CASAVO LA APP PER VENDERE CASA IN TEMPO RECORD

In Italia i tempi medi per concludere la vendita di un immobile sono tra i più lunghi e stressanti rispetto alla media in Europa. Casavo, nuova start-up milanese propone una valida alternativa capace di abbattere il tempo di vendita degli immobili, offrendo una valutazione in 24 ore. Garantisce inoltre la conclusione della vendita entro 30 giorni con solo due visite per ogni singolo immobile, permettendo un notevole risparmio di tempo e stress. Casavo non compete con il tradizionale mercato immobiliare, ma al contrario collabora con le agenzie per espandere il proprio network.

Abbiamo incontrato Giorgio Tinacci (Co-founder & Managing Director di Casavo) per farci raccontare come è nato e si è sviluppato il progetto.

Come è nato il tuo progetto?
L’idea è nata a termine dei miei studi, a maggio dell’anno scorso ho iniziato a studiare un businnes-trend immobiliare già presente e consolidato sul mercato anglo-americano dove sostanzialmente si vuole semplificare l’esperienza di vendita immobiliare,  in un mondo legato a schematiche di vendita e di pensiero piuttosto tradizionale. Mi sono quindi chiesto perché non portare questa nuova categoria di business in Italia. Il mercato immobiliare italiano è un mercato molto grande, basti pensare che i privati detengono il 90% dei beni immobiliari sul suolo, in Germania per esempio sono al 50%. Questo potenziale però è ancora legato alle dinamiche tradizionali con gli stessi operatori di sempre e sostanzialmente poco digitalizzato. I tempi del mercato immobiliare sono inoltre molto lunghi rispetto a quello europeo, a Milano che è uno dei mercati più dinamici abbiamo dei tempi medi di vendita di sei mesi. Ho iniziato a discutere il tema con un investitore tedesco che ci ha aiutato a far partire il progetto. Per me questo era una sfida molto interessante, perché coniugava da un lato quello che è prendere un modello di business tradizionale e industrializzarlo tramite una piattaforma tecnologica, dall’altro è un modello che crea una nuova categoria di mercato, quindi non è un innovazione incrementale ma radicale, e allo stesso tempo un business molto capital intensive.
Quale il plus che offrite alla vostra clientela?
Se un cliente vuole vendere casa l’opzione è andare verso il processo di vendita tradizionale, può decidere se affidare la vendita a un intermediario oppure no;  probabilmente venderà l’immobile nei sei mesi che è il tempo d’attesa di questo mercato, non sapendo precisamente a quale prezzo chiuderà. Deve inoltre coinvolgere parti terze, l’agenzia, periti e notai. In sostanza è un processo molto lungo con diversi aspetti da gestire, noi l’abbiamo voluto semplificare. Il cliente può vendere l’immobile all’azienda tramite il sito, è poi l’azienda che si fa carico del rischio finanziario per trovare un’acquirente finale. Siamo una società immobiliare vera e propria che offre la possibilità al cliente di vendere quell’immobile in un mese. Non ci sono commissioni, ma viene fatto a fronte di uno sconto sul prezzo medio del mercato del 8 % per come si presenta l’immobile in quel momento. Puoi accedere al nostro servizio tramite il sito, inserisci i dati del tuo immobile e noi ti facciamo un’offerta d’acquisto oppure puoi entrare in contatto con noi tramite un’agenzia immobiliare partner. Valutiamo l’offerta, e se viene accettata effettuiamo una perizia di 5 giorni, se va a buon fine è possibile proseguire con l’acquisto dell’immobile in tempo record.

State acquisendo immobili solo a Milano o anche in altre città italiane?
La nostra strategia geografica segue un modello di business che ha senso solo nelle aree metropolitane, laddove ci sia un certo numero di acquisizione immobiliari annue e una certa densità immobiliare. Ad oggi siamo attivi su Milano ma apriremo a Roma da ottobre di quest’anno e nel prossimo anno non escludo di esser presenti anche su altre città. Le città assimilabili sono Torino, Bologna, Palermo e Napoli ma ci sono una serie di fattori da valutare.

Quante immobili riuscite ad acquisire al mese in media?
Durante il mese di luglio ne abbiamo acquistate cinque, arriveremo a dicembre ad un tasso di dieci sulla singola città. Puntiamo a un tasso di venti entro il prossimo anno su Milano.

Hai qualche informazione su quale tipologia di clienti utilizza il vostro sito?
Per ciò che riguarda il genere, non è molto differenziato, sono maggiormente famiglie o coppie, uomini e donne. Ci sono però dei fattori che accomunano la tipologia di cliente che decide di affidarsi al nostro servizio, ne ho individuati quattro. Il primo è il cliente del cambio casa, la persona che ha bisogno di vendere la casa per comprarne una nuova. Il secondo è il cliente che ha ottenuto l’immobile grazie a un’eredità e non ha legami affettivi con la casa che vuole monetizzare. La terza categoria sono persone che, a causa di eventi particolari come il divorzio o una re-location all’estero, giudicano il processo di vendita molto lunga e stressante. L’ultima tipologia sono clienti che hanno bisogno di liquidità per ovvie ragioni economiche, ci sono casi dove se la casa dovesse finire all’asta perderebbe molto più di valore che se venisse acquistata da noi, quindi gli offriamo un’alternativa veloce.
E quali sono i prossimi obbiettivi?
Vogliamo evolvere ancora di più la piattaforma a livello tecnologico. Oggi il cliente inserisce i dati sul sito e viene poi contattato da noi con l’offerta preliminare, nella piattaforma che abbiamo in fase di testing, il cliente inserisce i dati e il sistema stesso sarà capace di elaborare istantaneamente la cifra preliminare che siamo disposti ad offrire. Sarà un servizio gratuito in più che offriamo, qualsiasi persona che vorrà vendere un immobile può avere una valutazione preliminare in maniera veloce e gratuita.

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Il menswear secondo Riccardo Grassi

Riccardo Grassi scommette sull’uomo dall’anima street&fashion più evoluta e lo fa con il nuovo progetto RG Man, show-room interamente dedicato allo stile maschile nella sua versione più avanguardista. Un progetto ambizioso che prima di tutto vuole essere un contenitore di novità e fucina di nuove tendenze, già a partire dallo spazio pensato per far risaltare le collezioni. Oltre ai brand già in scuderia con importanti linee uomo, come N°21, Drome e MSGM, si è aggiunto Fumito Ganryu, designer giapponese che è stato ospite all’ultimo Pitti Uomo, e rappresenta il casualwear innovativo. Proprio questo stilista visionario ha ispirato e spinto Riccardo Grassi a creare il nuovo spazio dedicato a un menswear contemporaneo. Così RG Man ospita il debutto europeo di Ground Zero, ad esempio, il brand street leader in Cina, ma anche le sneaker del newyorkese Joshua Sanders, le t-shirt e felpe di The Saint Mariner disegnate dal tattoo-artist Pietro Sedda, Alchemist, ormai sotto le luci della ribalta per le sue incredibili lavorazioni, fino alle più sovversive creazioni del russo Tigran Avetisyan.

TIGRAN AVETISYAN SS19
TIGRAN AVETISYAN SS19

Proprio nel suo headquarter in Via Piranesi, dove a breve aprirà anche un B&B dal design curato e un ristorante, abbiamo incontrato Riccardo Grassi per farci raccontare come è nato questo progetto.

Come è nata l’idea di questo nuovo spazio dedicato all’uomo?
Avevamo già una parte uomo con i brand più contemporary come MSGM o N°21, alla quale abbiamo aggiunto Fumito Ganryu, un designer molto raffinato, che è una via di mezzo tra un mondo street molto pulito e l’innovazione tecnologica. Abbiamo poi selezionato delle piccole realtà con collezioni che avessero un’identità molto precisa e soprattutto dei pezzi significativi, che diventassero un po’ l’oggetto particolare da mettere in negozio. Credo che nel menswear funzioni più l’oggetto e la storia che è dietro, lo storytelling, che il total look. Questa moda delle  “limited edition” sta influenzando il mercato in maniera potente. Abbiamo già avuto una risposta molto forte dal parte del mercato asiatico, perché loro comprano e apprezzano molto l’item particolare.

Come ad esempio Tigran Avetisyan, il designer russo con la T-shirt nella cornicie, che ha anche collaborato con Comme des Garçons…

Sì, per due volte e abbiamo portato anche un altro ragazzo russo, Walk of Shame, che fa donna e va fortissimo. Come ti ho detto sul contemporary eravamo già coperti, e volevamo affrontare la sfida dei giovani creativi: il nostro obiettivo è offrire ai negozi qualcosa di veramente speciale e unico.

Pietro Sedda
THE SAINT MARINER SS19

Anche lo spazio è stato pensato in modo molto diverso dagli altri, da chi è stato progettato?
Volevamo che questo spazio fosse molto più “raw”, per dare più importanza alle collezioni con un ambiente più crudo. Sono contentissimo ci sia un negozio così oggi. Lo spazio è stato progettato da Christian Rizzi, un giovane visual molto bravo. Credo sia il momento giusto per  dare un contesto speciale sia per la donna che per l’uomo. L’importante è che ci sia un vero  contenuto, altrimenti perché il negoziante o il cliente finale dovrebbero comprarti? Vogliamo ampliare il menswear perché credo ci sia molto spazio in questo segmento; oggi sono nati in tutto il mondo una serie di negozi molto forti che hanno fatto evolvere la corrente dello streetwear. Poi magari si evolvono in altro, senza tradire lo street, magari con proposte più colorate e pop ed è questo ciò che rappresenta il mondo giovane, quello dove si muovono i ragazzi. Ed è questo quello che vorremmo portare avanti noi in questo momento.

E quanto pensi che influisca il mondo dei social in questo mondo?
Tantissimo, questi mondi parlano la lingua dei social media, con Tigran Avetisyan ho fatto metà ordini solo inviando quel frame ai negozi. E’ un messaggio forte che arriva e si capisce, ed è virale tramite Instagram.

ARTICT EXPLORER
ARTICT EXPLORER

E cosa ne pensi della Milano Fashion Week uomo?
Milano è diventata più una destinazione per lo shopping che per la Fashion Week. Abbiamo una reputazione shopping enorme, con negozi che attirano clienti da tutto il mondo. A Milano c’è tutto in maniera molto completa, c’è un amore incredibile verso la città da parte degli stranieri, purtroppo per quanto riguarda la parte “momenti moda” deve dare una sterzata fortissima e capire come catturare questa parte giovane di cui parlavamo prima.  A Pitti, per esempio, ce la stanno facendo, sono due realtà molto diverse, ma credo si possa fare anche a Milano; la gente è pronta, le stesse persone che considerano Milano alla pari di Londra o di Berlino. Però vogliono vedere più vitalità, più show-room e multibrand forti. Siamo comunque costretti anche noi a migrare a Parigi durante le campagne vendite per sviluppare un business che nella capitale francese è sempre più attraente.

Quindi Parigi è ancora sul podio?
E’ potente perché è comunicativa e poi ha una lunga tradizione. Ma per la gente la moda a Parigi non è così cool, come a Milano. E questo è un plus in più che abbiamo, questa bellissima Milano contemporanea, la Milano dei bei locali e delle mostre, un fenomeno che è stata notati più dai turisti che dai milanesi. Le zone si stanno rivalutando e il mood che si respira è molto interessante e vivace.

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IN VIAGGIO CON OTTAVIO MISSONI Jr

Ottavio Missoni Jr, primogenito di Vittorio Missoni, è un vero esploratore e amante dei viaggi su due ruote. Una passione che ha ereditato dal padre e lo porta a visitare in modo avventuroso paesi lontani. Non a caso colleziona motociclette, mentre tra un impegno aziendale e l’altro, progetta i suoi viaggi grazie alle sue App preferite.

Cosa non manca mai nella tua valigia?
Come capo, la giacca in maglia Missoni, ha un uso sia sportivo sia formale, a seconda di cosa ci abbini, inoltre la pieghi e una volta fuori non ha bisogno di essere stirata. E’ un capo fondamentale per un pigro come me nel fare la valigia! Io credo che ormai gli essential non sono più degli oggetti, come succedeva in passato, ma le App che hai sullo smartphone. Oltre alle solite note che utilizzo, TripAdvisor su tutte, trovo utilissime per i mie viaggi più avventurosi “zaino in spalla”, iOverlander, per i bivacchi last minute, e l’app della Farnesina, per la sicurezza e la pianificazione.

Valigia morbida vs rigida?
Trolley rigido per i viaggi con spostamenti aerei, piccolo o grande a seconda della durata del viaggio. Borsone morbido adattabile a zaino per i viaggi in moto o in barca.

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Raccontami del tuo ultimo viaggio.

Atene-Gibilterra: non é l’ultimo viaggio, ma senz’altro l’ultimo con la V maiuscola. Da Atene a Gibilterra in sella a una moto, attraversando Macedonia, Albania, Bosnia, Croazia, Slovenia, Italia, Francia, Spagna e Portogallo. Ho percorso circa 8000km di cui un buon 30% su strade di montagna sterrate.

Quando viaggi ascolti musica? Come occupi il tempo degli spostamenti?
In aereo guardo tantissimi film, non per combattere la noia del viaggio, ma perché é una delle rare occasioni che ho per guardarmi un bel film in pace! Guidare per me è un piacere, anche per lunghe tratte e se sono solo, una buona playlist basta per tenermi compagnia. Johnny Cash per me rappresenta l’emblema dei road trip con pezzi come Folsom Prison Blues. Poi mi piace anche Tom Petty con I won’t back down.

Parlami del tuo prossimo viaggio.
Quest’estate assieme alla mia fidanzata vorrei partire per la Mongolia su una Fiat Panda 4×4 primo modello. Sono circa 16.000 km; la durata del viaggio stimata é di un mese e l’itinerario prevede l’attraversamento di Slovenia, Croazia, Serbia, Bulgaria,Turchia, Georgia, Azerbaijan, Mar Caspio (in nave), Turkmenistan (piccolo e poco noto stato dell’Asia centrale ndr), Uzbekistan, Kazakistan, Russia e Mongolia. Di giorno in giorno valuteremo dove pernottare, non sempre ci sarà un tetto sopra di noi, spesso dormiremo in tenda. Vedere le notti stellate nei deserti del Karakum e del Gobi, o su un altipiano mongolo, non ha prezzo… Inoltre sfrutteremo la visibilità del nostro viaggio per raccogliere dei fondi per una Onlus a noi cara e documenteremo il viaggio su una pagina web dedicata.

Documenti i tuoi viaggi con Instagram? 
Utilizzo Instagram, ma non ne faccio abuso. Documento i miei viaggi, ma metto pochi scatti, quelli che secondo me sono i più rappresentativi, poi se c’é qualche situazione simpatica, ecco che scattano le stories.

 Il tuo viaggio ideale e il posto che vorresti visitare prossimamente?
Mi piacerebbe attraversare il Sud America in moto, da Panama a Capo Horn nella Terra del Fuoco. La civiltà Inca mi ha sempre affascinato, così come la storia socio-politica dell’Argentina. Inoltre consiglio come lettura in merito sui viaggi in Sud America  “I diari della motocicletta” di un giovane Ernesto Guevara.  Viaggiare significa esplorare, avventurarsi, incontrare persone che hanno culture, usi e costumi differenti dai nostri; fantasticare prima della partenza su quello che vedremo, capire se l’idea che abbiamo di un posto é poi effettivamente quella corretta o se invece l’informazione é deformata dalla realtà. Ma viaggiare significa anche staccare la spina dalla routine quotidiana: mio papà diceva sempre che il vero lusso non lo si trova nei beni materiali, il vero lusso é avere il tempo necessario da dedicare a se stessi e alle proprie passioni.  Chiaramente per un viaggio così di tempo ne serve molto!

Qual è la destinazione che ti è rimasta nel cuore e perché?
Il deserto del Merzouga tra Marocco e Algeria, un posto che vale la pena visitare. In un’area non troppo estesa hai la possibilità di goderti svariati panorami e morfologie di terreno, dune, montagne, fiumi, steppa. Lì ho corso una gara in moto e purtroppo non potevo fermarmi a fare scatti, ma mi piacerebbe tornarci da turista. Lì ho visto il più bel tramonto di sempre, sulle dune.

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Qual è l’accessorio che non può mancare nella tua valigia?
Il GPS di Garmin. Ha un database di informazioni ricchissimo, dalle strade urbane ai piccoli sentieri sterrati di montagna, inoltre segnala ristoranti, alberghi, ospedali, pompe di benzina. Con il software a casa pianifico gli itinerari, inoltre posso tracciare rotte e registrare i punti in cui transito in tempo reale.

I prodotti beauty che porti sempre con te?
Dedico davvero poco tempo alla cura del mio corpo. Il mio beauty viaggio é composto da rasoio elettrico, spazzolino/dentifricio, deodorante e una crema idratante. Non utilizzo creme o lozioni specifiche e, per i prodotti corpo, mi affido a ciò che trovo negli hotel. Non manca mai il profumo: il Tuscan Leather di Tom Ford.

Il tuo consiglio per una valigia stilosa ma funzionale.
Recentemente sono passato a un borsone misto pelle e tessuto molto resistente con i due manici adattabili a zaino in spalla. E’ davvero funzionale, lo sfrutto in ogni situazione e condizione meteo. É prodotto da Deus Ex Machina, il che rende una valigia già bella ancora più cool.

 

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STYLE SUGGESTIONS: POLO CLASSICA O A FANTASIA?

I capi che meritano il titolo di fashion classic sono pochi, ma la polo fa sicuramente parte di questi. Meglio conservarne l’allure iconico con la versione classica o aggiornarla con le fantasie più trendy del momento?

Breve storia della polo

L’esatta origine storica di questo capo non è certa, è indubbiamente nata in parallelo con il gioco del polo, in particolar modo quando, alla fine del XIX secolo, questo sport divenne molto comune in Inghilterra e i giocatori iniziano a indossare un vero e proprio completo da gioco. L’abbigliamento da polo era costituito da magliette in cotone e a maniche lunghe alle quali fu presto aggiunto un colletto simile a quello delle camicie, ma fermato da dei bottoni, per far in modo che questo non svolazzi fastidiosamente durante il galoppo sul campo. Non molto più tardi, John E. Brooks, nipote del fondatore del brand americano Brooks Brothers, durante un viaggio di lavoro in Inghilterra, vedendo una partita di polo notò il particolare dei collari dei giocatori; colpito dalla novità e tornato in patria, decise di applicarla alle sue camicie, che presero il nome di button-down. Nel 1896 il modello venne lanciato sul mercato e Brooks Brothers chiama questa camicia: l’originale polo shirt. Secondo altri invece l’ideazione della polo spetta al campione francese di tennis René Lacoste, che inventò una camicia a maniche corte e funzionale, una “maglia da tennis” destinata a diventare vero cult.

Quando parliamo di classicità in questo ambito è impossibile non pensare per l’appunto alla leggenda del tennis francese René Lacoste, al quale molti danno il merito di aver inventato la polo moderna. Un po’ come nel gioco del polo, anche nel tennis l’abbigliamento era poco pratico e confortevole. Le maglie avevano maniche lunghe che venivano rimboccate e colletti button-up, ma il gioco necessitava di funzionalità, così Lacoste progettò un’alternativa adatta alle sue esigenze: una t-shirt a maniche corte e soprattutto in piqué di cotone che donava traspirabilità. La indossò per la prima volta nel 1926 (in occasione del campionato US Open, che vinse) e vi applicò un piccolo disegno di un coccodrillo quando i giornali iniziarono a soprannominarlo “l’alligatore”, forse per il suo naso pronunciato o forse per la sua passione per i borsoni in coccodrillo. Si dice che questa polo fu il primo capo d’abbigliamento sportivo ad avere un brand visibile, così dal 1933 la polo Lacoste inizia ad essere venduta regolarmente. Da quel momento in poi la polo sostituì il classico abbigliamento precedentemente utilizzato per il tennis e poco dopo anche nel gioco del polo, dove si scelse di adottare camicie in piqué di cotone, tessuto che permetteva di tenere alzato il colletto evitando scottature sul collo.

Pochi anni dopo Lacoste si ritirò dal tennis professionistico e nacque La Société Chemise Lacoste, fusione delle idee del tennista francese con il produttore di maglieria Andrè Giller, la quale produceva questo nuovo classico sportivo in differenti colori che venne presto venduta nei grandi magazzini di fascia alta ed indossato anche fuori dai campi da gioco. Negli anni ’50 un’altra leggenda del tennis, Fred Perry, creò una sua versione di polo sfidando l’originale Lacoste e divenne il capo di punta tra i teenagers del momento, permettendo il salto da indumento da sport a capo alla moda. altro evento significativo è nel 1967 quando il newyorkese Ralph Lauren diede vita ad un nuovo brand di abbigliamento casual, uno stile classico e timeless. Capo chiave delle sue collezioni, strettamente legate allo sport del polo, era la polo shirt. Gli anni ’80 furuno l’epoca d’oro di questo indumento, con una sfida costante tra i brand, che vede in testa proprio Polo Ralph Lauren  grazie a un indiscussa qualità. Nel corso degli anni le polo sono state adottate come divisa anche nell’ambito del golf e ora la polo è un capo diffuso nel mondo occidentale diventando un classico americano, simbolo di uno status e di uno stile di vita.

La polo classica

Icona dell’abbigliamento casual e informale, la polo è un indumento versatile che non può mancare in nessun guardaroba. Luchino Visconti la indossava in una celebre foto del 1960, Gianni Agnelli la portava al mare in compagnia di Jackie Kennedy. Non c’è nessun dubbio che la polo sia da sempre sinonimo di un’eleganza casual e che sia diventata negli ultimi anni anche un caposaldo della tendenza athleisure. Perché, se le polo restano tuttora la divisa ufficiale per tennisti e giocatori di golf, è pur vero che i modelli più chic si ritrovano anche negli ambienti lavorativi più smart dove, soprattutto con la bella stagione, il caldo intenso spinge tutti a preferirle alle camicie. Le nuove polo sono realizzate in cotone garzato o punto riso, rasato finissimo o lavorato piquet e uniscono al piacere e al comfort della maglia, l’eleganza e la vestibilità del collo applicato dall’effetto camicia. Uno dei vantaggi delle maglie in piquet di cotone, inoltre, è la proverbiale traspirabilità, che le rende indispensabili in estate. Aristocratica rivale della T-shirt, oggi si impreziosisce e può essere indossata anche in ufficio con giacche monopetto, blazer destrutturati e pantaloni su misura in cotone. Ovviamente solo se l’etichetta aziendale lo permette. Altro brand iconico nato da subito come punto di riferimento nel mondo del Gioco dei Re è La Martina, azienda fondata da Lando Simonetti a Buenos Aires nel 1985. Partendo dalla classica polo il brand ha poi sviluppato un guardaroba total look in grado di riflettere un lifestyle legato alle club house e ai campi da polo.

Polo a fantasia

L’occasione perfetta per indossare polo colorate o con fantasia è invece il tempo libero. Oltre all’abbinamento con pantaloni chino e mocassini, un’altra ipotesi molto diffusa prevede i classici bermuda e le scarpe da barca. Ma non solo, la polo è particolarmente abbinabile anche a jeans e pantaloni in cotone o lino su misura. In tinta unita crea un raffinato effetto preppy, da sfoggiare eccentricamente a contrasto, o con il rigore del ton sur ton. La versione a righe, invece, regala un sofisticato gusto à la marinière da completare con pantaloni blu navy. Le polo da uomo si possono indossare anche la sera: il look total white è un irrinunciabile delle nottate in riva al mare, i toni denim si prestano per le occasioni in città e le proposte verdi a maniche lunghe si sposano bene con dei jeans scuri. Senza contare tutte le più recenti varianti con righe multicolor, zigzag, scacchi e rombi, che aggiungono un twist a questo capo intramontabile. Non abbiate paura del colore, le polo acquistano maggiore personalità con colori accesi, soprattutto quando splende il sole e siete in momenti di relax con un bel drink in mano. Infine, attenzione particolare meritano gli spacchetti laterali: nel primo caso può essere indossata sia dentro che fuori i pantaloni così come quando ha gli spacchetti simmetrici. In generale la preferiamo fuori dai pantaloni, perché il rimbocco va in antitesi con il dna casual e morbido di questo capo, anche quando la indossate con un blazer o un completo dalle linee sartoriali. Nel caso di spacchetti asimmetrici meglio indossare la polo dentro i pantaloni per evitare un effetto poco armonico. Per quanto riguarda la giusta misura invece teniamo presente che la mezza manica deve arrivare a metà bicipite; la cucitura della manica deve combaciare con l’attaccatura della spalla, mentre nella parte posteriore la polo deve arrivare esattamente sul fondoschiena.

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Dalla lirica al cinema, a tu per tu con Mario Acampa.

Mario Acampa (classe 1987) un percorso tra musica, fiction, teatro e cinema. Un personaggio dai molti talenti e grandi passioni, come l’opera lirica (nel 2015 firma la sua prima regia del Il piccolo Principe) per poi scrivere e dirigere nel 2017 il primo Opera Show al mondo “La vestale di Elicona” in cui si intrecciano opera lirica, balletto, prosa, musica dal vivo e arti visive. Dopo numerosi ruoli nelle fiction italiane accanto a Luciana Littizzetto, Marco Giallini, continua la sua formazione tra New York e Los Angeles e, grazie al suo curriculum internazionale, vola a Budapest sul set di Ron Howard accanto a Tom Hanks nell’ultimo film “Inferno”. A giugno vedremo Mario Acampa nel film Ulysses dove recita insieme alla star americana Danny Glover (tra gli altri protagonista in Arma Letale), a Dark Odyssey. Abbiamo incontrato Mario a Milano, dove è stato modello per un giorno, per scattare la collezione di Antonio Marras che lo ha vestito per il suo nuovo programma di Sky Classica Tao Tutti all’Opera.

Sei attore internazionale in teatro, cinema e tv, e conduttore. Se dovessi scegliere, qual è la cosa ti appassiona di più?
E’ difficile per me decidere cosa mi appassiona di più, ho sempre sentito sin da piccolo l’esigenza di comunicare e di farlo attraverso l’arte. In alcuni momenti ho pensato di farlo meglio con un solo mezzo, ma la verità è che ho capito che mi piace alternare il teatro, il cinema e la tv e la scrittura. Sono strumenti molto diversi tra loro, ma alla base c’è come minimo comune denominatore la stessa voglia di esprimermi e di suscitare emozioni e riflessioni in chi mi ascolta o mi guarda e insieme a loro c’è la voglia di provarle anche io! Il teatro ha la potenza del pubblico dal vivo ed è un’ incredibile palestra, ma se ti sforzi di sentire la presenza del pubblico anche sul set e se ricerchi la verità dei personaggi che interpreti, capisci che ogni occasione per fare arte è semplicemente una benedizione e va vissuta come tale e con lo stesso impegno e curiosità.

Sei anche laureato in legge. Quando hai capito che il mondo dello spettacolo sarebbe stato il tuo lavoro?
Da piccolo ero ferrato nelle imitazioni e poi ho sempre cantato, recitato, ballato, presentato. Durante gli anni del liceo mi sono iscritto a un corso di teatro a scuola e lì ho capito che avrei voluto continuare a fare arte e soprattutto che mi faceva stare bene. Poi giunse il momento di scegliere cosa fare dopo il liceo. I miei genitori non erano affatto favorevoli alla carriera artistica in modo esclusivo, così decisi di iscrivermi a Giurisprudenza perché è una materia che mi ha sempre affascinato. La legge è intorno a noi ed è alla base della nostra vita sociale e ne è espressione, per certi aspetti come l’arte! Poi mentre frequentavo l’università il richiamo del teatro si è fatto più forte, ho fatto una scuola e poi sono diventato Primo attore allo Stabile Privato di Torino. Lo sono stato per 7 anni e da lì è partito tutto. La Rai, il cinema…

Hai lavorato in Italia, ma anche a New York e Los Angeles. Come è stato entrare in personaggi che parlano una lingua straniera?
Recitare in inglese per me è esattamente come recitare in italiano, il lavoro che faccio sul personaggio è lo stesso e ho imparato che la lingua non è mai un ostacolo per l’arte, perché va dritta al cuore. Ho iniziato a studiare inglese da piccolo, mi piaceva sapere il significato delle mie canzoni preferite. E poi ho cominciato a vedere i film e le serie in lingua originale. Non pensavo che sarebbe mai stato utile conoscere l’inglese per il mio lavoro di attore, e poi ho incontrato a Roma la mia actor coach americana che mi ha consigliato di andare a Los Angeles e appena ho potuto sono volato in America. Dopo poco ho firmato col mio manager attuale proprio ad Hollywood e il sogno è diventato realtà. Essere sul set con Tom Hanks diretto da Ron Howard o con Danny Glover è stato incredibile.

Negli Stati Uniti è in uscita il film “Ulysses”, girato a Torino, a fianco di Danny Glover. Com’è il tuo personaggio, il dio Hermes?
Di sicuro il dio Hermes è stato il ruolo più intenso e complicato che io abbia mai fatto. In questa rivisitazione dell’Ulisse, Hermes è un transessuale con un passato di abusi e violenze. Il suo rapporto con Eolo è di schiavitù mentale e fisica. Ho cercato di entrare nel personaggio senza giudicarlo, senza provare pena o compassione o distacco, ma solo cercando di ricostruire nella mia testa tutti i tasselli che l’hanno portato a diventare ciò che è. Alla fine ci ho ritrovato gli stessi sogni di chiunque altro, le stesse paure. E così quell’Hermes che mi aveva tanto spaventato in prima lettura, è diventato una parte di me, quella parte che cerca di vincere, di lottare per i propri ideali e di riconquistare la propria libertà anche a costo della vita, ma con la convinzione di riscattarsi contro l’ingiustizia. Io lo trovo avvincente. Poi di sicuro essere accanto a star di Hollywood come Danny Glover (arma letale), Udo Kier e Skin è stato un grande stimolo. Sapere che la mia interpretazione sia stata definita “inspiring” e cioè ispiratrice di forza ed energia è meraviglioso. Spero che sia così per tutti gli italiani che dal 14 giugno andranno al cinema, così come per gli spettatori in tutto il mondo.

Quali sono gli attori a cui ti sei ispirato nella tua carriera decennale?
Se posso dirtene un paio direi Totò ed Eduardo De Filippo. Il primo perché mi ricorda quando mio padre da piccolo mi leggeva “A Livella” di Totò interpretandola, è stato forse mio padre il primo ad avviarmi all’arte senza saperlo! E poi Totò era uno spirito libero, che lasciava entrare la sua essenza in tutto ciò che faceva. Vorrei avere un briciolo della sua personalità. E il secondo, De FIlippo, perché credo rappresenti esattamente ciò che significa “tragicommedia della vita”. Eduardo riesce a far pensare, ridere e piangere allo stesso tempo e questo credo sia ciò che deve fare un buon attore se vuole rappresentare la realtà.

