Il Bisonte guarda lontano, ma è fedele al suo territorio

Cover_Sofia Ciucchi_ad Il Bisonte 

Con Sofia Ciucchi un excursus nel mondo de, Il Bisonte. Dalla riattivazione stilistica alle aperture worldwide, dall’ideazione del km 30 all’Australia – passando per la ricchezza dell’heritage e per l’anti convenzionalità delle creazioni – l’AD dello storico brand toscano di pelletteria racconta il nuovo corso del marchio, ideato nel 1970 da Wanny Di Filippo (attuale presidente del consiglio di amministrazione), che, oggi come allora, parte dai dintorni di Pontassieve, per raggiungere l’altro capo del mondo.

Altro che grandi praterie nordamericane, Il Bisonte si muove circoscritto in un raggio di 30km, nei dintorni di Pontassieve. E non oltre. Infatti, per la storica label toscana di borse e di pelletteria è fondamentale mantenere intatto il know-how artigianale e ben salde le radici territoriali, pur guardando lontano: ai Paesi oltreoceano e anche al sud-est asiatico, ancora da esplorare con i suoi prodotti. Questa sostanziale filiera corta è stata protagonista di una video installazione, curata dallo story teller digitale Felice Limosani, nella nuova showroom di Palazzo Corsini, a Firenze, durante la recente edizione di Pitti Immagine Uomo. A raccontarla e a illustrare il futuro del marchio interprete della vacchetta conciata al vegetale, l’ad Sofia Ciucchi, che ha preso le redini de Il Bisonte dopo Wanny Di Filippo, cuore e anima del brand nato nel 1970.

Com’è nata questa idea del km 30?
È un po’ il racconto della marca attraverso la sua struttura e la filiera. Siamo partiti come in un gioco perché quando sono arrivata in azienda, vedendo i vari fornitori e cercando di capire la provenienza di ogni componente, ho scoperto, ogni volta, un piccolo paese nelle vicinanze di Pontassieve e quindi ridendo, ho detto che non stiamo lavorando a chilometro zero, ma a km30, ed è la verità. Anche con l’installazione nella nostra showroom, che abbiamo sviluppato assieme a Felice Limosani, dove abbiamo rappresentato una mappa – così come si fa con Google Maps – ci siamo divertiti a indicare i paesi da cui provengono i componenti principali delle borse e della piccola pelletteria. Effettivamente tutto si svolge nell’ambito di un territorio ben definito, della Val di Sieve, del Mugello, a Est di Firenze in cui, da sempre, la marca opera e produce. Solo il pellame d’elezione, che è la vacchetta conciata vegetale, viene da più lontano, da Santa Croce sull’Arno a 50km, ma è tutto prodotto in Toscana. Ci sembrava un racconto di particolare interesse oggi, non per celebrare l’immagine del prodotto toscano e della fiorentinità, ma per ribadire la sostanza vera di territorio, di valori, del saper fare e anche di un certo tipo di gusto e di stile. Questa specificità abbiamo voluto raccontarla, senza avere complessi, pensando che una realtà territoriale forte e con radici salde, anche in un distretto di provincia, non impedisce di arrivare all’altro capo del mondo con i suoi modelli, come fa Il Bisonte da quasi 50anni.

Qual è il Paese più lontano che raggiungete?
L’Australia, però quello più importante è il Giappone che, ormai da decenni, rappresenta la maggior parte del nostro fatturato. Lì abbiamo 38 negozi monomarca, gestiti da un distributore. Il Giappone apprezza questo tipo di prodotto, la sua storia, il fatto che invecchia bene, per la pelle con cui è fatto, sviluppando un rapporto molto personale con chi lo indossa. L’invecchiamento è diverso a seconda dell’uso che se ne fa, quindi anche la patina che viene sopra e anche l’abbronzatura dipende da quanta esposizione alla luce del sole e da quanto contatto con la pelle c’è stato.

Se dovesse dare un peso specifico all’heritage del marchio?
Trovo che avere una storia, un heritage e anche un fondatore che ancora vive nella marca – è il presidente del nostro consiglio d’amministrazione – coinvolto nelle attività d’immagine e di comunicazione, sia una ricchezza eccezionale. È quello che alla fine distingue il marchio, che esprime un punto di vista sullo stile e sulla vita. Stiamo lavorando per recuperare al massimo ed evolvere questo heritage.

