Creative Class: talking with Simon Foxton

Classe 1961, Simon Foxton è considerato uno dei creativi e stylist più influenti e visionari del panorama internazionale.  Dopo essersi laureato in fashion design al Central Saint Martins nel lontano 1983 e aver lanciato il suo marchio Bazooka, ha iniziato a lavorare per il magazine i-D e successivamente ha intrapreso una lunga collaborazione con Nick Knight, diventando poi direttore artistico del magazine.  Foxton è riuscito nel mescolare e far convergere in modo sperimentale l’abbigliamento sportivo, il tailoring, lo streetwear fino al fetish.  La sua estetica ha contribuito a delineare un nuovo immaginario e stile maschile.  In occasione dell’uscita del libro dedicato a Stone Island lo abbiamo intervistato parlando del suo percorso e delle prospettive future per la moda.

Qual’è stato il tuo percorso di studi e come hai scoperto la tua passione per la fotografia e la moda?

Simon Foxton:  Ho frequentato la Central Saint Martins School of Art tra il 1979 e il 1983 che ha rappresentato un periodo molto bello e intenso.  È stato il momento migliore nel quale essere giovane e frequentare una scuola d’arte, soprattutto a Londra!  Non credo di essere stato uno studente particolarmente diligente, ma mi sono fatto molti amici e con molti di essi sono ancora oggi particolarmente legato.  C’era molto da divertirsi, andavamo nelle discoteche e alle feste, è stato davvero fantastico.  Poi, mi è sempre piaciuto leggere attentamente le riviste e amavo le immagini, ma non avevo mai pensato di crearne di nuove.  Solo dopo aver lasciato l’università e aver iniziato a disegnare, mi sono reso conto di quanto fosse difficile e richiedesse tempo.  Successivamente, una mia cara amica, Caryn Franklin all’epoca Fashion Director di i-D, mi chiese se fossi interessato a fare un po’ di styling per il magazine.  Così ho provato e mi sono subito reso conto che sembrava la cosa adatta per me.  Mi è piaciuta la sua immediatezza.  C’era un’idea, c’erano i vestiti, li fotografavo ed era tutto immediato!  Basta con le ordinazioni di tessuti, i rapporti con I sarti, le consegne nei negozi, ecc.  Era una tale seccatura… Ho sempre preferito la via più semplice.

Vieni considerato come uno dei principali creatori di immagini della moda maschile.  Dove hai visto maggiori cambiamenti in questi ultimi anni?

Non sono certo di aver mai creato realmente “fashion looks”.  Sono un creatore di immagini da un po’ di tempo ormai, ma è solo perché sono in giro da molto tempo e non sono ancora deceduto.  Spesso mi viene posta questa domanda e non sono mai sicuro di come rispondere.  Credo che il più grande cambiamento sia la dimensione e la portata dell’industria della moda.  C’è un’enorme ricchezza investita in questo ambito che è diventato un ambiente di lavoro molto più rischioso.  All’inizio le cose erano molto più rilassate.  Quando facevo le riprese per le riviste, i crediti erano più un suggerimento che una necessità.  Siamo stati lasciati da soli a creare ciò che volevamo, non c’erano direttori artistici o dipartimenti commerciali a interferire.  È solo recentemente che mi sono reso conto di quanto sono stato fortunato a crescere fotografando in quel tipo di cultura.  Naturalmente non tutto era fantastico e alcuni dei lavori erano  auto-referenziati, ma il bello era che potevamo sperimentare e anche fallire.  Il fallimento è una parte cruciale del processo creativo.  Purtroppo questo non è più permesso in un mondo dove la moda si caratterizza con cospicui investimenti, forti competizioni e  e rigide organizzazioni.

Hai iniziato con la rivista i-D nel 1984.  Raccontaci alcune storie particolari sul tuo lavoro di allora e su come questa esperienza ha plasmato la tua vita professionale e privata.