Ora sei in onda su Sky con il programma “Tao Tutti all’Opera”, in cui indossi gli abiti di Antonio Marras. In quali tratti della collezione ti rispecchi di più?
Antonio Marras ha capito esattamente lo stile che volevo dare alla trasmissione e ne rappresenta lo spirito. Personalmente mi ritrovo molto nel risvolto sorprendente dei suoi outfit, in una camicia bianca c’è sempre un dettaglio che ti colpisce e che ti lascia sospeso. Oppure nei completi, dalla vestibilità e dal taglio ipermoderno, ma con zip inaspettate e nello stesso tempo con tessuti della tradizione. Per questo Marras esprime esattamente il concept di TAO- Tutti all’opera, e per questo sono felice di indossare le sue creazioni. Antonio è carnale nei suoi abiti e non ha paura di lasciare il segno proprio come vorrei facesse TAO, una trasmissione pensata per divulgare l’opera lirica anche a chi non è un esperto. L’opera ha origini popolari e come tale deve arrivare a tutti. Ho cercato di lasciare la tradizione rivisitandone i modi, proprio come fa Marras con i suoi vestiti. E poi siamo alle OGR di Torino, un posto meraviglioso in cui prima si riparavano treni e oggi sono Officine di arte e cultura.

Nella vita di tutti i giorni, invece, che stile prediligi?
Amo la comodità, i pantaloni con le pence a vita alta dalla vestibilità over, le tasche alla francese, le t shirt con i dettagli ricercati, le camicie bianche, le scarpe colorate, le valigie e le borse in pelle consumata, gli occhiali. E poi le giacche in tartan, i cardigan bon ton, le righe larghe e i cappeli a falda larga. Insomma credo di essere uno spirito libero anche nel vestire; non mi piacciono le categorie e le linee di demarcazione. Lascio che i vestiti “cadano” sul corpo, come si dice, così come lascio che gli eventi mi sorprendano.

Che ruolo hanno i social network nella tua professione?
Nella mia professione credo che i social abbiano lo stesso ruolo che hanno per tutti gli altri, cioè sono un amplificatore del nostro ego. Quello che decidiamo di mettere in mostra è una scelta non solo di stile, ma anche di consapevolezza di sè. Ciò che pubblichiamo è spesso filtrato dalla nostra razionalità e non è sempre un bene, perché non sempre arriviamo agli altri come vorremmo o come crediamo razionalmente. Io personalmente come si può vedere, non ho filtro, posto sui miei social esattamente ciò che mi accade quotidianamente e mi espongo per ciò che sono. Mi fa stare bene perché non voglio prendere in giro chi mi segue. Mi piace condividere i miei momenti belli e brutti con chi sostiene ogni giorno il mio sogno e mi dà la possibilità di farlo con un applauso o guardando una mia trasmissione o un mio film.

Un sogno nel cassetto? E prossimi progetti
Per ora sogno un tiramisù gigante, un film con un ruolo folle, una trasmissione in radio o tv dove posso cantare e presentare e giocare come faccio nella vita, una pizza infinita, e la pace nel mondo. Dici che fa troppo Mr. Italia?In cantiere ci sono tante cose belle, tornerò in teatro a breve con uno spettacolo sulla vita di Nureyev che ho scritto e diretto “Processo a Nureyev” e poi mi aspetta ancora TAO per un’intera stagione su Sky e poi vedremo…

 

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Photographer Davide Bonaiti

Mario Acampa veste Antonio Marras.

IL PRINCIPE RANOCCHIO DEL NUOTO ITALIANO: FABIO SCOZZOLI

Viso da bravo ragazzo e fisico statuario. Fabio Scozzoli, classe 1988, campione europeo e mondiale nei 50 e 100 m rana. Sui social è riservato, ma gli piace condividere le sue passioni, i viaggi e qualche momento con la sua Martina Carraro, anche lei nuotatrice specializzata nella rana, e il loro cane. Agli Assoluti di Riccione il nuotatore azzurro ha migliorato il proprio record italiano dei 50 rana col tempo di 26”73, terzo crono mondiale della stagione sulla distanza.

Quando hai sentito saresti diventato un nuotatore?
È stato quando ho finito le scuole superiori. A livello giovanile ero un buon nuotatore, ma non ero un campione. A diciannove anni, quando mi sono diplomato, ho vinto anche i miei primi Campionati Italiani Assoluti ed è stato il culmine della crescita di quegli anni. Poi mi sono trasferito dalla mia vecchia squadra di Forlì a Imola, dove c’era un allenatore ungherese molto bravo, che mi ha cresciuto nella prima parte della mia carriera, dai sedici ai venticinque anni. In seguito ho avuto un anno di transizione, dovuto a un infortunio al ginocchio, poi sono andato ad allenarmi un anno in Austria. È stato molto stimolante ritrovarmi in un ambiente internazionale, entrare in contatto con altre culture, compresa la cucina, che è anche una mia grande passione

Come hai scelto lo stile rana?
È venuto naturale. Cercano sempre di insegnarti tutti gli stili, e poi, un po’ per le proprie caratteristiche fisiche e un po’ per capacità, viene fuori il tuo indirizzo, in cui ottieni i risultati migliori. Ero bravo a fare un po’ tutto, fino all’età in cui ho avuto l’esplosione nello stile rana.

Maestri o persone che sono stati particolarmente importanti nella tua vita?
Il mio babbo è sempre stato per me un grande punto di riferimento. Un esempio di calma, forza e serietà. A livello sportivo ho sempre ammirato molto Pippo Inzaghi, in cui mi sono sempre un po’ rivisto, perché era un calciatore dalle doti tecniche magari non eccelse, ma che con il lavoro e la dedizione ha ottenuto risultati incredibili.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
I Campionati Europei di questa estate a Glasgow, e quello sarà l’appuntamento finale della stagione. Si punta lì.

La tua playlist del momento?
Nell’ultima playlist che ho creato ci sono i Maroon 5, poi un po’ di musica dance con Calvin Harris, Afrojack, i Chainsmokers, e poi Hardwell, Rocky, David Guetta, Avicii, Martin Garrix. La canzone obsession del momento è “Shed a Light” di Robin Schulz, David Guetta e Cheat Codes. 

L’ultimo libro che hai letto?
Mi piace leggere libri che potremmo definire tecnici, in questo momento mi interessa molto il campo dell’alimentazione. In futuro mi piacerebbe diventare allenatore, quindi sto cominciando a documentarmi e a studiare le teorie, le tecniche e le metodologie di allenamento. Mi piacciono anche libri sulle auto, meccanica e sono appassionatissimo di Formula 1. Seguo molto Motorsport.com e lì leggo numerosi articoli. Mi è piaciuta moltissimo la trilogia de “L’ombra del vento”, una sorta di giallo storico, che mi ha preso da subito.

Il tuo piatto preferito?
Da buon romagnolo: le tagliatelle al ragù. So cucinare molto bene anche la carne, grazie al marito di mia sorella, che addirittura guarda in tv i maghi del barbecue e cuoce la carne con il termometro per controllare la temperatura.

Cosa non manca mai nella tua valigia?
Per me è essenziale avere sempre un costume perché, quando non viaggio per gare o allenamenti, vado in vacanza al mare. Nella mia valigia non mancano mai i costumi firmati Jaked e le sneaker Saucony. 

Raccontami del tuo ultimo viaggio.
Tra i miei ultimi viaggi é stato molto breve, in Puglia, a Santeramo in Colle vicino a Bari. Sono stato invitato per dare la possibilità a giovani e meno giovani di allenarsi con me per un giorno. Ho avuto la possibilità di provare le specialità culinarie di Santeramo, in particolare la carne di cavallo in ogni sua forma. Una cosa imperdibile!

Quale l’accessorio che non può mancare nella tua valigia?
La lametta per la barba e le mie comode Saucony.

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Sananda Maitreya

A tu per tu con Sananda Maitreya, parlando di musica, moda e vita.

Hai scelto da solo come chiamarti. Cosa significa per te questo cambiamento?
Il cambiamento di nome significava una nuova opportunità per ottenere un nuovo karma! Avevo fatto tutto ciò che potevo con l’identità precedente ed era diventato chiaro che, a tutti gli effetti, non rappresentasse chi fossi. È sempre stato di fondamentale importanza per me essere un uomo libero. Io sono un sognatore, non uno schiavo. Sapevo che avrei avuto bisogno di essere libero, per realizzare ciò che sentivo fosse la volontà del cielo per il mio lavoro su questo pianeta che Dio ama. Sananda Maitreya lavora per Dio, punto. Non sono mai stato troppo legato a prendere ordini da quelli che non potevano vedere la mia visione così chiaramente come me. L’industria possedeva la mia vecchia anima, quindi con preghiere e molte meditazioni, è stato deciso che avremmo creato una nuova identità e messo la nostra fiducia e fede nei pieni poteri del mio sogno.

Sei stato un pugile professionista e poi una superstar della musica soul, conosciuto come Terence D’Arby. Cosa ti porti dietro da queste esperienze passate?
La mia esperienza come pugile ha confermato i miei istinti da guerriero. Anche se non è mai stata la mia professione, sono stato un campione Golden Gloves nella mia giovinezza. Questo sport mi ha insegnato che non ero una femminuccia. Ho anche imparato il valore della disciplina, la dedizione, la passione. Tutte qualità che mi avrebbero aiutato a sopravvivere a questi anni pazzi da “superstar”, mentre stavo diventando un uomo desideroso di assumermi la responsabilità della mia stessa vita.

Come descriveresti il tuo sound in tre parole?
Tre parole? ‘D’, ‘LISH’, ‘US’!

Come sviluppi il tuo processo creativo? Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Il mio processo creativo è semplice, seguo le maree. Quando vengono le idee, uso la mia esperienza, l’immaginazione e i miei talenti per esplorare dove vuole andare l’idea. Non ho mai dettato all’ispirazione, voglio che l’idea mi porti dove vuole andare. È tutta una questione di meditazione. Ti alzi, fumi, preghi, lavori. Per tutto il tempo sono grato persino di avere un lavoro da contemplare. E un altro semplice trucco per lavorare è lavorare sempre. Sono un workaholic e abbastanza orgoglioso di esserlo. 

Quali artisti ti hanno aiutato a dare forma alla tua musica?
Wow, questa è una domanda ricca perché sono stati tanti! Principalmente i grandi cantautori e produttori. Sono stato per lo più influenzato da coloro che erano responsabili di come la loro musica meritava di essere, dal momento che era evidente che fossero padroni dei loro doni. Rod Stewart, James Brown, The Beatles, The Stones, Jimi Hendrix, Sam Cooke, Frank Sinatra, Hank Williams, Nat King Cole, Ray Charles, Led Zeppelin, Joni Mitchell, Stevie Wonder, Prince, Abba, Miles Davis, Duke Ellington, Elvis, Cream, The Who, Marvin Gaye, Al Green, Steely Dan Aretha Franklin, Patsy Cline e ancora molti altri.

Come è cambiata la tua musica con l’avvento di Internet?
Internet era un futuro che avevo previsto già nei primi anni ’90 come la mia salvezza e il mio cammino verso la libertà. Ma attenzione, paghiamo un pedaggio pesante per viaggiare sulla strada della libertà. Tuttavia era un prezzo che ero disposto a investire perché ho visto Internet come il mezzo che avevo sognato per anni, un luogo in cui potevo essere libero di essere il più creativo possibile senza non dovermi più preoccupare di qualsiasi altra considerazione se non di ciò che meglio si adattava all’arte.

Com’è il tuo rapporto con i social media? Hanno un ruolo importante nella tua carriera?
Sì, i social media giocano un ruolo immenso nella mia relazione con persone che hanno una mentalità simile alla mia. La mia musica è stata supportata fin dal primo giorno da una generazione di fan entusiasti di essere coinvolti nella mia evoluzione e progresso nel mio viaggio nello spazio/tempo come artista. È stato fantastico fin dall’inizio. Era quello che stavo cercando. Adoro la flessibilità che dà. Il contatto diretto è più intimo.

Com’è il tuo rapporto con la moda?
Il mio rapporto con la moda sta migliorando!

Suoni e ti esibisci con diversi strumenti, come unisci tutti questi per creare nuovi suoni?
Riesco a creare nuovi suoni fidandomi di ciò che sto facendo mentre lo faccio. Se lo sento, allora ho fiducia in quello che sento e poi semplicemente seguo il processo. È istruttivo ricordare che non devi conoscere cosa stai facendo, fintanto che ti diverti a farlo. Qualunque cosa stia facendo si rivelerà sempre abbastanza presto, se non ora.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
I miei piani futuri sono di continuare a promuovere “PROMETHEUS & PANDORA” con alcuni concerti nella prossima estate e di godermi il tempo che ho, essendo sposato con una donna meravigliosa e con i nostri due figli favolosi. La maggior parte dei miei più cari amici in campo musicale sono ormai deceduti. Riesco spesso a sentire i loro fantasmi che mi ricordano di apprezzare tutto questo di più. Quest’estate inizierò a celebrare il fatto di essere sopravvissuto per oltre 30 anni alle varie fasi di notorietà che ho incontrato. Sarò lieto di essere accompagnato dalla più talentuosa e amabile Luisa Corna.

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Photographer: Manuel Scrima
Stylist: Veronica Bergamini
Grooming: Stefania Pellizzaro
Photographer Assistant: Lorenzo Novelli
Styling Assistant: Chiara Piovan
Label Manager: Francesca Francone Maitreya

Sergio Melone, un personaggio dai diversi talenti

Personaggio poliedrico, attore, cantante e ballerino, Sergio Melone racconta il suo percorso, dei suoi sogni (realizzati) e di quelli nel cassetto su cui sta lavorando. Lo raccontiamo nell’intervista e nell’editoriale scattato da Davide Musto a Roma.


Come sei arrivato a Maggie & Bianca?
La danza è stata la mia prima passione. Ho studiato in Puglia fino a sedici anni per poi arrivare a Roma, dove avevo superato il provino di ammissione all’Opera di Roma.  Dopo essermi trasferito a Roma ho capito che la passione per la musica stava trovando un posto d’onore nella mia vita e quindi, dopo le prime lezioni di danza ho iniziato a prendere lezioni di canto e pianoforte. La recitazione è stata una conseguenza naturale di tutto questo. Non essere riuscito a superare l’esame finale all’Opera mi aveva posto a fronteggiare la domanda su chi volessi veramente essere. La risposta però arrivò anche troppo facilmente. MI ero reso conto che nel musical potevo cantare e ballare e inevitabilmente avere anche un’attitudine al teatro di prosa. Così, frequentando la Da.Re.C Academy di Gino Landi e grazie a corsi di perfezionamento negli Stati Uniti è iniziata la mia avventura.

Justin Timberlake, Ryan Gosling, Britney Spears, Christina Aguilera e Miley Cyrus, sono alcune star che hanno iniziato sui canali per i più giovani. Cosa andrebbe migliorato in Italia per avere, almeno in patria, la stessa popolarità?
Penso sia impossibile, ma d’altronde siamo italiani e noi adoriamo le cose impossibili. Tutti questi attori e cantanti sono da sempre una mia fonte d’ispirazione. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America canali come Disney Channel o Nickelodeon, producono molte più serie tv dedicati al mondo dei ragazzi e le più importanti etichette discografiche ne hanno capito il potenziale. In Italia siamo ancora indietro da questo punto di vista e forse c’è ancora poco talent scouting. Qui da noi i talent hanno la meglio e sono quasi diventati una schiavitù, ma a mio avviso sono prodotti fini a sé stessi e raramente portano veramente alla consacrazione di veri talenti.

Grazie a Maggie & Bianca avete girato il mondo in tour e inciso album, come ci si sente ad avere fan che vi acclamano come vere Rock Star?
Essere riconosciuti e apprezzati è una sensazione meravigliosa. Non riesco ancora ad abituarmici, ma credo che sia il giusto premio dopo tutti questi anni di studio e fatica e di tempo trascorso lontano dalla mia famiglia per coronare il mio sogno. Mi piace essere in contatto con i miei fan e spesso quindi mi collego in direct sui social per rispondere a tutte le loro domande. D’altronde come potrei non farlo? Solo loro che creano le fan page e si informano su qualsiasi cosa io abbia fatto in passato, cercano (e trovano) mie foto letteralmente introvabili. Sono qui anche grazie a loro.

Come ti spieghi il nuovo fenomeno teen movie da Rai Gulp a Disney Channel?
Tutto ha avuto inizio negli Stati Uniti  grazie al Disney Channel e all’impiego di molti bambini di talento che facevano parte del Mickey Mouse Club. Poi sono arrivate le prime serie che hanno incoronato i primi talenti diventati dei fenomeni commerciali di assoluto rilievo come Hilary Duff e Miley Cyrus. Il fenomeno è approdato in tutta Europa e anche la Rai ha deciso da qualche tempo di creare un canale dedicato ai più gioveni, Rai Gulp appunto. Maggie & Bianca Fashion Friends è la prima serie teen italiana marchiata Rainbow, che è lo stesso produttore delle Winx e Rai Gulp.

Qual è la parte che Sergio vorrebbe interpretare per farsi conoscere dal grande pubblico?
Un ruolo drammatico, perché vorrei che la gente vedesse la mia poliedricità nel recitare. Sento la necessità di confrontarmi con un ruolo più maturo e adulto ed evitare di essere riconosciuto solo per il ruolo del bello ma scemo in Maggie & Bianca.

Vita in Italia o all’estero?
Tutti quelli della mia generazione sognano l’Estero. Non si sa perché, ma fuori dai confini tutto sembra migliore, più facile. I miei impegni lavorativi al momento non me l’ho permettono, ma c’è un detto che dice :”if your dreams don’t scare you, they aren’t big enough”.

Forse dovrei iniziare a crederci. Bisogna puntare alla luna per arrivare alle stelle no?


Se dovessi scegliere tra danza e cinema, chi tra Roberto Bolle e Luca Guadagnino?
Roberto Guadagnino (ride). Non potrei mai scegliere tra danza, musica e cinema, non c’è una cosa che preferisco meno delle altre, sono tutte allo stesso livello e tutte mi realizzano e sono la mia grande passione. Forse un film sulla danza o sulla musica aiuterebbe a unire i diversi campi in uno.

Qual è il tuo rapporto con i social? Quanto tempo trascorri con il tuo smartphone?
Il mio rapporto con i social è decisamente contrastante. Li amo e li odio allo stesso tempo. Viviamo costantemente con l’ansia di essere presenti in quel canale o nell’altro. Vogliamo fare apparire le nostre vite sempre al top e far apparire noi stessi come, purtroppo spesso, non siamo. In più c’è la febbre dei follower. Tutti a preoccuparsi dei numeri. Quenti follower o quanti like e tutto questo, a mio avviso, ci sta rendendo schiavi. Forse sarò un po’ old school, ma preferisco artisti che quando stanno male, prendono una chitarra e scrivono una canzone. D’altro canto, trovo i social una buona piattaforma dove ognuno di noi può avere una voce e, dove, ognuno di noi può esprimere la propria creatività senza essere un numero.

Cosa ti vedi a fare da grande?
Spero ancora di fare questo mestiere, anche se è veramente tanto difficile. Sono pienamente convinto che non smetterò mai di avere queste passioni, anche se non dovessero diventare il mestiere che mi darà da mangiare.  

Cosa non manca mai nella tua valigia quando viaggi?
Il mio stile lo definirei molto “geek chic style”, perciò nella mia valigia non mancano mai le magliette dei band anni ’80 o ’90 o t-shirt con frasi tratte da telefilm o da canzoni famose, personaggi di cartoni animati, supereroi oppure con i loghi dei grandi brand commerciali come Pepsi o Coca-Cola. Sono un grande amante del vintage perciò, giro sempre con la Polaroid formato Wide! E’ il mio tesoro più grande.

Photography: Davide Musto
Total look: David Naman


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A FIRENZE IL MENSWEAR DALLA GEORGIA

La ricerca di Pitti Uomo continua con le nuove generazioni di menswear dalla Georgia. In occasione di Pitti Immagine Uomo 94 –  in collaborazione con MERCEDES BENZ FASHION WEEK TBILISI – a Firenze saranno presentati sei designer georgianiche presentaranno le loro collezioni alla Fortezza da Basso, nell’area speciale dello Spazio Carra (Padiglione Centrale – Piano Inferiore). GUEST NATION GEORGIA è un progetto realizzato grazie anche al supporto di LEPL Enterprise Georgia, l’agenzia che fa capo al Ministero dell’Economia georgiano e che favorisce e promuove lo sviluppo economico del paese.

I designer – selezionati  da Sofia Tchkonia, organizzatrice di MERCEDES BENZ FASHION WEEK TBILISI – sono: AZNAURI, ANUKA KEBURIA, GOLA DAMIAN, SITUATIONIST, TATUNA NIKOLAISHVILI, VASKA. 

Commenta Lapo Cianchi, segretario generale della Fondazione e direttore comunicazione ed eventi speciali di Pitti Immagine: ”La Georgia e l’Est-Europa stanno diventando luoghi tra i più dinamici per la creatività nel fashion, per questo abbiamo deciso di presentare sei tra i più innovativi brand georgiani pubblico di buyer e alla stampa internazionale. Nella selezione che porteremo a Pitti Uomo, inclusi progetti di menswear sviluppati per l’occasione, ci sono designer giovanissimi accanto a brand già affermati, ma tutti capaci di esprimere l’essenza del design più contemporaneo dalla Georgia, aperti alla sperimentazione e a una contaminazione creativa tra tradizione e modernità.

 Questi I profili dei brand che vedremo a Pitti Uomo 94:

 AZNAURI _ fondato a Tblisi nel 2016, Aznauri, con il suo direttore creativo Irakli Rusadze (fondatore del brand Situationist), mixa tradizione – il nome del marchio richiama la classe nobiliare georgiana – a stili che guardano agli anni ’90, per un moderno neo minimalismo. Partendo da una collezione di abbigliamento agender, il brand ha dato vita a un guardaroba completo con borse e calzature, per uno stile ricco di understatement.

AZNAURI
AZNAURI

ANUKA KEBURIA _ diplomata in Shoe Design alla St.Martin di Londra e con una vasta esperienza alle spalle che include la realizzazione di costumi per il teatro, la designer georgiana fonda il brand che porta il suo nome nel 2006. Nelle sue linee di abbigliamento, accessori e calzature, materiali naturali incontrano una grande qualità artigianale. Fil rouge: l’uso del nero e uno stile minimalista che unisce unisex e street style.

 GOLA DAMIAN _ a new dandy: nelle creazioni del brand Gola Damian, tagli e silhouette sportswear sono esaltati da materiali preziosi e geometrie inconfondibili. Con un mash-up tra contemporaneità e stile vittoriano, le sue collezioni fondono una molteplicità di ispirazioni eclettiche per uno stile sopra le righe e decisamente unico.

SITUATIONIST _ Irakli Rusadze è uno dei designer georgiani più noti a livello internazionale. Lo stilista autodidatta – che ha sfilato con Situationist durante la Milano Fashion Week – si ispira alla terra natale, la Georgia, e alle sue donne cresciute tra le difficoltà di una nazione post sovietica. Nelle sue creazioni, apprezzate anche da Gigi Hadid, una forte impronta tailoring incontra uno stile vintage con influenze culturali georgiane.

TATUNA NIKOLAISHVILI _appassionata di disegno e moda fin dall’infanzia, la designer Tatuna Nikolaishvili elabora, con il suo eponimo brand, creazioni dalle silhouette e dai cut originali per uno stile femminile e contemporaneo allo stesso tempo.

 VASKA _ laureato in architettura, Vasili Tabatadze debutta nel 2005 nel fashion con la sua prima collezione. Nel 2013 dà vita al suo brand Vaska. Nelle sue creazioni tessuti speciali, come antiche sete giapponesi, e naturali incontrano linee e geometrie quasi scultoree, per una linea dalla tiratura limitata.

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Moda e fotografia a Hyères

Meta turistica per il mare e la natura rigogliosa, forse meno a la page rispetto ad altre città della riviera, Hyères si anima di presenze sempre più internazionali grazie a due appuntamenti molto speciali a Villa Noailles: l’International Festival of Fashion, Photography and Fashion Accessory e poi a luglio il festival del design.

Due appuntamenti che portano in città creativi e professionisti da tutto il mondo. Si è concluso da pochi giorni il Festival dedicato alla moda e alla fotografia, che ha visto protagonisti dieci designer per ciascuna delle categorie Moda, Accessori e Fotografia; i giovani selezionati hanno presentato i loro lavori durante una mostra e una sfilata, sottoponendo le loro creazioni al giudizio di una giuria, che quest’anno è stata presieduta da Haider Ackermann per la moda e Bettina Rheims per la fotografia. Così nella cornice modernista di Villa Noailles sono protagoniste una serie di mostre tra moda, fotografia e arte contemporanea, installazioni, performance, proiezioni e workshop. Grazie al lavoro di Jean-Pierre Blanc, fondatore e direttore generale del festival, la manifestazione è cresciuta in modo esponenziale, pur mantenendo un’atmosfera informale e dallo spirito indipendente, grazie al supporto di numerosi sponsor, che mettono a disposizioni importanti premi in denaro per i giovani.

“Dopo l’edizione con Karl Lagerfeld e la presenza di Chanel – spiega Jean-Pierre Blanc  – il Festival ha avuto un grande impulso. Si è realizzato il sogno di poter avere in giuria grandi nomi della moda, ma l’obiettivo non è quello di diventare sempre più grandi,  ma di organizzare un evento culturale che si di supporto per i talenti”.  Oggi tra gli sponsor del Festival spiccano grandi aziende come Swarovski, Chloé con il suo Prix per la silhouette che rivisita l’heritage del marchio, mentre Premiere Vision, la fiera leader nel tessile ospita i designer a Parigi mettendoli in contatto con le aziende tessili che vogliono supportare i giovani. E infine Mercedes-Benz, che dal 2012 sostiene il festival dimostrando il proprio impegno nel campo della moda. Per questa edizione ha presentato per la categoria Moda, lo showroom “The Shortlisted”, e “The Formers”, con pezzi d’esposizione firmati dai partecipanti delle precedenti edizioni.

Come negli anni passati, Mercedes-Benz  invita il vincitore del Grand Prix du Jury Première Vision o del premio Chloé a presentare la sua collezione allo spazio MBFW durante la Berlin Fashion Week a luglio 2018. Tra le mostre da non perdere a Villa Noailles: quella curata da Haider Ackermann dal titolo “A Vanishing Act” con i look di designer per lui importanti come ispirazione, da Undercover, Rick Owens fino a Madame Grèse Azzedine Alaïa;  per la fotografia la mostra-installazione “Bettina and Bill“ che tramite stampe e collage ripercorre le cover e gli editoriali di Bettina Rheims scattati a Los Angeles tra il 1994 e 1997 per il magazine Details. Tra i numerosi eventi il workshop presentato da Mercedes-Benz nell’ambito della #WeWonder fashion story con la partecipazione di Kevin Ma, fondatore di Hypebeast,  che ha riscosso grande interesse. “Sostenere talenti emergenti è uno dei motivi per cui sono orgoglioso di essere parte di #WeWonder – racconta Kevin Ma. E ‘stato bello vedere la creatività e l’entusiasmo di tutti i partecipanti selezionati con Mercedes-Benz. Mi sento privilegiato di essere stato in grado di parlare con loro del mio tema ‘Progression’, e spero che abbia contribuito a ispirare a pensare in modo innovativo su come costruire i loro marchi in futuro”.

La 33esima edizione del Festival di Hyères si è chiusa con la vittoria del Grand Prix per la moda al marchio menswear, Rushemy Botter & Lisi Herrebrugh, un duo proveniente dai Paesi Bassi che si è formato alla Royal Accademy di Anversa. “Fish Or Fight” è il titolo della loro collezione che vuole rendere un omaggio alle origini caraibiche dei designer: outfit tridimensionali e in apparenza caotici in cui si mescolano influssi street, tailoring, elementi femminili e dettagli recuperati dalla mondo marino. Rushemy Botter & Lisi Herrebrugh hanno portato una ventata di freschezza per lo styling ridondante,  il senso del colore e i patch decorativi che ricorrono su felpe e giubbotti. Un tocco sperimentale anche sulle scarpe pensate come zattere e realizzate in collaborazione con Nike, che ha creduto nel loro talento.  Il Grand Prix per la fotografia è andato all’irlandese Eva O’Leary, diplomata a Yale. La fotografa basata a New York ha realizzato una serie di ritratti di adolescenti cui di fronte ha posto uno specchio per coglierne la reazione dinanzi alla propria immagine riflessa.

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Inside Ballantyne con Fabio Gatto

Oggi l’azienda scozzese fondata nel 1921 grazie alla guida di Fabio Gatto, si rinnova con nuovi progetti e aggiungendo nuovi intarsi figurativi e lavorazioni per creare spettacolari sfumature. Si rivisitano e decostruiscono i capi che hanno reso famoso Ballantyne come i pullover con intarsi a rombo fatti a mano, o quelli con lavorazioni e pattern iconici per il brand: aran, a treccia, tartan, fisherman. E nasce anche il Ballantyne Lab, un progetto di ricerca e sperimentazione che partendo dagli archivi storici propone capsule collection innovative, vendute in selezionati punti vendita. Ne parliamo con Fabio Gatto, designer e imprenditore visionario che ha saputo traghettare l’azienda verso nuove sfide e mercati.

FABIO GATTO
FABIO GATTO

Da stilista e imprenditore come sei riuscito a combinare queste due facce di un percorso anche molto diverso?
Diventi imprenditore dopo che questo lavoro inizi ad amarlo in maniera viscerale. Sono arrivato in Ballantyne per sistemare un po’ le cose e poi pensare al brand. Poi, come spesso è accaduto nel mio percorso professionale, il sentimento ha poi influenzato le mie scelte. Mi sono innamorato di questo marchio e davanti all’archivio ho capito quante persone hanno lavorato con sensibilità e lungimiranza. Ecco perche brand come Chanel o Hermes si affidavano per fare le loro maglie.

Non ho mai pensato all’aspetto solo economico e di business, ma a quello di dare nuovo lustro a questo brand, praticando delle strade diverse.

Tra Italia e Scozia come stai organizzando la filiera produttiva?
Agli inizi per recuperare credibilità il primo step è stato di tornare a produrre in in Italia, in modo da avere contatto diretto col prodotto e con la materia prima. Poi non abbiamo fatto solamente “l’operazione Italia”, ma abbiamo ripreso anche “l’operazione Scozia” dopo anni. Ci siamo approdati constatando che della Scozia, di quel periodo, è rimasto poco. Quando sono arrivato lì mi hanno detto: “Ma come? Lei vuole la maglia che lei ha nell’archivio? Ma non vuole il prodotto di Brunello Cucinelli? Perché noi facciamo la maglia di Cucinelli.” E mi sono detto “Ho sbagliato tutto.” Dunque è stato faticoso e adesso stiamo capendo che se vogliamo aumentare la produzione in Scozia (oggi è il 10%, la vorrei far diventare almeno un 30%) devo diventare assolutamente un partner e  dunque io devo essere lì con loro e coinvolto perché allora le cose si fanno come le vuoi tu, diversamente sei uno dei tanti clienti.

Come sei riuscito a rileggere in modo moderno un elemento così riconoscibile come il rombo?
Questo era un sacrosanto dovere, noi dovevamo pensare di interpretare il passato con nuove vestibilità e colori. Il progetto del Lab deve servire a questo, per raccontare in chiave attuale e sperimentale il passato. La collezione, non dico conservatrice, ma rassicurante c’è sempre ma il Lab deve servire a comunicare il nostro pensiero. Io spero che un giorno questi pezzi saranno nell’archivio per testimoniare questo importante momento di cambiamento.

