italia non è ancora possibile.

Quale secondo te il social del futuro?
Instagram, Instagram e ancora Instagram.

Lato negativo della tua professione?
Non credo ci siano lati negativi

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
Un contenuto sponsorizzato non significa necessariamente che non sia sincero, ma, personalmente, controllo tutte le mie collaborazioni. Se un marchio – o la sua richiesta – non si adattano al mio stile, ringrazio di cuore ma declino.

Consiglio pratico di stile o beauty o posti che ti piacciono?
Londra è la mia seconda casa anzi, forse, è diventata la prima. Mi sorprende sempre con ottimi ristoranti, spa, palestre e club. Suggerirei Mr Chow per una cena cinese e Annabel per un drink. Fondato quasi 50 anni fa, è uno dei club più eleganti al mondo.

La professione di influencer ha una data di scadenza? Come immagini il tuo lavoro da vecchio?
Cerco di godermi al massimo tutto quello che faccio, ora che sono giovane ed entusiasta del mio lavoro. In futuro? Probabilmente un’attività in proprio, forse un brand o qualcosa di simile legato al lifestyle.

Conta più una bella faccia o un bel contenuto?
Un buon contenuto è per sempre.

Quale applicazioni usi per ritoccare le foto e quanto ritocchi per creare lo scatto perfetto?
Dipende dal tipo di foto, ma non sono un maniaco della post-produzione. Credo che siano le imperfezioni a rendere le immagini uniche.

®Riproduzione Riservata

Nuovi must-have: uno zainetto per tutti!

Se c’è un accessorio che più associo alla mia adolescenza, quello è lo zaino. Dai pomeriggi interi passati davanti alla televisione – a guardare “Non è la Rai”, con il suo gioco di indovinare cosa c’era nello zainetto di Ambra – alla mia prima vacanza da solo all’estero, accompagnato dal fedele e coloratissimo Invicta. Poi, crescendo, ho preferito altre borse, per le mie avventure. Dopo un po’ di anni in cui per me zainetto era sinonimo di uno stile un po’ troppo teen, mi sono accorto, invece, di come questa proposta, fra le tante borse, sia in realtà una delle più pratiche e comode e abbia acquisito con il tempo una versatilità di uso che è perfetta per il mio quotidiano, sempre di corsa fra mille impegni. E se ne sono accorti anche brand e stilisti, perché nelle ultime stagioni si sono moltiplicate le opzioni, da quelle colorate e decorate, per un pubblico forse più giovane e fashion addicted, ad altre tecnologiche e sporty, per chi non rinuncia allo zaino per andare in palestra o per fare jogging, fino a proposte seriose e dal design essenziale e minimal, dal sapore urbano e perfette per il manager annoiato dalla solita valigetta ventiquattrore. Vi proponiamo una carrellata di backpacks che ci sono piaciuti e ce n’è davvero per tutti i gusti.

Ha collaborato Orsola Amadeo

®Riproduzione Riservata

Un cuoco in tv

Simone Rugiati già 13 anni orsono spignattava davanti ai fornelli, insegnando a una platea, che ancora non aveva dimestichezza con stelle e piatti d’autore, come fare il soffritto perfetto. «Io – dice Simone – vado in televisione per far cucinare le persone a casa loro. Il resto è show. Far vedere al grande pubblico come si realizza il piatto di uno chef stellato è un puro esercizio di stile, che serve solo a portare gente nei ristoranti. Infatti, per replicare certe ricette non solo ci vuole un’abilità che si acquisisce con anni di lavoro e di studio, ma sono necessarie materie prime di non facile reperibilità». Sui social, invece, ha iniziato da poco, ma ha già ottenuto un grande successo (quasi 300mila follower su Instagram e oltre 500mila su Facebook) tanto da essere, ormai, considerato un influencer. «Sono stato uno degli ultimi nel mio settore ad avere il profilo sui social network e li avevo aperti per farmi conoscere meglio da chi mi seguiva in televisione. Col tempo, mi sono strutturato e ora ho un’agenzia che mi affianca. Per me i social sono un grande bacino dove intercettare le necessità del pubblico, ma anche testare i prodotti nati dalle mie collaborazioni o interagire con chi mi segue. Molte volte porto in trasmissione proprio i temi che mi vengono suggeriti dai mei follower». A completare la vita professionale di Simone manca ormai solo un ristorante. «Molti investitori – conclude Rugiati – mi chiedono di aprire un ristorante, ma devo ancora crescere e poi nella vita non si possono fare troppe cose contemporaneamente. Uno chef, a mio parere, deve stare in cucina e io adesso ho altre priorità». Intanto Simone sta costruendo la filiera che, in futuro servirà il suo ristorante. Infatti, Foodloft (la factory house di Rugiati) è fra i partner di “Coltivatori di Emozioni”, la piattaforma che vuole avvicinare il consumatore alle attività agricole rendendolo partecipe del ciclo produttivo, “adottando” un coltivo a scelta tra ulivi, filari per il vino, arnie e frumento. Altro obiettivo di Coltivatori di Emozioni è il recupero e la valorizzazione dei terreni incolti che, a oggi, si trovano in Puglia, Sicilia, Calabria, Molise, Marche, Lombardia, Toscana, Piemonte e Veneto.

®Riproduzione Riservata

Capelli in riga

Ogni uomo passa davanti allo specchio un tempo diverso, soprattutto nella cura dei propri capelli. Che siate precisi, sbrigativi, sportivi o perfezionisti, ricordate sempre che esistono prodotti specifici e ottimali per tutte le attitudini e ogni necessità di capello. Anche se di fretta, basta poco per avere una capigliatura ordinata, che ci rende sicuri di noi e pronti ad affrontare la giornata.
Prima di presentare alcuni degli ultimi must have maschili, tre consigli da tenere a mente per il nostro rituale quotidiano:
Lavaggio: Sì ai lavaggi frequenti, due passate di shampoo al mattino sono l’ideale: la prima deterge, la seconda rende il capello lucido e splendente.
Asciugatura: Pre-asciugare con un asciugamano in microfibra soprattutto i capelli fini. Investite in un buon phon, che unisca la giusta potenza al corretto livello di calore.
Styling: Generalmente se il prodotto è valido basta davvero una modica quantità, per fissare senza seccare e sporcare la nostra chioma. L’espressione, melius abundare quam deficere non si applica all’haircare.

Tigi
La proposta di Tigi unisce uno shampoo e un balsamo per lavaggi quotidiani, arricchiti con ingredienti molto apprezzati dalla cute maschile, come il mentolo e il peppermint.

  • Clean Up Daily Shampoo: valorizzato da estratti di palma nana, semi di girasole, citronella e mentolo, idrata e districa i capelli lasciandoli luminosi
  • Clean Up Peppermint Conditioner: dall’aroma fresco, aiuta a riparare i segni dei danni causati da fattori ambientali, aggiungendo volume e lucentezza al cuoio capelluto

Vichy
Un rituale completo disponibile direttamente nella versione coffret, per l’aumento della massa capillare.

  • Shampoo rigenera spessore e Balsamo rigenera spessore, per aumentare la consistenza dei capelli
  • Trattamento concentrato moltiplicatore di massa capillare, per accrescere il numero dei capelli

Aveda
Uno dei principali problemi del capello maschile è il diradamento. Aveda ci propone:

  • Invati men™ nourishing exfoliating shampoo: esfolia la cute e aiuta a rinforzare i capelli che tendono a diradarsi
  • Invati men™ scalp revitalizer: un trattamento per capelli subito più folti dalla radice. Da massaggiare sulla cute per rinvigorirla

L’Oreal Barber Club
Adatto per chi è molto pratico o chi ha poco tempo. Il nuovo Detergente 3 in 1 di L’Oreal Men Expert è ideale per viso, capelli e barba. La sua formula senza sapone, con olio essenziale di cedro, ravviva i capelli con un’azione confortevole sul cuoio capelluto oltre a essere ottimale per rimuovere impurità e cattivi odori dalla barba.

Label.men
Due alleati dello styling come Label.men Grooming Cream, una crema versatile, impalpabile, per garantire definizione e controllo da applicare prima dell’asciugatura. Resurrection Style Dust, polveri miracolose (per capelli chiari e scuri) per radici amplificate al massimo, un volume sotto controllo e una texture esageratamente matt.

Sebastian
Infine, per gli amanti della lacca, due spray da utilizzare prima o dopo l’asciugatura:

  • Shaper Zero Gravity™: Hairspray asciutto, pettinabile, controlla senza appesantire. Da applicare durante l’asciugatura, per cambiare ogni volta volume e forma, in una perfetta definizione.
  • Sebastian Shaper Fierce ™: Finish Hairspray tenuta extra forte. Dopo la piega, fissa lo stile dei capelli per tutto il giorno e garantisce la perfezione in ogni momento, anche dopo ore.

®Riproduzione Riservata

Music talent da seguire: THOMAS COSTANTIN debutta col suo primo EP Fire

E’ uno dei nomi della scena musicale milanese: Thomas Costantin inizia la sua carriera a soli diciassette anni ed è oggi uno dei Resident DJ del Plastic. Ma cosa più importante il 23 febbraio, col nome d’arte di THO.MAS, sarà pubblicato Fire, il suo primo EP, dai ritmi dark e teatrali. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare non solo la sua grande passione per la musica, ma per scoprire anche le passioni che alimentano il suo immaginario. E avere un’anteprima del suo primo EP.

Qual è il primo ricordo che hai, legato alla musica?
Ricordo di un giovanissimo Thomas, di circa 5 anni, con i capelli biondissimi e corti. Ero in vacanza con mia nonna al mare, da solo, e lei aveva una musicassetta di Madonna, True Blue. L’ho consumata!

Quali sono i maestri o le persone che ti hanno ispirato o hanno avuto un ruolo importante nella tua formazione?
Non sono stati proprio i maestri, quanto le amicizie a influenzarmi e farmi scoprire cose nuove: Nicola Guiducci ha fatto nascere in me l’amore per le sonorità da club, mentre Francesco Pistoi mi ha spinto a creare la mia propria musica. Per il resto, cerco ispirazione ovunque: essendo molto curioso, in tutti questi anni mi sono creato un bel background, indirizzato a ricercare nuovi suoni e nuovi artisti.

Parlaci del concept del tuo primo EP e delle collaborazioni più importanti.
Il concept del mio primo lavoro è totalmente in linea con la mia estetica, un mix tra antico e moderno.  Ho utilizzato solo strumenti elettronici: ormai, si può fare davvero di tutto con un Mac e software come Ableton, per esempio. Adoro inserire sample di vecchi film e pezzi vintage nelle mie creazioni. In Jl ci sono dialoghi in italiano da Alphaville, di Godard, uno dei miei registi del cuore. In Fire è presente la splendida voce di Georgia Gibbs, direttamente dagli anni Cinquanta. Le collaborazioni per i remix sono state un successo! I miei amici B-Croma hanno dato un touch super londinese a Fire, Jerry Bouthier ha trasformato il THO.MAS (nome d’arte, ndr) super dark in una versione disco tutta da ballare, Ormas & Atmosphereal mi hanno conferito una dimensione house che non vedo l’ora di suonare. Infine Pisti – un maestro – ha creato un pezzo che fa vibrare, sembra di trovarsi in un club alle 4 del mattino.