Di che cosa Il Bisonte non può fare a meno?
Sicuramente della vacchetta; poi non può fare a meno del livello speciale di artigianalità che solo un made in Italy può dare. E di uno spirito anti convenzionale che fa la differenza tra noi e i competitor di pelletteria toscana.

Cinque cose che Il Bisonte garantisce?
Personalità, unicità del prodotto, grande qualità, valore. Nel rapporto con il prezzo credo che diamo una qualità abbastanza unica. E poi il calore. Sono un prodotto e un marchio molto personali.

Cosa state preparando per il futuro?
Stiamo lavorando sia sul prodotto e sia sulla marca. C’è una riattivazione da un punto di vista stilistico e anche di marketing e comunicazione, inoltre stiamo operando attivamente sulla parte distributiva. Il prossimo step importante è il ritorno a Parigi. Per noi il mercato francese è sempre stato una piazza d’elezione. Abbiamo due piccole boutique che stiamo ristrutturando e, alla fine di gennaio, apriremo un pop up che rimarrà on stage fino a giugno, in zona Rue du Faubourg Saint-Honoré, dove l’idea è di rappresentare la marca con il suo heritage, ma anche con il suo spirito un po’ scanzonato.

Quanti negozi monomarca ci sono nel mondo?
Quelli gestiti direttamente sono gli europei. Ad oggi sono sette, ma sono destinati a diventare otto con quello di Parigi e stiamo lavorando su altri progetti di rafforzamento su Londra e un’altra piazza europea. Sono due a Roma, due a Parigi, uno a Londra, quello storico di Firenze e uno di recente apertura a Milano in via Santo Spirito, che rappresenta il nuovo concept de Il Bisonte, con un mix di elementi vintage e iconici e con un’interpretazione un po’ più nuova. In termini di monomarca indiretti ne abbiamo altri 50, 38 in Giappone e altri 12 nel resto dell’Asia, tra Hong Kong, Indonesia, Taiwan e Corea.

E il mercato americano?
È stato estremamente importante fino a qualche decennio fa e ritengo che sia abbastanza in linea con il nostro gusto. Ci crediamo molto e stiamo cercando di farlo ripartire con slancio. Per ora siamo presenti soltanto con una distribuzione multimarca; abbiamo iniziato a luglio una collaborazione con una showroom a New York e stiamo ipotizzando l’apertura di un paio di punti vendita diretti.

Dove?
Costa Est e Costa Ovest. Tra l’altro il marchio è particolarmente amato in California quindi, al di là di New York, l’idea è di avere un punto vendita proprio lì.

Come si è chiuso il fatturato del 2017?
Un po’ sopra i 27 milioni, con una crescita di quasi il 30% e stiamo affrontando il 2018 con obiettivi analoghi. Vogliamo mantenerci su questo tipo di sviluppo, sfruttando anche un’espansione di perimetro che per il marchio è ancora possibile fare. Abbiamo molte opportunità nel sud-est asiatico ancora da esplorare e non siamo presenti in Cina. Inoltre, l’America è sicuramente il mercato nel quale provare a crescere.

Chi è il vostro cliente tipo?
È difficile da definire in termini di fascia d’età e di reddito. Direi che si caratterizza più per un certo stile. Abbiamo dei Paesi come il Giappone dove il nostro cliente è giovanissimo, dai 20 ai 35 anni, invece nei mercati europeo e statunitense è più maturo. Quello che collega tutti è l’occhio un po’ sportivo, però che sa apprezzare il prodotto bello e ben fatto. Sono persone che non gradiscono le metallerie troppo evidenti e a cui piace distinguersi dal gusto di massa.

C’è una frase per identificare il marchio?
Ne cito due che sono di Wanny (Di Filippo, il fondatore, ndr.) e che sono strepitose. Il motto della sua partenza è stato: “Se lo posso disegnare, lo posso anche realizzare”. L’altro è, “libertà, amici, salute”, alla fine sono i valori forti e veri di un marchio vicino alla vita delle persone.

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