Sul Lab pensi anche di coinvolgere dei designer emergenti?
Sicuramente ci sarà un grandissimo lavoro sul Lab e tantissime novità. Questo è solamente un inizio per capire il sentimento e avere un primo feedback. Per questo ho deciso che non più di 13-15 punti vendita avranno in vendita la collezione del Ballantyne Lab. Saranno limited edition perché prima di tutto è impensabile industrializzare questo prodotto realizzato in una sorta di atelier dove viene costruita questa capsule. Questo però non vuol dire che non potrà avere uno sviluppo, anzi questo mi ha dato la possibilità di muovermi liberamente per quanto riguarda tempi e modi. Non sarà forse rivoluzionario, ma di sicuro molto moderno per approccio e design.

Come vedi il fenomeno del retail online?
Sappiamo che oggi c’è una minore frequentazione dei negozi, però non possiamo secondo me abbandonare e spostarci tutti sull’online, perderemmo una parte di italianità. E quell’idea di negozio-bottega che solo in Italia abbiamo. Sarebbe come perdere il Colosseo… Dunque noi dovremmo fare di tutto per conservare i nostri negozi, e non è una cosa impossibile, anche perché se tu analizzi, l’online è una cosa molto più fredda: tu clicchi, fai il tuo ordine, ti arriva, te lo guardi, capisci se piace o non. Vuoi mettere il calore di entrare in un negozio e trovare persone competenti che capiscono quello di cui tu hai bisogno, anche fosse il desiderio, mentre acquisti una maglia, di raccontare che ieri sei andato a vedere una mostra. È un aspetto da non trascurare, i negozi devono servire anche a questo. Io sto lavorando su questo anche per il nuovo e-shop di Ballantyne in modo da renderlo più accogliente se virtuale.

Cosa pensi di questa esplosione di Instagram come social media?
Penso che è un frutto di questi momenti, che non va demonizzato, anzi cerchiamo di estrapolarne il buono. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno rispetto al mezzo vuoto. Non è qualcosa che si può fare part-time, senza un pensiero, come l’online. Prima era sufficiente fare la foto e chi la indossava poteva essere banale, e solitamente lo era, il fotografo doveva fare una foto tecnica. Oggi secondo dobbiamo entrare nella sfera più emozionale.

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Prossime sfide e progetti?
Sicuramente la Ballantyne Lab è una sfida e un progetto, insieme a tutta la nuova parte accessori che ci sta regalando grandi soddisfazioni ed è andata subito in sold-out. È incredibile. Il mondo degli accessori deve essere ancora sviluppato bene perché è molto interessante e molto promettente.


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Il bello del nuoto: a tu per tu con Luca Dotto

Non solo un campione di stile libero con una profondo amore per il mare, ma anche un modello realmente appassionato di moda e social media, come dimostrano le sue collaborazioni con brand come Armani e Baume & Mercier. Classe 1990, orgogliosamente veneto (nato a Camposampiero in provincia di Padova ma di base a Roma), Luca si sta preparando per difendere a maggio il suo primato europeo a Glasgow.  Lo abbiamo incontrato sul set del nostro servizio curato da 3.

Quando hai sentito saresti diventato un nuotatore?
Ho capito sin dalle elementari che volevo fare il nuotatore e rappresentare l’Italia in giro per il mondo. Anche se da piccolo non ero così bravo rispetto ai miei compagni, ma sentivo che quella sarebbe stata la mia strada

Quale la figura che ti ha ispirato?
Un grande maestro è mio padre, che è l’uomo che ammiro più di tutti e invidio (in senso buono, ride) perché è capace di fare tutto, ed è un uomo molto pratico. Per me è un esempio di onestà  e mi ha davvero ispirato e incoraggiato molto.

Come hai scoperto la tua inclinazione per lo stile libero?
Quando ero più giovane avevo iniziato con le gare a dorso e non riuscivo mai a vincere. Poi per caso un anno, nel 2005,  ho partecipato a una gara di 50 stile libero e ho vinto subito. Da lì ho capito che stavo sbagliando tutto e ho iniziato un nuovo percorso.

Raccontami delle tue passioni…
Amo moltissimo viaggiare e ascolto sempre musica con le cuffie perennemente addosso. Sono un fan di Spotify e mi piace scegliere una colonna musicale adatta a miei viaggi. Sin da piccolo seguo la musica rap e in particolare 2Pac (rapper americano e attore Tupac Amaru Shakur ndr). Ultimamente ascolto molto Post Malone con brani come Congratulations e Psycho. Mi piace molto anche leggere le storie di intrighi di Dan Brown o libri molto specialistici sul mare che parlano di archeologia marina.

Documenti i tuoi viaggi su Instagram?
Sono una persona molto social e amo postare le foto dei miei viaggi e dei miei allenamenti sul mio account @dottolck

Raccontami del tuo ultimo viaggio
Il mio ultimo viaggio è stato Turks e Caicos, un arcipelago corallino nelle isole caraibiche con la mia fidanzata. Un’esperienza incredibile, avevo casa di fronte all’Oceano e ho fatto escursioni in bicicletta in mezzo alla natura incontaminata tra grandi barbecue al tramonto.

Quale dei diversi luoghi ti ha maggiormente colpito?
Due i posti che mi hanno davvero impressionato: il deserto di Abu Dhabi e le spiaggia deserte delle Bahamas, dove riesci a dimenticarti della nostra vita frenetica.

Cosa non manca mai nella tua valigia? E un tuo consiglio per chi viaggia.
Non mancano mai i costumi di Arena! Perché se non viaggio per nuoto, viaggio per andare al mare! E poi la macchina fotografica perché amo documentare i miei viaggi. Per essere sempre comodi con stile porto sempre un Jeans, una camicia bianca e un maglioncino. Un passe-partout che consiglio sempre.

Come nata la collaborazione con la moda?
E’ nata per caso con le Olimpiadi di Londra nel 2012. Armani, che era sponsor, aveva selezionato degli atleti per rappresentare il brand. Mi hanno notato dopo i primi shooting e poi proposto di collaborare sulla linea underwear, per gli occhiali e per il profumo Acqua di Giò. Grazie a questa esperienza ho avuto la fortuna di conoscere un mondo molto diverso dallo sport di cui spesso non si capisce tutto il lavoro che è dietro le quinte.

Le prossime sfide?
Mi sto preparando per gli europei che si terranno a Glasgow a metà agosto dove devo difendere il titolo europeo dei 100 stile. Quindi sono molto concentrato per raggiungere questo obiettivo, oltre a quello di migliorare continuamente me stesso per sfidare i limiti. Questa è la parte più importante del mio lavoro, che è poi la mia vera passione.

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Wine experience su misura: House Of Vino

Il mondo dei vini si apre a nuove e più personali esperienze grazie a House of Vino, un progetto nato dall’intuizione di un giovane imprenditore Luca Genova, manager della comunicazione e appassionato da sempre di eno-gastronomia. House of Vino propone degustazioni private a casa (o in location su richiesta specifica del cliente) per trascorrere una serata diversa alla scoperta di sapori, odori e colori unici. Una serata tra amici si trasforma così in un’esperienza speciale e inconsueta che può basarsi solo sul vino o essere arricchita grazie all’accompagnamento di cibo, musica e momenti di intrattenimento. Un’esperienza multisensoriale che si può arricchire di volta in volta anche tramite collaborazioni con producer musicali, piccoli produttori, artisti e tutto ciò che possa rendere l’esperienza unica ed irripetibile. Abbiamo infatti incontrato Luca e House of Vino durante una speciale degustazione di bollicine per l’opening del GUM Bar, una nuova iniziativa di GUM SALON di Milano.

Di dove siete e come è nato il progetto?
Io sono siciliano, il mio socio friulano. Vivo a Milano da dieci anni. Vengo dalla comunicazione, ho lavorato per 9 anni con Lapo (Elkan, ndr) e ho una mia agenzia di comunicazione, Dreamers&Makers. Ho fondato House of Vino con un approccio legato a una comunicazione più da storytelling che da tecnico del vino. Parallelamente abbiamo, poi, una linea di business che sviluppa progetti di comunicazione legata al Food & Beverage, con cui aiutiamo cantine, istituzioni o consorzi attraverso consulenze e progetti nel mondo del vino. Sentiamo la necessità di svecchiare il settore. Il Food, grazie agli chef e ai grandi marchi, non fa fatica, ma gli altri comparti sì e non riescono a togliersi la polvere di dosso, vuoi perché siamo poco ricettivi alle innovazioni o perché abbiamo sempre paura e non siamo in grado di fare squadra. Il vento sta cambiando, però.

Quali le proposte di House of Vino?
Eventi privati di degustazione, abbinati a cene o aperitivi, in base al format richiesto. Lavoriamo molto sulle cene di business, con persone che vogliono avere un approccio più forte sui propri clienti o fornitori. Le persone chiedono qualunque cosa, dalle degustazioni di coppia a quelle per il papà, o da soli. Da ogni mail o telefonata, nasce qualcosa di nuovo. Creiamo progetti tailor made, sulla base delle informazioni o delle richieste. Vogliamo avvicinare le persone al vino, non spaventarle. Le degustazioni private sono per piccoli gruppi, facili da gestire e con cui avere rapporto più diretto. Oltre le quindici persone progettiamo eventi ad hoc, considerata la necessità di appoggiarsi a supporti diversi, come il catering.

Per Gum Bar hai scelto una degustazione di Champagne…
Per due ragioni: la prima è che Stefano Terzuolo (founder di GUM, ndr) ne è un amante; la seconda è la location, così accogliente, con i velluti e lo stile vintage – da Francia del 700 – che poteva accompagnarsi solo a dello Champagne.

Quali sono le differenze tra i tre Champagne scelti?
Sono tre vini provenienti dalla stessa cantina. Uno è il Tradition, classico Champagne composto da Pinot nero, Chardonnay e Pinot Meunier. Il secondo è un gradino più su, prodotto da una selezione degli stessi vitigni: un millesimo della medesima annata. Il Brut Selection, più complesso, strutturato e avvolgente. L’ultimo, Fleur de Vigne, dalla bottiglia particolare, è un assemblaggio contente anche piccoli vitigni autoctoni, in percentuale minore, ma capaci di conferire una freschezza diversa, rendendolo un vino più facile. Se ne potrebbe bere una bottiglia senza accorgersene, al contrario degli altri, più stucchevoli.

Qual è la degustazione più creativa che vi sia stata richiesta?
Abbiamo lavorato anche con clienti stranieri, progettando degustazioni dal budget molto alto, con bottiglie da due/tremila euro ciascuna. La costruzione dell’evento è più impegnativa ma interessante. Si sfida un terreno molto forte. A noi, poi, piacciono molto i percorsi regionali particolari. In Sardegna, ad esempio, siamo partiti dai bianchi, dai Moscati secchi, per arrivare a delle bollicine di Vermentino pazzesche, affinate sott’acqua, nella Riserva Marina di Alghero. C’è anche Giovanni Montisci, proprietario di una cantina sotto casa sua e produttore di un Cannonau in purezza, dalla forte gradazione alcolica, il Barrosu. Un’elegenza e una raffinatezza egregie, difficile da catalogare, con una ricerca di varie eccellenze regionali.

 Come gestite la ricerca delle piccole cantine?
La portiamo avanti personalmente con molto piacere e tanta fatica, ma è un aspetto fondamentale del lavoro. Ci aiuta, questa vicinanza al prodotto, alla cantina e al contadino stesso, perché possiamo farcene forza quando lo proponiamo a progetti anche con aziende. Non è una cosa scontata. È facile pensare a un progetto di comunicazione di un vino, ma conoscerlo, servirlo e aver parlato col contadino ti dà una serie di nozioni utili per un approccio diverso. Teniamo molto a questa ricerca, e lavoriamo con cantine piccole che stanno tracciando la linea dei vini naturali, trend nascente, in Italia. Siamo la nazione con più autoctoni al mondo, con più varietà di uva, anche rispetto alla Francia e alla Spagna e alla Napa Valley in California. Questo ti dà l’idea di cosa si potrebbe scoprire nell’arco di un viaggio in Italia.

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Francesco Marinelli: Domani è un altro ciak

Raccontami del tuo percorso…
Sono arrivato a Roma circa 4 anni fa all’età di 18 anni, subito dopo il diploma. Proprio Roma mi ha offerto l’opportunità di immergermi nel mondo del cinema. Durante le scuole superiori, grazie ad una mia cara professoressa (a cui sono sempre molto grato) ho girato due cortometraggi e durante queste primissime esperienze ho cominciato a pensare di poter intraprendere la carriera dell’attore. Ho capito subito che recitare rappresentava per me una grande passione. Mi sono immediatamente trasferito a Roma dove mi sono iscritto ad un’accademia di recitazione. Per mantenere gli studi ho cominciato a fare il modello, ho lavorato con diversi brand e ho girato l’Italia. Grazie a questo lavoro ho conosciuto molte persone, soprattutto vari fotografi, che mi hanno permesso di crescere professionalmente.

Quali le esperienze professionali per te più importanti?
Ho avuto la possibilità di girare video clip musicali e spot pubblicitari. Tra le collaborazioni per me importanti è stata quella con il gruppo musicale The Giornalisti per “Riccione”; ho lavorato per uno spot pubblicitario per Lavazza, fino al recente videoclip musicale di Mario Biondi “Rivederti” con cui ha partecipato a Sanremo 2018.  Grazie a queste esperienze ho avuto l’opportunità di confrontarmi con vari artisti. Attualmente sto lavorando per la prima volta nel mondo del cinema e credo sarà una bellissima esperienza, ma al momento non posso ancora svelare nulla! Intanto seguitemi su Instagram per scoprire il mistero @_francescomarinelli_

Come hai affrontato la sfida nel video Rivederti di Mario Biondi?
Lavorare con un’artista del calibro di Mario Biondi è stato sicuramente un immenso piacere, ma soprattutto grande motivo di crescita professionale e artistica. Ho affrontato questa sfida con tanta determinazione, ma come sempre con umiltà. Credo che non si smetta mai di imparare, ho fatto tesoro dei grandi consigli di questo artista, ora sono nel mio grande bagaglio di esperienze professionali.

La tua playlist con le 5 tue canzoni del momento?
Ram Jam –Black Betty
Litfiba – Vivere Il mio tempo
AC/DC – T.N.T.
Rino Gaetano – E cantava le canzoni
Lucio Battisti 29 Settembre

Una città che ti ispira e in cui vorresti tornare?
Non c’è una città particolare che mi ispira o in cui vorrei vivere o tornare. Ogni città mi ha dato a modo suo un’emozione e mi ha permesso di lavorare, incontrare gente e fare esperienze.

Photographer, stylist: Davide Musto
Grooming: Martina Storani
Model/Actor: Francesco Marinelli
Intimo: Calvin Klein
Leather Jacket: HE by Mango

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JACK SAVORETTI, LA FORZA DELLA MUSICA TRA ITALIA E UK

Una voce ruvida, profonda e nostalgica e una chitarra. È Jack Savoretti, nome d’arte di Giovanni Edgar Charles Galletto Savoretti, cantante britannico di origini anglo-italiane: il padre, Guido, è genovese. L’esordio musicale avviene con due duetti, presenti nell’album del 2005, della cantautrice britannica Shelly Poole, mentre il suo vero primo disco, Between The Minds, arriva sul mercato nel marzo 2007, debuttando alla posizione numero 5 della UK Indie Charts. Fattosi notare anche in Italia, grazie ad alcune collaborazioni live con Elisa e con il cantautore genovese Zibba, ha pubblicato il suo ultimo album, Sleep No More, dedicandolo, interamente, alla moglie. Recentemente è stato anche scelto da GQ Italia tra i 30 uomini più eleganti durante la serata GQ Best Dressed Man.

Il tuo pubblico ti ama e ti segue soprattutto per i bellissimi live che proponi, in cui risulti molto coinvolgente e autentico.
Credo sia dovuto, anche, a chi ci segue e ci ascolta. Siamo riusciti, come in tutte quelle amicizie che crescono lentamente e non si basano su una moda, a creare un rapporto più vero. Chi viene a vederci ci conosce da molto e noi lo percepiamo.
Sappiamo il motivo per cui sono ai concerti, perché si sono informati per esserci: anche perché noi non veniamo ospitati su tutti i canali TV o in tutte le emittenti radio. In qualche modo, sono usciti dalla loro vita quotidiana per scoprire il nostro lavoro e ciò è fonte di rispetto reciproco. In più, è bello non solo per il pubblico, ma anche per noi. Ho tanti amici in questo business, molti hanno avuto successo e, spesso, soffrono, in quanto suonano per due ore davanti a un pubblico interessato a una sola canzone. Certo, aver creato un tormentone permette di avere alcuni lussi, ma da artista non è bello sapere che la gente è lì solo per quello. Non riesci a creare una connessione.

Quindi, il non avere un tormentone, ti ha permesso una maggiore libertà nell’esprimerti artisticamente?
Sì, è stata, un po’, la mia fortuna. In alcuni momenti – nei più difficili – sarebbe stato bello averlo creato, ma solo perché ti permette di guadagnare tanto da poter fare le cose a cui si è davvero interessati.

Forse, questo, è uno dei motivi per cui sei andato via dall’Italia?
Non sono mai partito dall’Italia, anzi, qui sono arrivato molto tardi. È stato molto difficile perché, senza il loro aiuto (Elisa e Zibba, con cui ha collaborato, ndr), l’industria musicale mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. Sono italiano, ma non abbastanza, perché non canto in italiano. Io e la mia band partiamo dai live. Volevo che la gente ci conoscesse realmente, ma, in Italia, esistono dinamiche diverse: o vai in tv e in radio o nulla. Noi come band veniamo dalla scuola di Guccini, Paolo Conte e Capossela. Abbiamo iniziato, ed è durato tre anni, dalle osterie e dalle pizzerie. Tutti ci dicevano che in quel modo non saremmo andati da nessuna parte, ma, poi, sono arrivati i teatri e, piano piano, siamo diventati ciò che siamo adesso, con un bel tour in programmazione. Ora, abbiamo degli amici in Italia ed è sempre un gran piacere tornarci, per la sua calda accoglienza e per il nostro seguito.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Sono cresciuto ossessionato da Lucio Battisti: è morto che avevo 13 anni ed era proprio l’età in cui scoprivo cosa significasse, per me, la musica. Prima di allora, era un qualcosa da suonare a una festa e basta. In quegli anni ho scoperto Simon & Garfunkel e Bob Dylan e sono rimasto sconvolto dal potere della musica italiana, vedendo reagire mio padre all’ascolto di Battisti: una montagna, un gigante (papà è sempre papà) intoccabile. Quando da immigrato italiano viveva a Londra, si stendeva quasi in lacrime e diceva: «ascolta questo». Diventava un altro uomo, un cucciolo e io ero affascinato da come questa musica potesse trasformare una montagna in un bambino. Da lì, ho ascoltato molta musica italiana per riuscire ad avere lo stesso effetto su mio padre.

Sono state importanti la tua famiglia e la sua storia, nella decisione di dedicarti alla musica?
In parte. Il motivo per cui mi sono buttato sul mercato italiano è legato alla passione e alla mia famiglia. Professionalmente, era un’idea sciocca. Tutti i contatti, con cui lavoravamo all’estero, erano contrari a questa scelta. Non funzionava, non vendevamo dischi, giravamo per suonare. A Londra e nelle osterie, qui. «Perché lo fate? È un mercato piccolo e non vi sta aiutando». Io volevo farlo per l’affezione alla musica italiana.

Una domanda di stile: cosa porti con te nei tuoi viaggi, come definiresti il tuo stile, cosa ti piace nella moda?
Adoro la moda, ma ho paura dei trend. Come vedi non sono trendy, mi piacciono le cose che avrebbe potuto mettersi mio nonno e che spero possa indossare mio figlio. Mi piacciono tutti quei capi senza tempo.

Cosa non può mancare in valigia?
Un bel cardigan di cashmere, soprattutto qui a Cortina (dove si è esibito ndr). Un cappellino è sempre importante e utile; gli occhiali da sole – specialmente nel nostro mestiere, in cui a volte si fa tardi – bisogna sempre averne un paio dietro; dei jeans che ti stiano bene addosso come fit.

Come ti rapporti ai social media?
Sono il brutto, il bello e il buono, dipende da come li usi. Io ho scelto Instagram, perché adoro le fotografie e mi piace, ma lo uso solo per lavoro. Ho un’unica regola: no family.

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ALESSANDRO ENRIQUEZ – THE POWER OF BEING A 360° CREATIVE

Arrivano direttamente dal cuore dell’Italia le ispirazioni di Alessandro Enriquez. Nato a Palermo, in quella Sicilia pulsante dell’immaginario collettivo, ha girato il mondo per seguire i suoi studi di moda. Riconosciuto, da subito, come un designer di successo, ha lavorato per sette anni per Costume National, prima di lanciare la sua linea di borse e quella di abbigliamento, caratterizzata dalle “collezioni all’italiana”, che invece porta il nome del primo libro pubblicato da Alessandro, “10×10 An Italian Theory”. Un testo di moda, food e lifestyle, che lo ha avvicinato alle riviste con cui collabora tuttora e che, come tiene a precisare, non può che considerare, «il proprio portafortuna».

Il tuo è un percorso eclettico: dal design al digital. Raccontaci il tuo DNA creativo e in che modo lo declini in ambiti diversi?
Il mio percorso “misto” mi ha condotto verso strade creative diverse, che mi piacciono e stimolano tanto. Invento ed elaboro, con un occhio comunicativo, proprio per la voglia e il desiderio di creare comunicando e viceversa. Laureato in Lettere e appassionato di letteratura antica e di moda, ho sempre mixato diversi mondi. Dopo gli studi mi sono dedicato al mondo della moda, disegnando per Costume National, di Ennio Capasa – che reputo uno dei mie piu bravi “maestri di vita”, oltre che professionali – per sette anni. Durante gli ultimi due anni, “di nascosto”, mi sono dedicato alla scrittura di un libro che, nel 2012, è stato pubblicato in lingua italiana. “10×10 An Italian Theory”, un testo di moda, food e life style ricco di illustrazioni. Il riscontro positivo di questo testo, che considero un portafortuna, mi ha avvicinato a diverse riviste, con le quali ho iniziato, e tuttora continuo, a collaborare. Parallelamente è nata una linea di abbigliamento che porta lo stesso nome del libro. Mi ha regalato molte soddisfazioni, soprattutto le “collezioni all’italiana”, come quella con la pasta, facendomi diventare una sorta di ambassador dell’italianità all’estero. Mi ha permesso di costruire il mio DNA creativo. Alla collezione di abbigliamento ho affiancato, nel 2016, una collezione di borse con il mio nome, interamente made in Italy.

La tua definizione di influencer/blogger/ambassador
Colui che consiglia, comunica e porta il suo esempio, il suo stile. Una formula moderna di un micro giornale – in formato app – che ognuno di noi possiede. Come tutti i giornali, il suo esito è soggetto all’interesse dei lettori.

Come vedi l’evoluzione del mondo social e del tuo business?
Sicuramente il mondo social crescerà ancora di più e assumerà sfaccettature diverse. Oggi, gli influencer sono diventati una sorta di celebrity, attraverso una forma democratica di comunicazione. Forse, domani, grazie ai social nasceranno nuove figure. Credo che tutto questo sarà di supporto per molte persone.

Quale è, secondo te, il social del futuro?
Instagram è sicuramente il più gettonato, al momento. Sono convinto che verrà potenziato e che, a poco a poco, ci saranno tanti aggiornamenti. Il passo successivo? Non saprei. Ci affidiamo ai geni, sperando di imparare velocemente l’uso delle novità.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
I miei quote sono tutti sinceri e vengono dal cuore. Alcuni divertenti, altri con un tono più tagliente, ma tutti rispecchiano il mio pensiero.

Come vedi l’evoluzione della moda con il digital e fenomeni come “see now buy now”?
È sicuramente una soddisfazione, per i clienti fanatici della moda, ma credo che la scelta di alcune Maison francesi – di ritagliare delle piccole capsule in vendita solo in boutique, immediatamente dopo averle mostrate in passerella – possa essere una svolta positiva per risollevare il mercato. Trovo sia giusto ricreare quel rapporto cliente/negozio che oggi si sta un po’ indebolendo.

La professione dell’influencer ha una data di scadenza?
È una professione che non scade. Si è artefici della propria data di scadenza. Ognuno di noi sa bene che i social sono come le macchine e vanno alimentati tanto.

La tua passione per il mondo dei cartoon e per il lato pop nella moda
Mi ritengo un eterno Peter Pan, e il mondo dell’illustrazione è sempre stato di mio interesse. Con i cartoon ho un bellissimo rapporto e, molte volte, gli “chiedo di giocare” con le mie collezioni, donandogli una cittadinanza italiana. Titty cucina la pasta, Bugs prende il caffe napoletano, Felix sogna l’Italia. Per me, sono parte della nostra storia, di quella del cinema, e credo che abbiano un grande valore. Avere come partner colossi come Universal o Warner Bross, è un grande riconoscimento per il mio lavoro. Di loro non mi stanco mai.

I tuoi 5 posti del cuore in Italia o nel mondo?
Sono siciliano, amo la cucina e cucinare, e mi affascinano i luoghi dove posso assaporare i gusti di una volta. C’è un piccolo ristorante, nel cuore di Ortigia (Siracusa), che si chiama La Foglia: ricette tipicamente siciliane rivisitate, arredamento kitsch-vintage colorato e proprietari dolcissimi. A New York, il ristorante pugliese Mercato, mi ricorda l’Italia ogni volta che vado. A Barcellona, città del cuore, dove ho vissuto diversi anni, visito sempre il MACBA (Museo di Arte Contemporanea) e subito dopo, corro a bere un caffe e ad assaggiare i dolci realizzati nei conventi spagnoli. Tutto questo al Caelum, nella zona gotica in centro. I “marche au pouce” di Parigi e Portobello, di Londra, sono la mia passione. Banner e 10corsocomo a Milano i department store che preferisco, con una bellissima selezione e un’attenta cura al cliente.

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Music talent da seguire: THOMAS COSTANTIN debutta col suo primo EP Fire

E’ uno dei nomi della scena musicale milanese: Thomas Costantin inizia la sua carriera a soli diciassette anni ed è oggi uno dei Resident DJ del Plastic. Ma cosa più importante il 23 febbraio, col nome d’arte di THO.MAS, sarà pubblicato Fire, il suo primo EP, dai ritmi dark e teatrali. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare non solo la sua grande passione per la musica, ma per scoprire anche le passioni che alimentano il suo immaginario. E avere un’anteprima del suo primo EP.

Qual è il primo ricordo che hai, legato alla musica?
Ricordo di un giovanissimo Thomas, di circa 5 anni, con i capelli biondissimi e corti. Ero in vacanza con mia nonna al mare, da solo, e lei aveva una musicassetta di Madonna, True Blue. L’ho consumata!

Quali sono i maestri o le persone che ti hanno ispirato o hanno avuto un ruolo importante nella tua formazione?
Non sono stati proprio i maestri, quanto le amicizie a influenzarmi e farmi scoprire cose nuove: Nicola Guiducci ha fatto nascere in me l’amore per le sonorità da club, mentre Francesco Pistoi mi ha spinto a creare la mia propria musica. Per il resto, cerco ispirazione ovunque: essendo molto curioso, in tutti questi anni mi sono creato un bel background, indirizzato a ricercare nuovi suoni e nuovi artisti.

Parlaci del concept del tuo primo EP e delle collaborazioni più importanti.
Il concept del mio primo lavoro è totalmente in linea con la mia estetica, un mix tra antico e moderno.  Ho utilizzato solo strumenti elettronici: ormai, si può fare davvero di tutto con un Mac e software come Ableton, per esempio. Adoro inserire sample di vecchi film e pezzi vintage nelle mie creazioni. In Jl ci sono dialoghi in italiano da Alphaville, di Godard, uno dei miei registi del cuore. In Fire è presente la splendida voce di Georgia Gibbs, direttamente dagli anni Cinquanta. Le collaborazioni per i remix sono state un successo! I miei amici B-Croma hanno dato un touch super londinese a Fire, Jerry Bouthier ha trasformato il THO.MAS (nome d’arte, ndr) super dark in una versione disco tutta da ballare, Ormas & Atmosphereal mi hanno conferito una dimensione house che non vedo l’ora di suonare. Infine Pisti – un maestro – ha creato un pezzo che fa vibrare, sembra di trovarsi in un club alle 4 del mattino.

Thomas e la moda: quali sono i tuoi brand preferiti e perché?
Sarò di parte, sicuramente, ma Gucci con la direzione creativa di Alessandro Michele è nel mio cuore: così sofisticato e spiritoso, con le citazioni dei miei idoli come Elton John che trovo molto interessanti e, poi, ha rivoluzionato completamente il concetto di brand, lavorando con numerosi giovani creativi e artisti. Adoro Palomo, un brand spagnolo genderless, geniale!  Mi piace moltissimo anche Missoni, i loro maglioni sono tra le cose che amo di più indossare, impazzisco per le scarpe di Church’s e adoro lo stile spaziale di Iris Van Herpen.

L’ultimo libro che hai letto o la mostra che consiglieresti di visitare?
L’ultimo libro è Antichi maestri di Bernard, consigliatomi da una persona che mi conosce molto bene e, infatti, ci ha azzeccato. Adoro il cinismo sano.
Una mostra che consiglio è l’ultima inaugurata al Pirelli Hangar Bicocca, The Dream Machine is Asleep di Eva Kot’átková, artista della Repubblica Ceca. Riflette sullo stato delle malattie mentali, sui sogni e sulle regole imposte dalla società attraverso installazioni e opere performative dalla grande forza espressiva.

 Se la tua musica fosse un piatto, sarebbe…
Penso un dolce alla frutta, il mio preferito.

Quali sono la città che più ti ispira e il luogo in cui ti rifugi per ricaricarti?
Parigi è sempre nel mio cuore, piena di energia e bellezza. Dico spesso che prima o poi mi ci trasferirò. Raramente ho bisogno di trovare un rifugio, ma, quando accade, non è importate il luogo ma la compagnia. Se voglio stare da solo, resto a casa, in mezzo alle cose che amo.

Quando parti, cosa non manca mai in valigia?
La lacca per capelli, il Mac e almeno un outfit mai indossato, per andare ad una festa. Non si sa mai…

I 5 film, per te, più significativi.

  • Laurence Anyways (2012, diretto da Xavier Dolan, con Melvil Poupaud e Suzanne Clément);
  • Orlando (1992, diretto da Sally Potter, con Tilda Swinton);
  • Le conseguenze dell’amore (2004, diretto da Paolo Sorrentino, con Toni Servillo);
  • Fantastic Mr. Fox (2009, diretto da Wes Anderson, con le voci di George Clooney e Meryl Streep);
  • Blue Jasmine (2013, diretto da Woody Allen, con Cate Blanchett e Sally Hawkins).

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MATTHEW ZORPAS

Nato a Cipro e trasferitosi a Londra per studiare Pubbliche Relazioni, Matthew Zorpas ha lanciato “The Gentleman Blogger” nel 2012, per mostrare al mondo la propria evoluzione in un moderno gentiluomo. Al secondo posto nella classifica “Best Dressed Man” del 2010 di Esquire UK e indicato da GQ, in tempi più recenti, come uno dei dieci instagrammer meglio vestiti, Matthew ha collaborato come consulente creativo per numerosi brand high level. Ambassador, da ormai due anni, di IWC Schaffhausen e nuovo Nespresso Global Ambassador, i suoi contenuti social promuovono i propri i consigli di stile e condividono l’esperienza acquisita nei viaggi intorno al mondo, così da ispirare chiunque lo segua. Oggi, è uno dei più importanti web influencer a livello mondiale.