Thomas e la moda: quali sono i tuoi brand preferiti e perché?
Sarò di parte, sicuramente, ma Gucci con la direzione creativa di Alessandro Michele è nel mio cuore: così sofisticato e spiritoso, con le citazioni dei miei idoli come Elton John che trovo molto interessanti e, poi, ha rivoluzionato completamente il concetto di brand, lavorando con numerosi giovani creativi e artisti. Adoro Palomo, un brand spagnolo genderless, geniale!  Mi piace moltissimo anche Missoni, i loro maglioni sono tra le cose che amo di più indossare, impazzisco per le scarpe di Church’s e adoro lo stile spaziale di Iris Van Herpen.

L’ultimo libro che hai letto o la mostra che consiglieresti di visitare?
L’ultimo libro è Antichi maestri di Bernard, consigliatomi da una persona che mi conosce molto bene e, infatti, ci ha azzeccato. Adoro il cinismo sano.
Una mostra che consiglio è l’ultima inaugurata al Pirelli Hangar Bicocca, The Dream Machine is Asleep di Eva Kot’átková, artista della Repubblica Ceca. Riflette sullo stato delle malattie mentali, sui sogni e sulle regole imposte dalla società attraverso installazioni e opere performative dalla grande forza espressiva.

 Se la tua musica fosse un piatto, sarebbe…
Penso un dolce alla frutta, il mio preferito.

Quali sono la città che più ti ispira e il luogo in cui ti rifugi per ricaricarti?
Parigi è sempre nel mio cuore, piena di energia e bellezza. Dico spesso che prima o poi mi ci trasferirò. Raramente ho bisogno di trovare un rifugio, ma, quando accade, non è importate il luogo ma la compagnia. Se voglio stare da solo, resto a casa, in mezzo alle cose che amo.

Quando parti, cosa non manca mai in valigia?
La lacca per capelli, il Mac e almeno un outfit mai indossato, per andare ad una festa. Non si sa mai…

I 5 film, per te, più significativi.

  • Laurence Anyways (2012, diretto da Xavier Dolan, con Melvil Poupaud e Suzanne Clément);
  • Orlando (1992, diretto da Sally Potter, con Tilda Swinton);
  • Le conseguenze dell’amore (2004, diretto da Paolo Sorrentino, con Toni Servillo);
  • Fantastic Mr. Fox (2009, diretto da Wes Anderson, con le voci di George Clooney e Meryl Streep);
  • Blue Jasmine (2013, diretto da Woody Allen, con Cate Blanchett e Sally Hawkins).

®Riproduzione Riservata

A Madrid è tempo di ARCO

Cover_The Couch with Ada O’Higgins by DIS

Il mondo dell’arte – si sa – è oramai sempre più globalizzato e se anche è vero che fra un evento importante in Europa e uno in Centro America o in Asia probabilmente si vedranno uomini e donne con atteggiamenti, vestiti e accessori molti simili fra loro, quello che rende ancora, soprattutto le fiere d’arte, degli eventi unici è il contesto in cui si sviluppano. In Europa il mondo dell’arte si “risveglia” a Madrid con la fiera ARCO, che si terrà come tradizione nei padiglioni della Fiera madrilena dal 21 al 25 febbraio. Questa manifestazione decisamente accogliente e mondana non è solo un punto di riferimento culturale per la Spagna e l’Europa, ma anche per tutta l’America Latina. È questa certo un’ottima occasione per un weekend alla scoperta del lato contemporaneo della capitale spagnola. Ecco alcuni suggerimenti su dove recarsi dopo aver visitato la trentasettesima edizione di ARCO con le sue 208 gallerie provenienti da 29 paesi.
www.arcomadrid.es

Il centro culturale sperimentale La Casa Encendida presenta la mostra Thumbs That Type and Swipe: The DIS Edutainment Network del collettivo newyorkese DIS. DIS è formato da Lauren Boyle, Solomon Chase, Marco Roso e David Toro. Questo progetto di collaborazione artistica è nato con lo scoppio della crisi nel 2009, inizialmente come una lunga conversazione attraverso e-mail che ha portato in maniera organica alla fondazione di DIS Magazine, una rivista ibrida in cui sono stati analizzati i contenuti più urgenti dei nostri tempi, dando poi origine al progetto curatoriale che ha sdoganato alla Biennale di Berlino del 2014 il Post-Internet, la corrente artistica più cutting edge dei nostri giorni.

Thumbs That Type and Swipe: The DIS Edutainment Network
Dal 2 di febbraio al 13 di maggio
www.lacasaencendida.es

Tappa obbligata è il Museo Reina Sofia, che ha da poco inaugurato la mostra temporanea Pessoa. Todo arte es una forma de literatura che mira a fare scoprire al pubblico la vigorosa, ma poco conosciuta, scena d’avanguardia artistica portoghese che si è sviluppata alla prima metà del XX secolo e in cui il grande poeta portoghese Fernando Pessoa (1888 -1935), ha giocato un ruolo di primaria importanza, intervenendo attivamente attraverso i suoi scritti e le sue versatili proposte artistiche.

Pessoa. Todo arte es una forma de literatura
Dal 6 di febbraio al 7 di maggio
www.museoreinasofia.es

Una fra le più intellettuali tra le gallerie madrilene Helga de Alvear allestisce la personale dell’artista di origini canadesi Marcel Dzama. Il titolo della mostra – It ́s time – è un monito sui tempi in cui viviamo. Dzama si collega da un lato ai principi teorici, politici e sociali sviluppati dal movimento Dada come reazione alla prima guerra mondiale e dall’altro alla serie dei disastri della guerra di Francisco Goya, che riflettono la crudeltà della guerra d’indipendenza spagnola.

Marcel Dzama
It ́s time
Dal 15 di febbraio al 24 agosto
www.helgadealvear.com

Per gli amanti di un’arte più grafica e astratta consigliamo invece di visitare la mostra del pittore inglese Terry Haggerty alla galleria Ivorypress. Haggerty traduce nelle sue tele forme naturali o oggetti creati dall’uomo in coinvolgenti composizioni di linee che oscillano tra lo spazio bidimensionale e quello tridimensionale utilizzando semplici combinazioni di due colori.

Terry Haggerty
Still Motion
Dal 21 febbraio al 5 maggio
www.ivorypress.com

Tra una mostra e l’altra ci si può rilassare con un’ora di shopping nella boutique più cool di Madrid, Ekseption. Nata a Marbella negli anni ’70 e dal 1987 a Madrid Ekseption ha visto nei suoi trent’anni di attività l’avvicendarsi della tendenze più importanti nella moda, dando oggi spazio ai giovani designer tra cui Jacquemus, Simone Rocha e Magda Butrym. La forza di questo spazio di 1.000 metri quadrati ridisegnato alla fine del 2017 è quello di mescolare decorazione e pezzi d’arte in maniera ludica e giocosa.
www.ekseption.es

Dopo tutto questo girovagare fra templi dell’arte e della moda si sente quasi la necessità di lasciarsi tutto alle spalle e fare un salto nella natura selvaggia. Il ristorante Amazonico nel quartiere modaiolo di Salamanca risponderà proprio alle vostre preghiere. Vero paradiso gastronomico Amazonico vi stupirà sia per il suo ambiente tropicale ricco di piante esotiche, i suoi cocktail e i sue piatti di carne.
www.restauranteamazonico.com

®Riproduzione Riservata

nima benati: a photography success story

Firmare a soli 25 anni le campagna pubblicitarie di Dolce&Gabbana non è da poco. D’altronde la passione per la fotografia di Nima Benati, influencer da 472 mila follower, nasce fin da quando era piccola, durante gli studi al liceo linguistico. I primi shoots sperimentali prendono ispirazione dai suoi brand preferiti: Gucci, Versace, Cavalli, Prada, Miu Miu. Una formula magica che la traghetta in poco tempo al successo.

Ci dai qualche numero del tuo business?
Se parliamo di social, sono seguita da circa 700 mila persone in totale. Mentre quest’anno ho scattato circa 40 campagne pubblicitarie. Quelle di cui vado più fiera sono di Dolce&Gabbana, un sogno divenuto realtà!

La tua definizione di influencer?
Qualcuno con un gusto spiccato, capace di erigersi sulla massa. Deve essere in grado di offrire contenuti diversi e unici, tanto da invogliare le persone ad emularli.

È meglio avere una bella faccia o un buon contenuto?
Quando lavoro con i modelli conta di più una bella faccia, nella vita metto in primo piano il contenuto.

Come vedi la tua evoluzione e quella del mondo social?
Il mio business principale, la fotografia, non viene condizionato dall’universo social. Quest’ultimo finirà per implodere, ma ha ancora diversi anni di longevità con un ricambio di piattaforme. Instagram regnerà per un altro decennio.

La professione dell’influencer ha una data di scadenza?
No, a patto che riesca a mantenere una certa credibilità. Io sono molto tranquilla, i fotografi più famosi e richiesti al mondo hanno carriere lunghissime: Peter Lindbergh ha 73 anni, Patrick Demarchelier 74 e Stevel Meisel 63! Salute permettendo, si può scattare per tutta la vita!

Un lato negativo della tuo lavoro.
Le persone credono di poter dire quello che vogliono sui social: si scordano che dietro allo schermo ci sono persone vere, alle quali non oserebbero mai rivolgersi così nella vita reale. Insultano, aggrediscono e molto spesso presuppongono cose false, senza elaborare l’immagine o il testo che hanno davanti.

 I tuoi consigli sono veri?
Condivido su Instagram stories solo le cose che trovo davvero interessanti, ma non do mai consigli.

Quante ore impieghi per il tuo look?
Quando vado al lavoro ci metto meno di 5 minuti, con i call time alle 6 di mattina non posso proprio pensare a trucco e stile.

Quali app usi per ritoccare le foto e in quanto tempo circa?
Le foto di Instagram le sistemo con Facetune e Snapseed, mentre quelle di lavoro con Photoshop. Le prime richiedono una ventina di minuti, le seconde anche 5 ore.

C’è un posto o una città che ti ha colpito in particolare?
Il Parco dei Mostri di Bomarzo. Un luogo fermato nel tempo, pieno di arte, bellezza e mistero.

®Riproduzione Riservata

COSA NE RESTA DI: CHIAMAMI COL TUO NOME

Candidato a 4 Premi Oscar (Miglior film, Miglior attore a Timothée Chalamet, Miglior sceneggiatura non originale e Miglior canzone a Sufjan Stevens per Mistery of Love) e già vincitore del premio come Miglior adattamento ai Bafta, Chiamami col tuo nome è il film più discusso del momento. Diretto da Luca Guadagnino, come ultimo tassello della sua “trilogia del desiderio”, (dopo Io sono l’amore e A Bigger Splash), il film è ambientato nel Nord Italia e racconta la storia d’amore tra Elio, un diciassettenne residente in Italia, e lo studente americano Oliver, nell’estate del 1983. Decretato dalla redazione di MANINTOWN come un film da vedere – nonostante i pareri discordanti sul fatto che sia piaciuto o meno – quello su cui ci si sofferma è la sensazione, nuova, che si prova una volta usciti dalla sala.

