Casablanca, il brand che unisce effortless chic parigino e influenze marocchine

Nell’immaginario comune il nome Casablanca, oltre alla città nel nord del Marocco, evoca le scene di uno dei film più celebri di tutti i tempi, espressione dello star system hollywoodiano incarnato dai protagonisti Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Da due anni a questa parte, tuttavia, identifica anche una tra le più interessanti griffe di ready-to-wear maschile, nota innanzitutto a connoisseur e frequentatori dell’ambiente creativo di Parigi (città dove ha esordito in passerella nel 2019) ma in grado di farsi conoscere, ed apprezzare, ben oltre i confini nazionali.

Dietro l’ascesa fulminea di Casablanca c’è lo stilista franco-marocchino Charaf Tajer, distintosi in precedenza come co-fondatore di Pigalle (marchio street molto quotato oltralpe), collaboratore di Virgil Abloh e animatore della nightlife parigina con il locale Le Pompon, deciso a riportare in auge una visione assai sofisticata e nostalgica dell’abbigliamento vacanziero – quello che un volta caratterizzava il relax nelle località turistiche più elitarie – unendo idealmente le due città della sua vita, la Ville Lumière e Casablanca, appunto. Il nome omaggia il luogo in cui i genitori si sono conosciuti e hanno lavorato (nello stesso atelier) prima di trasferirsi nella capitale francese, dove Tajer è cresciuto in un milieu improntato su moda, arte ed architettura, specializzandosi all’università proprio in quest’ultima disciplina.

L’identità della label, come detto, risulta da un amalgama dello stile parigino e nordafricano, in cui l’eleganza studiata ed effortless al tempo stesso del primo si fonde alle linee morbide e alle cromie, ora intense ora soffuse, del secondo. Lo stesso designer racchiude il concetto nella definizione di «brand francese con un souvenir del Marocco».
Gli abiti Casablanca sprigionano un flair tipicamente seventies: bandite le vestibilità fascianti divenute ormai prassi nel menswear, le forme sono quasi sempre abbondanti, i pants sciolti bilanciano il taglio sagomato delle giacche, generalmente doppiopetto e dai revers a lancia, mentre i jeans, più accostati, seguono la silhouette senza però costringerla. Parliamo di mise che, in passato, avrebbero potuto sfoggiare gli avventori di un resort tropicale a cinque stelle, o di un hotel di montagna altrettanto esclusivo, per godersi un cocktail dopo una sessione in palestra, un trattamento nella spa e via dicendo.



Nonostante la prima collezione risalga alla primavera/estate 2019 e sia stata mostrata in uno showroom improvvisato in casa, raccogliendo comunque il favore dei buyer arrivati a Parigi per i défilé stagionali (incuriositi, pare, da alcuni scatti pubblicati su Instagram), il debutto vero e proprio coincide con lo show per la successiva stagione autunno/inverno 2019-20. Sono qui già presenti quelli che diventeranno i must della griffe, vale a dire camicie in seta dalle stampe lussureggianti (nel caso specifico paesaggi marini, frutti, colonne in marmo), tracksuit dalla mano soffice, completi pajamas, grafiche acquerellate distribuite sull’intero outfit, il tutto declinato in una palette che alterna tonalità sorbetto e nuance piene quali arancione, blu cobalto e bordeaux.

Nella successiva sfilata p/e 2020 aumenta la varietà della proposte, includendo polo lavorate a maglia, giubbini in camoscio, shorts con coulisse, abiti décontracté, pantaloni fluidi alternati a modelli più lineari. Per l’a/i di quest’anno cambiano le reference – una vacanza invernale sul Lago di Garda – ma non la sostanza, perché le uscite in passerella rivelano un gusto decisamente vintage, tra maglioni intarsiati in cachemire, shearling jacket, suit simili ai tailleur femminili, giacconi trapuntati, vezzosi foulard stretti al collo, check e pattern geometrici dalle dimensioni extra. In occasione della Paris Fashion Week Men’s dello scorso luglio, invece, Tajer opta per una presentazione digitale, consolidando la propria vocazione al leisurewear tra completi da tennis ricamati, flared pants con piega al centro, sahariane, pullover marinière e tute percorse da bande laterali.


Credits Foto 1: Charles Michalet


Proprio l’annus horribilis che stiamo vivendo ha finora rappresentato uno snodo cruciale nel percorso di crescita del brand: a gennaio viene infatti svelata la collaborazione con New Balance, che vede le sneakers 327 dell’azienda Usa colorarsi di quelle sfumature di arancio e verde così ricorrenti nell’abbigliamento Casablanca (la partnership proseguirà poi con due nuove versioni della medesima silhouette, accese da tocchi di colore scuro sulla tomaia). Arriva, quindi, la selezione nella rosa degli otto candidati alla finale del LVMH Prize 2020, successivamente cancellata a causa della pandemia di Covid-19, seguita qualche mese dopo dalla prima prova nel womenswear, inaugurato con una selezione di quindici tra capi e accessori venduti in esclusiva su Net-a-porter. A settembre è infine la volta di un’altra capsule per 24S, la piattaforma dedicata all’e-commerce della holding del lusso LVMH.

Va sottolineato come Casablanca mantenga fin dall’inizio un rapporto privilegiato con i retailer di alto profilo: se le prime collezioni sono state selezionate da boutique del livello di Maxfield  e United Arrows, scorrendo l’elenco degli attuali rivenditori troviamo nomi quali Harvey Nichols, Selfridges, Lane Crawford, Tsum e Galeries Lafayette, per un totale di oltre cento store.
Risultati di tutto rispetto per chi, come Tajer, elude ogni categorizzazione – a cominciare da quella di ennesima rivisitazione dello streetwear – sostenendo semplicemente che il proprio marchio, al di là di «cosa sia o non sia il cool, è incentrato invece sulla bellezza».

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