Qual è la tua definizione di influencer/blogger/ambassador? Le definiresti delle professioni?
Un imprenditore, un creativo multitasking. Una persona che usa internet per creare contenuti stimolanti per altri, influenzando lo stile di vita dei propri followers, le loro abitudini d’acquisto e la loro visione e comprensione globale del mondo. Uno che vi tiene connessi. Soprattutto per la mia generazione, sì, la definirei una professione.

Come immagini l’evoluzione del mondo social e del tuo lavoro?
Il mio lavoro continuerà a evolversi e ad adattarsi ai nuovi scenari e alle nuove circostanze. Nonostante il settore moda sia diventato più democratico, immediato e stimolante, grazie a noi influencers, molti altri campi sono ancora indietro rispetto alla rivoluzione digital. Anche l’arredamento, l’arte, il cibo e l’alberghiero dovrebbero essere trasformate in attività più dirette e incentrate sul cliente.

Quale sarà il social del futuro?
Molti continueranno a nascere e a scomparire. Abbiamo bisogno di piattaforme che siano più dirette e intime, possibili da controllare da noi al 100%.

Ci sono lati negativi nel tuo lavoro?
Il tempo. Non ho trascorso più di 48h a casa negli ultimi due mesi. Devo vedere così tanto, esser stimolato più di quello che riesco a recepire, e incontrare troppe persone troppe volte.

Quanto guadagni con questo lavoro? I numeri del tuo business, se ti va di mostrarli. Stai pensando di lanciare un brand?
Abbiamo orgogliosamente superato il mezzo milione quest’anno. Siamo un brand che si distingue.

Come immagini sarà il tuo lavoro da vecchio?
Uguale. Creerò sempre contenuti, ma sarò più saggio e vecchio.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
Con rispetto per il mio lavoro, ogni post è al tempo stesso sincero e sponsorizzato. Testo ogni prodotto, visito ogni hotel che recensiamo. Creiamo contenuti che siano stimolanti e che promuovano un prodotto o una location a cui siamo interessati noi stessi o che crediamo possa interessare ai nostri followers.

Cosa conta di più, una bella foto o un buon contenuto?
Un buon contenuto. Con Photoshop puoi creare una bella foto, ma non migliorare il contenuto. La prima prende molti likes, il secondo risulta stimolante.

Quanto tempo dedichi alla preparazione dei look che posti?
Di solito sono 2-3 ore per la preparazione e 3-4 ore per produrre il singolo scatto.

Quali applicazioni usi per ritoccare le foto e quanto?
Usiamo solo Lightroom, per correggere le luci. Niente di più, niente di meno.

Quali sono i brand che preferisci? Perché?
I brand che mi hanno supportato dall’inizio e hanno compreso il mio modo di vedere. IWC, miei compagni da ormai quasi due anni, Nespresso, il nostro nuovo partner, per la sua organicità e, sicuramente, Hugo Boss, per la loro visione e direzione. Mi piacciono i brand che investono senza paura e, vedendo un ritorno, ci restano accanto.

I brand preferiti di accessori?
I cappelli di Christys, le scarpe di Santoni, i gioielli di Nikos Koulis, le cravatte di Tom Ford e le borse di Prada.

Alcuni consigli beauty per gli uomini e le donne che vogliono sempre presentarsi al meglio.
La pulizia, la tonificazione e l’idratazione sono importanti per entrambi. E non dimenticate la crema occhi, ogni mattina e prima di andare a letto.

Le mete dei tuoi sogni? I tuoi consigli personali.
Il Brasile. Cinque anni dopo la mia prima visita, potete ancora trovarmi lì, quattro volte all’anno, a cercare l’ispirazione e la pace. I colori, l’energia, la magia di questo Paese non sono reali e al tempo stesso sono così diversi da quello che mi è familiare dai miei viaggi in Europa. Personalmente, andrei al Kenna Resort, in Barra de Sao Miguel. Un resort eco-chic che mi ha conquistato.

@matthewzorpas 184K

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FABIO ATTANASIO: il nuovo sguardo sull’eleganza classica

Suits: Sartoria Dalcuore, Shirt: Sartoriale, Tie: F. Marino Napoli, Glasses: TBD Eyewear

Non chiamatelo #fashionblogger. Fabio Attanasio, il fondatore di The Bespoke Dudes, la piattaforma dedicata alla sartoria e all’artigianato di qualità, è diventato il punto di riferimento dei gentleman 2.0. Nel 2015 ha sviluppato anche un progetto di eyewear, realizzato a mano da specializzati artigiani italiani. La sua grande passione per la sartoria e per l’hand made lo hanno reso l’ambassador perfetto per brand illustri, contribuendo a diffonderne la conoscenza e l’eleganza.

Qual è la tua definizione di influencer/blogger/ambassador?
È una nuova forma di media legittimata dal basso, dai lettori/utenti del web. È anche un’evoluzione del giornalista, del classico editore e, in alcuni casi, della figura del modello e dello scrittore.

Come vedi l’evoluzione del mondo social e del tuo business?
Ottimisticamente mi dico che non morirà, ma che si evolverà. Almeno per chi ha dei contenuti veri e parla a un pubblico reale.

Qual è il social del futuro?
Sembrava fosse Snapchat, poi Instagram e le sue Stories ci hanno dimostrato il contrario. Credo che chi ha qualcosa da dire troverà sempre il modo di parlare al suo pubblico, a prescindere dalla piattaforma utilizzata.

Qual è il lato negativo della tua professione?
Così come lo sport agonistico è inquinato dal doping, questo settore è rovinato dalla pratica, purtroppo molto diffusa e non sanzionata, dell’acquisto di follower e interazioni in generale. Speriamo che Instagram faccia presto una nuova pulizia. Un altro lato negativo è rappresentato da alcune digital agency, che sono solo dei meri intermediari tra l’influencer e il brand. Spesso non sanno nulla sull’influencer, eccetto quel numeretto che vedono scritto sul suo profilo IG (il numero dei follower), che oggi sembra diventato tristemente importante. Alla stregua di un titolo di studio. Io ho co-fondato un marchio di occhiali, quante volte credi che mi sia stato proposto da queste magnifiche agenzie di lavorare per dei miei competitor? Non erano arrivati a leggere nemmeno il terzo rigo del mio profilo dove c’è scritto Co-founder of TBD Eyewear.

Questa professione quanto ti rende economicamente?
Per fortuna non posso lamentarmi.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
In generale non lavoro con aziende che non sposano il mio concetto di qualità, qualunque sia il budget sul tavolo. E se lavoro con un marchio che mi piace, mi ritaglio sempre il mio spazio di libertà per esprimere le mie opinioni liberamente ed educatamente, per me è importante esprimere un’opinione sempre, anche se al cliente può non piacere. Breve aneddoto: qualche anno fa un marchio coreano mi offrì €50.000 per due giorni di shooting. Avevano un nome e un look italiano, mancava solo l’ambassador italiano che li sdoganasse. Ho rifiutato l’offerta, perché non lo sentivo affine al mio gusto, perché ritenevo che l’attività non fosse coerente con la mia ricerca sartoriale delle eccellenze artigianali. Oggi voglio credere che se lavoro con alcuni marchi importanti quali Omega, Vacheron Constantin e Montblanc è anche perché ho preso e continuo quotidianamente a prendere decisioni di questo tipo.

La professione dell’influencer ha una data di scadenza? Come immagini il tuo lavoro da vecchio?
È già da un po’ che ho smesso di chiedermi quanto e se durerà tutto ciò, preferisco fare del mio meglio per continuare a innamorarmi quotidianamente del mio lavoro. Se non perdi l’entusiasmo per quello che fai, non c’è data di scadenza che tenga. Il difficile è tenere viva quella fiamma. Bisogna sapersi evolvere, adeguare e adattare in tempo al cambiamento.

Quale applicazioni usi per ritoccare le foto e quanto ritocchi per creare lo scatto perfetto?Snapseed, Photoshop Express e Touch Retouch.

Quali sono, secondo te, le 10 sartorie italiane/internazionali da tenere d’occhio?
Caraceni, Ministro della giacca milanese
Musella Dembech, una giovane giacca meneghina
Liverano, la giacca fiorentina per eccellenza
Habitus, giovani romantici romani con suggestioni da tutto il mondo
Eduardo De Simone, la giacca napoletana contaminata da un un know-how di haute couture
Rubinacci/Ciardi/Solito/Panico/Dal Cuore i maestri della giacca napoletana
Sciamát, rivoluzionari pugliesi
Crimi, La giacca siciliana

Photo| Karel Losenicky
Stylist| Lucio Colapietro
MUA & Hair| Giuseppe Giarratana
Fashion Collaborators| Orsola Amadeo and Dario Amato

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Da Parigi, 7 cult brand per lui

Dopo Milano, la moda internazionale si sposta a Parigi con un calendario sempre ricco di fashion show ed eventi, tra marchi consolidati e label emergenti. Abbiamo selezionato per voi 7 cult label da non perdere.

LOEWE
Proprio durante la settimana della moda uomo di Parigi, LOEWE – maison di lusso spagnola fondata nel 1846 e oggi diretta da Jonathan Anderson – svela la sua nuova campagna pubblicitaria attraverso 5000 cartelloni esposti in tutta la città per 12 giorni. Protagonista di questa campagna l’attore inglese Josh O’Connor, nuovo volto di LOEWE Uomo e giovane stella di God’s Own Country, per il quale lo scorso mese ha ricevuto il premio come Migliore Attore ai British Independent Film Awards. L’attore è stato ritratto da Steven Meisel, che lo ha colto mentre è immerso nella lettura di un’edizione speciale di Madame Bovary
con copertina rigida LOEWE e custodia con Amber Valetta (sempre dello stesso Meisel che apparse originariamente in un servizio pubblicato nel 2006 da Vogue USA). Un gioco di rimandi tra letteratura, moda e glamour che apre le porte a una collezione di classici letterari che saranno pubblicati durante il corso del 2018, riproponendo altri iconici scatti di Meisel.

STELLA McCARTNEY
Da Parigi a Los Angeles, tra moda e musica, Stella McCartney celebra il lancio delle nuove collezioni uomo e donna grazie a straordinarie performance musicali di BØRNS, Leon Bridges, Dr. Pepper’s Jaded Hearts Club Band, Grimes, St. Vincent e Beck. L’uomo di Stella Mc Cartney, come per la donna, mostra una sensibilità forte verso l’ambiente e la sostenibilità: protagonista della collezione è Loop, la nuova sneaker realizzata con tomaia elasticizzata e prodotta senza l’uso di colla. Le sneaker sono caratterizzate da una suola in gomma in TPU biologico proveniente da risorse rinnovabili. Capi confortevoli che rivisitano motivi della tradizione, ma abbinati e ripensati in modo imprevisto, come il disegno quadrettato o lo stile mimetico militare. La campagna arriva in città grazie alle immagini della fauna selvatica realizzate dall’artista Martin Ridley e stampate su camicie e t-shirt di popeline organico, e ai maglioni nelle tonalità kaki e grigio in tessuto spazzolato con stampe animalier.

3.PARADIS
A Parigi non solo big brand, ma anche molti marchi di tendenza e innovazione come 3.Paradis, label fondata nel 2013 dai designer Emeric Tchatchoua e Raymond Cheung. I due designer provengono da due angoli opposti del mondo (Parigi e Hong Kong) con una visione artistica comune e il sogno di unire culture differenti. Di base tra Parigi e Montreal, 3.Paradis prende ispirazione dalla cultura pop e dallo streetwear giapponese ed è animata da un senso di ribellione. Racconta lo stesso Emeric Tchatchoua: “ il ‘3’ sta per equilibrio e ‘Paradise’ [‘paradiso’] simboleggia la felicità e l’equilibrio che arriva dal mio lavoro. 3.PARADIS rappresenta la perfetta armonia tra mente, corpo e anima.”Una marchio da tenere d’occhio.

ISABEL MARANT
Uno stile rilassato ma che si accende con accenti rock and roll caratterizza anche la silhouette maschile di Isabel Marant. Per celebrare il lancio della linea uomo la designer ha organizzato un evento con cena privata nella sua showroom di Place des Victoires. La serata è stata animata da una live performance del giovane rapper Lomepal, una delle figure più interessanti della scena musicale parigina. Appassionato di skate e di rap, Antoine Valentinelli aka Lomepal, a soli 26 anni, ancor prima di lanciare il suo primo album Flip, ha raccolto intorno a sé una grande community di appassionati e rap addicted. Quando la moda si sposa perfettamente con la musica.

HOLIDAY BOILEAU x VESTIARE COLLECTIVE
Per tutti i fan del denim, durante la settimana della moda uomo a Parigi ha debuttato la collaborazione tra Vestiaire Collective e Holiday Boileau, brand di lifestyle francese, che ha sviluppato una serie di giacche in jeans vintage in edizione limitata acquistabili su vestiairecollective.com. Ciascuno pezzo, che si ispira allo stile esuberante degli anni Ottanta, è ricamato con il logo del marchio parigino. Commenta Gauthier Borsarello, direttore crreativo di Holiday Boileau: “A Holiday Boileau sviluppiamo le nostre collezioni rielaborando pezzi iconici. La collaborazione con Vestiaire Collective è stata naturale in vista della comune passione per il vintage e il loro catalogo ricco di pezzi eccezionali! Da non perdere per tutti gli online shopper!

JULIEN DAVID
Parigino di nascita, classe 1978, Julien David dopo New York (dove ha studiato alla Parsons School of Design) si è trasferito poi a Tokyo nel 2006 dove ha poi fondato la sua label. Dal 2012 è una presenza fissa nel calendario della moda parigina e si è imposto per uno stile molto ironico tutto giocato con stampe e colori. Oggi le sue collezioni sono vendute in negozi come Dover Street Market, 10 Corso Como, Galleries Lafayette, Isetan, tanto per citarne alcuni. Per la prossima stagione David propone un guardaroba per l’uomo moderno, che deve mostrare la sua personalità, cultura, passione e interessi. Uno stile adatto a occasioni diverse, come ci mostra in modo ironico nella sua presentazione durante la Paris Fashion Week.

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FROM HERE ON mostra di Francesca Galliani

FROM HERE ON è il titolo della mostra e intervista esclusiva con Francesca Galliani, artista che sin dagli anni Novanta ha mostrato tramite le sue opere, la forza e la bellezza di uomini e donne transessuali, che vivono ai margini delle tradizionali categorie con cui definiamo la società e i ruoli. Storie di coraggio che celebrano la diversità e il diritto di essere veramente se stessi.

Quando hai realizzato di voler diventare un’artista?
Mi sono trasferita negli Stati Uniti che avevo diciannove anni, per frequentare una scuola d’arte a Washington D.C. Mi sono laureata alla Corcoran School of Art. Ho seguito anche un corso base di fotografia in cui ho imparato come usare al meglio la macchina. Mi sono immediatamente innamorata della fotografia, e ho trascorso molto tempo chiusa nella camera oscura a lavorare sulle foto. Il mio insegnante mi ha poi supportata e incoraggiata a coltivare questa nuova passione. Così ho scoperto quanto vita potesse darmi la fotografia e in quanti modi riesce ad arricchirmi.

Che legame hai con l’Italia e con New York?
Le mie radici sono italiane, ma sono orgogliosamente newyorkese. Devo così tanto a questa città. Mi è stata di fondamentale aiuto per arrivare a conoscermi davvero, per accettare e celebrare la donna che sono. È una città che pulsa di libertà, tolleranza, accettazione, apertura mentale e che celebra le differenze. New York è una città che prospera e si espande grazie alle differenze, alle diverse culture e religioni, alla sessualità e al gender.

Parlaci del tuo processo creativo.
La prima cosa di cui ho bisogno è fare silenzio dentro di me, ascoltare cosa viene fuori e, senza pormi domande, dargli vita. La mia tecnica supporta l’urgenza espressiva. Nella camera oscura ho sperimentato metodologie personali, modificando a mio piacimento antichi processi: tonalità seppia eseguite a mano, punzoni di selenio e sbiancamento. Interventi materiali sulla superficie dell’immagine, che la rendono unica.

Come sostenitrice della comunità LGBTQ, in che modo ti relazioni all’attuale clima politico e come utilizzi il tuo lavoro per trasmettere un messaggio?
Come artista ho la responsabilità di difendere la libertà di espressione, i diritti umani fondamentali e la libertà civile e politica che è tuttora soppressa nella nostra società moderna, che purtroppo ha fatto grandi passi indietro dopo i risultati delle ultime elezioni americane. È una realtà che l’arte aiuta a cambiare il mondo, e la mia intenzione e passione è quella di contribuire a questo cambiamento con i miei lavori.

Qual è la tua definizione di ‘gender’ e cosa vorresti trasmettere con la tua arte?
“You are more than just neither, honey. There’s other ways to be than either-or. It’s not so simple. Otherwise there wouldn’t be so many people who don’t fit.”(Leslie Feinberg, Stone Butch Blues 1993)
Come mezzo per la scoperta di sé, ho fotografato persone transgender sin dagli anni Novanta, mostrando la dignità, la forza e la bellezza di essere esseri umani con qualunque aspetto estetico si scelga, e ciò include anche la transessualità. Fotografo uomini e donne transessuali che vivono ai margini delle tradizionali categorie con cui definiamo la società e i ruoli. Spesso questi ritratti alludono agli aspetti più tragici della vita: “basta sofferenza”, “spazzatura”, “difenditi”, “distruggi l’oppressione dei gay”. La tensione in queste opere si manifesta dalla combinazione di volti e corpi di genere apparentemente non ambigui, con espressioni emotive che variano da seduttive, tenere ed introspettive a scoraggiate, di sfida, e trionfanti.

Com’è nato il progetto ‘Made In Me 8’?
‘Made In Me 8’ è nato da solo. È stato un processo stimolante, iniziato durante il Gay Pride del 2015, alcuni giorni prima che la Corte Suprema approvasse il matrimonio omosessuale in tutti e cinquanta gli Stati. Ho deciso di dipingere alcune t-shirt con la frase ‘love wins’ (coniata dal Presidente Obama dopo la legalizzazione dei matrimoni gay). È stato tra la folla, marciando sulla 5th Avenue, che ho trovato una nuova piattaforma. Ho visto l’opportunità di rendere la mia arte pubblica, indossabile a un prezzo accessibile, per renderla fruibile da un pubblico più vasto. Le magliette serigrafate sono realizzate con l’opera originale stampata. Ho scelto lavori che esprimono il mio punto di vista. Fanno nascere un dibattito, che è un tema molto difficile in questo clima di tensione. Le t-shirt trasmettono messaggi forti di speranza e accettazione. Le parole portano con sé molto potere e attirano ancor di più quando vengono usate al di fuori del solito contesto.

Cosa esporrai a Milano? Cosa ti lega a questa città?
Esporrò due serie: una composta da ritratti di uomini e donne transessuali e una legata alla continua evoluzione di New York. Nonostante faccia parte del passato, Milano vive ancora dentro di me, un posto un po’ lontano, ma mai dimenticato.

Photos by Francesca Galliani

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WEEKEND A CORTINA

Cortina d’Ampezzo resta una meta ideale per un week end lungo, tra sport, attrazioni turistiche, food &wine, ma anche fashion. Lo dimostra l’evento Cortina Fashion Weekend, che segna l’inizio della stagione invernale all’insegna dello shopping e con eventi organizzati dai diversi negozi. Qui alcuni indirizzi da non perdere per un week end in alta quota ma con stile.

HOTEL & SPA. Per un soggiorno all’insegna del relax da provare il Cristallo Resort & Spa l’unico 5 stelle delle Dolomiti che propone una vera “epicurean experience” che coinvolge ogni aspetto del soggiorno, dalla gastronomia al Coach della Salute,  un’esclusiva del 5 stelle: un professionista del benessere a tutto tondo, che accompagna gli ospiti, seguendoli individualmente e occupandosi di tutte le dimensioni del wellness, comprese alimentazione, sonno, movimento. Un approccio personalizzato che si sposa perfettamente a tutte le attività fisiche praticabili in inverno a Cortina, approfittando di un territorio eccezionale sul piano paesaggistico e votato allo sport.  Altro hotel e ristorante da provare è il Rosapetra Spa Resort, che sorprende per il design curato da Carlo Samarati, che ha firmato spazi, volumi ed essenze del resort. Dalla Spa al ristorante vivrete un’esperienza di totale relax con vista ineguagliabile sulle Dolomiti.

SHOPPING @ FRANZ KRALER. Cortina è anche una meta dove sta crescendo la passione per la moda. Cuore pulsante dello shopping di Cortina, in Corso Italia, i Kraler, storica famiglia di ceppo asburgico attualmente composta da Franz, la moglie Daniela e il figlio Alexander, hanno recentemente inaugurato il più grande department store italiano in Corso Italia 119 suddiviso in corner dedicato ai brand top della moda, ospitando l’exclusive dj set del leggendario compositore Giorgio Moroder e un’installazione a cielo aperto del giovane artista internazionale Stefano Ogliari Badessi.  Raffinato e versatile, si sviluppa su due piani, con la zona calzature al primo livello interrato e la zona abbigliamento al piano terra. Al piano rialzato le ampie vetrine si affacciano sulla piazza antistante e godono della fantastica prospettiva di tutto il Corso fino al campanile della chiesa. In contemporanea con l’apertura invernale della luxury boutique di Corso Italia, Kraler ha anche ampliato il luxury department  di Dobbiaco,  dove è stata presentata  la prima collezione leisurwear  di Fendi dedicata all’alta montagna all’interno di un suggestivo chalet gonfiabile.  Commenta Daniela Kraler: “Ho voluto collegare il tessuto urbano con una serie di negozi che proponessero un customer journey, un’esperienza di shopping che va al di là del semplice acquisto. Tutto questo risistemando edifici relativamente nuovi, regalando alla loro architettura un carattere inconfondibile, un’anima per offrire una degna cornice alle maison più importanti del mondo.”

Sempre nel segno del glamour è la sesta edizione del WinteRace, la gara d’auto d’epoca invernale, tra le più attese della stagione, che si svolge dal 1 al 3 marzo, con partenza e arrivo a Cortina d’Ampezzo.

Info utili

http://www.cortinadolomiti.eu/it
http://www.franzkraler.it
http://cortinafashionweekend.com

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Talent Made in Italy: RAMODESIGN

Esplorare tutte le potenzialità del legno per dare vita a oggetti dal design unico che prendono forma dalla potenzialità dello stesso materiale. Questa la filosofia di RAMODESIGN, ideato da Omar Cosentino, giovane talento che abbiamo incontrato nel suo studio di Via dell’Orso 16 nel cuore di Brera a Milano.

Parlaci della tua formazione

Sono a nato e cresciuto a Milano. Dopo aver studiato come grafico pubblicitario, ho deciso di dedicarmi a materie tecniche, perché la mia passione è sempre stata creare e capire come sono realizzati oggetti meccanici ed elettronici. Dopo aver lavorato per alcuni anni nel settore della meccanica, ho iniziato un nuovo percorso cambiando radicalmente vita, e dedicandomi alla realizzazione di oggetti di arredo con materiali naturali.

Quando hai iniziato a lavorare nell’interior design?

Sicuramente la spinta iniziale è venuta da mia moglie, che mi ha sempre sostenuto e spinto a sperimentare e approfondire la mia passione per l’artigianato. Nel 2015 ho deciso di dare forma alla mia passione, realizzando una serie di oggetti di design unici fatti a mano come tavolini, lampade, quadri, cornici, sculture e altri piccoli accessori in legno.

Come nascono i tuoi lavori? Da dove prendi ispirazione?

Ogni oggetto è realizzato interamente a mano da me. Dopo aver selezionato diversi tipi di legno di recupero, studio e analizzo la forma del materiale da cui nasce l’ispirazione per il design del pezzo. Nascono così lampade fatte da un unico tronco o tavolini, che poggiano su grosse radici nodose; utilizzo resine per incastonare sezioni di rami per creare mosaici di legno che diventano quadri o mattonelle per pavimenti. E’ proprio il legno che mi ispira e dal quale trovo l’idea per ogni mio pezzo di design. Il motivo che mi ha spinto a scegliere il legno naturale come strumento per creare i miei oggetti, è proprio perché il legno stesso racchiude già un’idea di design, che deve essere solo portata alla luce, senza stravolgerne la naturale bellezza.

Le tecniche di lavorazione

Utilizzo diversi tipi di tecniche, a seconda di quello che devo realizzare. Ogni lavorazione è fatta a mano, dall’intarsio alla levigazione del legno alla saldatura delle strutture metalliche. Molto spesso sperimento tecniche nuove per ottenere risultati inediti, soprattutto con le pitture e le resine, con le quali realizzo quadri che abbinano il legno a tecniche pittoriche. L’applicazione del colore su alcuni oggetti viene effettuata facendo colare la pittura, che dona effetti marmorei ottenuti quasi casualmente. Il colore che prediligo utilizzare è il blu in tutte le sue sfumature.

Quali sono i tuoi pezzi più rappresentativi?

Di sicuro un tavolino realizzato con più di mille pezzi tutti tagliati a mano, che compongono un mosaico di cerchi tenuti insieme da una resina trasparente da cui emergono tutte le venature dei venti tipi di legno utilizzati; e anche una lampada scaturita da una enorme radice di faggio capovolta su cui poggia un paralume di carta.

Sogni e progetti per il futuro

Vorrei che questa mia passione mi portasse sempre di più a padroneggiare ogni tecnica di lavorazione del legno e del ferro per realizzare tutti gli oggetti che visualizzo nella mia mente. Condividere le mie creazioni con chi apprezza le lavorazioni artigianali mi spinge a continuare a crescere e a concepire sempre nuovi design.

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MARCO CARTASEGNA: L’INFLUENCER MULTITASKING

Modello, blogger e influencer, ma anche imprenditore di successo e volto televisivo. A soli 27 anni, Marco Cartasegna, fondatore del blog YourGentleman, ha messo a frutto il suo Master in International Management con specializzazione in Digital Business, coniugandolo alla sua innata passione per la moda. Per questo, oltre ad essere socio della startup informatica iGenius.net, è anche tutor di stile ed esperto del mondo digital nel celebre programma pomeridiano di Rai2 Detto Fatto, dopo essersi fatto conoscere al grande pubblico per la sua esperienza come tronista a Uomini e Donne, in onda su Canale 5. MANINTOWN l’ha incontrato per voi.

Cosa o chi ti ha spinto ad aprire il tuo blog personale un paio di anni fa?
La mia voglia di mettere insieme i miei studi, in particolare il Master in Digital Business, con la mia passione per la moda, campo nel quale avevo comunque già accumulato esperienza, avendo fatto il modello durante gli studi. Ho quindi fatto un business plan e mi sono lanciato in questa avventura.

Cosa significa per te essere un influencer?
Avere un pubblico che per qualche motivo ti segua e soprattutto ti ascolti. Devi essere credibile nei confronti dei tuoi follower per essere un influencer, non basta avere grandi numeri. Si deve anche essere coerenti con quello che si comunica e con il proprio pubblico. Non pubblicizzo mai prodotti che non siano in linea con quello in cui credo io, sarebbe come tradire chi mi segue.

Tu stesso ti ispiri a qualcuno nella tua vita quotidiana?
Sicuramente ci sono personalità dal grande stile, non semplicemente nel look, ma in toto, che mi piacciono. Ad esempio, un grandissimo calciatore come David Beckham, che ha saputo essere uno tra i top player al mondo, maestro di stile e padre di una famiglia che sembra amarlo molto.

Qual è la tua più grande passione?
Oltre alla moda, il calcio. Ho sempre fatto molti sport, il tennis, ad esempio, è stato la mia vita durante il liceo, ma il calcio mi regala emozioni uniche. Ora sto cominciando con il golf, lo sport più completo che ci sia.

Per te avere stile è….
Lo stile, a differenza della classe, si può acquisire con il tempo, anche se molto più spesso è innato. Penso anche che lo stile evolva nel corso della vita di una persona, il fil rouge deve sempre essere il proprio gusto estetico, quello non si può acquisire, e fa anche sì che, quando lo stile cambia, lo faccia sempre senza snaturarsi.

Sei socio di una startup informatica, come riesci a conciliare le tue molteplici attività con il tuo ruolo di imprenditore?
È molto complicato! Non ho tempo di seguire quotidianamente la start up, anche se sta andando molto bene, abbiamo infatti raccolto 2,5 milioni negli ultimi mesi. Per ora mi dedico alla mia passione, la moda, ho diverse attività in cantiere che vorrei lanciare.

Recentemente sei entrato come tronista nel programma di Maria De Filippi Uomini e Donne. Parlaci di questa esperienza.
È stata una bellissima esperienza, la mia prima nel mondo della TV. L’ho fatta principalmente per curiosità. Mi hanno proposto di fare altri programmi da concorrente, ma ho declinato le offerte, al momento non mi interessa. Invece ho da poco cominciato Detto fatto sui Rai 2, esperienza molto interessante, perché mi mette alla prova nella conduzione al fianco di Caterina Balivo, in qualità di tutor di Digital, Moda e Lifestyle.

Un’esperienza che sogni di fare?
Il giro del mondo.

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IL GIRO DEL MONDO IN 90 GIORNI

Esattamente 77 anni dopo il suo primo volo, il leggendario Breitling DC-3 è partito da Ginevra e ha compiuto, tra marzo e settembre, un eccezionale giro del mondo a tappe, tra cui quella a Milano, scandite da eventi e partecipazioni a manifestazioni aeree.
Il DC-3, “l’aereo dello sbarco in Normandia”, riconosciuto dal generale statunitense Eisenhower come uno dei quattro pilastri della vittoria alleata in Africa e in Europa, oltre ad aver segnato la storia dell’aviazione militare, civile e commerciale, quest’anno ha stabilito un nuovo record, diventando il velivolo più antico a intraprendere un simile giro del mondo.
Insieme all’equipaggio, ha viaggiato ai loro polsi anche un’edizione limitata di 500 esemplari di Navitimer, i cronografi d’aviazione dotati di un sistema con doppio fuso orario, garantiti da un certificato firmato dallo stesso comandante. Questi orologi specializzati rappresentano un vero e proprio oggetto di culto tra gli appassionati di aeronautica sin dal 1952, con il loro quadrante circolare, da cui è possibile gestire tutte le operazioni relative alla navigazione aerea.
Grazie a questo volo straordinario, Breitling vuole dividere la sua grande passione per l’aeronautica con un vasto pubblico in tutto il mondo. Breitling, d’altronde, supporta da sempre grandi eventi aeronautici, dirigendo numerose formazioni d’eccezione e collaborando con l’élite mondiale dei piloti e delle squadriglie, inoltre, è fortemente impegnato nella tutela e nel restauro di apparecchi ormai mitici, tra cui il Douglas DC-3, che hanno segnato la storia dell’aviazione.