BUCOLICO, LENTO E CONTROVERSO: UN FILM CHE AMMUTOLISCE (ORSOLA)
Titoli di coda, la luce si accende in sala, il silenzio. Un silenzio sacro che il solo gesto di alzarsi e mettersi la giacca si percepiva come una mancanza di rispetto nei confronti dei compagni di poltrona. Questo è successo in una piccola sala di un cinema in centro quando, dopo aver sentito parlare e riparlare di Chiamami col tuo nome, ho deciso di andare a vederlo. Cosa stava frullando nella testa di tutti quanti? Cosa stava frullando dentro la mia? Quel silenzio mi ha colpita. Mi ha colpito la titubanza con cui le persone esprimevano il proprio parere, e come allo stesso tempo non riuscissero a scostare la mente dalle scene appena viste, tanto che li faceva rimanere incollati alla sedia, in silenzio. Dopo qualche minuto ho sentito una ragazzina rompere il ghiaccio e dire agli amici «Non so se mi è piaciuto, fatemici pensare qualche giorno e ve lo dico». Un’affermazione che ho condiviso. Assolutamente sulla bocca di tutti, Chiamami col tuo nome è il classico film con il finale aperto, proprio uno di quelli che ti fanno dire, uscito dalla sala, «ho capito bene? – oppure “ma alla fine come è andata veramente?». Un finale che lascia un po’ interdetti, senza parole e allo stesso tempo con molteplici domande e con un chiaro obiettivo: scuotere le persone, portare in scena, anche attraverso scene forti, sentimenti, dubbi, confusioni e pulsioni. Un film che descrive una campagna italiana bucolica, da sogno, che con le sue scene e dialoghi lenti e controversi si presta a plurime interpretazioni.

L’EREDITA’ DELL’ARTE (LAURA)
Che piaccia o no, è certamente un film che non lascia indifferenti una volta usciti dal cinema. Ti verrebbe d’istinto di  leggere il libro da cui è stato tratto o, quanto meno, parlare a quattr’occhi con il regista, per cercare di comprendere tutti quei dettagli a cui hai dato una lettura tutta tua. Lunghi monologhi che creano un silenzio inverosimile in sala, riflessioni e spunti che portano ogni osservatore a una considerazione diversa. Non è forse questo che l’arte ha il compito di fare? Hollywood ci ha abituato a questa realtà distorta, in cui dopo uno sguardo languido tra due protagonisti scatta subito il “vissero felici e contenti”. Quante volte questo accade nella vita reale? Sinceramente, poche. Se poi il senso di queste persone che ci “scompigliano” fosse insegnarci a conoscerci meglio?

IL RIFLESSO DI ELIO SEI TU (GIUSEPPE)
Siamo stati tutti Elio. È nella crescita d’ognuno aver detto addio a un amore importante, magari sentendo di tradire i propri sentimenti o di essere traditi. I quattro minuti di titoli di coda in cui si muovono solo le mosche e le viscere di Elio, contratte dal dolore, può essere un forte pugno nello stomaco. Il nucleo del film, infatti, al contrario di quello che si è portati a credere, non è la storia d’amore omosessuale tra Elio e Oliver e nemmeno “una storia d’amore”, privata dei propri connotati. Il fulcro di tutto è l’educazione sentimentale, nella sua massima espressione: il desiderio di scoprire se stessi attraverso la scoperta dell’altro. Esplorazione che passa per i propri sentimenti, la propria eccitazione, quella altrui e il consenso/giudizio di chi ha il compito – più oneroso – di guidarci nei nostri dubbi. È il primo amore, che «non si scorda mai», quello che crediamo possa durare per sempre, perché una felicità così non l’abbiamo mai vissuta e poi, di colpo, finisce, insegnandoci, con la sua fine, a sopravvivere a qualunque dolore. Eccolo, il vero passaggio all’età adulta, l’eredità del film.

®Riproduzione Riservata

De Martini «su Instagram condivido la mia rincorsa ai sogni»

Un profilo Instagram decisamente in fermento, con scatti e stories che coinvolgono i suoi follower (quasi 150mila, numero in continua crescita) e tifosi. Matteo De Martini, azzurro di ginnastica artistica, ci ha raccontato il suo rapporto con i social network, attraverso la sua passione, i suoi sogni e una grande determinazione nell’inseguirli.

Quanto contano per te i social network e quanto li usi?
I social network rappresentano, per me, la principale fonte di informazione mediatica, sia privata che pubblica. Ritengo che siano una parte ormai consolidata della vita quotidiana, nonostante siano spesso sminuiti da persone che non ne percepiscono la reale potenzialità.

Come ti proponi ai tuoi followers?
Credo che sia importante essere se stessi, anche dietro lo schermo di un telefono, senza creare un “personaggio” con il solo scopo di accumulare “followers”.

C’è un social che usi più degli altri e perché?
È Instagram, mi piace davvero tanto fare foto fuori dagli schemi e modificarle come preferisco. Credo che ogni singolo post rifletta, anche solo in parte, la personalità di chi ci sta dietro.

Che consigli vorresti dare a chi ti prende come modello di vita e di sportività?
Quello di perseverare nelle proprie passioni e di sbattere la testa fino al raggiungimento dei propri obiettivi. Sembrano le solite frasi fatte, ma penso che la costanza sia davvero basilare.

Le qualità mentali e fisiche che richiede il tuo sport?
La ginnastica artistica è uno sport che richiede molta disciplina e continuità. Questo provare continuamente, quasi in maniera maniacale fino alla corretta esecuzione, mi ha insegnato molto su come affrontare le sfide che mi vengono proposte regolarmente.  Bisogna essere pazienti e allenarsi tanto. L’unico requisito, che si sviluppa anch’esso con l’età, è la concentrazione: durante gli allenamenti è importante essere focalizzati su ciò che si sta facendo, per evitare infortuni e per una buona riuscita dell’esercizio.

®Riproduzione Riservata

andré hamann: not only a model

La sua carriera come modello è iniziata per caso a Vienna mentre lavorava come commesso. Oggi André Hamann è uno dei personaggi più richiesti con un milione di follower su Instagram e una serie di collaborazioni con brand come Hugo Boss, Dolce & Gabbana, Calvin Klein, Diesel, oltre alla sua personale linea di abbigliamento Haze & Glory. Amato dal pubblico femminile per il suo corpo statuario e tatuato, adora viaggiare e farsi fotografare con il suo cane Duplo.

La tua definizione di influencer/blogger/ambassador?
È una persona con molto gusto che, per questo motivo, riesce a essere di ispirazione per altre.

Come vedi l’evoluzione del mondo social e del tuo business?
In ogni singolo momento diamo e riceviamo feedback dai follower. Per questo riusciamo restituire ai brand dei report esatti sulle tendenze e i desideri del pubblico. Il legame tra influencer e follower è diretto e questo sta diventando sempre più evidente grazie alla tecnologia come ad esempio il Live streaming.

Quale secondo te il social del futuro?
Senza alcun dubbio Instagram. È “Il” social network del futuro!

Il lato negativo della tua professione?
L’unico lato negativo del mio lavoro è non riuscire a vedere la mia famiglia quanto vorrei dato che vivono all’estero.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
Anche se alcuni dei miei consigli sono sponsorizzati, questo non significa che non siano sinceri. Credo in tutto quello che faccio e in tutto quello che comunico sui miei social network.

La professione di influencer ha una data di scadenza? Come immagini il tuo lavoro da vecchio?
Spero di poter fare questo lavoro il più a lungo possibile e se non dovesse funzionare c’è sempre un piano b!

Conta più una bella faccia o un bel contenuto?
Personalmente credo nel contenuto, ma una bella faccia aiuta sempre.

Quante ore dedichi alla preparazione del tuo lavoro?
Per lavoro mi alleno tutte le settimane e pratico jūjutsu.

Quali applicazioni usi per ritoccare le foto e quanto ritocchi per creare lo scatto perfetto?
È come chiedere a un mago di rivelare i suoi trucchi!

®Riproduzione Riservata

L’Enfant prodige Mirko Trovato

È molto giovane, ma di premi ne ha collezionati già diversi: dal Social Award 2016 al premio come “talento esplosivo’” al Giffoni film Festival del 2014, fino al riconoscimento per il suo ruolo nelle 3 stagioni della fortunata serie Rai Braccialetti rossi, di Giacomo Campiotti, al Roma Fiction Fest, solo per citarne alcuni. Mentre si prepara alla maturità che conseguirà quest’anno, Mirko lavora sodo per plasmare la sua identità di attore, con tre anni di corsi di recitazione alle spalle mentre ora è seguito da una coach. Fresco e poliedrico, Trovato ha le carte in regola per sfondare anche al cinema. Accanto al successo televisivo delle tre stagioni di Braccialetti rossi, in cui interpreta Davide Di Salvo e alla web serie Lontana da me, il giovane attore vanta ruoli di co-protagonista per il grande schermo nei film Restiamo amici, di Antonello Grimaldi e in Non c’è campo, di Federico Moccia, cult-movie dei millennials e non solo. E da gennaio inizia le riprese di un altro film che vedremo presto al cinema. Intanto la rete lo segue con interesse: oltre 400.000 followers, con una presenza su Facebook, Instagram e Twitter.

Definisci l’influencer: quanto ha influito essere così social sulla tua carriera di attore e sulla tua popolarità?
A dire il vero non mi identifico in questo ruolo perché mi sento un ragazzo che fa cose tipiche dei ragazzi della sua età, con la differenza di essere un po’ più conosciuto per via del mio lavoro. L’essere social, nel lavoro, influisce poco: quando si deve girare un film, quello che conta è entrare nel personaggio.

In che modo ti relazioni con i social? Che tipo di contenuti posti in generale sul web e con quale criterio?
Nessun criterio. Sono un ragazzo come tutti gli altri e condivido, con le persone che mi seguono, le cose che più amo: i posti che visito, le foto con la mia famiglia e i miei cani. Cose che fanno tutti.

Essere attivo sui social ti ha portato anche un ritorno economico? C’è una strategia d’immagine da seguire per gestire al meglio i social media?
Mi hanno chiesto di sponsorizzare dei capi di abbigliamento e l’ho fatto volentieri. Nessun ritorno economico, soltanto il prodotto da sponsorizzare. Non seguo una strategia di immagine. Però spesso ho notato che molti dei miei followers condividevano le foto in cui dicevano di aver comprato qualcosa perché lo avevano visto su di me!

Un capo must-have del guardaroba. Che look prediligi in generale?
Felpe assolutamente. E mi piace molto il look “street”.

Photo| Roberta Krasnig
Stylist| Stefania Sciortino
Grooming| Maria Sole La Stars per Simone Belli Agency
Assistant| Chiara Filippi
Suit: David Naman

®Riproduzione Riservata

Andrea Marcaccini, un influencer fra arte e moda

Romagnolo, da molti anni uno dei modelli italiani più amati, anche grazie al suo aspetto romantico e selvaggio, con i capelli lunghi e i tantissimi tatuaggi che ormai ricoprono interamente il suo corpo. Andrea Marcaccini non è più solo un modello, ma da alcune stagioni ha anche una collezione di abiti a suo nome, è seguitissimo sui social, è passato anche dal mondo dei reality, e ha un presente come artista, il ruolo che sente più suo e che si augura per il futuro.