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Alessandro Egger: poliedrico e talentuoso

Alessandro Egger, serbo di nascita e milanese d’adozione, è da poco tornato dai red carpet della Mostra del cinema di Venezia. Modello, attore, musicista, è passato dalle sfilate di Versace e Dolce&Gabbana alla serie The Band, in cui recitava ancora minorenne. Una figura poliedrica che, costruendo il proprio successo partendo da zero, vuole essere di ispirazione per chi crede ancora d’avere ‘sogni troppo grandi’. Selezionato per l’ultima edizione di Pechino Express si racconta su queste pagine, tra un preparativo e l’altro, lo vedremo nel viaggio che lo porterà ad attraversare Filippine, Taiwan e Giappone, in compagnia della mamma Cristina (gli #Egger).

Attore, modello e paroliere: molti talenti, alcuni anche diversi fra loro. Come sei riuscito a coltivarli tutti?
Hai ragione, sono molti! La musica è stato il primo che ho coltivato, perché era la forma di comunicare e narrare storie, sogni e ambizioni dell’ambiente in cui mi trovavo che prediligevo. Facendo rap il modo di muoversi e costruire lo “show” diventa scenografico a tal punto da trasformarsi quasi in uno sketch che va oltre la musicalità e lirica dei testi. Da lì sono arrivati i primi suggerimenti degli amici: “Dovresti andare a Hollywood” o “Sei nato per fare l’attore”. Prendendo con serietà l’opinione sincera delle persone, mi sono trasferito da Como a Milano, rischiando e ottenendo i primi ruoli. Dopo i 20 anni divenne complesso trovare un ruolo adatto, a causa dei drastici cambiamenti fisici che portarono ad un forte contrasto tra l’altezza (189cm) e il volto, lontano dallo stereotipo del comune ragazzo italiano. Dovevo trovare una soluzione perché non potevo star fermo. Mentre lavoravo in una showroom, arrivarono (quasi) inaspettatamente i primi lavori nella moda, un colpo di fulmine che travolse completamente la mia vita. Con gli anni ho imparato a fare convivere le mie passioni, utilizzandole come mezzo comunicativo anche nella vita quotidiana. A settembre, ad esempio, ho un pezzo in uscita con Laioung. La canzone si chiamerà “Ginger”

I tuoi ricordi in Serbia. Qual è l’essenza del tuo Paese?
E’ un Paese che ha subito molti squilibri a causa della guerra e dei bombardamenti ma la sua essenza è nel legame con le persone, una grande sinergia che agisce in maniera pura e forte allo stesso tempo. Nel quartiere si cresce grazie agli adulti, che insegnano a rispettare i genitori, la famiglia e la propria terra. Se non impari, ci pensano i fratelli maggiori, quelli ‘acquisiti’, a farti capire le cose. Usano i metodi più duri che sono anche i più efficaci. (Ride). Cresci rispettando gli anziani e la famiglia, apprezzando la vita, i soldi, la scuola, l’aria che respiri. E’ gente che ha un storia da raccontare, molta tristezza negli occhi, ma anche una grande voglia di rivincita.

Raccontaci del tuo percorso come attore e dei primi successi con la serie The Band.
‘The Band’ è stato il mio primo grande amore, una serie che ho amato da tutti i punti di vista e in ogni momento, dal camerino, alla sala costumi, dall’unica e sola Silvia Gandolfi (che mi ha scoperto), donna che rimarrà sempre nel mio cuore, ai miei compagni di set, con i quali ho condivo così tanto. Mi ricordo che il successo fu così incredibile che ogni mattina c’erano gruppi di ragazze ad aspettarmi davanti casa e io uscivo senza rendermi nemmeno conto di cosa stesse accadendo.

Quali sono i registi con cui hai avuto il piacere di lavorare e quali quelli con cui vorresti farlo?
Ho lavorato con Brizzi, Genovese e Samen, il duo esplosivo che sono sicuro realizzerà grandi cose, ma quello con il quale adoro lavorare di più è Angelo Guarracino. Siamo amici da 10 anni e abbiamo sempre coltivato la nostra passione cercando di creare dei prodotti video emozionanti e quest’anno abbiamo collaborato per produrre e dirigere video per Rocco Hunt, Laioung, Gue Pequeno. In futuro mi piacerebbe lavorare in America, magari con Scorsese o con uno dei miei compaesani più illustri, Kusturica, facendo da spalla a Jim Carrey o a Leonardo di Caprio, che adoro e stimo. Forse sogno in grande, ma i sogni sono fatti per questo!

Com’è nata la tua carriera da modello? Quali sono gli aspetti che ami di questo lavoro?
La mia carriera da modello è nata per caso. Avevo lasciato un curriculum da Versace candidandomi come venditore, cameriere o per qualsiasi altra posizione e invece venni visto dallo ufficio stile e dal casting director, che mi diede la possibilità di lavorare con loro. Ho quindi cercato un’agenzia che mi rappresentasse e da lì è iniziata la mia ascesa. Della moda mi piace tutto, dalla creazione di un capo alla sfilata stessa, ma la cosa che amo di più è la possibilità che offre di viaggiare molto e scoprire posti meravigliosi! Amo viaggiare, è un’esperienza che mi arricchisce molto!

Qual è la tua idea di stile e cosa porti sempre con te in valigia?
Lo stile è prima di tutto è saper sdrammatizzare l’eleganza con l’attitudine. Ovviamente l’abito non manca mai. Tagli sartoriali, pelle ricamata: voglio che l’outfit abbia un colore deciso e racconti una storia.

L’ultimo libro o brano musicale che ti ha regalato un’emozione.
L’ultimo libro che ho letto è di Charles Bukowski, ‘Post Office’, una gran storia sui cambiamenti e gli stravolgimenti della vita. Vivo constantemente su Spotify, quindi musicalmente seguo tutte le ultime tendenze. Tra i brani più ascoltati ci sono ‘Thunder’ degli imagine Dragons e ‘Young Dumb’ di Khalid.

Alessandro Egger e i social media: come li usi, cosa ti piace postare e cosa no.
Cerco di impostare i social su quello che i miei follower amano di più, comunicando con loro e postando le principali notizie che mi riguardano. Le foto sono principalmente quelle di shooting professionali, pochi selfie. Per me è fondamentale dare un messaggio positivo e spronare chi ne ha bisogno a raggiungere i propri sogni, spesso sfruttando la mia stessa storia, essendo anche io partito da zero.

Una o più luoghi dove vorresti andare e dove ti ricarichi quando non lavori.
Mi piace andare in posti incontaminati, immergermi nel silenzio e nella natura. Pratico la meditazione, fa benissimo.

Ti piace scrivere canzoni… quali gruppi e cantanti segui? Con chi ti piacerebbe collaborare?Prediligo gli artisti che riescono a comunicarmi qualcosa intensamente come R Kelly, Beyoncé, Otis Redding, Jamie Foxx. Sono cresciuto con la musica Black. Presto uscirà un pezzo in collaborazione con Laïoung, artista con il quale sfogo tutta la mia energia. Mi piacerebbe collaborare con Pharrel Williams o William Adams, meglio noto come Will.i.am.

Una o più luoghi che sono per te ricchi di ispirazioni?
Qualunque luogo può essere d’ispirazione se si vive pienamente!

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Photographer| Fabrizio Cestari
Stylist| Stefania Sciortino
Grooming| Emanuela Di Gianmarco using Sisley Paris

matthew zorpas. athens calling

Gentleman di nome e di fatto, è considerato uno dei più importanti web influencer del momento. Non posta e basta, racconta storie di stile, dispensa consigli su come comporre i look, attraverso i suoi viaggi ispira un seguito di followers da tutto il mondo. Parliamo di Matthew Zorpas, blogger e fondatore di thegentlemanblogger.com. Matthew è anche un creative consultant e, attualmente, brand ambassador di IWC Schaffhausen. Nato a Cipro, Matthew studia e si trasferisce a Londra per ritornare alle origini trasferendosi di recente ad Atene. Proprio per il suo compleanno (festeggiando i 30 anni con tanto di #mz30th) lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare il suo punto di vista su una delle città più affascinanti al mondo per storia, cultura e continuo fermento.

Cosa ti piace di Atene?
Atene è in gran fermento al momento. È una città che negli ultimi anni ha sofferto, ma recentemente ha iniziato a respirare di nuovo. Piccole aperture, negozi popup, bar e ristoranti sono a ogni angolo, offrendo l’eccellenza nel design, gusto e servizio. È l’inizio di una nuova era, di nuove idee, di un nuovo sistema. Io voglio esserne parte.

Cosa mettere in valigia?
Viaggiate leggeri! Diventa caldissimo in estate. Mettete in valigia creme solari, il vostro cappello di Panama (soprattutto se volete fare una passeggiata sull’Acropoli), una camicia di lino bianca o azzurra (vi adatterete perfettamente ai greci), le vostre espadrillas alla moda e alcune paia di calzoncini. Non dimenticate il vostro zaino, per mettere i vostri autentici souvenir ateniesi da Plaka!

I 5 posti più importanti da visitare ad Atene (ristoranti, spiagge, hotel, discoteche, negozi)?
Il mio ristorante preferito nel centro di Atene è Nolan, cucina fusion giapponese e greca. Spiagge: a 40 minuti in barca, assicuratevi di visitare Agkistri, una delle isole più vicine ad Atene con acque cristalline. Aponhsos è uno dei miei punti preferiti dell’isola. Hotel: Electra Metropolis è una delle ultime aperture in città e con la migliore roof top. Discoteche: l’area Gkazi è dove accade la magia. Dai bar greci alle feste speciali con dj internazionali, succede di tutto intorno a questa piazza. Negozi: Paraphernalia è la destinazione perfetta per gli amanti del design.

Un ricordo particolare riferito a questa città?
La festa per il mio compleanno dei 30 anni con i miei amici, venuti da tutto il mondo. È stato un momento davvero speciale e indimenticabile per me, qui ad Atene.

A chi consiglieresti questo viaggio?
Agli amanti, a chi ama il sole, l’estate, la storia, la bellezza, la natura, agli amanti della Grecia.

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JAMES JAGGER, UN UOMO, DIECI RISPOSTE

Da piccolo ascoltava a ripetizione la canzone “Johnny Be good” di Chuck Berry e confessa di avere ancor oggi una passione irrefrenabile per i film gangster. James Jagger, figlio di un più noto Mick, ha iniziato la sua carriera nel cinema, ma non solo, è anche un ambientalista convinto, e parte del progetto “The wave walk”, che coinvolge artisti e scultori e designer per realizzare varie opere a NYC che sensibilizzino le comunità sui temi della salvaguardia dell’ambiente marino. In attesa di vederlo anche in un film del regista Christopher Nolan – un suo desiderio svelato – non vediamo l’ora di (ri)vederlo sul grande schermo nella pellicola 747, che uscirà a breve.

Gli esordi da attore
Già al liceo, a 16 anni. Interpretando un ruolo in uno spettacolo scolastico capii che comunque quella poteva essere una strada, la mia strada. Così mi iscrissi ad un corso di recitazione a Londra e poi a New York (la verità è che a quel tempo passavo più serate alle feste che ore a provare il copione) ma una parte di me lo sentiva, sapeva che voleva andare no in fondo.

Tutto è pronto per il nuovo film 747
È stata un’esperienza molto piacevole, ho trovato dei grandi amici e degli ottimi professionisti. Non ho grandi aspettative per il suo successo (il mix di ingredienti che rende vincente un film è davvero vasto e bisogna avere talento e fortuna perché tutto si amalgami in maniera perfetta) ma personalmente sono davvero soddisfatto.

Il sogno nel cassetto
Ce ne sono molti ma se devo sceglierne uno, adesso, vorrei lavorare con Christopher Nolan (super): Inception, Intestellar, woow, sono pellicole invincibili. Lui è un talento prodigioso e per me sarebbe davvero un sogno poterci collaborare. Lui è uno di quei registi che anche con grandi budget riesce ancora a rischiare, a puntare su copioni innovativi e di livello. Il problema del cinema contemporaneo, infatti, è che le cose più belle vengono fatte con pochissimi soldi, da autori emergenti e che fanno moltissima fatica per affermarsi, mentre con le produzioni più grandi si pecca di buona qualità, si fa intrattenimento più che arte.

Un attivista convinto
La verità è che siamo un’associazione molto piccola, ci sono dentro soltanto sei persone e cerchiamo nuove fonti di crowdfunding per i nostri progetti: ogni anno ci battiamo per una causa specifica legata alla tutela delle coste e alle fonti di inquinamento marino e adesso, per esempio, abbiamo dato vita ad un progetto molto interessante, a New York, in partnership con La Mer, si chiama “The wave walk” e coinvolge artisti e scultori e designer per realizzare varie opere, in tutta la città, che sensibilizzino i passanti, la comunità, sui temi della salvaguardia dell’ambiente marino.

Il volto delle fragranze Armani
Girare la serie di short film per le fragranze Armani mi ha soddisfatto…Fabien Constant è stato un director straordinario, e la cosa davvero meravigliosa è che oltre alla promozione di un prodotto, nella sua idea c’è uno script, una storia reale, ci sono emozioni e sentimenti. E per un attore questa è pura vita. Con Matilde Lutz, mia partner nei film, abbiamo trovato immediatamente una sintonia ed un feeling piacevole, tanto che Fabien spesso filmava anche nei momenti di pausa. La spontaneità e la naturalezza che si creano sul set sono importanti per creare un prodotto autentico.

matilda lutz: an italian talent in hollywood

Milanese di nascita, ma con vocazione internazionale, Matilda Lutz è un talento che sta vivendo il suo sogno americano. Dopo l’incontro con Muccino e il suo trasferimento a Los Angeles la carriera della giovane Matilda (ventiseienne) è in rapida ascesa, tanto che Giorgio Armani l’ha scelta come protagonista, insieme a James Jagger, di una serie di brevi film diretti da Fabien Constant per il lancio di due nuove fragranze per Emporio Armani. L’abbiamo incontrata a Milano per farci raccontare come è iniziato il suo amore per il cinema, la sua vita a Los Angeles e i suoi prossimi lavori in uscita.

Com’è nata la tua passione per la recitazione?
In realtà un po’ per caso. Ho frequentato il liceo scientifico ed ero molto timida, avevo paura che la recitazione non facesse per me, solo il pensiero di stare davanti al pubblico mi terrorizzava. Dopo il liceo sono andata a New York, dove ho fatto un corso di recitazione, giusto per provare e sconfiggere la mia timidezza. in realtà mi sono accorta che recitando e interpretando dei ruoli mi sentivo veramente libera. Non mi sentivo giudicata. Potevo dire e fare quello che volevo, perché le persone non giudicavano me, Matilda, ma guardavano al personaggio. Da questo sentimento di libertà completa mi sono innamorata della recitazione.

Com’è avvenuto l’incontro con Gabriele Muccino?
Lavoravo in un ristorante italiano a Los Angeles e lui era a cena con sua moglie. Il proprietario del locale, che mi conosceva molto bene, sapeva che mi piaceva Muccino e me l’ha presentato. Io seguivo i post che scriveva sulla sua pagina di Facebook sulle differenze tra americani e italiani, su quello che gli piaceva e non degli Stati Uniti e dell’Italia. Così gli ho scritto un pensiero ispirandomi a uno dei suoi post, ma non credevo l’avrebbe mai letto. E invece ho catturato la sua attenzione e mi ha chiesto di fare un provino per il film.

Come è stato lavorare con lui?
Un’esperienza incredibile. Già solo per le location dove abbiamo girato. Siamo andati a a girare a Cuba, San Francisco, Roma e New Orleans, insieme a Brando Pacitto e Taylor Frey, con cui sono diventata subito amica. Abbiamo creato fuori dal set quella chimica che abbiamo riportato nel film. Uscivamo sempre insieme, passavamo le serate a chiacchierare tutti insieme. Una sera ricordo che a Cuba siamo andati a sentire una band dal vivo e ci sembrava realmente di vivere nello stesso film.

E l’incontro con Armani?
La prima volta che ho incontrato Mr Armani è stata alla prima a Milano del film di Muccino L’estate addosso. Alla presentazione del film, tra amici e la famiglia, c’era anche lui tra il pubblico e io ero in ansia (ride, ndr). Dopo la proiezione del film è venuto a farci i complimenti. Tra l’altro mio padre aveva fatto una campagna proprio per Armani. L’altra coincidenza è che quando avevo 17 anni mi avevano chiesto di intervistare Beyoncé a Madrid per il suo concerto. Un progetto che era pensato proprio per il lancio del nuovo profumo Diamonds di Emporio Armani. Ho fatto queste tre pagine di diario in cui, come fan, andavo a intervistarla ed ero la più giovane corrispondente del tempo.

Quando ti sei trasferita a Los Angeles?
E’ da tre anni che sono lì stabilmente. I primi sei mesi ho fatto avanti e indietro con l’Italia per lavoro, perché stavo girando una serie. E dopo un anno dal trasferimento è arrivato il primo film.

The Ring, il tuo primo film americano, un film horror in 3 D
In realtà non sono una grande fan degli horror, perché mi fanno molta paura, inizio a vedere e a sentire cose, non riesco a dormire, quindi evito di guardarli. Però girarne uno è stato proprio divertente per le scene d’azione. Essendo il mio primo film americano ho fatto molte prove con lo stunt coordinator, uno dei più importanti di Hollywood. Poi tanti trucchi del backstage, gli effetti speciali, basti pensare che per realizzare il trucco del personaggio di Samara ci vogliono sei ore.

Come ti trovi a Los Angeles?
Quando mi sono trasferita tutti mi parlavano male di Los Angeles. Mio fratello già viveva lì e sono andata a trovarlo inizialmente e poi sono rimasta. Mi è piaciuta tantissimo per la sua energia e per il fatto di poter essere in mezzo alla natura, pur rimanendo in città. E di poter condurre una vita sana: tutti si svegliano presto, vanno a letto presto, perchè i locali chiudono alle due, mangiano quasi tutti in modo salutare e praticano un sacco di sport all’aria aperta. La cosa più bella di Los Angeles è il fatto che tutti i quartieri hanno uno stile di vita diverso: a Silver Lake trovi la vita newyorkese, un po’ underground e rock and roll; se sei a Santa Monica c’è il mare, il surf, la corsa al tramonto, a West Hollywood ci sono più discoteche e vita sociale.

Ti manca l’Italia?
Mi manca tantissimo il cibo, dopo tanti mesi negli Stati Uniti quasi ci si dimentica del sapore vero del cibo, come le fragole. Mi manca l’aperitivo con i miei amici e camminare nei vicoletti delle nostre città.

Quando non lavori, quali sono le tue passioni?
La cosa che mi piace di più è viaggiare; infatti adesso mi sono presa una settimana di vacanza e sono andata ogni giorno in un poso diverso. Mi piace scoprire posti nuovi. E vivere le città e i luoghi anche quando si gira un film e vivi in un posto per due mesi non come una turista, ma come una del luogo, grazie al fatto che parte della crew è del posto e ti porta in giro.

Il tuo ultimo viaggio?
Ho girato Lerici, Sestri Levante, Portofino. Poi sono andata a Firenze e Pietrasanta. A Firenze sono andata al Teatro della Pergola, in cui non ero mai stata, poi ho preso la bicicletta e sono andata in giro per tutta la città, senza una meta precisa per perdermi e scoprire senza programmare niente. 

Together Stronger la serie per Emporio Armani. Come è stato il feeling con il regista Fabien Constant e James Jagger?
Sia James, sia Fabien, il regista, hanno reso l’atmosfera sul set veramente tranquilla. C’era un copione ma senza battute scritte, quindi Fabien ci ha lasciato spazio per improvvisare. Tutti i momenti di chimica tra di noi, in cui giochiamo, ci rincorriamo in questa storia d’amore li abbiamo creati noi due sul set. James è una persona fantastica e abbiamo giocato come quando ci si innamora tornando un po’ bambini.

La serie è ambientata a New York e tu sei Laura, una scrittrice.
Il mio personaggio è una scrittrice, ma fa anche fotografia. E’ un po’ come mi sento io in realtà. Mi piace tutto ciò che è creativo, la fotografia, la recitazione, scrivere, mi piacerebbe provare la regia un giorno. Laura è una donna spensierata, sicura di sé, fa quello che si sente, segue l’istinto.

Tra le scene qual è quella che ti è piaciuta di più?
Mi ha divertito tantissimo quella del taxi, mi sentivo un po’ in un film degli anni ’60 e un po’ in Sex and the city. Correre sui tacchi, mentre mi vesto con jeans, t-shirt e Converse.

Un sogno nel cassetto?
Nel futuro penso alla regia. E anche mi vedrei come Bond girl, recitare in un film d’azione. Mi piacerebbe un ruolo drammatico, la mia attrice preferita è Meryl Streep.

Hai trovato l’amore? E dove ti vedi fra qualche anno?
Forse (ride, ndr). Mi è molto difficile pensare di trovare l’amore, nonostante sia metà americana mi sento molto europea e ci sono tante cose che mi fanno pensare che un giorno tornerò in Italia. Non presto, perché sono contenta di stare a Los Angeles, dove vedo un sacco di opportunità, imparando tantissimo. Vado ai provini e competo con nomi molto importanti e conosciuti, una cosa che fa paura, ma allo stesso tempo mi dà la carica per migliorare ogni giorno e mi tiene con i piedi per terra.

Matilda Lutz @Elite Milano
All photos by Luigi Miano

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gaetano pesce. if ideas had no boundaries.

Quattro decenni di carriera improntata alla creatività fanno di Gaetano Pesce una delle voci più autorevoli del design italiano. A lui, nato a La Spezia nel 1939, si devono creazioni che spaziano dall’architettura all’interior design, così come sculture, vasi e perfino gioielli. Convinto assertore che l’intuizione ideativa sia liberatoria, Pesce, per spiegare presente e futuro, parla del passato; per raccontare la sua coerenza creativa spiega l’incoerenza del linguaggio espressivo. Pluralismo e mutevolezza sono per l’architetto-scultore-designer i fondamenti di ogni processo, così come nuovi materiali e nuove forme sono alla base di nuove semantiche estetiche.

È un creativo a tutto tondo: mi parla del suo processo ideativo? Come cambia progettare un vaso, una lampada, l’interior design no all’architettura?
La creatività non ha barriere e le idee nemmeno. Alcune di queste possono essere delle ottime ragioni per fare dell’architettura, altre possono essere utili per creare degli oggetti, altre ancora per musica o poesia. Questa si chiama multidisciplinarietà o pluridisciplinarietà. Per capire quanto sto affermando, si guardi al comportamento di certi importanti artisti del Rinascimento. Raffaello disegnava le uniformi delle guardie del Vaticano, allo stesso tempo tratteggiava l’urbanismo della città del Papa, oltre a, come tutti sanno, dipingere le straordinarie tele che onorano l’Italia e sono presenti nei maggiori Paesi del mondo. Non occorre parlare di Leonardo nè di Michelangelo e di altri artisti multidisciplinari del Rinascimento. Per andare da un oggetto, a una architettura a una scultura niente cambia, se non la scala. Le motivazioni del progetto sono le stesse, espresse con diversi media.

La sua ricerca sui materiali: schiume, resine e polimeri. Quanto la materia è al servizio della creatività? Come governa la materia sulla forma?
Ci tengo a essere sincero con il mio tempo quindi, come uso tutti i progressi che esso mi o re, sono anche dell’idea che devo impiegare i materiali scoperti nei momenti della mia vita. Comunemente si chiamano sostanze “di sintesi” e, a mio modo di vedere, sono dei mezzi molto più performanti delle materie del passato. Nei processi creativi lascio questi materiali liberi al 30-40%, perché la loro ricchezza supera molte volte quella della mia mente.

La relazione tra gli oggetti e il corpo. La sicità nelle sue creazioni.
Ritengo che l’espressione astratta è da tempo superata dalla realtà. Ecco perché le figure appaiono nel mio lavoro, perché sono riconoscibili dal fruitore, aiutano la comunicazione e rivelano il contenuto delle opere. Da circa 50 anni la Figurazione è un elemento importante del mio operare. La componente figurativa è quella che parla al di là dei diversi linguaggi, delle diverse culture del mondo. Più recentemente, il computer comunica nello stesso modo per utenti provenienti da diversi Paesi.

La presenza dell’elemento antropomorfo nei suoi lavori?
Il linguaggio che uso non è sempre coerente, perché dipende da quanto avviene nella realtà. Ritengo che l’Arte sia un commento di quello che avviene nel nostro tempo. Questo è prima di tutto organico e, in particolare, liquido perché in esso avvengono valori contrastanti, contraddittori, che si presentano alla nostra attenzione, svaniscono e riappaiono. È come il movimento delle onde del mare, avvengono con rumore e svaniscono. Il mio linguaggio non è unico e dipende dagli argomenti che tratta, per questo non è coerente e a volte non è riconoscibile a chi segue il mio lavoro. Gli architetti che seminano nei diversi Paesi delle opere che dipendono da uno stile unico, sono persone che appartengono al passato. In realtà, se si rispetta il luogo dove si costruisce si deve dare la precedenza alla sua identità, se si costruisce in diversi luoghi le nostre risposte architettoniche devono necessariamente essere diverse e quasi irriconoscibili. Il design, per la stessa ragione, dovrebbe essere in grado di esprimere l’identità dei luoghi dove l’oggetto è prodotto, senza dire che dovrebbe essere in grado di dichiarare l’identità dell’autore e sfuggire all’astrazione dell’anonimato. Più in generale, direi che i musei d’arte contemporanea, che mostrano in diverse Nazioni le stesse collezioni, sono anacronistici e non rispettano la loro funzione di esprimere le diverse culture del mondo.

the uncommon rise of RYAn COOPER

cover_Blazer PORTS 1961; Coat ACNE

Ryan Cooper alterna disinvoltamente set fotografici di moda e red carpet cinematografici. È lui il volto nuovo del cinema internazionale. Con la sua faccia che buca lo schermo (e l’obbiettivo), con il suo fisico scolpito – è stato anche carpentiere – questo ragazzone della Nuova Guinea ha convinto tutti e, dalle campagne pubblicitarie di Armani Exchange, DKNY, Hugo Boss e Trussardi Jeans è passato al grande schermo e presto lo vedremo al fianco di Scarlett Johansson in, Crazy Night.

Raccontaci delle tue radici e della tua famiglia. Come hanno influenzato la tua vita?
Sono cresciuto senza molte cose, vivendo in paesi del terzo mondo con persone che non possedevano molto ma erano molto felici e generose. Questo ti fa apprezzare le cose che hai ma di cui non hai bisogno. Mi ricordo che spesso nella nostra colazione c’erano degli insetti a causa dell’umidità. Mio padre era un missionario e ha instillato fortemente le sue credenze in noi. Era un gran lavoratore e questa caratteristica mi ha sicuramente aiutato entrando in questo business. Trattare bene le persone e lavorare duramente, quando si lavora tutto il giorno e ho bisogno di energia. Ho fatto turni di 20 ore per lavori di edilizia in passato e questo mi ha preparato a stare sul set per 12 ore.

Come hai iniziato la tua carriera di modello?
Fare il modello è stato un colpo di fortuna. Un amico mi ha chiesto di fare un servizio fotografico per un negozio in Nuova Zelanda quando ero nel campo delle costruzioni. Poi un altro amico voleva sistemarmi con un’agenzia, in cui, appena mi hanno visto, mi hanno detto che non avrei mai lavorato. Tuttavia, il mio attuale manager ha visto le mie foto e da quel momento in poi mi ha spinto a viaggiare e lavorare, cosa che mi ha permesso di trascorrere qualche anno divertente, viaggiando e scattando per il mondo.

Quando hai deciso di entrare nel mondo cinematografico e come è successo?
A New York ho incontrato il mio attuale manager che mi ha chiesto se fossi interessato a recitare e che mi ha coperto le spalle da allora. Onestamente, non ci avevo più pensato da quando partecipavo a spettacoli scolastici da bambino. Mio padre mi incoraggiava a trovarmi “un vero lavoro” e così ho fatto, nel settore dell’edilizia. Mentre stavo viaggiando/facendo il modello avevo l’opportunità di imparare da alcuni meravigliosi coach a New York e Los Angeles e ora essere in grado di lavorarci è fantastico.

Qual è stato il tuo debutto nelle fiction e nel cinema?
Il mio primo lavoro sono state piccole parti in film indipendenti poi un breve periodo nella soap “Una vita da vivere”, prima che questa produzione di lunga durata esalasse l’ultimo respiro. Mi sento un po’ responsabile per questa morte (ride,ndr)!

Charity a ritmo di musica.

Il gruppo Coin sceglie Radio DEEJAY per la personalizzazione della radio in store, un progetto che vuole accompagnare a ritmo di musica le shopping experience dei propri visitatori, ma aggiungendo anche un importante risvolto etico grazie all’intervento di Orsola Branzi, meglio nota come La Pina. Storica conduttrice della trasmissione radiofonica “Pinocchio” insieme a Diego Passoni, rapper, voce fissa di Radio Deejay, ma anche conduttrice televisiva e scrittrice, La Pina sta riscuotendo un crescente successo con il suo libro “I Love Tokyo”, una guida musicale, o meglio, una canzone d’amore per il Giappone, visitato dall’autrice ben quarantatré volte, in cui le parole scorrono sulla colonna sonora scritta dal marito, Emiliano Pepe. Il libro, disponibile in una selezione di punti vendita Coin, è affiancato da una limited edition di accessori per il viaggio, gadget e bambolini di Hello Kitty, che portano il tocco inconfondibile de La Pina. Il ricavato di questi prodotti sarà devoluto per supportare il progetto #DANCE4AFRICA della Onlus “SOS Villaggi dei Bambini” di cui la conduttrice è Ambassador, insieme a Emiliano Pepe, Sofia Viscardi e Marco Materazzi.
Come ci racconta la stessa Pina: “L’obiettivo è raccogliere la somma necessaria per realizzare un’unità mobile di soccorso che possa girare per fornire visite mediche anche nelle zone rurali meno accessibili dello Swaziland, una terra in Sud Africa incredibile per bellezza, ma dove i bambini sono massacrati dall’Aids. Da tempo sostengo questo progetto SOS Villaggi dei bambini e con Emiliano Pepe, Sofia Viscardi e Marco Materazzi abbiamo lanciato la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi #DANCE4AFRICA. Grazie al libro e a questa limited edition di prodotti (che spaziano da una bag, beauty case, mascherina) e gadget giapponesi vogliamo portare, insieme ad Hello Kitty, un aiuto concreto e un messaggio di speranza.”
Un libro – I Love Tokyo – che si può “leggere” su differenti livelli, dalla grafica al contenuto sonoro, un mix di linguaggi che esprimono le diverse passioni dell’autrice. All’inizio di ogni capitolo si trova un QR Code associato a video e musiche di accompagnamento alla lettura, che rendono l’esperienza ancora più coinvolgente e significativa. Per viaggiare anche solo con i sensi, rimanendo a casa. Un’opera che non solo racconta il grande amore per il Giappone, ma anche testimonia dell’impegno e sensibilizzazione per aiutare centinaia di bambini africani in Swaziland.

Per maggiori info:
regali.sosvillaggideibambini.org/progetto-swaziland 

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Intervista Lee CM: Lee, la nuova faccia della Tribù

La Tribù, un concetto antico quanto pieno di potenza e fascino: è questa la scelta di comunicazione e di brand restyling che Lee Jeans, uno dei marchi iconici, caposaldo della storia del denim, ha fatto per rilanciare l’evoluzione di capi che non conoscono tempo, distanze, misure.
Il denim – trend, oggi, da una parte guarda con attenzione proprio ai marchi storici (Lee, Wrangler, per citarne alcuni) e dall’altra mantiene altissimo l’appeal verso le aziende che sanno davvero lavorare il jeans.
Saper lavorare coi volumi, il fitting, non è cosa da tutti: il Country Manager di Lee Jeans Italia, Roberto Carpignani, lo sa bene e proprio perché conosce l’heritage e il valore del saper fare che l’azienda, che per prima ha inventato la salopette si porta dietro, pensa che sia giusto spingere adesso per un riposizionamento perfetto sul mercato.
“Ci siamo tolti un po’ di polvere dai vestiti, insomma: e il concetto di tribù nasce proprio dalla voglia di re-iniziare insieme questo viaggio: con il nostro pubblico, che via via si fa sempre più smart, dinamico e giovane. Un pubblico per cui la comunicazione digitale, immediata, è fondamentale”.
Connessione e custom-made: queste le nuove parole chiave del brand fondato nel 1889, che ha appena personalizzato la Lazy s, sulla tasca dei pantaloni, in una versione a colori.
Dettagli di stile e voglia di distinguersi.
“Il must have della stagione” conferma Roberto Carpignani “è il ryder jacket da uomo, un capo classico, dalle geometrie perfette e definite, nelle tonalità del dark grey e del nero” e lo Scarlett jeans da donna, un pantalone dalle proporzioni back from the 70’s, la vita alta, linee pulite, pochi vezzi come patch o scratch, perché la Tribù chiede e vuole autenticità, chiede il saper fare.”
E anche l’aspetto green, conclude Roberto Carpignani non è da sottovalutare, proprio perché testimonia il valore di un’azienda dedita alla qualità e alla maniera: “Non tingiamo con agenti chimici e ogni lavaggio segue processi realizzati con pietre e tecniche naturali. È un dovere, in questi tempi così distratti e disattenti. E anche un piacere, per me, sapere di lavorare per un’azienda che dà il proprio contributo per rendere la moda un meccanismo sensibile”.

www.lee.it
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Christian Pellizzari, il volto indipendente della moda

Essere indipendente, per lui, vuol dire evolversi libero da imposizioni creative e da legacci economici. Christian Pellizzari, giovane stilista trevigiano, preferisce crescere e camminare nell’agóne del fashion system con le sue gambe. Classe 1981, con un importante background cominciato al Polimoda di Firenze e proseguito nell’ufficio stile di Tonello e poi come guest designer all’Armani Teatro, Pellizzari basa la sua creatività sulla mescolanza di generi, solo in apparenza contrastanti. In bilico tra Venezia e Los Angeles, quali città ispiratrici, Pellizzari si racconta attraverso le stampe, che declina al maschile e al femminile, mentre progetta l’apertura di una boutique/atelier, dove poter mostrare ai clienti tutte le fasi ideative e produttive dei suoi capi, riportando in auge il rapporto stilista-cliente, che si è disperso con la diffusione di massa. MANINTOWN l’ha incontrato per voi.

Come sta evolvendo il brand?
Essendo un marchio indipendente, stiamo continuando a crescere stagione dopo stagione, gradatamente e secondo le nostre possibilità. Siamo presenti in sempre più punti vendita in giro per il mondo e le collezioni crescono e migliorano sempre di più, ma voglio che si cresca per gradi e stabilmente, in modo da poter seguire in prima persona tutto il percorso.

Quali le città, i luoghi che ti ispirano maggiormente?
Sono molte, ma diciamo che ultimamente soffro di una “bipolarità ispirazionale”, tra Los Angeles e Venezia. La prima è molto stimolante e sta vivendo un ottimo momento a livello culturale e artistico, e il clima aiuta rendere il tutto perfetto. Venezia, invece, in questo periodo e diventata fondamentale per me: sto cercando di passarci più tempo possibile e ogni giorno noto la sua bellezza e la sua anima che mi sorprendono continuamente, voglio vedere e scoprire tutto e voglio soprattutto perdermi. Sono, comunque, due città che mi inspirano e mi ricaricano, dei luoghi multiculturali dove tutto si fonde perfettamente, ed è una filosofia che uso anche per il mio lavoro: mescolare e mettere insieme elementi apparentemente distanti tra loro.

Personaggi (uomini e donne) che vorresti vestire? O che hai vestito perché rappresentativi del tuo stile?
Non ho mai avuto ambizioni su questo fronte. A dire il vero, sono sempre entusiasta quando qualcuno reinterpreta i miei capi, che siano personaggi noti o gente comune.

Il pezzo per te iconico del brand?
Faccio fatica a sceglierne uno solamente, Ultimamente, però, ho una passione per le camicie stampate: non toglierei mai quelle della mia ultima primavera/estate. E poi le giacche, con tessuti speciali, stampe particolari, che non mi bastano mai.

Prossimi progetti e sogni che vorresti realizzare?
In primis, essere sempre più libero e indipendente, poter continuare il mio percorso e l’evoluzione del marchio è per me molto importante. Un sogno è quello di aprire al più presto una boutique-atelier, dover poter mostrare ai clienti quello che facciamo, il lavoro che si nasconde dietro la costruzione di un abito, la ricerca delle stampe e tutti i processi che portano al prodotto finito.
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Uomini e media: il caso di FourTwoNine

In un momento in cui le dinamiche del web stanno cambiando anche le logiche dell’editoria, al contrario di ogni previsione stanno nascendo e affermandosi nuovi magazine indipendenti, a cavallo tra onpaper e digital. Il fascino della carta resiste alla velocità del consumo web. Lo dimostrano le diverse pubblicazioni di lifestyle ad alto tasso creativo in cui la fotografia e la direzione artistica sono assoluti protagonisti. E proprio nel supporto cartaceo trovano una piena espressione. La sfida più grande sia per le nuove piattaforme editoriali, sia per quelle già consolidate, sempre più ricche di contenuti e interattive, è proprio ritrovare il legame diretto con la loro audience. Di questi temi ne abbiamo parlato con Richard Klein, fondatore di Surface Magazine e ora publisher di FourTwoNine, e con Maer Roshan, giornalista tra i più affermati, chiamato a dirigere il magazine lanciato nel 2013. Un progetto nato in modo indipendente e che è partito proprio come aggregatore di un pubblico attraverso talk e incontri per diventare poi un magazine cartaceo patinato che riunisce alcuni degli scrittori più importanti, editori, artisti e fotografi. Ogni numero di FourTwoNine mette in evidenza le ultime novità di cultura, stile, sport, tecnologia, affari e politica, puntando un riflettore su leader e innovatori che stanno guidando e influenzando la contemporanea cultura.

Come ha iniziato la sua esperienza nel campo dell’editoria? E il lancio di Surface?

Richard Klein: Ho un background in design e art direction. Ho dato inizio a Surface a San Francisco mentre ero ancora un giovane ventenne. Surface è stato lanciato originariamente come una galleria. Uno spazio sociale nel distretto SOMA di San Francisco, che punta i riflettori sui giovani artisti e crea uno spazio in cui persone creative si sarebbero radunate per socializzare e scambiarsi idee creative. Non è molto diverso da come abbiamo lanciato FourTwoNine, utilizzando però come elemento aggregatore la tecnologia e i social network. Produciamo una serie di eventi con conversazioni che però comprendono dei leader mentre parlano di un soggetto particolare sul palco e cocktail party ed happening in tutti gli stati. Abbiamo fatto crescere Maer Roshan per creare un nuovo sviluppo di FourTwoNine. Maer ha un ampio background nell’editoria, dal New York Magazine, details, Radar, Talk e l’ Hollywood Reporter.

Come è nata l’idea di FourTwoNine?

Richard Klein – Maer Roshan: FourTwoNine è partito quattro anni fa come magazine e social network che era indirizzato direttamente a uomini gay, influencer e leader creativi che erano concentrati nei più importanti centri urbani dell’America. La nostra attuale incarnazione riconosce quel pubblico importante, ma lo espande anche. L’orientamento sessuale è cambiato molto nel corso degli ultimi dieci anni, le barriere tra i gay e gli eterosessuali sono molto più allentate, soprattutto tra le generazioni più giovani. La sensibilità gay – irriverente, creativa, che supera i limiti – è condivisa da molti uomini di città che non si identificano come gay. Abbiamo notato che molti eterosessuali e persino alcune donne erano fan entusiasti del magazine. Così mentre il sito e la rivista continueranno a includere alcuni contenuti gay, la maggior parte delle nostre storie, delle ricerche e dei servizi di stile saranno sufficientemente generali da attrarre un’audience più vasta.

Come vede l’evoluzione dei magazine in relazione al web?

Maer Roshan: Le pubblicazioni stampate e quelle online hanno diversi punti di forza e metabolismi, così abbiamo messo a fuoco FourTwoNine di conseguenza. Il web è ideale per mantenere i lettori il più aggiornati possibile con notizie dell’ultima ora e informazioni d’attualità, e il nostro sito web riflette questo. Cerchiamo di tenere il passo con l’attualità e la politica, così come con i trend nell’arte, musica e moda. La sfida per le riviste nell’età del digital è quella di produrre qualcosa che non può essere replicato sul web. Per me si tratta essenzialmente dell’estetica e dei sensi. Attribuiamo grande importanza alla fotografia e alla direzione artistica: la nostra testata include alcuni dei migliori fotografi sul mercato così come alcuni dei più talentuosi fotografi emergenti. Non c’è niente di meglio che sedersi con una rivista stupenda e sfogliarla. Una fotografia a colori su carta speciale non ha lo stesso impatto sul web. Inoltre, c’è qualcosa di più duraturo e speciale in un magazine che puoi tenere tra le mani. È un ricordo, mentre molti contenuti web sembrano così effimeri. Sto addirittura programmando un’edizione profumata, che permetterà ai lettori di annusare certe fragranze, che accompagnano le storie contenute nella rivista. Questo non si può fare su Internet.

Da San Francesco a Los Angeles, mi racconti la nuova direzione del magazine

Maer Roshan: FourTwoNine è una rivista nazionale, ma a differenza di altre pubblicazioni, che sono concentrate a New York, la nostra base a Los Angeles ci dà una prospettiva fresca e unica. Negli anni recenti il pendolo della cultura è oscillato drammaticamente da Est a Ovest. Ovviamente Hollywood è lì e la Silicon Valley a San Francisco e la scena musicale di Seattle. Ma città come Portland e San Diego stanno anche stabilendo dei trend in politica, musica, arte, moda e cibo. Poiché questo sta accadendo proprio qui  vicino, daremo a queste storie l’attenzione che sfugge a molti magazine, pur continuando a parlare ad un pubblico nazionale.

Come pensa di evitare stereotipi gay e cliché, offrendo un punto di vista più stimolante?

Maer Roshan: Sono allergico ai cliché e agli stereotipi e credo che il magazine rifletta questo. La nostra ultima edizione comprende quattro copertine, Trevor Noah protagonista del Daily Show, Ashton Sanders, la star di Moonlight, l’iconico regista John Waters e Brian Anderson, la prima superstar omosessuale al mondo. Tra di loro essi riflettono la diversità dei nostri interessi e mostrano che non esiste un solo modo di essere gay. Non sento che abbiamo bisogno di focalizzarci ossessivamente solo su tematiche gay. Le persone omosessuali vivono in un mondo molto più vasto e i lori interessi sono vari. Invece di un magazine che si concentra solo su contenuti gay, abbiamo una rivista che è costruita sulla sensibilità gay, creativa, che si spinge al limite in ogni modo, che è irriverente e alla moda.

Quali i progetti per il futuro?

Maer Roshan: Speriamo di far crescere il magazine e di rendere il nostro sito web ancora più dinamico e reattivo con notizie sempre più aggiornate e trend. La nostra serie di eventi e conferenze attraverso l’America han riscosso molto successo, per questo ne faremo molte altre.
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No Waste Philosophy: Freitag apre il primo store a Milano

A pochi metri da due vie di richiamo dello shopping milanese, Corso Como e Corso Garibaldi, è da poco aperto il primo store italiano di Freitag, brand svizzero famoso per le borse ricavate con teloni di camion riciclati, sarà il primo in Italia e si caratterizzerà anche per l’alto impatto estetico della location che di fronte alla fondazione Giangiacomo Feltrinelli, si colloca esattamente al crocevia fra commercio e cultura. Il monomarca, situato in un tipico edificio industriale del XIX secolo, con pilastri in granito e volte in cotto, ospiterà 1500 pezzi unici fra borse e accessori iconici del brand, oltre che la collezione biodegradabile F-ABRIC prodotta interamente in Europa con materiali riciclati e tessuti ricavati da fibre di lino e canapa, filati anche in zone del milanese. Back to basics, come si dice. Per l’occasione MANINTOWN ha incontrato Daniel e Markus Freitag, i due fratelli fondatori del brand.

Il primo store italiano. Come mai avete scelto proprio questa location?
È stata una ricerca lunga e ben ponderata. Milano è un mix elettrizzante, una fucina unica e continua di idee, designer, stimoli. Volevamo uno store facile da raggiungere, per i turisti, ma anche per le persone che vivono in città. Uno spazio dove creare anche installazioni, e poi volevamo che fosse vicino a luoghi “rintracciabili” e d’interesse culturale e architettonico, proprio come la Fondazione Feltrinelli.

Quale l’identikit dei vostri clienti italiani?
Creativi, designer, architetti, persone anche molto giovani. Ci piace molto l’idea che, in un Paese di riferimento per il fashion system come l’Italia, il nostro concept, che è lontano dalle logiche della moda, sia stato apprezzato moltissimo in questi anni.

Avete in mente di proporre qualche limited edition per l’inaugurazione?
Potrebbe essere, ma ancora non abbiamo pianificato nulla. Anzitutto vogliamo proporre l’intera collezione di abbigliamento completamente sostenibile e accessori, come in tutto il resto dei punti vendita nel mondo. In seguito, magari, vista l’enorme curiosità e il vivacità creativa che ruota intorno a Milano, qualcosa tireremo fuori.

Riguardo ai materiali che utilizzate, sappiamo che ci sono nuove idee su cui vi state focalizzando.
Abbiamo iniziato a lavorare con i teloni riciclati dei camion negli anni ‘90, oggi abbiamo voglia di sperimentare, di esplorare nuovi territori. L’idea di base è fondata sulla sostenibilità e sul riciclo, un impegno che ci caratterizza da sempre.
La nostra identità è finalizzata all’attenzione etica e qualitativa verso i materiali che utilizziamo, i metodi di lavorazione, il ciclo produttivo e industriale. Disegniamo e realizziamo solo modelli di accessori e vestiti che indosseremmo anche noi o faremmo indossare al nostro team. Sono prototipi che, spesso, per essere sviluppati richiedono un grande investimento di energia e di denaro; amiamo molto i Paesi orientali proprio perché lì il prezzo dei nostri item viene percepito senza interferenze di nessun tipo, sanno quanto ci vuole a realizzare interamente una borsa o un capo. A fare tutto da soli e in maniera equosolidale.

Qual è il processo creativo del vostro lavoro?
Partiamo spesso dalle problematiche. Facciamo lunghi brainstorming col nostro team – la collaborazione è tutto, nella nostra azienda – dove parliamo del fitting, ma anche di ciò che non va, solleviamo obiezioni e da lì traiamo spunto per nuovi progetti e alternative. Finiamo spesso per arrivare molto lontani dal punto di partenza, ma questo è parte integrante del viaggio, no? L’essenziale, per noi, è pianificare le nostre energie, sapere come e in che direzione le spenderemo, ad esempio, nelle prossime tre settimane. L’impegno ci gratifica, purché sia sempre ottimizzato.

Fate molte lavorazioni sul mono-materiale dei teloni?
In realtà no, molte meno di quello che vorremmo fare. Il fatto è che specialmente quando è molto usurato, si tratta di un materiale che può subire poche variazioni, non si può nemmeno stamparlo. Avremo intenzione di calcare di più la mano, di osare, ma non sempre è possibile. E questo è un altro dei motivi per cui vogliamo provare a esplorare altri universi stilistici e con nuovi materiali.

Da dove nasce l’ispirazione del vostro progetto?
Diremmo da molto lontano, addirittura dai primi viaggi in India, da giovanissimi. Vedevamo tutte queste persone che raccoglievano spazzatura dalla strada per trasformarla in altro. Poi abbiamo preso le nostre strade, nella grafica pubblicitaria, l’arte, il visual e ci siamo resi conto di quante energie sprecano quei settori, tutt’oggi. E Freitag è nato proprio allora, insieme alla consapevolezza di voler creare qualcosa che guardasse alle risorse e fosse davvero utile e resistente.

Pensammo ai messenger bike e a chi girava Zurigo, da Nord a Sud, in bicicletta per andare a lavoro. Col tempo è arrivata l’idea dei teloni, i primi prototipi che facemmo fare a San Francisco e a New York, mecca per eccellenza dei bike messenger e gradualmente, col tempo e tanto impegno, sono arrivati i risultati. Lo store di Milano, fra pochi giorni, è un altro dei gratificanti coronamenti del nostro percorso.

Qual è la vostra più grande ambizione in termini, anche ideali, riguardo al riciclo e al vivere sostenibile?
D’istinto diremmo gli hotel, e i condomini. Progettare una serie di oggetti e prodotti per il vivere in albergo, che rendano l’esperienza stessa del soggiorno una sorta di percorso esperienziale su come e quanto si potrebbe fare per stare bene senza produrre spazzatura o sprecare risorse. Tuttavia, anche il settore del biking, e gli accessori per trasportare meglio le proprie cose per chi ama pedalare. Ci piacerebbe investigare molto quell’ambito, forse perché amiamo andare in bicicletta e conosciamo bene le varie problematiche funzionali e pratiche che talvolta si possono incontrare.

FREITAG STORE MILANO
Viale Pasubio 8, 20154 Milano

www.freitag.ch
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Il quotidiano maschile visto da Elisa Fuksas

Un breve fashion film, che racconta il quotidiano maschile, fatto di istanti catturati da un hashtag di Instagram e trasformati in corto dalla capacità espressiva di Elisa Fuksas, visionaria e giovanissima regista, figlia d’arte. Protagonisti della nuova campagna di Manuel Ritz, e dell’obbiettivo di Elisa, sono gli uomini che indossano i capi di questo dinamico brand, immortalati attraverso i momenti che raccontano storie di vita. Perché la vita (di ognuno) is made of moments, come recita il claim. MANINTOWN ha incontrato la talentuosa regista.

Per te cos’è la quotidianità e come l’hai interpretata?
La quotidianità, tutto quello che c’è dietro è l’idea di amplificare il momento piccolo, quello che trascuri e tralasci, a cui non fai più caso. Per me, invece, la quotidianità è proprio un particolare. A causa di una patologia che mi affligge vedo il mondo per dettagli, ad esempio, attraverso l’abbigliamento delle persone, adesso, crescendo, sto imparando anche a riconoscere frammenti fisici, come il suono della voce, e cerco dettagli meno effimeri, per evitare piccoli inconvenienti con i familiari ma anche con le persone più note e famose. Il dettaglio è la mia quotidianità, mi permette di orientarmi nel mondo.

Da dove sei partita per la realizzazione di questo short film per Manuel Ritz?
Sono partita da Instagram, su cui passiamo molte ore e che ormai è diventato una fonte inesauribile di informazioni.

Ora la moda si sta avvicinando molto al cinema grazie ai fashion film
Sì infatti, a me piace lavorare nella moda perché mi costringe a vedere il mondo, il mercato, le persone, di osservare questa realtà. Quando si lavora da soli, racchiusi nel proprio autismo, non vi è questa possibilità. Però, preferisco la pubblicità al fashion film, mi interessa più come lingua e come accessibilità, come diffusione. Con la pubblicità puoi entrare nella vita degli altri, come dei puntini subliminali di bellezza, se semini un principio positivo, raccoglierai i suoi frutti. Un messaggio pubblicitario si può sedimentare anche positivamente nelle persone, non solo in modo negativo.

Com’è nato quest’incontro con Manuel Ritz?
Spesso il mio lavoro attrae marchi di moda o lifestyle maschile. In generale con la moda ho un rapporto ambiguo, un po’ la odio, un po’ la amo. Sono un po’ come ne: “Il diavolo veste Prada”, quando lei arriva con il suo golfino infeltrito (Anne Hathaway, n.d.r.). È come una specie di, “Comunque noi organizziamo tutto questo, decidi tu se vestirti bene o male”. Questa è la mia storia con la moda e i negozi, in cui non riesco a entrare, oppure entro, compro, esco, non provo mai niente, perché penso che mi stia tutto male. Quindi, quando mi è stato chiesto di pensare a una campagna con loro e per loro, sono partita da un banalissimo hashtag #manuelritz, perché volevo vedere chi compra questi capi e come li indossa. Oggi l’hashtag è importante, perché individua una categoria di persone. Se clicco Gucci mi compare un tipo di persona, così come con Valentino. Ciò che è venuto fuori è un pubblico trasversale, che usa questi abiti in occasioni disparate, da un matrimonio alla passeggiata con il cane. Questo mi ha fatto capire tutto il mondo che ruota attorno a questo marchio, altrimenti diventa difficile comunicare con qualcuno che non conosci. Ho deciso di sintonizzare tutto sul sentimento, così abbiamo fatto un distillato di questi momenti che vedevo su Instagram, di persone sconosciute, fino a unirli e farli diventare uno spot di poco più di un minuto.

Quali prossime collaborazioni ti piacerebbe realizzare?
L’ultima collezione Gucci mi è piaciuta molto, ho amato molto gli animali feroci, visto che una volta ho anche girato un film con delle fiere a Roma…

Dove vorresti girare un tuo prossimo film?
L’installazione meravigliosa di Anish Kapoor, al Grand Palais di Parigi del 2011, un Leviathan, aveva trasformato quei saloni in un enorme ventre rosso. Ecco, lì vorrei girare un film, mi piacerebbe anche viverci. I luoghi in cui giro sono dei posti che mi appartengono.

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L’arte dello shoeshine

Vi dice nulla il termine Sciuscià? È il termine napoletano, patria nostrana di quest’arte che nasce in tutto il mondo ancora nei primi del Novecento e che descrive il mestiere dei lustrascarpe o shoeshiner; è anche un noto e amato film neorealista che racconta le storie di questi artisti della scarpa attraverso lo sguardo di Vittorio De Sica. È un mestiere antico, che sopravvive alla meccanizzazione del lavoro, una tradizione diventata arte e un’arma segreta del gentleman contemporaneo. Ancora oggi. L’investimento in un paio di scarpe di qualità è importante tanto quanto l’arte del prendersi cura e della manutenzione delle stesse; un paio di scarpe ben tenute si notano eccome, in particolare se abbinate a un abito, hanno il potere di valorizzarlo o di metterlo in cattiva luce.

Ecco 5 semplici suggerimenti che potete seguire anche voi per stringate, modalità di cura quotidiana per un risultato garantito:

LA PULIZIA
Spolverare le calzature con un panno di cotone (magari un pezzo di una vecchia camicia), per togliere lo sporco. Utilizzate anche una schiuma per pelli: dopo averla applicata, risciacquare con uno strofinaccio umido.

LA CERA
La cera di buona qualità è alla base di una lucidatura a specchio, scegliete creme composte da cera d’api neutra.

LA LUCIDATURA
Togliere i lacci, spargere il prodotto in modo omogeneo su tutta la scarpa, esclusa la suola, e far riposare per una decina di minuti, affinché il pellame lo assorba bene. L’ideale è farlo inserendo le scarpe nelle forme di legno per tirare bene la pelle. Sfregare in modo deciso la calzatura con un panno di lana per ottenere la lucentezza desiderata. Il tocco finale lo dà la spazzolatura, toglie la cera in eccesso e la scarpa splende come nuova.

LA SUOLA
Spazzolarla con una spazzola o uno straccio ruvido, nutrirla con un filo di cera, così come con i lacci, una leggera passata nello straccio e il gioco è fatto. Riponete via le scarpe sempre con le forme di legno (meglio se di cedro), assorbono l’umidità e aiutano le calzature a non deformarsi.

IL TOCCO EXTRA
A scarpa perfettamente asciutta, munirsi di un dischetto di lucido del colore più indicato, di una pezzuola di cotone (sempre ricavabile da vecchie camicie) e di un vasetto contenente acqua fredda, nella quale siano state diluite alcune gocce di alcool. Per chi vuole un risultato ancora più professionale un vecchio trucco è utilizzare gocce di liquore ad alta gradazione alcolica (cognac, brandy, o grappa).

Ecco gli indirizzi segreti per farsi lustrare e sistemare le vostre calzature preferite dai migliori professionisti del mestiere:

Milano – Ago e Spago
Una calzoleria artigiana con servizio lustrascarpe in due location: in via Plinio o in viale Col di Lana. Un team di mastri calzolai realizza anche scarpe da uomo e da donna su misura, uno dei pochi indirizzi milanesi dove la rémise en forme della calzatura è una vera e propria arte.

Parma – Dandy Shoe Care
Alexander Nurulaeff, grazie alla propria formazione come pittore, dopo anni di studio dei materiali e un meticoloso apprendimento della colorazione artistica e del trattamento dei pellami, ha portato la tecnica della Patina ad una perfezione ineguagliabile. Oltre a questo, è un maestro della lucidatura sulla quale è possibile ragionare insieme, per avere effetti speciali sia nella lucidatura, sia nell’applicazione di una colorazione, per ravvivare o cambiare il colore delle scarpe a piacimento.

Roma – Cannolicchio
Una tradizione di famiglia fin dal 1956 per Antonio Corradi. Un giorno un importante cliente rivolgendosi allo zio disse: «Cannolicchio – perché aveva pochi capelli – questo è un nome che diventerà famoso in tutto il mondo». Antonio Corradi è stato nominato Cavaliere del Lavoro e il suo negozio ha avuto il riconoscimento di Bottega Storica. Non smette di lavorare nel suo atelier di Corso Trieste fino a che non è soddisfatto del risultato.

Londra – Steven Skippen
Steve non ha un vero e proprio background da lustrascarpe. L’avventura inizia per caso quando all’aeroporto di Heathrow un lustrascarpe gli ha offerto un impiego. Un anno dopo ha aperto la sua attività all’interno dell’hotel Hilton di Park Lane. Tra i suoi clienti ci sono Mike Tyson, il Dalai Lama e Jean Claude Van Damme.

Parigi – Talon Rouge
Pierre Paul Marie Hofflin ha iniziato la carriera dal brand di calzature Weston dove spesso i clienti chiedevano consigli su come poter curare le scarpe. Decide quindi di fondare Talon Rouge, il cui nome risale al fratello di Luigi XIV chiamato «Monsieur» che, dopo aver visitato i mattatoi, uscì con le suole intinte di rosso. Da lì la tendenza: la nobiltà si riconosceva in base al colore dei tacchi. Oggi, con l’espressione “talon rouge” si identifica un gentiluomo distinto, raffinato.

New York – Jim’s Shoe Repair
Il punto di ritrovo preferito dei business men di Manhattan. Quattro generazioni di lustrascarpe dalle origini italiane. Da quando nonno Vito è emigrato in America il procedimento, la tecnica e i prodotti non hanno subito modifiche. Sulle poltrone di questo negozio si sono seduti politici, star, artisti e intellettuali di ogni dove.

Los Angeles – Progressive Shoe-Shop
Vicinissimo a Rodeo Drive, Jack Zatikian è il lustrascarpe di tutte le celebrities. Durante il periodo degli Oscar lavora 24 ore su 24 per assecondare tutti i capricci e le richieste last minute delle star di Hollywood.
 Jack ha ereditato l’attività dal padre che nel 1982 si è trasferito dalla lontana Armenia e ha tramandato al figlio l’amore per le scarpe lustrate che brillano.

Photo credit: dandyshoecare.it
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Giacomo Gianniotti, è nata una stella

È bello, è bruno e fa il medico. Sembra il sogno di tutte le mamme d’Italia, che vorrebbero le loro figlie accasate con un buon partito. Giacomo Gianniotti è la nuova star del cast di Grey’s Anatomy. Italiano, anzi romano, da parte di padre e naturalizzato canadese, il giovane attore – è nato nel 1989 – di tricolore non ha solo le radici, ma il cuore, tanto da essere anche stato presente anche ad Amatrice, a portare il suo sostegno alle popolazioni colpite dal sisma. MANINTOWN l’ha incontrato a Los Angeles, per farsi rivelare sogni, progetti futuri e attuali, passioni e l’amore per l’Italia.

Quando hai iniziato a recitare? Quando hai studiato per diventare attore?
Ho iniziato a recitare quando avevo 10 anni nel film chiamato La Bomba, di Giulio Base. È stato girato a Cinecittà e vi recitavano Vittorio e Alessandro Gassman. Successivamente, ho studiato recitazione alle superiori – dopo due anni dal ritorno a Roma – poi sono partito di nuovo per il Canada, per studiare teatro all’Humber College’s Theatre, per un corso di 3 anni a Toronto. Dopo ho studiato recitazione cinematografica presso il Canadian Film Centre per un anno, da quel momento ho continuato a lavorare senza fermarmi. Attualmente sono iscritto a un programma di Directing / Filmmaking qui a Los Angeles.

Quando e perché ti sei trasferito a Toronto, andando avanti e indietro da Roma?
Mio padre era romano, mia madre canadese. Quindi, tutta la mia famiglia italiana è ancora a Roma e, quando posso, vado a trovarla.

Cosa ti manca di Roma e dell’Italia in generale?
La cultura, la piazza, anche i buoni e i cattivi odori. L’arte, oh mio Dio, l’arte. La moda. Il risotto alla crema di scampi.

Hai anche recitato in teatro, com’è passare dalla tv al cinema? Quanto è stata importante quell’esperienza?
Esercitarsi in teatro è essenziale. Mi ha insegnato a usare il corpo e la voce fino al loro massimo potenziale. Ho imparato molto su me stesso e su ciò che sono in grado di fare.

Quali sono i registi che più ti ispirano e quelli con cui sogneresti di lavorare?
Tra gli ispiratori Fellini e De Sica. E poi, Tornatore, Spielberg, Scorsese, Paolo Sorrentino, Stefano Sollima.

Come sei arrivato a Grey’s Anatomy? Ti aspettavi questo grande successo?
Ho inviato un provino dal Canada. Alcuni mesi dopo sono andato a Los Angeles, mi è stato chiesto di fare un altro provino e l’ho superato. Si trattava solo di una piccola parte, all’inizio. Dopo si è trasformata in un qualcosa di più grande. Ero molto sorpreso.

La medicina è un tema ricorrente nella tua carriera, ti viene naturale recitare in questo tipo di serie?
(Ride, ndr) Sì. Non so perché, è stato il mio primo ruolo sullo schermo a Roma ed è il mio attuale lavoro a Los Angeles.

Come vedi l’evoluzione del tuo ruolo in Grey’s Anatomy? Come sono i personaggi nella vita reale?
Cambia di settimana in settimana. Spero che Andrew trovi pace, alcuni veri amici e, magari attraverso qualche esperienza che gli cambia la vita, capisca che tipo di medico è destinato a essere.