Come sei arrivato alla professione di modello?
Ho iniziato a fare il modello a 16 anni, perché mio cugino ha mandato delle foto ad una agenzia di Bologna che mi ha preso e così ho cominciato. Per curiosità. A Milano sono salito a 19 anni, dopo aver lavorato con Mikael Kenta, che all’epoca era molto popolare.

Non più modello, ma influencer grazie ai social, e altre attività. Come è avvenuto questo passaggio e quando sei diventato anche designer?
Non è stato certo voluto o calcolato, il passaggio da modello a influencer, considerando che si sono affiancate altre attività nel corso del tempo. Ho iniziato a postare sui social alcune mie foto, che hanno creato un seguito, sono arrivate le prime richieste di collaborazione, soprattutto come consulenza grafica e stilistica. Dopo tre anni di questo per molti marchi italiani, ho deciso di lanciare un mio brand.

 Parlando del tuo mondo sui social, quanti dei tuoi consigli e delle tue immagini sono sincere e non sponsorizzate?
Parlando della mia presenza sui social non posso dire che non ci siano immagini sponsorizzate, alcune legate al lavoro lo sono, ma c’è anche molta mia vita privata, anzi ci son stati periodi in cui questa era davvero tanto in primo piano. Anche gli scatti meno privati, son sempre frutto della mia creatività, della mia visione. Sono assolutamente sincero. Se sposo un brand, questo avviene perché c’è affinità e vicinanza di ideali e pensiero, per cui anche le foto legate al lavoro non risulteranno mai una sponsorizzazione asettica e finta.

 Come vedi l’evoluzione del mondo social e del ruolo dell’influencer? Come immagini il tuo lavoro da “vecchio”?
Fino a quando avranno vita e valore i social, ci saranno influencer, ci saranno alcune persone che detteranno mode, una cosa è imprescindibile dall’altra, a mio avviso. Il mio lavoro come modello è sicuramente stato un momento importante, forse un passaggio per quello che voglio fare da grande, che è più legato a dare uno sviluppo alla mia creatività in senso artistico.

Lato negativo della tua professione?
Che in realtà non puoi programmare nulla, soprattutto le cose private, quelle che la gente normale dà per scontate, come organizzarsi per una vacanza. Sei sempre sottoposto a cambiamenti dell’ultima ora, lavori che arrivano last minute, e devi spostare appuntamenti, magari deludere le aspettative delle persone che ti sono vicino, come gli amici che volevano farla con te quella vacanza e tu sei partito per lavoro verso tutt’altra direzione.

Hai un consiglio di stile da condividere?
Oltre a indossare gli abiti della mia collezione? (Scoppia a ridere, ndr). Ognuno si deve sentire a proprio agio con quello che indossa, deve mettere quello che rappresenta al meglio la propria personalità, ma se ve la sentite cercate di osare! Esprimete sempre quello che siete, anche attraverso il vostro guardaroba, per distinguervi da quello che indossano tutti. Osate!

Quale città, visto che hai viaggiato molto, ti è rimasta nel cuore? Hai un posto preferito (locale, monumento, ristorante) che ci consigli? 
Una città che mi è rimasta nel cuore e dove potrei davvero andare a vivere è Barcellona. Una città piena di fascino, si mangia benissimo, la gente è bella, c’è un bel gusto della vita. Ricordo la prima volta che ho visto la Sagrada Famiglia. Lascia senza fiato, maestosa, un capolavoro che tutti almeno una volta nella vita dovrebbero vedere. Ho amato molto anche Parigi, mentre trovo eccessivamente caotica e sovrastimata New York, dove sono andato più volte, abitandoci anche quattro mesi di fila. Trovo altre città più vivibili e interessanti. Mentre è sicuramente da considerare fra le più importanti per il nostro business.

Milano: dove mangiare, dove fare l’aperitivo, il locale che ti piace di più?
Per lavoro e per diletto frequento sicuramente molti locali, ma non ce n’è uno a cui sono affezionato di più. Tendo ad andare molto in quelli in zona Moscova, perché sono vicini a dive abito. Vorrei consigliare invece un ristorante. Se vi piace la cucina giapponese e il sushi, forse non per tutte le tasche, ma Iyo, in Via Piero Della Francesca, è davvero un’esperienza culinaria, imperdibile.

Chi sei in privato? Quali altri amori hai oltre la moda?
Il mio amore più grande, in realtà, è l’arte e devo confessarti che sto strutturando questa mia passione affinché diventi un lavoro in un futuro a brevissimo. A Milano ho una sorta di factory-laboratorio, dove lavoro. Si sono interessate ai miei quadri anche altre gallerie, non solamente in Italia, ma da Londra e Los Angeles. Insomma, questa passione sta davvero diventando una parte importante di me e della mia vita. Ovviamente il mio marchio è un grandissimo amore, da quando lo abbiamo lanciato a WHITE, a gennaio, ha subito acquisito aspetti considerevoli, siamo posizionati in importanti store ed è fra i quindici best seller italiani!

Un sogno nel cassetto?
Il vero sogno nel cassetto scaramanticamente non si può dire, ma spero anche di diventare un bravo artista!

Photo| Ryan Simo
Styling| 3
Grooming| Susanna Mazzola
Photo assistant| Alessandro Chiorri
Stylist assistants| Verena Kohl, Paula Anuska, Cristina Florence Galati

®Riproduzione Riservata

Le Polaroids di Philip-Lorca diCorcia: tra analogico e digitale

La David Zwirner gallery di New York – una delle voci più autorevoli del mondo dell’arte – compie 25 anni, e lo fa in grande stile, con una mostra internazionale che celebra gli artisti che hanno partecipato alla creazione della sua ultra sofisticata estetica. Per chi, in questi mesi, non potrà viaggiare tra New York, Londra o Hong Kong dove la galleria ha le sue sedi, suggeriamo di visitare la sezione The Viewing Room del loro sito web, un progetto digital only curato dagli stessi artisti della galleria. Dal 2 febbraio è, infatti, possibile visionare la mostra Polaroids by Philip-Lorca diCorcia. Classe 1951, diCorcia è considerato oggi fra i più influenti e innovativi fotografi americani, particolarmente noto per la sua capacità di creare immagini, che sono un mix tra fotografia documentaristica e scenografia teatrale. diCorcia ha scattato Polaroid per tutta la sua carriera e sono ora considerate complementari alla sua pratica artistica, offrendo un punto d’osservazione distintivo sulla sua sensibilità. La selezione di lavori in mostra online include le Polaroid create in connessione con le serie principali Hustlers (1990–1992), Heads (1999–2001), Story Book Life (2003) e East of Eden (2008–present), ma anche le sue opere autonome di nature morte, paesaggi e scene familiari, così come i test fotografici per compagne pubblicitarie di brand di moda. «Cornici di film indimenticabili che non sono mai stati realizzati», così le ha definite lo studioso Peter Galassi in occasione della prima mostra personale dell’artista al MoMA di New York, nel 1993. Questi lavori di diCorcia sottolineano senza dubbio l’approccio dell’artista alla fotografia come un mezzo sospeso tra verità e finzione. Scorrendo su un iPad, immagine per imagine, si è colpiti dalla corrispondenza di questi lavori analogici e i successivi sviluppi dell’estetica fotografica digitale e di come gli apparentemente casuali accenni voyeuristici di diCorcia siano divenuti il gold standard degli Influencer di oggi su Instagram.

www.davidzwirner.com

®Riproduzione Riservata

© Philip-Lorca diCorcia
Courtesy the artist and David Zwirner, New York/London/Hong Kong

julien boudet – blue as a state of mind

Forse meglio conosciuto come Bleu Mode, Julien nasce a Sète, cittadina francese sul Mar Mediterraneo. È, probabilmente, dal colore blu del mare che deriva il suo nome d’arte e la sua passione per i colori e la fotografia. Boudet infatti, è un fotografo Street Style, ormai uno dei più conosciuti a livello internazionale che, dal 2013, ama documentare l’evoluzione della moda negli anni, catturando quello che lui ama definire il “momento decisivo”. Grazie alla sua sensibilità e alla sua estrema attenzione ai dettagli, Bleu Mode, riesce a immortalare quello che risulterebbe invisibile ai più. A oggi collabora con brand del calibro di Thom Browne, Adidas, Uniqlo e testate come Elle Usa e CR Fashion book, tenendo d’occhio il mondo dello sportswear e dei designer emergenti. L’etichetta di fotografo street è riduttiva, perché si cimenta in altri campi: come il reportage, gli editoriali di moda e l’architettura.

Chi è la persona più influente sui social?
Credo si debba definire prima di che tipo di “influenza” parliamo: è quella delle celebrità (attrici, rapper, giocatori di basket…) sui loro fans, quella dei giornali e dei media sui lettori, quella degli influencer/blogger, che hanno costruito la propria carriera attraverso i social, grazie ai follower. Ci sono aspetti molto diversi da tenere in considerazione, anche se la persona più influente del momento è chi, per definizione, ha più follower su Instagram. Se poi analizzassimo un settore specifico, come la moda, direi che il più influente è sicuramente Virgil Abloh, perché riesce a raggiungere molte persone dai più diversi background, che piaccia o meno. Ti consideri un influencer dato il tuo seguito sui social? A prescindere da ciò che fai nella vita, influenzi le persone che ti circondano, sia positivamente che non. Se hai successo in ciò che fai, avrai ovviamente più influenza e raggiungerai più persone. L’unica cosa che cambierà sarà il numero di persone; per esempio, qualcuno che ha un grande seguito già dall’inizio per il proprio lavoro (e.g. il mio come fotografo) potrebbe diventare un “influencer” perché è stato capace di catturare l’attenzione della gente. Attraverso le mie immagini e il mio stile (entrambe espressioni di me stesso), ho un’influenza sulle persone, ma onestamente non mi considero un “influencer”.

In che modo i social sono importanti per il tuo lavoro?
Ad essere davvero onesto, sono stati essenziali per il mio lavoro. Ho iniziato come fotografo nel gennaio 2013, fortunatamente sono riuscito a distinguermi dalla massa e ad avere sempre più persone interessate in ciò che faccio, solo grazie ai social media, in particolare Instagram. Ottengo ancora molti lavori attraverso questa piattaforma, per questo, sì, sono molto importanti, anche adesso.

Utilizzi anche la tua immagine per promuovere il tuo lavoro e ottenere più like e follower? Funziona fare, o non fare, così?
Utilizzo la mia immagine per promuovere il mio lavoro, e molti professionisti che conoscono mi hanno incoraggiato a farlo, perché è importante per i tuoi follower vedere chi c’è dietro l’account. Aggiunge un qualcosa in più, sembra più reale, più personale. Non mi piace molto, perché preferisco stare dall’altra parte della macchina fotografica, ma cerco di farlo un po’ di più. Tuttavia non lo faccio per ottenere più like e follower.

Quale contenuto funziona meglio online?
Credo che dipenda tutto dalla propria audience. Tutti noi abbiamo pubblici molto differenti e se un collega fotografo (con lo stesso seguito, per esempio) posta la foto di un look che ho postato non avrà necessariamente lo stesso engagement.

®Riproduzione Riservata

Elbio Bonsaglio

È uno dei fondatori del marchio Letasca, successo internazionale, che in poche stagioni è riuscito ad entrare nei più importanti store multimarca del mondo. Elbio Bonsaglio è, però, anche uno dei modelli italiani più conosciuti, che ha sfilato per i più importanti brand e scattato con nomi famosi della fotografia. Seguitissimo sui social, ci racconta qualcosa in più del suo mondo fra instagram e i viaggi.