Quali sono le tue altre passioni e i tuoi posti per ricaricare le batterie?
Musica, musica, musica. Canto, suono la chitarra e scrivo musica. Soprattutto per me stesso e per gli amici, ma spero di avere presto del tempo per condividere qualcosa con il mondo. La fotografia, cucinare e guidare la mia motocicletta sono alcune delle mie altre passioni. Il mio luogo per ricaricarmi è l’Italia. Il Giardino degli Aranci. Il posto più magico sulla terra.

Tu sei anche un volontario e sei stato ad Amatrice per aiutare. Com’è stata questa esperienza? La tua prima reazione quando sei arrivato?
Sono andato con un’organizzazione umanitaria per cui lavoro, All Hands. È stato difficile, ma ho imparato molto sulla Protezione Civile e sul loro ruolo nelle catastrofi naturali. Sono molto organizzati e hanno avuto tutto sotto controllo. Così, abbiamo scoperto subito che il nostro aiuto, fortunatamente, non è stato necessario. Tuttavia ci ha fatto sentire bene andare nelle case ed essere lì a parlare con le famiglie colpite, ascoltare le loro storie e imparare dalle comunità di persone che si riunivano per aiutarsi a vicenda.

Quando viaggi, cosa non può mancare nella tua borsa/ valigia?
La chitarra, un elegante abito blu, la mia catena per portafogli.

L’ultimo libro o canzone che ti ha ispirato e ti ha lasciato riflettere.
I giardini di marzo, finora mi parla in un modo in cui nessun’altra canzone fa. Lucio Battisti, per me, è stata una grande perdita.

I tuoi prossimi progetti e sogni?
Ho avuto alcune opportunità di lavorare in Video Games per MOCAP e ho veramente amato quel lavoro, spero di poterne farne altri di questo tipo. Voglio diventare regista, scrivere copioni, voglio scrivere musica. Mi piacerebbe lavorare in Italia. In italiano.

Ph. Valentina Socci / PrimopianoTv
Makeup&Hair: Nicole Gustafson
Stylist Simona Sacchitella

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Paul Smith is back at Pitti Uomo

Un grande sorriso e un entusiasmo travolgente. Così si presenta Paul Smith, che torna a Pitti Uomo, dopo più di vent’anni, come special guest per il lancio della collezione PS by Paul Smith per l’Autunno/Inverno 2017. La collezione celebra l’essenza del brand “Classic with a twist” e propone abiti dalle linee classiche ma con inconfondibili dettagli inaspettati che rendono ogni capo unico e particolare. Paul Smith è stato il primo designer ad essere invitato nel 1991 a sfilare a Pitti Uomo, come racconta lui stesso durante l’intervista in esclusiva per MANINTOWN, e questo lo rende ancora più contento e orgoglioso di tornare a Firenze. In questi anni la moda è cambiata radicalmente e ha acquistato una dimensione fortemente internazionale, diventando accessibile in qualsiasi luogo e momento con un semplice click. Lo stilista britannico ammette, con un po’ di rammarico, che l’avvento di internet ha rivoluzionato completamente le modalità di acquisto, determinando di fatto una crisi dei negozi fisici, a favore dell’online shopping. Per scoprire altre curiosità, guarda la video intervista.

www.paulsmith.co.uk

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SUKET DHIR indo-centric abbigliamento contemporaneo maschile

Tra i Paesi ricchi di tradizione e sempre più dinamici per la moda, è l’India che stupisce per l’estro creativo dei suoi talenti. Tra i nomi per il menswear spicca Suket Dhir, che arriva per la prima volta a Milano all’interno di WHITE MAN & WOMAN, presentando una collezione introspettiva e all’insegna dell’artigianalità di nuova generazione. Premiato con l’autorevole International Woolmark Prize 2016 Mr. Dhir, dal suo piccolo studio nel quartiere di Lado Sarai, ultimo hub creativo di Nuova Delhi, trae ispirazione dai ricordi atavici di una giovinezza pura, che rilegge la memoria del nonno con l’ombrello al braccio – prototipo ideale di un’eleganza scevra da sovrastrutture – no alle vacanze estive tra i frutteti di mango e le piantagioni di un’India molto diversa da quella attuale, ma sempre ricca di suggestioni: uomini composti, con un senso altissimo della forma e delle proporzioni. Linee pulite e senso del colore sono i tratti fondamentali di questo designer, che si è diplomato al National Institute Fashion Technology di Nuova Delhi. Poi, anche grazie all’International Woolmark Prize, il successo è arrivato col giusto clamore anche grazie al supporto della moglie-manager in grado di gestire abilmente il marketing del marchio e l’animo mite di un Punjabi Hindu. Una sorta di outsider del fashion system indiano, artefice di una moda sinonimo di artigianato raffinatissimo e caratterizzata da una palette di colori intensi. Dhir attua una sintesi armoniosa fra geometrie contemporanee, silhouette portabili e un gusto etereo, utilizzando tessuti prevalentemente ecologici di alta qualità come cotone, lino, bamboo, mussola ne, seta e lana. Forme in apparenza classiche, che nascondono un twist eccentrico e molto ricercato.
A WHITE MILANO Suket Dhir debutta con la sua attesa collezione The Royal Within, un viaggio unico attraverso espressioni artigianali differenti, tra scoperta e gioco, per poi approdare a tratti più elevati. Un nome e una moda da tenere d’occhio nel panorama del menswear internazionale.

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IN CONVERSATION WITH AARON DIAZ

TOTAL LOOK ALL SAINTS

Dalle soap al cinema, passando per la musica, l’attore messicano si rivela un artista eclettico.

Sei davvero una persona multitasking, dalla recitazione al canto. Quando e dove hai imparato a interpretare tutti questi ruoli?
Mi piace esprimermi in modi diversi…recitare…cantare…dipingere…scrivere…sono tutte forme di espressione e non posso fare solo una cosa… Da quanto posso ricordare mi sono sempre annoiato a fare la stessa cosa, per questo mi piace sempre alternare tra una cosa e un’altra.

Tua madre è irlandese americana e tuo padre messicano, che influenza esercita questo mix su di te? Quali sono le tue città preferite e le fantasticherie su questi luoghi?
Le nostre origini significano molto…anche il luogo in cui si cresce influenza una persona. Mi sento fortunato ad avere i genitori che ho e a possedere questo mix genetico. Crescendo, ho trascorso gran parte della mia adolescenza in una bellissima città messicana chiamata San Miguel de Allende e in seguito dalla mia adolescenza in poi ho vissuto a Palo Alto nel nord della California. Non saprei dirti quali sono le mie città preferite perché sia il Messico sia gli Stati Uniti hanno città meravigliose, mentre l’Irlanda è verde e questo nei miei libri rappresenta la bellezza.

Hai recitato per molto tempo in molte soap opere diverse. Dal celebre teen drama Clase 406 a Talisman e molti altri… guardando indietro a queste serie, quali sono i tuoi ruoli preferiti? Cosa cambieresti?
Il primo personaggio in assoluto che ho interpretato avrà sempre un’importanza speciale per me. Le persone ancora parlano di questo personaggio tutto il tempo. Ha lasciato un segno nei fan e sicuramente ha lasciato un segno in me. Questo è successo 14 anni fa… non ho mai smesso di lavorare da quel giorno. E’ stato il personaggio a darmi l’opportunità di costruire una carriera.

Quali sono i tuoi registi preferiti che ti sono di ispirazione e con cui vorresti lavorare?
Ci sono molti grandi registi là fuori. È impossibile sceglierne solo alcuni, ma sono davvero orgoglioso dei film che stanno girando i migliori registi messicani. Certo, mi piace anche il cinema italiano…ovviamente ci sono molti film e registi italiani classici. Mi piace il lavoro di Sorrentino, è favoloso.

Sei stato nominato tra gli uomini più sexy del mondo. Cos’è sexy per te? Un suggerimento a tutti gli uomini per essere affascinanti.
Essere sexy e affascinante per me significa essere se stessi. Essere una persona buona. Essere gentile con tutti. Essere trasparente e onesto.

Come è capitata la campagna di intimo OVS?
Ho incontrato Bruno, il proprietario di Brave Models e gli ho detto che volevo apparire in una campagna di intimo. Un paio di mesi dopo ero a Londra a scattare la campagna. Così.

Quando hai incontrato Lola per la prima volta, cosa hai pensato di lei? Quando hai deciso di sposarla?
Quando ho visto Lola per la prima volta ho pensato wow… la mia bocca si è spalancata e non potevo distogliere lo sguardo da lei. Ho deciso che l’avrei sposata in quel momento esatto.

Com’è il tuo giorno tipico?
Ogni giorno è diverso, non importa se sto girando o se sono in vacanza. L’unica differenza tra quando sto lavorando e quando sono in vacanza sta nel fatto che quando sono in vacanza non indosso scarpe e solitamente sono nell’oceano.

Cosa non può mancare nella tua borsa quando viaggi?
Il passaporto.

Come definisci il tuo stile?
Unico (ride, ndr.)

Oltre al canto, quali sono le tue passioni?
Lo sport. Qualsiasi cosa che abbia a che fare con l’aria aperta.

I tuoi prossimi progetti e sogni per il 2017?
Continuare a divertirmi. I progetti arrivano al momento giusto. Devi solo essere pronto quando arrivano.

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Nuovi codici di eleganza maschile. L’active tailoring firmato Patrizia Pepe

Quali le frontiere della nuova eleganza maschile?
A Pitti Uomo 91, manifestazione leader per il menswear di scena a Firenze due volte l’anno, si possono osservare e cogliere le tendenze della prossima stagione, per capire come evolve l’eleganza da uomo. Tra le diverse proposte, una direzione appare essere molto chiara: il nuovo formale per lui sarà sempre meno rigido e si contaminerà con lo sport, per diventare più funzionale e seguire l’uomo nella vita quotidiana. Così Patrizia Pepe, azienda fondata nel 1993 da Patrizia Bambi e dal marito Claudio Orrea, interpreta in chiave active il tailoring maschile, con una collezione costruita intorno ai capi timeless del guardaroba, sono resi più attuali da dettagli e influenze sportswear e street. Fil rouge della collezione autunno/inverno 2017-18 è l’eleganza dal tocco sempre un po’ rock e grintoso, che nasconde dettagli e rifiniture, come le zip catarifrangenti sull’abito classico, le gommature sui jeans, fino ai tocchi fluo sulle calzature, tra il ginnico e il classico. Un active tailoring per affrontare la giungla metropolitana, che si declina in cappotti e montgomery in panno, ma personalizzati da rete in nylon, abiti slim fit con interni sorprendenti per il mix di cromie e per la tecnicità dei materiali utilizzati. Un guardaroba all’insegna del comfort e di una confezione che punta sul dettaglio e su accostamenti imprevisti tra tessuti più classici e morbidi e quelli sportivi e iper tecnici. Così, l’abito elegante è spezzato da morbidi pull in maglia o abbinato a T-shirt con effetti a rilievo, mentre il pantalone sartoriale può essere accostato a una giacca in nylon e dal taglio sportivo. Interpreta bene il mood di questa collezione la nuova campagna scattata dal fotografo Mauro Puccini, che ha colto i movimenti acrobatici di una tribù metropolitana di parkour, vera e propria arte che fonde la disciplina atletica con lo stile di vita urbano, capitanata da un inedito Marco Bocci. Il risultato è un racconto dinamico e corale, dove si fondono perfettamente i codici di una nuova eleganza con la passione e la sfida dei propri limiti fisici. Un vero e autentico active tailoring.

www.patriziapepe.com

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Nuovi modelli di fashion retail

Se la moda complice il web con il recente fenomeno del See Now Buy Now sta conoscendo una delle sue più profonde rivoluzioni, anche il mondo del retail ripensa le sue logiche con nuovi modelli di servizio. Per lo sviluppo commerciale dei brand diventa sempre più importante ripensare a una strategia retail che si deve confrontare con il marketing e i tempi dei social media. Ne parliamo con Stefano Martinetto, che ha lanciato nel 2010 Tomorrow una piattaforma di distribuzione internazionale integrata a diversi servizi per offrire ai designer un supporto completo.

Dalla fondazione nel 2010 di Tomorrow l’azienda è in continua crescita e rappresenta una sorta di unicum nel panorama del fashion business. Ci racconti qualche dettaglio su come sta evolvendo.
Tomorrow è un’azienda cresciuta in dimensioni e fatturato e profittabilità, oggi contiamo 80 dipendenti – con i temporanei arriviamo a 115 persone – e produciamo utili da tre o quattro anni con un ottimo giro di affari che si aggira sui 65 milioni di euro di gross upsails. Nel 2015, i Soci Fondatori di Tomorrow Saturday Group con cui io e Giancarlo Simiri abbiamo dato via al progetto hanno manifestato l’idea di cedere le loro quote, perché già soddisfatti del piazzamento di mercato ottenuto. Così io e Giancarlo, dopo attenta valutazione, nel novembre dell’anno scorso abbiamo personalmente acquistato le loro quote. Grazie al Fondo di private equity Three Hills Capital Partners guidato da Mauro Moretti, io e il mio socio Giancarlo Simiri abbiamo acquisito il 47,5% delle quote dei nostri soci co-fondatori che sono rimasti col 2,5. L’investimento ha permesso di acquisire le quote e mettere a riserva un capitale per espandere il business, aprendo un ufficio a New York e Hong Kong, assunto circa 18 persone, e pensare a delle acquisizioni che stiamo tuttora valutando.

La peculiarità di Tomorrow?
Nel business delle showroom e della distribuzione ci sono validi player unipersonali ma manca un consolidatore. Nel 2016 abbiamo sviluppato una nuova strategia per Tomorrow, che è quella di uscire dalla pura gestione delle vendite, come agente e distributore, oltre ad essere finanziatore degli stilisti, che era già una caratteristica di Tomorrow. E abbiamo deciso di diventare una realtà diversa che si riassume nel payoff: multibrand, multiservice omnichannel. Multibrand, perché siamo un vero e proprio Department Store B2B e la showroom di Parigi lo comunica in modo efficace. Abbiamo dei visual merchandiser, una fashion direction, quattro piani diversi con le categorie: Designer, Advanced Contemporary, Contemporary, Accessori + lifestyle. Siamo anche un multiservice, perché abbiamo raccolto una straordinaria quantità di informazioni molto pratiche, grazie a una distribuzione wholesale internazionale, 4000 punti vendita e ai 67 brand in portfolio, che ci permettono di analizzare il mercato e i suoi player. Si tratta di una quantità di dati utilissimi per le scelte di merchandising e distribuzione non solo dei nostri clienti, ma anche per tutte quelle realtà che non necessariamente sono all’interno di Tomorrow. Da qualche mese è inoltre entrata nel CDA di Tomorrow London Alessandra Rossi, come consigliere d’amministrazione e responsabile per tutti i progetti digitali e di comunicazione dell’azienda. Con il suo ingresso abbiamo sviluppato un ramo interno dell’azienda con l’obiettivo di gestire consulenze per diversi marchi in tema di branding, distribuzione, politica e-commerce e social media. Il tutto è mirato al trade marketing e all’ingresso del marchio nei negozi (la strategia di advisory è tutta focalizzata non al consumer ma B2B). Abbiamo costruito un team interno per offrire questi servizi diventando sempre più multiservice. Omnichannel è un obiettivo: stiamo investendo una quota importante sulla digitalizzazione e riorganizzazione interna dei processi di Tomorrow, dall’acquisizione ordine in formato digitale, che potrebbe svilupparsi in un vero e proprio digital showroom, fino alla gestione delle inventory. A differenza di tutte le altre showroom noi gestiamo lo stock delle collezioni tramite nostri magazzini. Puntiamo quindi a un live broadcasting delle collezioni. L’idea è che un buyer possa guardare dentro il nostro magazzino per riordinare i pezzi e il prodotto, ma anche il magazzino stesso possa essere di supporto nei confronti del sell out, essendo live su una piattaforma di affiliazione online: un progetto in progress e un’impresa enorme, che implica nel medio periodo un investimento importante nella digitalizzazione di Tomorrow. In quest’anno abbiamo anche iniziato a guardarci intorno per acquisire società di servizi per completare la nostra offerta o più forti di noi su certe categorie di prodotto.

La figura di Renzo Rosso nel Cda di Tomorrow sicuramente per voi è un punto di forza, come è nata la sua proposta?
Renzo Rosso mi è stato sempre di supporto, una figura di vero mentore. Dopo un periodo di collaborazione diretta tramite Marni ha ritenuto che il servizio offerto fosse di qualità e ha pensato che l’espansione di Tomorrow meritasse un investimento. E’ stato lui a interessarsi a Tomorrow, chiedendo di investire nel nostro progetto e abbiamo formalizzato il suo ingresso con il suo fondo famigliare Red Circle srl all’interno della holding che controlla Tomorrow. Rosso ha accettato di far parte del CDA di Tomorrow, che è costituito da me, Giancarlo Simiri (Operating Board), Renzo Rosso, Mauro Moretti (fondatore di Three Hills Capital Partners socio investitore), Julie Gilhart (prima Fashion Director di Barneys New York e molto sensibile sulla social responsability e sostenibilità del mondo moda) e Alessandra Rossi.
Con Renzo Rosso e la sua azienda vedremo dove saranno possibili alcune sinergie: se i nostri designer volessero produrre una capsule di Denim ora potranno farlo, così come saranno valutate sinergie di brand e distribuzione tra le due aziende. Rosso avrà inoltre accesso allo scouting continuo che Tomorrow porta avanti e potrà seguire le performance di alcuni stilisti con cui decidiamo di collaborare. E avvicinarsi anche alla creatività inglese, visto il nostro DNA e sede a Londra. Grazie a Rosso si apre una porta su un mondo più grande per i nostri designer che potranno avere accesso a una serie di servizi, dal branding alla parte finanziaria e di investimento.

Come vedi la commistione del modello showroom col nuovo mondo digital?
Da distributore fisico sto guardando al digitale per sviluppare il mio business, anche se è un pericolo che il digitale possa soppiantare il fisico. Ritengo che la digitalizzazione dei processi sia inevitabile. Tuttavia ritengo che l’emozione di una sfilata resti unico. La showroom virtuale può supportare il buyer nella quantificazione degli ordini. Una sorta di magazzino virtuale in cui il buyer può fare una sorta di memo visivo su capi e sulla quantità, una volta finito il momento emotivo della sfilata. Questo è il mio obiettivo, ovvero fornire la miglior esperienza virtuale. Un buyer internazionale ha bisogno dell’esperienza e della visita in showroom: l’emotività del momento, dei molti viaggi nelle capitale internazionali della moda durante il corso dell’anno, la partecipazione alle sfilate, il mood del fashion insomma, sono qualcosa di assolutamente insostituibile. Con il virtuale possiamo aiutare i buyer che vengono a Parigi o Milano per le main season, ma potrebbero così comprare a distanza anche le precollezioni. E’ un processo lungo e complesso, che coinvolge la parte tecnologica, ma anche i contenuti che rendono unica la shopping experience.

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Il fashion food arriva al cuore

Kris Torta alle carote

“Attraverso il cibo si parla al cuore delle persone, lo hanno capito anche i marchi di moda e del lusso”. Parola di Anna Marconi, ideatrice e fondatrice di Taste of Runway, il blog di fashion food che oggi è diventato un vero e proprio punto di riferimento di lifestyle.

Come vedi la relazione tra cibo e moda e il crescente interesse per il mondo del food?
Negli ultimi anni ho assistito a un grande cambiamento, a un interesse profondo verso il mondo del food. Specialmente da parte della moda. Quando ho lanciato Taste of Runway, nel 2011, non esisteva nulla di tutto quello che vediamo oggi, il connubio fashion-food non c’era. Prima di dare vita al sito, e quindi alla mie ricette, ho speso molti mesi a fare ricerca e ho capito che sul web, tantomeno nel mondo fisico, non esisteva nulla del genere. Così ho capito che era la strada giusta da intraprendere. Poi, nel corso dei mesi e degli anni la tendenza è esplosa, gli chef sono diventati star televisive, il fashion system ha iniziato a creare eventi che ruotano attorno al food. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe, ad esempio, nata “La vendemmia di Montenapoleone”? Anche i brand del lusso hanno capito che attraverso il cibo si parla al cuore delle persone.

Quali sono le ultime tendenze moda che hai interpretato nelle tue ricette?
Per ora sto lavorando sulla collezione fall-winter. Si vedrà molto tartan entrare nella mia cucina, un tocco di giallo mischiato ai colori tipicamente invernali e anche dell’argento che, con la carta stagnola, ci sta una meraviglia.

Non solo food, ma anche drink & people, come evolve il progetto?

È in continuo movimento. Sono passata dal fashion-food, al lifestyle, al creare intere collezioni di drink, a incontrare persone per poi cucinare i loro look. L’ultima rubrica nata grazie ad una collaborazione un po’ misteriosa è “La Jole in cucina”, una donna senza età che fa bene da mangiare, ma che ama male. Ci terrà compagnia a lungo con le sue ricette sentimentali e con lezioni di vita quotidiana. Taste of Runway nel 2011 era un blog pieno di speranze e sogni, oggi è un mini-magazine, ma sogni e speranze non sono passati.

Il tuo piatto e drink preferito?
Tantissimi! Amo preparare da mangiare, passo intere giornate davanti ai fornelli. Se proprio dovessi scegliere ti direi la pizza fatta in casa, quella che devi curare per ore prima di poterla assaporare in tutta la sua meraviglia. Anche i carciofi ripieni, la crema di zucca e patate e le polpette vegetariane. Sono la maga delle polpette e sul sito ci sono tantissime ricette. Drink preferito? In assoluto il Margarita, con sale affumicato.

Quali i tuoi posti preferiti da visitare e da gustare a Milano, Londra, Parigi e New York?
Milano sta offrendo tante novità dal punto di vista culinario e non solo. I luoghi sono tanti, ma cerco di organizzarli in una giornata. Colazione: Pavé. Pranzo: alla Latteria di via San Marco. Pomeriggio: Fondazione Prada, Mudec, o Armani Silos e una passeggiata a caso nella città correndo anche il rischio di perdersi. Cena: fusion da Wang Jiao (da provare le loro tagliatelle di riso fatte in casa).
Londra. Coffee works in Islington, un luogo molto carino dove poter lavorare. Ottolenghi per cena, cucina israeliana e medio orientale molto cool, Barbican e Tate Modern come musei. Shoreditch e East London per uscire la sera.
Parigi. Un classico al caffè de Flore. Museo al Palais de Tokyo, 404 e Petit Lutetia come ristoranti. Bon Marché per lo shopping.
NY. Per mangiare: Eleven madison park, The musket room (265 elizabeth street –  una stella michelin), Spice market (403 West 13th Street – meatpacking) asiatico fusion, chef’s table brooklyn fare (3 stelle michelin – 18 posti – solo prenotazione). Cocktail da apotheke. Maison premiere (ostriche e assenzio. ambiente stile anni ’20).

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Moda dal mondo: Portugal Fashion Week

Si è chiusa con successo e crescente entusiasmo la 39ima edizione di Portugal Fashion, uno dei più importanti eventi fashion della Penisola Iberica degli ultimi vent’anni, che mostra la capacità produttiva e creativa portoghese, puntando i riflettori anche sui giovani talenti, grazie al progetto Bloom. Quest’ultimo consiste in una piattaforma sperimentale creata nell’ottobre 2010 che mira a supportare, promuovere e pubblicizzare promettenti stilisti portoghesi, i quali, come suggerisce il nome Bloom, sbocciano, fioriscono e poi risplendono sulle passerelle, contribuendo a diffondere a livello internazionale un’immagine creativa e moderna della nazione. Questa piattaforma è stata fortemente voluta da Portugal Fashion e il suo successo si deve all’attenta supervisione del professore e designer Miguel Flor, che si occupa di selezionare gli stilisti e fornisce il suo prezioso contributo alla progettazione delle sfilate.

Tra gli altri emergenti da tenere d’occhio è Estelita Mendonça, che si è diplomato alla Fashion Academy di Porto. Le sue collezioni sono state presentate al Bloom Space del Portugal Fashion fin dall’inizio, nell’ottobre 2010. È stato vincitore dei Fashion Awards Portugal nel 2012 nella sezione Nuovi Talenti e nel 2015 ha ricevuto una speciale menzione dall’International Fashion Showcase e un premio nell’ambito di Prémios Novos nella categoria Fashion. Una moda che guarda molto alle istanze sociali, tradotte con un linguaggio casual ma ricco di dettagli e materiali inusuali.

Eduardo Amorim ha presentato la collezione “Seattle Mes” che rappresenta l’atteggiamento di sfida del Grunge degli anni ’90 applicato a questo modo contemporaneo in continuo cambiamento e che mette tutto in discussione. I modelli oversize ritraggono un’andatura e una posa scomposte, le rifiniture sono volutamente imperfette e i tessuti sono tinti attraverso processi naturali.

Tra i giovani designer che hanno debuttato è David Catalán che con la sua collezione “Forget about it” che offre una sorta di oasi dove rifugiarsi per sfuggire alle triviali questioni della vita quotidiana, uno spazio unico dove confluiscono contemporaneamente atmosfere più leggere e più pesanti. Total look stampa si alternano a colori neutri e delicati, oltre al total black e white, maglie e pantaloni esaltati dalle lavorazioni a traforo.

Hugo Costa è un giovane designer di 29 anni che, grazie alla piattaforma Bloom di Portugal Fashion, fin dall’ottobre 2010 fa sfilare sulle passerelle le collezioni che portano il suo nome. Già vincitore di numerosi premi internazionali, come “Best Male Coordinate” per due anni consecutivi, nel 2009 e nel 2010, e del “Children’s Fashion” nel 2011, quest’anno ha debuttato a livello internazionale come stilista alla Fashion week maschile parigina, con il supporto di Portugal Fashion.

Tra i brand menswear consolidati e vera star della Portugal Fashion è Miguel Vieira, designer che produce le sue collezioni dal 1988, un talento che è stato riconosciuto a livello internazionale da diversi premi importanti, come il “Golden Globe for the Best Fashion Designer”. A settembre di quest’anno ha debuttato alla New York Fashion week con Portugal Fashion. La sua collezione “Out of Africa” è una vera e propria immersione nei colori e nei profumi dell’Africa: grafismi tribali, reminiscenze di tramonti mozzafiato ed elementi naturali, come camouflage di animali che ricordano la bellezza maestosa del continente africano. Una collezione uomo luxury e sofisticata sia nei tessuti, sia nei tagli.

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Eleganza al maschile. Un libro ne spiega i significati

“Gli abiti parlano, dicono chi siamo e, talvolta, chi vorremmo essere”. Questo lucido inciso di Giuseppe Ceccarelli spiega esattamente il perché del viaggio intrapreso dal giornalista di moda e costume nel fashion system maschile, attraverso la nitida analisi delle sue icone e iconografie, classiche e moderne. E il volume Eleganza al maschile. 20 intramontabili icone dello stile, edito da White Star, ne è la summa. Nel libro, corredato da splendide tavole fotografiche, il giornalista traccia il racconto del saper vestire attraverso alcuni capi che, nel corso degli anni, sono diventati imprescindibili nel guardaroba per lui, fino a diventarne iconici. Dal trench di Humprey Bogart alla T-shirt bianca di Marlon Brando – giusto per citare due tra i più radicati nell’immaginario collettivo – passando per l’abito tre pezzi, per i gemelli e gli accessori, Ceccarelli segue, con precisione entomologica, ognuno di questi capi nel proprio percorso di vita, con l’aiuto del cinema e dei suoi divi, dei sarti e della loro arte, della moda e della sua potenza comunicativa. MANINTOWN l’ha intervistato per voi, “perché vestirsi è una cosa seria. Soprattutto per l’uomo”.

Come è nata l’dea del libro?

In realtà mi è stata proposta dalla stessa casa editrice, che stava cercando un giornalista di moda maschile per la stesura di questo testo e, tramite passaparola, sono arrivati a me. Comunque l’idea, che poi insieme è stata sviluppata, nasce dal fatto che comunemente la moda uomo non si presta a trattazioni “leggere”, ma è sempre legata all’idea di leggi rigorose e immodificabili, di uno status cristallizzato nel passato. Pur essendo questo in parte vero e con un grande valore stilistico e culturale, abbiamo cercato di dare a questo mondo, cioè al guardaroba maschile, un taglio più legato al costume, al cinema, all’evoluzione della cultura popolare dalla fine dell’Ottocento a oggi, anche per sottolineare un passaggio fondamentale nell’abbigliamento uomo, cioè una certa “deregulation”, diffusasi negli ultimi decenni, che è ormai strutturale nella concezione del vestirsi, ma che convive ancora con la tradizione fortemente salda.

Cosa significa per te eleganza?

Sembrerò antiquato, ma trovo fondamentale – soprattutto in questo momento storico e soprattutto in relazione a temi come l’eleganza, lo stile e la moda – riportare tutto ad un livello zero di significato e ripartire dall’etimologia delle parole, i cui significati ormai spesso subiamo. Nella moda c’è una confusione quasi inestricabile su cosa queste parole indichino. Eleganza viene dal latino eligere che significa “scegliere” e per me l’eleganza è proprio questo: saper scegliere ciò che corrisponde alla rappresentazione che ognuno di noi ha di se stesso, identificare l’atto comunicativo che sta dietro al gesto del vestire e realizzarlo. Quella che comunemente e ormai secondo me banalmente, viene indicata come attitudine naturale è proprio la sovrapposizione perfetta del pensiero di sé e della sua rappresentazione. Tendo ad eliminare, come dico nella prefazione, qualsiasi sovrastruttura percettiva e connotazione stilistica, perché trovo che intendere l’eleganza come un insieme di regole, diremo tecniche, non ha senso, non più per lo meno. Io sono molto legato alla tradizione, ma credo che sinceramente, come osservatore e analista di questo mondo, sia necessario essere onesti e evidenziare che le regole del vestire evolvono, e lo sono molto in questi ultimi 30 anni, e quindi lo è anche l’idea di eleganza. Anche se questo cambiamento può non piacere. L’eleganza in senso moderno è ciò che siamo, indipendentemente da ciò che questo può essere. Siamo ancora vittime di una concezione di eleganza e di vestire legata agli anni ’50 in cui queste parole erano sinonimo di ordine e equilibrio. Ciò non è più così oggi e forse è un bene che non lo sia. Una cosa sono le regole e una struttura di riferimento, altra cosa è una generica dittatura del gusto che opprime la nostra libertà di eligere chi siamo a dispetto delle stesse regole.

Quali sono gli errori più comuni nella moda maschile?

Gli errori più comuni sono dati dal fatto che non si conosce la sintassi stilistica che presiede a certo abbigliamento. Le regole dell’abbigliamento formale sono molto articolate quindi la nostra conoscenza è parziale, ricevuta da una tradizione orale spesso lacunosa o da patetici programmi televisivi o dai giornali, che semplificano per non essere noiosi. Comunque direi che di errore si può parlare solo nell’abbigliamento formale e i più comuni sono: scelta errata della cravatta e del nodo; tessuti non adatti al modello del suit e all’occasione; scelta sbagliata delle scarpe.

Come hai scelto le 20 icone del guardaroba maschile?