Come sei arrivato alla professione di modello?
In realtà è stato un percorso un po’ inconsueto. Ho studiato alla Bocconi, Economia aziendale, mi sono laureato e ho iniziato a lavorare in uno studio di comunicazione come account e in sei mesi, il tempo di uno stage, ho capito che non avrei sopportato di vivere la mia vita dietro ad un computer e che volevo viaggiare. Durante una fashion week, proprio verso la fine di questo lavoro, sono stato fermato più volte da persone che mi chiedevano se volevo fare il modello, alla terza volta, frustrato dalla mia situazione lavorativa, ho accettato di andare a fare un colloquio e da lì è partito tutto.

Ora non più modello, ma influencer grazie ai social, e altre attività. Come è avvenuto questo passaggio e quando sei diventato anche designer?
Il passaggio a influencer è stato totalmente inconsapevole. Non ho mai avuto un blog e non ho mai pensato che potessi influenzare qualcuno, ho sempre cercato di essere me stesso sui social, postando su instagram quello che facevo, le mie passioni, come ad esempio la boxe, o i miei viaggi. Forse, per il fatto che prima ero un modello e ora ho anche un mio brand, la gente si è incuriosita e ha iniziato a seguirmi. Poi, ci tengo a precisare che di Letasca io non sono il designer, quella parte la segue il mio socio, io mi occupo delle pubbliche relazioni, del commerciale, dei rapporti con gli stakeholder, aspetti che sento più miei e sono decisamente più vicini ai miei studi. Anche l’avventura del brand è iniziata un po’ per gioco, io mi avvicinavo ai trenta, e il ruolo di solo modello mi stava un po’ stretto, il mio socio aveva appena finito gli studi in architettura, ci è venuta una idea, l’abbiamo portata avanti con entusiasmo, ma non mi aspettavo che in giro di poco tempo Letasca finisse da Harrods, da Selfridges e da Saks.

Parlando del tuo mondo sui social, quanti dei tuoi consigli e delle immagini sono sincere e non sponsorizzate?
Il mio instagram racconta molto di me, anche attraverso le stories. C’è tantissimo di quello che è il mio umorismo, il mio modo di scherzare, quello che faccio quotidianamente. Le sponsorizzazioni non sono molte, la maggior parte del mio tempo e delle mie attenzioni sono dedicate a Letasca, ma anche in questo caso sono sempre molto sincero.

Come vedi l’evoluzione del mondo social e del ruolo dell’influencer? Quale secondo te il social del futuro? La professione dell’influencer ha una data di scadenza?
Considera che molti dei brand contemporary, che trovi ora in un grande department store, non esisterebbero, o non avrebbero avuto il grande successo che hanno se non ci fosse stato Instagram. E grazie a questo social, in maniera molto democratica, chiunque è potuto diventare un influencer. Questo è positivo, ma anche negativo, perché non sempre chi è diventato un influencer qualitativamente è a livelli alti. Un tempo dovevi fare un certo percorso per diventare un guru della moda, avere studi alle spalle, un certo tipo di gusto. Ora non più ed è questo il motivo per cui molti criticano le app e il mondo che hanno contribuito a formare. Il futuro è difficile da prevedere, il presente della moda è sicuramente in mano a chi riesce a creare interesse attorno a un marchio. Non vedo al momento data di scadenza al ruolo di influencer.

Lato negativo della tua professione, se c’è.
È una professione che da tanto. Siamo molto coccolati, siamo considerati cool, facciamo a volte cose che altri pagherebbero per fare. In tutto questo un lato negativo c’è, cioè che saluti completamente la tua privacy. A volte invidio chi può stare una settimana intera in vacanza senza toccare mai il cellulare.

Hai un consiglio di stile da condividere con i nostri lettori?
Di esprimere sempre le proprie sfaccettature e i propri gusti. Cercate di non essere omologati, ma di mostrare ciò che vi caratterizza. Anche in questo i social sono democratici, perché potete davvero distinguervi ed essere sinceri. Penso che il modo migliore per mostrarsi non sia quello di essere ossessionati dal desiderio di piacere, ma essere più leggeri e non costruiti.

Quale città ti è rimasta nel cuore? Hai un posto preferito che ci consigli?
Viaggio molto per lavoro, per cui ci sono tanti luoghi che adoro, come New York, che ha un’energia unica, e Ibiza. Quest’ultima perché io amo la musica elettronica, del cui mondo Ibiza è un po’ il centro nevralgico. Ed è anche un ottimo compromesso per me, perché ci sono pure ristoranti fantastici, se esci in barca arrivi facilmente a Formentera e a spiagge stupende. Poi ricordo di essere stato molto bene anche a Sidney, forse perché è un tipo di città a cui io non ero abituato, con le sue spiagge e il caldo tutto l’anno.

Milano: dove mangiare, dove fare l’aperitivo, il locale che ti piace di più?
Milano è la mia città, quella in cui sono nato e cresciuto, per cui non è il posto dove eccedo o faccio qualche pazzia, la conosco troppo bene e l’ho vissuta tanto in passato, la vedo con un occhio diverso rispetto a chi ci arriva per studiare o attratto dalle molte possibilità. Non ho forse più lo spirito per viverne la night life, cosa che invece posso fare quando sono in vacanza. Adoro il momento dell’aperitivo, un vino rosso d’inverno e una birra d’estate, ma ancora di più mangiare. E ci sono dei posti tipici milanesi che vi consiglio, come Al Matarel, dove fanno l’osso buco più buono del mondo. Uno dei locali che frequento invece è il Volt, dove vado a salutare l’amico Claudio Antonioli, che è uno dei fondatori.

Chi sei oltre la tua professione, quali altri amori hai?
Vi ho già detto del mio amore per la musica elettronica poi, quando posso, cerco di andare a vedere mostre di arte contemporanea, di recente ho amato molto quella di Basquiat. Il fatto che una parte di Letasca sia particolarmente legata al travel è perché io stesso amo molto viaggiare, adoro l’idea di avventura e di scoperta che il viaggio porta con se. Raffrontarsi anche con le varie culture, è molto stimolante. Della boxe mi piace tutto, l’allenamento, lo scontro con l’avversario, il fatto che sia uno sport maschio, da duri. Se fatto rispettando le regole e l’avversario è una disciplina sportiva meravigliosa.

Photo: Ryan Simo
Styling: 3
Grooming: Susanna Mazzola
Photo assistant: Alessandro Chiorri
tylist assistants: Verena Kohl, Paula Anuska, Cristina Florence Galati

®Riproduzione Riservata

Reflections, i sei corti di Bottega Veneta

Bottega Veneta e la rinomata agenzia Baron & Baron hanno scritto il capitolo successivo di The Art of Collaboration, con una nuova campagna pubblicitaria Primavera/Estate 2018.
Reflections sono sei cortometraggi distinti, realizzati dal team creativo diretto da Fabien Baron, con la fotografia di Philippe Le Sourd e la scenografia di Stefan Beckman, che ha scelto di girare ogni filmato su un set diverso.
Il format di distribuzione si ispira dall’ossessione moderna per i contenuti a episodi di Netflix e Hulu, i sei filmati saranno, così, rivelati uno alla volta nel corso della stagione attraverso molteplici piattaforme e partner, oltre che su BottegaVeneta.com. I temi comuni che legano i sei corti sono la rinascita, l’inversione temporale e la riconnessione, con un chiaro riferimento all’iconico intrecciato di Bottega Veneta.
Anche per il layout della campagna print si è adottato un approccio cinematografico, usando la ripetizione delle immagini per evocare il movimento, e rievocarne uno storyboard, diventando in un certo senso, il manifesto dell’episodio corrispondente.
I modelli scelti che si alternano all’interno dei sei cortometraggi sono Vittoria Ceretti, Aube Jolicoeur, Janis Ancens, Sora Choi, facce conosciute grazie alle numerose apparizioni sulla passerella e alla loro capacità di comunicare tramite uno sguardo.

 

FRANCESCO STELLA, L’UOMO DAI MILLE RUOLI

cover_pantalone e maglione dolcevia HOSIO; scarpe Burberry

Dal teatro alla TV, al cinema. Prima come attore, poi come scrittore e regista. Francesco Stella, nato ad Erice e divenuto famoso per il ruolo dell’agente Gallo, nella fiction Il commissario Montalbano, si è cimentato i ruoli diversi anche al di là dello schermo, non ponendo mai limiti alla propria creatività. In questa intervista svela non solo le proprie passioni, ma tutti i progetti futuri.
Com’è cominciata la tua carriera?
Un po’ per caso. Durante il periodo universitario ho fatto parte prima di una compagnia di teatro di strada e poi di una di formazione. Con quest’ultima ho studiato e debuttato nel mio primo spettacolo.

La tua carriera inizia nel 1995 con il teatro. Com’è avvenuto il passaggio al cinema e alla TV?
La  mia “prima volta” è stata indimenticabile, ho debuttato al Teatro Kommisar Geskaya, di San Pietroburgo, durante il periodo delle notti bianche. Ho capito che non sarei mai tornato indietro. Dopo essermi trasferito a Roma e aver fatto molti provini, ho finalmente debuttato al cinema con Besame Mucho, di Maurizio Ponzi, e in TV, con Il commissario Montalbano.

Quale tra i due mondi senti appartenerti di più?
Entrambi, ma in maniera diversa. Esattamente come la scrittura, un’altra passione che coltivo da tempo.

Da quale regista ti piacerebbe essere diretto?
Mi piacerebbe tantissimo ritornare a  lavorare con una donna e, secondo me, Valeria Golino è una di quelle in grado di scavarti dentro.

Non solo attore, ma anche regista e scrittore. Ti senti più a tuo agio sopra al palco o dietro la cinepresa?
È un agio completamente diverso. Amo molto il lavoro d’attore, ma alla fine sei nelle mani di  altri: di uno sceneggiatore che ti ha pensato, di un regista che ti ha scelto e di un pubblico che ti approva. Troppe variabili e poca obiettività: molto sta nel “gusto” delle persone e la bravura non sempre è sufficiente. La scrittura o la regia mi permettono invece di “sfogare” la parte creativa, che offre parametri più obiettivi relativi alle mie capacità e ai limiti.

Che tipo di film ti piacerebbe scrivere?
Mi piacerebbe parlare della mia terra, la Sicilia, che lotta ma che sa ridere, che non si arrende e che sa guardare lontano.

Quanto è importante lo stile per te? C’è un capo in particolare che ti caratterizza?
Credo di avere uno stile molto sobrio, mi piace l’eleganza su di me, così come mi diverte l’esuberanza negli altri. Più che un capo ci sono due oggetti: i gemelli e i papillon/cravatte.

Dove sognava di arrivare il Francesco Stella che nel 1998 è entrato a far parte del cast de, Il commissario Montalbano e cosa sogna il Francesco di oggi?
Il Francesco Stella arrivato dalla lontana Marsala, ha realizzato molto di quello che sognava. Per il futuro spero di poter continuare ad avere sempre il sorriso mentre lavoro.

Qual è la sfida più grande che il lavoro ti ha posto davanti sinora?
Quella di non scoraggiarmi e di non mollare. I tempi sono molto difficili per chi fa questo lavoro. La mia fortuna è stata quella di non fossilizzarmi in un solo campo, scelta non sempre recepita positivamente dagli altri. Sono sicuro che il tempo mi darà ragione.

Quali progetti hai in cantiere?
Tra poco uscirà Il Cacciatore, una nuova fiction Rai n cui interpreto un integerrimo carabiniere. In contemporanea sto lavorando a due format tv di prossima uscita.

Cosa porteresti con te su un’isola deserta?
Il mio cane, la playlist con le canzoni che mi accompagnano da sempre, carta e penna.

Quale film non ti stancheresti mai di guardare?
Shortbus.

Quali sono gli ingredienti per un format TV di successo in Italia?
È difficile rispondere a questa domanda, perché ormai il pubblico sceglie con cura quello che vuole vedere e l’offerta è molto ampia. Gli ingredienti dipendono sempre più dal target di riferimento. Il pubblico non si lascia più prendere in giro, cambia canale facilmente.

Photography: Karel Losenicky
Styling: Sara Leoni

®Riproduzione Riservata

Roma palcoscenico della couture con Altaroma

cover_maison Francesco Scognamiglio

Parigi o Roma? L’alta moda non è un match di football ma l’opportunità di fare sistema basato sull’eccellenza artigianale e il savoir-faire che sono al top della piramide aspirazionale del lusso vero. Questo il parere di Maria Grazia Chiuri, direttore creativo in carica della maison Dior, una protagonista della moda che a Roma deve molto soprattutto alle Fendi e a Valentino, maison legate a doppio filo alla capitale. In un talk al Maxxi del ciclo ‘Roman’s romance’ moderato stavolta dalla giornalista Rai Barbara Modesti, la stilista ha focalizzato affinità e differenze fra l’alta moda parigina e quella italian style: “ I francesi hanno dalla loro le istituzioni che facilitano la vita e poi sono molto scenografici, da noi c’è la centralità della produzione che è un valore, e della costruzione sartoriale in cui siamo ai primi posti”. E anche se non è facile attrarre a Roma lo stesso pubblico internazionale che circola a Parigi, tuttavia Altaroma ha profuso il massimo impegno anche raccordandosi alle istituzioni per fare della capitale la culla del bello e ben fatto dove i grandi atelier siano stimolati a esibire le loro creazioni. Renato Balestra, decano dell’alta moda italiana con una longevità creativa davvero invidiabile che ha sfilato con le sue modelle a Palazzo Brancaccio, immagina un futuro green come il regista Guillermo Del Toro in ‘La forma dell’acqua’. Le sue fanciulle in fiore sembrano uscite dal giardino incantato di un pittore impressionista fra duchesse e organze preziose, fili d’erba ricamati e foglie d’edera, senza dimenticare il suo blu, più profondo e intenso. All’aula ottagona del Planetario delle Terme di Diocleziano sotto la direzione creativa di Guillermo Mariotto che non sbaglia un colpo e la presidenza del poliedrico Stefano Dominella, Gattinoni Couture porta in pedana 60 outfit rivitalizzando un archivio formidabile (quasi 1200 abiti) per definire l’estetica progressista e attualissima di una donna impegnata che per rivendicare la sua dignità e una femminilità battagliera è pronta a scendere in piazza, avvolta in giacche giustacuore in velluto, corpetti di pelle, giacchine da frac tagliate alla vita, camicie decorate da cammei, ampi cappelli neri a fedora in omaggio a Oriana Fallaci, bagliori esotici e sontuosi abiti da ballo i cui volumi lievitano sui fianchi, impreziositi da intarsi, applicazioni e ricami milionari in tessuti lievissimi, per donne forti e fragili. Viene dall’Oriente l’ispirazione per le collezioni di Filippo Laterza e Nino Lettieri. Il primo che ha esordito in pedana a Roma in Italia al Guido Reni District, ha dato vita a una magica evocazione di una Cina opulenta contaminata dallo heritage del Regno Unito in un tripudio di tessuti dai ricami certosini e dalle stampe vibranti. Lettieri è partito dalle farfalle del cielo di Hida in Giappone per raccontare una storia di abiti sciolti come kimoni in tessuti preziosi ricamati di jais e paillettes. Sono femmes fatales le donne che animano i tableaux vivant di Anton Giulio Grande che richiama i fasti della belle époque fra ventagli di piume, boa e ricami di perline e pizzi a profusione e anche le seducenti muse di Roberta Bacarelli che strizza l’occhio alla garçonne, al Charleston e a Louise Brooks per i suoi abiti dégradé, elaborati nei decori di pizzi, frange e piume. Virtuosismi stemperati da silhouette lineari per Camillo Bona che fa rivivere in passerella Silvana Mangano con le sue mise in lievi lane double, sete fruscianti, princesse stampate in bianco e nero, reti di cristalli e lunghi abiti in pizzo molto leggiadri. Magniloquenza onirica e gran senso della teatralità uniti a un senso ricercato per la silhouette negli abiti di Francesco Scognamiglio che ha già sfilato con la sua haute couture a Parigi e che ha scelto Roma per celebrare i suoi primi vent’anni di carriera nella moda. Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna in un allestimento d’impatto hanno sfilato, indossati da top models, i modelli più iconici dell’archivio dello stilista amato da Madonna e Nicole Kidman accanto a una selezione onirica di capi della nuova collezione couture primavera-estate 2018, per creature sensuali velate dal tulle iridescente di cristalli e abbellite da piume come ne ‘Il lago dei cigni’. Un vero incantesimo.

®Riproduzione Riservata

Cinecult: Cinquanta Sfumature di Rosso di James Foley

cover credit: Universal Pictures

Lusso, adrenalina, suspense, erotismo soft e patinato e una buona dose di romanticismo sono gli ingredienti di ‘Cinquanta Sfumature di Rosso’. Il film diretto dal talentuoso James Foley, già regista di ‘Cinquanta Sfumature di Nero’, e distribuito da Universal Pictures, chiude il cerchio della trilogia dei film campioni di incassi al botteghino, tratti dai romanzi bestseller di E. L. James con non pochi colpi di scena e rivelazioni di un passato velato da torbidi e inquietanti misteri. La love story fra Anastasia Steele (Dakota Johnson) e Christian Grey (Jamie Dornan) sembrerebbe destinata a risolversi in una bella favola fra ville miliardarie, abiti da sogno e frisson degni del più malizioso talamo coniugale animato da brividi e piaceri proibiti. Ma sulla felicità dei due amanti, stregati dal fascino di Parigi e attratti dal miraggio di una serena vita insieme dopo il matrimonio, sembra allungarsi l’ombra di un pazzo, Jack Hyde (Eric Johnson) l’inquietante ex capo di Anastasia al Seattle Independent Publishing (nel film SIP) che ha tentato di sedurla e aggredirla e continua a turbare la pace della coppia. Nel cast ritroviamo Rita Ora nel ruolo di Mia sorella di Grey, il premio Oscar Marcia Gay Harden che nel film è Grace Trevelyan, la madre adottiva di Christian, Luke Grimes nei panni di Elliot fratello di Mister Grey. Il film segna una evoluzione inevitabile nel rapporto di coppia fra Ana e Grey che appaiono sicuramente più maturi: sì ai giochi erotici disciplinati da regole ma no a un’assoluta posizione dominatrice di Christian che si sente provocato e sfidato dalla sua compagna. D’altra parte Ana si mostra più decisa, tenace, consapevole delle sue scelte e più coraggiosa che nei 2 precedenti film del 2015 e del 2017. Anche Grey interpretato da Jamie Dornan, l’attore sex symbol definito ‘la versione maschile di Kate Moss’ e che sarà di nuovo sul grande schermo nel ruolo di Will Scarlet nel nuovo adattamento per il cinema di ‘Robin Hood’, appare tormentato e protettivo, spesso in preda a dubbi e gelosie ma sicuramente sempre un gentleman anti-macho, combattuto fra la sua passione egoistica per una vita galante da libertino e la voglia di mettere su famiglia. Il glamour e la vibrante carica erotica di alcune scene piccanti convivono con una nuova concezione della femminilità e di una carnalità romantica nella rappresentazione dell’evoluzione di un’Anastasia che aldilà di qualche possibile dubbio, generato dalle ultime polemiche contro il sessismo e lo sfruttamento del corpo femminile, afferma un orgoglio e una libertà di autodeterminazione della propria bellezza che non offre nel complesso fianco a critiche. Finché si tratta di un gioco in cui i ruoli sono condivisi e in cui le regole propendono per una parità nelle rispettive condizioni, che senso ha fare del moralismo? E’ un romanzo e come tale non dovrebbe offendere la coscienza di nessuno, tanto più del pubblico femminile, perché il film è a tutti gli effetti una storia d’amore fra simili. E allora buona visione.