Nella prefazione dico che “Icona” significa “raccogliere su di se le istanze di un momento storico e renderle universali”. Questo è stato il parametro principe per la scelta dei capi. In questo senso il cinema, ad esempio, ha molto aiutato questo processo di iconizzazione, perché ha trasportato semplici capi di abbigliamento, come la T-shirt bianca, in un universo di significati sociali e culturali inaspettati. Allo stesso tempo, però la grammatica forte e complessa delle regole vestimentarie che discendono dall’aristocrazia inglese fanno di alcuni capi, come le scarpe o il tre pezzi, degli oggetti di rappresentanza socio-culturale formidabili, che li trasformano in icone direi così ante litteram. Con queste idee ho proceduto alla selezione dei 20 elementi per me più rappresentativi. Per parlare di loro, ma allo stesso tempo di come è cambiata la percezione dell’uomo in relazione al vestirsi.

Quale tra i capi è quello che si è rinnovato maggiormente e quello più conservativo?

Il più conservativo è probabilmente la cravatta anche se, come racconto, ci sono stati dei tentativi interessanti di aggiornamento anche da brand storici come Hermès. Mentre il più innovativo è sicuramente la sneakers, che ha un Dna fortemente votato al futuro e all’innovazione tecnologica.

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Tra heritage e new tech: il nuovo corso di C.P. Company

C.P. Company reinterpreta lo sportswear italiano fin dalla fine degli anni ’70, quando il suo fondatore – il graphic designer bolognese Massimo Osti – universalmente considerato “il padrino degli abiti sportivi”, inaugurò uno dei periodi più esplosivi e magici della creatività stilistica Made In Italy, cominciando a fondere classici punti di riferimento del design funzionale (abbigliamento sportivo high performance, divise militari, abiti da lavoro e il tradizionale abbigliamento outdoor Inglese) con un’innovazione tessile tutta artigianale e con ingegnose tecniche di tintura dei capi, per produrre una serie di indumenti spiccatamente easy-to-wear.

C.P. Company, che è stata acquistata dal gruppo di Hong Kong Tristate Holdings nel novembre 2015, punta oggi sulla ricerca tecnologiaca per creare un urban sportswear con tecniche innovative come lo sviluppo della tecnica component dyeing (tintura per singoli componenti), una gamma completa di giacche con cuciture Ultrasonic e Thermowelded (saldate a caldo) che eliminano l’uso di cuciture o fili o lo sviluppo di un tessuto tecnico in lino, il Vanguard, che riesce a simulare le caratteristiche performanti dei filati tecnici mantenendo al tempo stesso le peculiari irregolarità e l’apparenza autentica del lino.

Abbiamo parlato del presente e futuro dell’azienda con Peter Wang, Presidente e Fondatore Tristate Holdings Ltd che ci ha raccontato: “Seguo e amo il brand fin dagli anni ’80, ho provato a collaborare con CP company due volte ma entrambe le opportunità, per un motivo o per l’altro, poi sono sfumate. Sono entrato nel gruppo occupandomi di pubblicità e adesso sono entusiasta di farne parte attivamente: CP Company ha una storia incredibile, che dura da anni seppur con qualche battuta d’arresto”.

Quali i progetti per il futuro del brand? Così risponde Wang: “L’idea è quella di ripartire, oggi, seguendo l’heritage di altissima qualità e riconoscibilità legato alla nostra storia, unendo l’estrema attenzione e ricerca in ambito qualitativo: è proprio sull’aspetto “tecnologico” delle fasi di lavorazione che ci siamo concentrati maggiormente. La composizione dei capi, la pesantezza dei filati: non tralasciamo nessun aspetto e con macchinari di altissimo livello abbiamo cercato di realizzare una collezione estremamente, facile da indossare, capi reversibili e dagli accenti casual, un forte richiamo alla contemporaneità, tessuti ultra-leggeri e i colori sono dosati ad arte senza eccessi, in maniera fluida e basata sull’equilibrio. Infine guardiamo al mondo web e alle nuove esperienze di shopping che si svolge pressoché online, senza perdere mai in riconoscibilità, perché il bagaglio del nostro marchio è importante e da questo non possiamo prescindere.

www.cpcompany.com

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Peter Wang e Lorenzo Osti
Peter Wang e Lorenzo Osti

Timeless: la mostra di Massimo Piombo sul Made in Italy che supera i confini del tempo

Massimo Piombo celebra il Made in Italy in modo esclusivo e originale come è nel DNA del marchio: la Palazzina Piombo (ex spazio Gae Aulenti) a Milano ha ospitato la mostra itinerante con una selezione di 15 tessuti provenienti dall’archivio e che testimoniano le caratteristiche peculiari e il talento del designer: innovazione e atemporalità.
Timeless è una raccolta di materiali, colori e tessuti che sono emblema del Made In Italy, ma anche i prodotti più raffinati provenienti dal resto del mondo: lane norvegesi, check inglesi, mohair scozzesi, eclettici mix di artigianalità e sguardo al futuro.
Esposte in cornici ad hoc, il senso delle opere – e dell’intero lavoro di Mr. Piombo – sta proprio nella ricerca di una visione d’insieme, la combinazione di valori diversi in nome di una sintesi estetica meravigliosa.

Proprio a Milano abbiamo incontrato Massimo Piombo per parlare di tessuti e di stile.

Lo stile Massimo Piombo in tre parole.
Sartoriale, elegante, contemporaneo.

Il primo tessuto a cui si sente particolarmente legato e perché?
Il cotone massaua in blu scuro

L’importanza del made in italy e fatto a mano.
Il Made in Italy è un segno distintivo di qualità e stile riconosciuto in tutto il Mondo. Un prodotto fatto a mano in Italia vuol dire emozione ed unicità.

Come sceglie di stagione in stagione i tessuti?
Amo mescolare combinazioni di tessuti tra passato, presente e futuro. Dal cinema alla letteratura, seguo il mio istinto.
Per il progetto di Timeless ho riunito 15 dei tessuti a me più cari, e ne ho fatto dei quadri, per comunicare quanto il materiale sia vero protagonista della moda e non una cornice.

Il suo consiglio di stile sulla scelta di abito e tessuto ideale per l’estate e per l’autunno?
Per l’estate che arriva, sicuramente una giacca di lino abbinata a pantaloni comodi. Per il prossimo inverno, invece, ho voluto proporre soprattutto il blu: brillante, purificante e rilevatore. Rende belli tutti gli altri colori. Non credo sia possibile annoiarsi del blu, sarebbe come annoiarsi della persona che si ama. Ho sempre cercato il blu perfetto. Per ottenere il blu ideale bisogna copiare il colore del berretto dei bambini nei quadri del Rinascimento. Abbiamo mescolato i colori uniti del vecchio impero alle fantasie del nord Europa, al fine di creare un fascino ed un incanto dedicato a “donne splendide” e “begli uomini”. I grandi cappotti, le morbide giacche, i sofisticati abiti, prendono un volto pittorico, abbinati alle sete, i velluti, i rasi, più ricchi e più morbidi, creando un’esagerazione di abbinamenti, colori, cercando di creare un mondo straordinario.

mpmassimopiombo.com

M’s FW 16-17

STORE

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Claudio Antonioli – L’arte dello scouting

Punto di riferimento per una clientela ricercata e innovativa Antonioli è uno dei concept store più innovativi per il brand mix e l’approccio web all’avanguardia. Abbiamo incontrato Claudio Antonioli per parlare di scouting e del progetto con WHITE e il designer danese Soulland.

In cosa si diversifica la selezione dei brand per il web rispetto al negozio fisico?
L’esperienza online e fisica vanno di pari passo. L’online mi ha consentito di sviluppare progetti e proposte anche più difficili e di ricerca. Nel negozio fisico c’è una selezione dettata anche da motivi di spazio. Le due dimensioni interagiscono e si rafforza l’una con l’altra. Ad esempio Il sito ha aiutato molto il negozio a farsi “ricordare” e conoscere.

Il tuo scouting: quali i paesi che trovi più interessanti al momento e perché?
Con i miei buyer copriamo quasi tutte le fashion week, da Tokyo a Seul, passando per Londra e Copenaghen, oltre a Parigi che resta un punto di riferimento. Personalmente i designer del Belgio e Londra sono i migliori per visione creativa. La moda italiana, anche dei giovani, è meno sperimentale, seppur molto importante a livello commerciale.

Come vedi il ruolo di Firenze e Milano rispetto alle capitali come Parigi?
La forza di Firenze è di essersi aperta al mondo ospitando designer internazionali e grandi eventi di richiamo grazie a forti investimenti economici. Anche Milano dovrebbe crearsi un indotto che parte dalle scuole di moda e creare spazi alternativi come le numerose gallerie a Parigi che resta un riferimento con un calendario importante. A Milano con WHITE è importante il ruolo del salone nel mostrare i trend e le pre-collezioni donna

Che cosa pensa del See now buy now e della velocità del fashion system?
E’ impossibile fermare l’evoluzione di internet  e pensare di tornare indietro. La comunicazione è parte essenziale del sistema e bisogna adeguarsi ai tempi

Cosa ti piace di Copenaghen e della moda nordeuropea in generale?
Trovo sia una concezione della moda un po’ diversa, dove esistono brand piccoli molto interessanti con una distribuzione mirata. E’ soprattutto un’esperienza importante che ti apre la mente su un certo tipo di visione.

I tuoi nuovi progetti e sfide
Ho appena aperto un nuovo negozio Antonioli a Ibiza che è tornata a essere un crocevia importante sia di comunicazione, sia di business. Amo il mood della città e la scena musicale. Proprio dalla passione per la musica elettronica è nata anche l’idea di rilanciare uno storico club di Milano il Divina che sto rinnovando e rilanciando con un nuovo concept e line up di dj. Cerco di seguire sempre le mie passioni.

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ANDREA PANCONESI – LA MAGIA DELL’ONLINE

Il tuo scouting: quali i paesi che trovi più interessanti al momento e perchè?
L’Asia e la Corea creano collezioni interessanti. In Europa, la Germania è molto creativa. Gli Stati Uniti sono innovazione e DNA multiculturale.

Come cambia la selezione e il brand mix tra uno store fisico e quello online? 
Con l’inizio delle attività online di LUISAVIAROMA.COM si è creato uno spazio infinito in cui i nostri clienti trovano i migliori prodotti e designer. Abbiamo più di 5 milioni di visitatori al mese che vivono la stessa shopping experience che avrebbero nello store di Firenze in qualunque parte del mondo. La selezione per un pubblico così vasto è una sfida stimolante.

Come sta evolvendo il format FIRENZE4EVER?
FIRENZE4EVER promuove la collaborazione tra i protagonisti del design, della musica e dell’arte contemporanea. Con la 13° edizione, Underwater Love, le iniziative benefiche che da anni sono parte del nostro evento, diventano il vero focus. The Bridge of Love è un’installazione ideata e progettata dall’architetto Claudio Nardi per FIRENZE4EVER e simbolizza la volontà di dare speranza alle persone che vivono situazioni di grave difficoltà. L’opera concettuale è stata pensata per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi dei rifugiati e inaugurata il 13 giugno con una cena di gala il cui intero ricavato è andato ad UNHCR. La moda è un linguaggio universale, come lo è la musica o l’arte e può arrivare ovunque.

Cosa pensi del fenomeno see now – buy now?
Le collezioni Uomo/Donna devono essere presentate solo ai buyer e successivamente, quando la merce arriva nei negozi, alla stampa. I media dovrebbero diffondere al pubblico le immagini e le notizie sulle nuove collezioni solo quando queste sono state già vendute, prodotte e consegnate. Per soddisfare le esigenze di tutti quei clienti attenti alle ultime novità e tendenze, LUISAVIAROMA.COM offre il servizio esclusivo “Buy It First” che permette di acquistare in pre-ordine capi ed accessori selezionati direttamente dalle ultime sfilate.

Il ruolo di Firenze e Milano rispetto alle altre fashion capital
Milano è la capitale del ready-to-wear italiano, la nostra essenza. A Firenze nasce l’alto artigianato, basti pensare a Gucci, Ferragamo, Cavalli, Pucci, Scervino e tanti altri che, come noi, con grande passione hanno fatto la storia della moda nella nostra città.

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ENRICO OETIKER – UN TALENTO DA SCOPRIRE

Gli step fondamentali del tuo percorso e le persone che lo hanno segnato
Sicuramente il primo step è stato rendermi conto di essere un artista, questo grazie alla professoressa Telmon che ha visto in me una luce differente. Poi sicuramente entrare nell’accademia “Corrado Pani”, perché mi ha permesso di incontrare Alessandro Prete. Senza ombra di dubbio, lui è stata la persona più importante nel mio percorso di crescita artistica e personale.

Quando hai capito che avresti scelto la strada dell’attore?
L’ho sempre saputo, viveva in me. Dovevo solo trovare il coraggio di indossarmelo a pieno. Non saprei dire un momento in particolare.

Quali le tue icone cinematografiche e non?
A livello di cinema stimo molto gli americani e il loro “iperrealismo”: di Caprio, Daniel Day Lewis ad esempio, e registi come Tarantino o new entry come Inarritu rappresentano il mio ideale di collaborazione artistica. Fuori dall’ambito cinematografico ho una passione sconfinata per lo gnosticismo e la meccanica quantistica. Trovo in Giordano Bruno e Carmelo Bene forse i miei due più grandi fari.

La tua esperienza nel film “In search of Fellini”, di Taron Lexton
Incredibile. Una crew di persone disponibili e professionali. Tutto gestito in modo informale eppure incredibilmente competente. Mi hanno fatto sentire parte integrante del progetto, ed ho potuto stabilire con Taron un rapporto di reale collaborazione, quasi di gioco. Xsenia Solo, la protagonista, è stata la compagna migliore che potessi chiedere, e in più il prodotto è veramente bello. Non avrei potuto chiedere di meglio.

Il rapporto con i tuoi genitori e il loro lavoro da SAID – il food per te?
Il rapporto coi miei genitori è sempre stato piuttosto conflittuale. Ho tre sorelle, e tutte e tre molto disciplinate e responsabili. Io beh, diciamo che qualche grattacapo gliel’ho procurato. Fortunatamente ora tutto è cambiato. La SAID è parte integrante della mia cultura, e quando posso vengo a dare una mano. Poi da quando abbiamo aperto a Londra ho un motivo in più per sorvolare la Manica!

La giornata tipo di Enrico Oetiker
In realtà ho uno stile di vita molto tranquillo. Mi sveglio con calma, faccio colazione e vado ad allenarmi. Mi piace molto nuotare. Poi torno a casa, pranzo, studio e leggo. Se c’è da preparare un provino o un personaggio lo preparo, altrimenti mi dedico ai miei progetti.

Le tue passioni…
Oltre allo sport, l’arte è sempre stata in cima ai miei pensieri: amo dipingere ed ascoltare musica, anche se da quando sono bambino il mio vero talento è sempre stato la scrittura. Ora sto scrivendo il mio primo testo teatrale.

L’ultimo libro che hai letto e brano musicale che ti hanno ispirato?
Ammetto che le mie letture sono al confine del fanatismo gnostico: finito da poco il Corpus Hermeticum. L’ultimo brano musicale ad ispirarmi è stato Up And Up dei Coldplay, forse anche per il video da brividi.

Come definiresti il tuo stile?
Classico ed essenziale. Per questo ho subito sentito affinità con lo stile di Giorgio Armani

Quando parti cosa non può mancare nella tua valigia?
La mia valigia è sempre molto essenziale, a parte il beauty e pochi abiti parto sempre con due libri. Una lettura per rilassarmi e una impegnativa. E poi un bloc notes per appuntare sensazioni, persone, luoghi.

La tua playlist
Sono eclettico e spazio dalla classica al rock passando per il pop. Senza limiti e confini. Mi piace qualsiasi cosa che mi faccia vibrare.

Progetti per il futuro? a cosa stai lavorando?
Ho appena sostenuto un provino importante ed ho altri progetti in divenire per i quali sto aspettando novità. Nel futuro prossimo girerò un corto, nel frattempo scrivo nella speranza di tirar fuori uno spettacolo decente.

Photography | Marzia Ferrone 
Total Look | Giorgio Armani
Location | Said dal 1923 – Antica Fabbrica del Cioccolato, Roma
Ufficio stampa | Mpunto comunicazione

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L’UOMO EROICO E ANTICONFORMISTA DI FAUSTO PUGLISI

A Pitti Uomo il debutto della prima capsule di moda uomo

Perfetto rappresentante di una New Italian Wave, la nuova generazione di designer italiani molti amati e seguiti a livello internazionale, Fausto Puglisi debutta a Pitti Uomo con la sua prima capsule collection per lui che sarà presentata insieme alla Resort donna 2017. Da sempre riconosciuto per la sua moda sensuale e impeccabile per i tagli sartoriali, l’estetica di Puglisi è da sempre ricca di contrasti che riflettono da un lato le sue origini italiane, dall’altro la sua poliedrica passione per la cultura americana. Fil rouge è il tocco di massimalismo e la maestria decorativa che si ritrova dai jeans fino agli abiti da sera. Una contaminazione creativa dallo spirito pop che è ben rappresentato dalla serie di inediti sketches in cui Fausto ha rappresentato i suoi look accanto ai modelli della statuaria greca o in pose che riprendono i canoni della bellezza classica rivisti con il suo linguaggio decorativo.

Lo abbiamo incontrato per farci raccontare il nuovo progetto menswear.

Come è nata l’idea di una capsule uomo?
La trasversalità tra uomo e donna e il concetto di moda androgina sono da sempre nelle mie corde. E’ un concetto che era già ben presente negli anni Settanta. Alcuni capi donna dalle forme oversize erano acquistati anche dall’uomo. Così dalle prime richieste è nata l’idea per questa nuova avventura, una capsule di capi molto speciali.

Che tipo di uomo ti sei immaginato?
Voglio rendere omaggio alla bellezza e alla regalità del corpo maschile e alla libertà di un uomo eroico che asseconda i suoi desideri e il suo demone interiore. Ho ripensato agli ideali dell’uomo greco in modo contemporaneo. E’ un uomo che supera gli schemi buon gusto borghese. Una personalità sempre ricca di contrasti in cui convivono dimensioni opposte, la persona semplice come il re.

Parlando di contrasti e del tuo percorso, quali città senti più vicine?
Da un lato New York è la città che sento come casa e dove tutto può accadere. Dall’altro sento molto presente la cultura mediterranea con la sua energia e passione, da Napoli a Istanbul passando per il Sud America. Penso anche a luoghi come Miami dove a South Beach puoi vedere passare uomini dalle tipologie più differenti.

Per te la moda è…
La moda è un artigianato creativo di altissimo livello che si avvicina a una forma d’arte, specialmente quando viene comunicata in un certo modo. La moda è anche  costume sociale e fotografa bene lo spirito della società presente.

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IL LATO GENTLEMAN DI CHEF RUBIO

Cover Natural Gentleman shirt & tie | Gabriele Pasini vest

Chef Rubio al secolo Gabriele Rubini (classe 1983) non è solo il protagonista e fenomeno televisivo di UNTI E BISUNTI in onda su DMAX, ma un uomo eclettico per cultura e interessi. Gabriele è un accanito lettore e viaggiatore, ama i libri intrisi di poesia e visioni oniriche: lo hanno formato autori come Murakami, ma anche Frey, Palahniuk e Welsh. La sua educazione inizia al liceo classico, in un ambiente multiculturale ricco di sub-culture tra punk e metallari. Vive la sua adolescenza tra musica, studio, sport e moltissima lettura. Lo sport arriva per motivi terapeutici in seguito a una brutta scoliosi. Sceglie il rugby, dopo aver tentato di praticare senza costanza judo, scherma e basket. Ricorda i primi tempi, in cui il rugby rappresentava per lui “fatica, sforzo, freddo e botte”, che si trasforma lentamente in qualcosa di cui non riuscirà più a fare a meno. “Dalla diffidenza alla dipendenza”, afferma lui stesso.
Tratto distintivo di Chef Rubio è senza dubbio l’ironia dai toni sarcastici e un carisma capace di coinvolgere le persone nei territori e nelle situazioni più differenti. Recentemente si è fatto ritrarre dalla fotografa Alessia Leporati a petto nudo con un agnellino sulle spalle. Una foto bucolica che nelle intenzioni voleva celebrare il carisma di Rubio come un pastore che guida le sue greggi di followers. Da qui si è innescata una reazione a catena tra giornali e web, tra polemiche e commenti entusiastici. Il risultato? Rubio è così immortalato nella sua versione statuetta da presepe nelle vesti di pastore. E commenta il maestro Marco Ferrigno, caposcuola nell’arte della terracotta partenopea e tra i più produttivi nel trasformare in pastori i personaggi della politica e dello spettacolo: “Con una posa così naturalmente presepiale mi è sembrato inevitabile un riconoscimento a Rubio che con il suo programma ha saputo dare la giusta evidenza alla tradizione culinaria che vive proprio qui, nei vicoli del nostro centro storico di Napoli, a San Gregorio Armeno”.
Rubio si conferma un instancabile viaggiatore e insaziabile ricercatore di sapori e tradizioni culinarie, superando confini e schemi. Col suo programma Unti e Bisunti, dai toni spesso irriverenti, è riuscito a lanciare un messaggio in cui il food è anche curiosità verso quello che ci circonda, una cultura accessibile a tutti, specchio di una società e non fenomeno elitario.

In esclusiva per MANINTOWN vi mostriamo il lato “gentleman” di Chef Rubio, anche attraverso le immagini del servizio diretto da Peter Cardona in cui lo vedrete in una versione inedita.

Com’è stata la tua adolescenza?

Ero un normalissimo ragazzo che affrontava gli studi del liceo classico e sono cresciuto in un ambiente con diverse etnie come metallari, punk o quelle che chiamano zecche a Roma. La musica è sempre stata presente durante l’arco del liceo e lo studio era sì presente, ma non era per me fondamentale.

La tua passione per lo sport?

In realtà è nata per fini terapeutici e di salute, poiché avendo avuto la scoliosi a dieci anni ho iniziato a praticare rugby, judo, scherma e basket. Poi iniziato il rugby non ho più smesso.

Come sei arrivato al mondo del food?

Ho fatto diverse esperienze come gourmand, viaggiando in Europa e in particolare nel Regno Unito. Tutti interessi un po’ sopiti perché pensavo alla carriera nel rugby. Poi col tempo è diventata una materia di studio e solo dopo un lavoro, grazie a un incastro di molteplici situazioni. Poi il fatto di poterlo raccontare con un programma è stata un’ulteriore occasione che mi ha confermato la necessità di mostrare un paese o un popolo senza prescindere dalla cultura di strada e dalla cucina povera.

Tra le città che hai visitato in quale vivresti?

Dal 2012 ho girato dodici nazioni prima dell’avventura televisiva, tra cui India, Cina, Corea, Giappone, Libano, Turchia, Israele. Tutte esperienze molto interessanti, anche sono molto affezionato all’Oriente e Tokyo è la città dove vivrei tranquillamente.

Com’è andata quest’ultima annata di “Unti e Bisunti”?

E’ stata la serie più seguita e la più complessa, sicuramente diversa dalla prima e dalla seconda. Nella progettazione del programma anch’io sono parte attiva, visto che comunque parla del sottoscritto e contribuisco all’ideazione dei contenuti.

Come scegli le città da visitare e in quali hai avuto più soddisfazioni?

Purtroppo non sempre posso scegliere perché ci sono delle esigenze di produzione, anche se il mio sogno sarebbe stato di andare all’estero per raccontare diverse città e realtà. Sicuramente Girona e la Costa Brava non erano tra le mie mete preferite, ma una volta lì ho scoperto una realtà fantastica. Non si finisce mai di imparare e di conseguenza si hanno a volte dei preconcetti di partenza quando invece poi si rivelano super interessanti.

La tua ironia ha suscitato polemica nella rete e tra i vegani.

Questa ira vegana non è mai esistita, è stato solo un titolo ripreso da alcune testate giornalistiche e da commenti che hanno criticato gli scatti in modo poco ortodosso. Così ho risposto a tono…di conseguenza si è scatenata una rivolta dei fan vegani, quando invece sono il primo ad avere amici vegani.

Nelle foto pastorali che hanno suscitato tanto scalpore ci sono immagini rurali legati al territorio di Parma, in cui tra l’altro ho vissuto e mi sembrava giusto rendere omaggio alla città.

Se apro il tuo guardaroba?

Troverai soprattutto magliette, shorts, infradito…da aprile a ottobre preferisco stare a piedi nudi, poi se il meteo rema contro mi metto pure le scarpe!

E l’eleganza….

L’ultima ricorrenza in cui mi sono vestito formale è stata a un matrimonio di un mio amico. Per questa e altre occasione scelgo sempre un abito su misura.

Il messaggio che vorresti lanciare col tuo programma?

Amare e rispettare il prossimo, rendere partecipe le persone che si hanno attorno e che tutto quello che eravamo e siamo stati non può essere dimenticato per un futuro migliore, ma ci deve essere una connessione tra passato e futuro che faccia vivere il presente nel miglior modo possibile. Il cibo è un fil rouge attorno cui ruotano temi sociologici e antropologici, ma traspare solo a chi vuole vuole approfondire il tema.

Photo | Roberta Krasnig
Style | Peter Cardona
Grooming | Veronica Caboni
Special Thanks | Lanificio Roma

@Riproduzione Riservata

ALESSANDRO SARTORI

Un marchio sinonimo di heritage e lusso maschile. Dal 1895 a oggi un percorso nel segno di una qualità assoluta, stile e saper fare che rendono personale e senza tempo ogni creazione firmata Berluti. Da bottier prima a couturier per uomo dopo, il percorso creativo del brand guidato da Alessandro Sartori è tutto nel segno della coerenza con il DNA della maison che ha puntato sulla manualità creativa con un tocco non convenzionale. Oggi Berluti festeggia il 120esimo anniversario con un libro intitolato At Their Feet (edito da Rizzoli), un progetto che narra il legame tra lo stile e il savoir faire, valori che contraddistinguono la Maison. Il libro in edizione limitata vuole essere non solo un tributo alla maison, che nel corso degli anni ha conquistato i nomi più illustri nel mondo dell’arte, della musica e del cinema, ma anche raccontare in modo ironico tramite aneddoti e foto i personaggi più emblematici testimonial dell’eccellenza Berluti. Si spazia da Andy Warhol, Dean Martin, Patti Smith, Yves Saint Laurent fino a Maurizio Cattelan o Sylvester Stallone.
Abbiamo incontrato Alessandro Sartori a Milano nella boutique in Via Sant’Andrea 16 per farci raccontare le ultime novità e avere un’anteprima della prossima collezione autunno/inverno.

Come senti l’atmosfera a Parigi dopo l’attentato?

Parigi è una città che vive di contrasti tra ricerca, radici culturali più conservative e la modernità. Si sente c’è stata una rottura, una violenza sotto tutti i punti di vista. Per giorni interi in giro per le strade si sono viste poche persone. Poi si è smesso di parlarne. La settimana della moda a gennaio sarà il primo grande evento dopo la tragedia.

I tuoi luoghi in giro per la città

Sono innamorato della fotografia e svegliandomi di mattina presto vado a fotografare i luoghi che mi interessano. Mi piace molto vivere a piedi Parigi. Mi piace la zona dell’ottavo vicino all’ufficio, il giardino delle Tuileries, la zona del Canal St Martin, l’area della Sorbonne o quella dietro a Montmartre.

Il percorso da heritage brand di calzature fino all’alta sartorialità maschile

Mi piace lavorare con i bottier e couturier, laboratori e sartorie che realizzano questi prodotti straordinari. La proprietà ha creduto nel progetto e ha investito sulla parte sartoriale, puntando sui diversi atelier del fatto a mano che abbiamo a Parigi. Il fatto di poter lavorare a stretto contatto con un atelier (per la parte moda) e un bottier di calzature è stato determinante per il mio trasferimento a Parigi. Queste realtà rappresentano le fondamenta di Berluti, che è nato come maison esclusivamente su misura e non aveva disponibili calzature pronte. Oggi il business del bespoke raggiunge il 10% del fatturato con un prodotto realizzato completamente a mano. Il disegno e il modello nascono dalla forma e desiderata del cliente sia per la calzatura, sia per l’abbigliamento. Nonostante in questo momento sia forte il trend dello sportswear, il prodotto fatto a mano e il tailoring su misura riscuotono un grande successo. Dalla scarpa classica, l’abito di cashmere fino all’intramontabile cappotto in vicugna. Questo ha imposto un aumento dell’organico nei laboratori sartoriali che porterà alla fine del prossimo anno a raggiungere 30 bottier per le scarpe fatte a mano e 25 sarti. Il fatto mettere al centro del progetto i due atelier mi ha fatto decidere di intraprendere questo nuovo percorso. La scarpa resta al centro del progetto ma con lavorazioni e colori particolari come il melanzana o il petrolio. Uno stile con un tocco ironico che gioca sui dettagli e nella parte moda si caratterizza per una silhouette decostruita, volumi importanti e sensibilità per il colore.

Come vedi evolvere il gusto dell’uomo?

L’uomo ha più voglia e necessità di personalizzare il proprio guardaroba perché c’è molta più conoscenza e cultura di quello che sta bene. Chi entra nelle nostre boutique ha le idee chiare su forme e tessuti, oltre una certa educazione all’abbigliamento. Questo cluster di persone ha portato alla crescita di questo tipo di prodotto. Mi piace vedere però che anche giovani di 25 anni chiedono prodotti su misura. L’ironia è una chiave di lettura per l’uomo Berluti ed è sempre presente nel DNA della maison. Olga Berluti stessa aveva sempre un tocco di eccentricità. Una caratteristica che si ritrova sempre nelle collezioni attuali.

Un’anteprima sulla prossima sfilata

Il brand è pronto per un cambio di passo. Per il prossimo autunno/inverno stiamo lavorando su colori, stampe e grafiche più forti grazie alla collaborazione con un artista americano con cui ho avviato una collaborazione per una serie di prodotti unici. Questi saranno poi personalizzabili nel servizio bespoke con le grafiche e i colori preferiti dal cliente. E’ un concetto forte: il catwalk arriva al bespoke in presa diretta e con il servizio di personalizzazione.

Oltre alla moda, quali passioni coltivi?

Principalmente ho due passioni: sono particolarmente interessato alla fotografia e seguo una serie di artisti contemporanei italiani e non, che sono visivamente forti e mi emozionano come Giovanni Manfredini, Roberto Coda Zabetta, Vanessa Beecroft, Candida Höfer. La seconda passione è legata alle auto storiche, tra l’altro ho una Ford mustang del 1965 e ho preso da poco una vecchissima Porsche turbo color bronzo.

Segui qualcuno su Instagram in particolare?

Seguo parecchi fotografi anche non conosciuti, tra cui alcuni nomi interessanti dalla Turchia come Mustafa Seven, che ha circa 1 milione e mezzo di followers. Tra gli altri nomi per me interessanti sono: Daniel Arsham, una ragazza messicana Adriana Zehbrauskas, che ha vinto tra l’altro un premio di recente o anche Aaron Brimhall, un ragazzo che fotografa soprattutto paesaggi, motociclette e auto. Vista la mia passione, mi piacciono le applicazioni per per modificare le foto scattate su camere digitali.

Quando viaggi cosa non manca nella tua valigia?

Di solito preparo sempre due borse anche per brevi viaggi. Sicuramente mi porto dietro una borsa a mano in cui metto il kit di sopravvivenza tra cui macchina fotografica con due obiettivi, Ipad, caricatori, cuffie e l’outfit per un giorno se dovessi perdere l’altra valigia.

@Riproduzione Riservata