®Riproduzione Riservata

THE WEEKND – MUSIC STAR

E’ sicuramente l’artista musicale del momento, con un album in vetta alle classifiche e i suoi solidi sedici milioni di follower su Instagram e con una media di 800.000 like alla volta. L’ultimo album, Starboy, è stato pubblicato a novembre del 2016 dalla Republic Records, debuttando alla prima posizione nella Billboard 200, vendendo 348.000 copie nella prima settimana, e presenta collaborazioni con Lana Del Rey, Kendrick Lamar, Pharell Williams, Future e i Daft Punk. È stato premiato con il disco d’oro in Australia, Brasile, Italia e Regno Unito e con il disco di platino in Canada, Danimarca, Francia e Stati Uniti. Eppure Abel Tesfaye, il vero nome di The Weeknd, è rimasto per molto tempo nell’ombra. Nel 2011 ha lanciato l’album Trilogy, ma nessuno sapeva che faccia avesse, era la sua voce vellutata e un po’ in farsetto alla Michael Jackson che conquistò i primi planetari consensi, proprio come lui stesso rivela “penso che tutto quello che facciamo alla fine abbia a che fare con come appariamo. Anche il no-branding è una sorta di branding. Per esempio se non hai un volto o un’immagine di te come artista, metti la tua musica davanti a tutto. Sono sempre stato timido davanti all’obiettivo. Tutti mettono ragazze sexy in primo piano e io lo faccio nella mia musica, è diventato un vero trend. Il concetto di artista enigmatico mi ha portato al successo, nessuno all’inizio poteva scovare foto mie”. Dall’anonimato il resto è storia. Si decide a svelare la sua immagine dopo aver lasciato che la sua musica R’N’B e rap a tinte pop parlasse per lui, anche di argomenti forti come l’amore e il sesso, le droghe e il dolore. Le pagine dei giornali impazzano parlando oltre che delle sue liriche sfacciate, anche del suo taglio di capelli: dread scultura (liberamente ispirati a quelli di Basquiat) che recentemente ha messo da parte per abbracciare un’immagine più pulita che gli permette ancora di entrare in alcuni club e non essere riconosciuto, che si accompagna anche a una tappa evolutiva del suo percorso musicale. Il timido ragazzino di origini Etiopi cresciuto nei sobborghi di Toronto sembra quasi una leggenda, lui stesso afferma con franchezza “Siamo onesti, il Canada non è mai stato un posto cool. Sono passato dal fissare quattro muri per ventun anni a vedere il mondo in soli dodici mesi”.A 17 anni, abbandona la scuola superiore e si trasferisce in un monolocale nel centro di Toronto con i suoi migliori amici, La Mar Taylor (il suo direttore creativo) e Hyghly Alleyne (suo collaboratore e affermato regista di video musicali).  L’affitto è stato pagato per lo più con assegni statali, il cibo a volte è stato rubato e sono state consumate molte sostanze di dubbia origine, mentre la futura star realizzava con i suoi amici quella che sarebbe diventata la sua trilogia R’N’B di mix musicali che avrebbero poi composto Trilogy: ‘House of Balloons’, ‘Thursday’, e ‘Echoes of Silence’. Anche prima che le sonorità e i testi personali di The Weeknd ricevesse il sostegno del collega canadese Drake, la sua decisione di caricare il suo lavoro su YouTube sotto il suo nome d’arte lo ha aiutato a raccogliere un cyber following senza precedenti. E molto di più. Perché dopo la notorietà, che deve soprattutto al mondo digitale, “Internet è una cosa fantastica” confida Abel, è arrivato anche l’interesse della moda che ha fiutato il potenziale dell’artista come taste maker digitale di una vasta gamma di pubblico, la sua musica è apprezzata da chi ama la trap tanto da chi canticchia motivi pop, anche sei lui stesso non si vede come una vera icona modaiola, ma paragona spesso il suo armadio a quello di Bart Simpson. Dal 2016 è invece diventato Global Brand Ambassador e Creative Collaborator di Puma e per l’autunno/inverno 2017 ha disegnato per il brand le sneaker PUMA x XO Parallel e la capsule Deluxe Denim fatta di bomber jackets, T-shirt e jeans, già indossata sul palco all’inizio del tour mondiale di ‘Starboy’. Il pezzo da non scordare mai secondo Tesfaye? “Per la mia generazione, il bomber ha rimpiazzato la giacca del vestito da uomo. È un capo che ogni uomo può indossare ogni giorno, ed è qualcosa che io stesso indosserei in ogni occasione, dalla strada al palco, fino agli eventi di gala”. A marzo 2017 ha anche collaborato con H&M per una capsule collection e nel 2015 perfino con Alexander Wang. In più, il cantante ha una sua linea personale “XO”. XO è anche lo slogan che il cantante usa per comunicare con i suoi fan e con cui chiama la sua Crew. Alcuni fan affermano che “XO” nella “XO Crew” di Weeknd significa semplicemente abbracci e baci, mentre altri sostengono che le lettere rappresentano l’Ecstasy e l’ossicodone. Indipendentemente da ciò, lui e tutti i suoi collaboratori si siglano così alla fine dei loro messaggi sui social, che sia un messaggio d’amore globale? Chissà, certo è che di amore The Weeknd se ne intende, da quello che è riuscito a instaurare con i suoi adepti, fino a quello con alcune delle donne più belle del mondo, dalla top model Bella Hadid fino alla recente liaison, ora terminata, con la cantante Selena Gomez, la cui unione aveva quanto di più social magico si potesse creare, essendo Selena assoluta regina di Instagram con 132 milioni di follower. Un amore, oltre che mediatico, molto veloce, perché si sono già lasciati ed entrambi si rivedono con gli ex (per la Gomez si tratta di Justin Bieber). Sembra infatti che il cuore di Abel batta sempre e ancora per Bella. Non in ultimo l’inquieto e talentuoso artista ha una passione per il cinema, dove il suo contributo è apparso nella colonna sonora di “Cinquanta sfumature di Grigio” con il brano ‘Earned it’, che ha vinto un Grammy e ha ricevuto la candidatura come miglior canzone originale all’edizione degli Oscar 2016. Insomma non finisce mai di stupire questo ragazzo dall’aspetto normale che cita tra i suoi personaggi cinematografici preferiti il Joker interpretato da Heath Ledger. “Adoro i cattivi: sono i migliori personaggi dei film, giusto? Il Joker è il mio cattivo preferito di tutti i tempi: non conosci il suo passato, sai solo quali sono i suoi piani”. Ma i piani di The Weeknd sono difficili da cogliere, non resta che attendere la prossima camaleontica evoluzione, sia nel look che nella musica. Di sicuro non mancherà di essere annunciata prima di tutto sui social, ovviamente.

®Riproduzione Riservata

MATTHEW ZORPAS

Nato a Cipro e trasferitosi a Londra per studiare Pubbliche Relazioni, Matthew Zorpas ha lanciato “The Gentleman Blogger” nel 2012, per mostrare al mondo la propria evoluzione in un moderno gentiluomo. Al secondo posto nella classifica “Best Dressed Man” del 2010 di Esquire UK e indicato da GQ, in tempi più recenti, come uno dei dieci instagrammer meglio vestiti, Matthew ha collaborato come consulente creativo per numerosi brand high level. Ambassador, da ormai due anni, di IWC Schaffhausen e nuovo Nespresso Global Ambassador, i suoi contenuti social promuovono i propri i consigli di stile e condividono l’esperienza acquisita nei viaggi intorno al mondo, così da ispirare chiunque lo segua. Oggi, è uno dei più importanti web influencer a livello mondiale.

Qual è la tua definizione di influencer/blogger/ambassador? Le definiresti delle professioni?
Un imprenditore, un creativo multitasking. Una persona che usa internet per creare contenuti stimolanti per altri, influenzando lo stile di vita dei propri followers, le loro abitudini d’acquisto e la loro visione e comprensione globale del mondo. Uno che vi tiene connessi. Soprattutto per la mia generazione, sì, la definirei una professione.

Come immagini l’evoluzione del mondo social e del tuo lavoro?
Il mio lavoro continuerà a evolversi e ad adattarsi ai nuovi scenari e alle nuove circostanze. Nonostante il settore moda sia diventato più democratico, immediato e stimolante, grazie a noi influencers, molti altri campi sono ancora indietro rispetto alla rivoluzione digital. Anche l’arredamento, l’arte, il cibo e l’alberghiero dovrebbero essere trasformate in attività più dirette e incentrate sul cliente.

Quale sarà il social del futuro?
Molti continueranno a nascere e a scomparire. Abbiamo bisogno di piattaforme che siano più dirette e intime, possibili da controllare da noi al 100%.

Ci sono lati negativi nel tuo lavoro?
Il tempo. Non ho trascorso più di 48h a casa negli ultimi due mesi. Devo vedere così tanto, esser stimolato più di quello che riesco a recepire, e incontrare troppe persone troppe volte.

Quanto guadagni con questo lavoro? I numeri del tuo business, se ti va di mostrarli. Stai pensando di lanciare un brand?
Abbiamo orgogliosamente superato il mezzo milione quest’anno. Siamo un brand che si distingue.

Come immagini sarà il tuo lavoro da vecchio?
Uguale. Creerò sempre contenuti, ma sarò più saggio e vecchio.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
Con rispetto per il mio lavoro, ogni post è al tempo stesso sincero e sponsorizzato. Testo ogni prodotto, visito ogni hotel che recensiamo. Creiamo contenuti che siano stimolanti e che promuovano un prodotto o una location a cui siamo interessati noi stessi o che crediamo possa interessare ai nostri followers.

Cosa conta di più, una bella foto o un buon contenuto?
Un buon contenuto. Con Photoshop puoi creare una bella foto, ma non migliorare il contenuto. La prima prende molti likes, il secondo risulta stimolante.

Quanto tempo dedichi alla preparazione dei look che posti?
Di solito sono 2-3 ore per la preparazione e 3-4 ore per produrre il singolo scatto.

Quali applicazioni usi per ritoccare le foto e quanto?
Usiamo solo Lightroom, per correggere le luci. Niente di più, niente di meno.

Quali sono i brand che preferisci? Perché?
I brand che mi hanno supportato dall’inizio e hanno compreso il mio modo di vedere. IWC, miei compagni da ormai quasi due anni, Nespresso, il nostro nuovo partner, per la sua organicità e, sicuramente, Hugo Boss, per la loro visione e direzione. Mi piacciono i brand che investono senza paura e, vedendo un ritorno, ci restano accanto.

I brand preferiti di accessori?
I cappelli di Christys, le scarpe di Santoni, i gioielli di Nikos Koulis, le cravatte di Tom Ford e le borse di Prada.

Alcuni consigli beauty per gli uomini e le donne che vogliono sempre presentarsi al meglio.
La pulizia, la tonificazione e l’idratazione sono importanti per entrambi. E non dimenticate la crema occhi, ogni mattina e prima di andare a letto.

Le mete dei tuoi sogni? I tuoi consigli personali.
Il Brasile. Cinque anni dopo la mia prima visita, potete ancora trovarmi lì, quattro volte all’anno, a cercare l’ispirazione e la pace. I colori, l’energia, la magia di questo Paese non sono reali e al tempo stesso sono così diversi da quello che mi è familiare dai miei viaggi in Europa. Personalmente, andrei al Kenna Resort, in Barra de Sao Miguel. Un resort eco-chic che mi ha conquistato.

@matthewzorpas 184K

®Riproduzione Riservata

Non dimenticarlo, è San Valentino anche per lui

Dopo aver trattato il lato femminile, ora tocca ai maschietti. D’altra parte, San Valentino è San Valentino e non fa distinzione di genere.
Come in tutte le occasioni speciali, la domanda sorge spontanea: Cosa gli regalo? Si sa, fare un regalo a un uomo è sempre più difficile, si rischia di cadere nel banale. Ecco un consiglio, per colpirlo e affondarlo: individuare le sue passioni. Voi sarete a cavallo e lui si sentirà compreso, amato e coccolato. Sportivo? Ambientalista? Narciso? Scopri il suo punto debole e centrerai l’obiettivo.
Per esempio, la stagione dello sci è ampiamente iniziata e la neve quest’anno non manca, perché non regalargli un accessorio utile, cool e di qualità come la mascherina Oakley? Non vedrà l’ora di avere gli sci ai piedi. Pensiero divertente ed ecologico: il nuovo monopattino elettrico Ninebot by Segway; un oggetto pratico, ripiegabile su se stesso, da usare nei brevi spostamenti; un giochino che lo farà ringalluzzire. Se, invece, avete a che fare con un uomo più vanitoso, con Proraso andrete sul sicuro, se poi porta la barba impazzirà per la linea Single Blade. Un San Valentino all’insegna dell’ironia sarà quello firmato Issey Miyake. Per l’occasione il designer prende ispirazione dalla tradizione giapponese in cui, a San Valentino, le donne regalano cioccolato agli uomini. Nasce così uno speciale packaging: all’esterno una dolce tavoletta di cioccolato, all’interno dei calzini “cacao 0%”. Non importa, invece, che siate uomo o donna per sostenere una giusta causa. Alessandro Enriquez, designer di 10×10 Anitaliantheory coglie, infatti, l’occasione per riportarci con i piedi per terra, creando una capsule di T-shirt in limited edition dedicata a Felix the Cat per sostenere i progetti di Oxfam. Acquistandola parteciperete alla raccolta fondi a favore della popolazione dello Yemen, uno dei paesi più poveri del mondo, travolto da una guerra civile. La T-shirt FULL OF LOVE firmata Alessandro Enriquez sarà presentata mercoledì 14 febbraio presso gli store del Gruppo Biffi Boutiques dove sarà esposta in esclusiva.

Patrick Van Negri

Patrick Van Negri è un entusiasta della vita e delle sfide. Di origini croate, attualmente vive a Miami. È cresciuto guardando Scarface, Miami Vice, CSI Miami. Non sopporta l’inverno e il freddo per questo, fin da bambino, ha sempre sognato di stabilirsi in un luogo caldo. Di recente ha conseguito la doppia specializzazione in International Business e Marketing. In più è un modello, studia recitazione, si occupa di musica ed è consulente digitale per molti brand.

La tua definizione di influencer/blogger/ambassador
Un influencer è una persona che ha saputo costruirsi una credibilità. Se indossa delle scarpe, improvvisamente tutti le desiderano. In altre parole, è qualcuno che può influenzare il pubblico con la sua autenticità.

Come vedi l’evoluzione del mondo social e del tuo business?
In crescita esponenziale. Con l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata basterà indossare delle lenti e tutto ci apparirà bello e, soprattutto, realistico. Questo è solo l’inizio.

Quale secondo te il social del futuro?
È davvero difficile fare una previsione, magari ancora non esiste. In ogni caso, credo che Instagram manterrà il suo ruolo di leadership per molto tempo e Facebook, Twitter, Snapchat continueranno ad evolversi. Conosco anche tante altre, ottime, piattaforme con un grande potenziale, come Anchor e Peach – o anche Marco Polo. Mentre spero che Pinterest diventi uno strumento “mainstream”, perché è una piattaforma davvero utile.

Lato negativo della tua professione?
Onestamente non vedo alcun aspetto negativo nel mio lavoro. Altrimenti, non lo farei. Mi piacerebbe, però, ascoltare cosa ne pensano gli altri a riguardo.

Questa professione quanto ti rende economicamente? I numeri del tuo business?
Diciamo abbastanza. Vorrei poterlo rivelare, ma per contratto non posso farlo.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
L’unica mia risorsa è l’autenticità. In termini di branding il mio “marchio” è basato su questo. Sono sempre sincero con i followers, anche quando il contenuto è sponsorizzato. Lo considero un servizio da offrire al pubblico. Tutti i vantaggi che ne derivano dovrebbero essere un “effetto collaterale”. La bellezza è dare senza aspettarsi per forza qualcosa in cambio.

Consiglio pratico di stile o beauty o posti che ti piacciono (guida a una città)
L’unico suggerimento di stile valido è essere sè stessi e non imitare gli altri. Per il beauty consiglierei di usare prodotti naturali e biologici, senza sostanze chimiche. Per un viaggio? Ovviamente la Croazia. È un paese così bello e versatile – io lo chiamo il centro dell’universo. C’è davvero tutto: una bellissima costa con 1.200 isole, fantastiche montagne e parchi nazionali. Ogni villaggio è così autentico e con un fascino singolare. Non c’è da stupirsi che stia diventando una delle destinazioni preferite nel mondo.

La professione di influencer ha una data di scadenza? Come immagini il tuo lavoro da vecchio?
Il lavoro di “influencer” è iniziato molto tempo fa, già nell’antica Grecia – o anche prima – sono sempre esistite le persone in grado di influenzare le masse. Quindi, non credo che sia una professione a scadenza. Si evolverà e si trasformerà attraverso nuovi mezzi e piattaforme. Se l’unico talento di un influencer è il numero di followers allora, sicuramente, c’è qualcosa di sbagliato. Non immagino come sarà la mia vita da vecchio, sono concentrato sul presente, cercando di fare al meglio il mio lavoro.

Conta più una bella faccia o un bel contenuto?
Un buon contenuto vince sempre. Una bella faccia potrebbe anche nascondere una personalità finta e poco genuina.

Quanto ore dedichi alla preparazione del tuo look e del tuo lavoro?
Per i look seguo l’ispirazione istantanea. Per gli scatti, dipende. Quando non sono soddisfatto di una foto la riscatto e il tempo che impiego può variare da venti minuti a un giorno o più.

Quale applicazioni usi per ritoccare le foto e quanto ritocchi per creare lo scatto perfetto?
Non utilizzo più applicazioni. Ora uso principalmente Photoshop e Lightroom. Impara a usare questi software e avrai tutto quello di cui hai bisogno.

®Riproduzione Riservata

DA DEISEL il fake è vero più del vero

Se davvero l’imitazione è la più sincera forma di lusinga, l’esperimento messo in atto da DIESEL può definirsi un episodio di auto-adulazione. Canal Street, la via newyorkese simbolo della moda contraffatta, ha assistito nei scorsi giorni, proprio durante la Fashion Week della Grande Mela, alla nascita di un negozio dall’aspetto fasullo, chiamato DEISEL.
Una sorta di esperimento parodistico del marchio stesso, ripreso interamente da un video posizionato all’interno del negozio, che vuole evidenziare, così, la mania globale del volersi accaparrare capi high level a prezzi scontatissimi. Per il brand DEISEL…pardon, DIESEL, è arrivato il momento di celebrare quelli che «fanno grandi acquisti con soli venti dollari in tasca, alla ricerca di un risultato fo**utamente meraviglioso», per dirla alla Macklemore. Un messaggio controcorrente, che incoraggia i consumatori ad allontanarsi dall’oggetto brandizzato che tutti desiderano, e incoraggia a vestirsi come si vuole.
Lo store al numero 419 Broadway, all’angolo con Canal Street, resterà aperto fino al 12 febbraio. Nel caso in cui lo shop oltreoceano sia troppo difficile da raggiungere con così poco preavviso, potete cercare su internet qualcuno che abbia acquistato da DEISEL a pochi soldi ed ora voglia rivendere alcuni dei rari pezzi della limited edition di DIESEL. Altrimenti potete tentare la fortuna sul sito diesel.com, che dal 13 febbraio metterà in vendita l’edizione (molto) limitata della sua fake collection.

®Riproduzione Riservata

Cinecult: The Post di Steven Spielberg

Ci sono momenti storici in cui anche gli artisti, e fra questi naturalmente anche i cineasti, sono chiamati ad assumere una posizione netta per quanto radicale e coraggiosa, su temi cruciali per la salvaguardia dell’integrità della democrazia nel proprio paese. E’ il caso di ‘The Post’ l’ultimo capolavoro di Steven Spielberg che dirige per la prima volta i due premi Oscar Meryl Streep e Tom Hanks nei ruoli rispettivamente di Catharine Graham e Ben Bradlee, la prima prudente editore e il secondo cinico direttore del quotidiano ‘The Washington Post’ nel 1971. Il film distribuito da 01 Distribution Rai Cinema S.p.A. e candidato a 2 premi Oscar, per il miglior film e la miglior attrice protagonista (Meryl Streep), affronta e ricostruisce la bufera che investì la Casa Bianca e l’opinione pubblica americana dopo la pubblicazione nel’71 prima da parte del ‘New York Times’ e poi dal ‘The Washington Post’ dei cosiddetti ‘Pentagon papers’ una relazione top secret di 7.000 pagine commissionata dall’ex ministro della difesa Robert McNamara (Bruce Greenwood nel film) che svelava segreti e misteri sul coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam a una nazione prostrata dall’oneroso contributo in termini di risorse finanziarie e vite umane, alla partecipazione americana al conflitto. Ben quattro presidenti fra i quali Kennedy, Truman, Johnson, Eisenhower, per non contare Richard Nixon che governava l’America all’epoca dello scandalo, avevano insabbiato una serie di decisive informazioni politiche sulle reali motivazioni dell’intervento militare in Vietnam e i suoi retroscena celati al Congresso e al popolo americano. E questo testo, presentato come uno studio del Pentagono, viene segretamente riprodotto e divulgato alla stampa dall’osservatore e studioso Daniel Ellsberg (un convincente Matthew Rhys) che in Vietnam aveva visto con i suoi occhi quanto la situazione già nel 1965 fosse destinata a precipitare e che l’esercito degli Stati Uniti non avrebbe mai vinto il sanguinoso conflitto. E così, sullo sfondo di un’America che in un certo senso può ricordare quella di oggi all’epoca di Trump dove, per usare le parole dello stesso Spielberg “la verità è sotto attacco soprattutto a causa della disinformazione”, nel film si combatte una dura lotta per l’emancipazione della stampa indipendente dall’ipocrisia e dalla volontà liberticida dell’establishment politico. Se i giornali che vogliono pubblicare (e poi di fatto pubblicano) i ‘Pentagon papers’ vedono l’ingiunzione di Nixon ai tribunali per impedire la rivelazione dei documenti secretati come la violazione del primo emendamento della costituzione americana che garantisce la libertà di stampa, oggi in America il governo non ricorre più ai tribunali ma alle fake news e alla manipolazione dei mezzi d’informazione per le sue mistificazioni e la sua comunicazione strategica. Il film è uno straordinario atto di impegno civile da parte di Spielberg che realizza un thriller politico vibrante di passione e dinamismo, anche nelle inquadrature così grintose e originali, quasi ‘aggressive’, che riprendono i personaggi sotto le più varie angolazioni per valorizzare la tensione che pervade il film. Un film che esalta anche la presa di posizione e l’evoluzione psicologica di una delle prime donne al potere in America, la Graham, che deve misurarsi con il suo testardo direttore, Bradlee, che da cacciatore di notizie un po’ spietato si trasforma in un professionista della libera informazione alla ricerca della verità. Perché in realtà, come recita la motivazione della sentenza della corte suprema che decise sul caso della rivelazione dei ‘Pentagon papers’ nel’71, “la stampa deve essere al servizio dei governati, non dei governatori”. Parole sante.

®Riproduzione riservata 

RETROMOBILE 2018 a Parigi

Se avete in programma di visitare Parigi, perché non fate tappa all’Exhibition Centre di Porte de Versailles, dove verrà allestita l’edizione 2018 di Rétromobile? Se non sapete come saziare la vostra fame di auto storiche, dovete assolutamente venire a visitare questo show, per apprezzare la varietà di mezzi in esposizione.
Considerato da molti come uno dei migliori saloni dedicati alle auto da collezione, all’automobilia e alla compravendita, Rétromobile renderà l’attesa per le manifestazioni estive decisamente più piacevole. Ci sarà la 43esima edizione dello show e si celebreranno importanti eventi, come il 120esimo anniversario di Renault, la tecnica delle auto youngtimer francesi e le spettacolari aste di RM Sotheby’s, Bonhams e Artcurial. In aggiunta a tutto ciò, un’esibizione speciale, chiamata “Grandes Heures Automobiles” presso L’Autodrome de Linas-Montlhéry, metterà in mostra 20 veicoli, tra auto e moto, che hanno fatto la storia di questo leggendario circuito dove, negli anni, sono stati registrati più di 1000 record di velocità, in ogni categoria di mezzi a 2 e a 4 ruote.
Pensate a Rétromobile come una sorta di pot-pourri ripieno di ogni ben di Dio per l’appassionato, dove si possono ammirare dalle auto da corsa ai carri armati, fino ai prototipi del futuro. Costruttori, Club, ricambisti, restauratori, commercianti, case d’asta e artisti convergeranno tutti tra il 7 e l’11 di febbraio per questo evento, uno dei più grandi in Europa.
Con una grande varietà di auto e veicoli, Rétromobile è uno degli eventi più importanti nel calendario degli appassionati, che sa sempre essere un’esperienza indimenticabile.

®Riproduzione Riservata