Non credo di avere storie particolari da raccontare.  Non sono una persona particolarmente pazza o drammatica.  Penso che l’impatto più evidente sulla mia vita personale e professionale venga dalle persone che ho incontrato per lavoro.  Da quando ho incontrato e lavorato con Nick Knight subito dall’inizio, a quando ho chiesto a Edward Enninful di fare da modello per me e poi di diventare il mio assistente.  Allo stesso modo, ho fatto un casting per strada con Steve McQueen per un servizio fotografico su i-D e siamo diventati molto amici.  Inoltre, grazie ad un incontro con il fotografo Jason Evans, che stava facendo uno stage con Nick Knight, ho iniziato a lavorare insieme a lui a partire dal  1990.  Non posso dimenticare tutti gli altri meravigliosi assistenti che ho avuto nel corso degli anni, come Jonathan Kaye (ora a The Gentlewoman) o Elgar Johnson (a GQ Style), o Nick Griffiths con il quale ho ancora l’attività creativa &SON.  Ho lavorato con la meravigliosa Penny Martin di Showstudio che ora è l’editore di The Gentlewoman.  Sono ancora tutti amici molto cari e persone estremamente importanti nella mia vita.

Potresti selezionare 5 foto dalla tua home di Instagram che sono particolarmente importanti e significative per te e spiegarci il motivo?

Nick Knight -i-D magazine , 1986

Uno scatto davvero memorabile.  Lo abbiamo scattato di notte, girando fra le vie attorno a vecchi magazzini vicino al Tower Bridge.  Era completamente deserto, abbandonato.  Ora sono stati trasformati in veri e propri appartamenti e spazi di lavoro che costano milioni di sterline.  Il fuoco di fronte ai ragazzi, in realtá, è stato realizzato grazie a me che passavo davanti con un grande rastrello di metallo, avvolto in un pezzo di carta ed incendiato.  

Questo invece fa parte di uno shooting che io e Jason abbiamo scattato e che abbiamo chiamato “Strictly.”  L’abbiamo scattata fra stradine periferiche attorno a casa mia ad Ealing.  Al tempo, il modello era Edward e mi ha aiutato molto con il casting.  È stato molto divertente scattarlo e anche il feedback è stato positivo.

Jason Evans , i-D magazine 1991 .  Model – Edward Enninful .

Ben Dunbar-Brunton , i-D magazine 2009 

Ho sempre amato questo scatto del modello Dominique Hollington che ho fatto con Ben.  Molto semplice ma allo stesso tempo di grande effetto.  

Questa è la scena di un film che io e Nick abbiamo fatto per la mostra retrospettiva di Walter van Beirendonck’s ad Anversa.  Ho avuto accesso all’intero archivio di Walter e mi ha permesso di mixare le sue collezioni per creare dei look grintosi.  È stato davvero molto divertente.  

Questa é una sorta di foto del backstage che ho scattato in un set che Nick Knight ed io abbiamo chiamato Frillaz!  Ho vestito questi ragazzi dall’aspetto piuttosto duro con degli abiti a balze che ho trovato online, da un sito fetish per bambini adulti.  Li avevo preavvisati riguardo alle immagini che avrei voluto scattare, ma ero comunque piuttosto nervoso della reazione che avrebbero potuto avere.  Tuttavia, hanno reagito positivamente ed è stato fantastico.

Hai lavorato con una mente veramente creativa come Nick Knight.  Chi sono i fotografi/persone creative più stimolanti per te?

Nick Knight lo trovo ancora molto stimolante.  È molto creativo e una persona molto entusiasmante con cui lavorare.  Lavorare con Nick ti fa sentire sempre in mani sicure.  In un modo diverso, Jason Evans è un fotografo estremamente stimolante perché si interroga sulle cose, ti fa mettere in discussione te stesso.  Non in modo arrogante, piuttosto in un modo costruttivo per creare qualcosa di totalmente nuovo.  Infine, ho sempre ammirato il lavoro di Jean-Paul Goude e devo dire che amo le sue creazioni.

Com’è stato lavorare alla mostra “When you’re a boy”?

 Beh, è stata un’idea di Penny Martin.  L’ha curata e ha fatto tutto il duro lavoro per mettere insieme la mostra.  E’ stato molto emozionante avere una mostra dedicata esclusivamente al mio lavoro alla Photographer’s Gallery.  Non mi è piaciuto essere al centro dell’attenzione nelle serate di apertura, ecc.  Sono piuttosto inutile in tutte queste cose e preferisco stare più sullo sfondo.  Tuttavia, una volta che la mostra è stata allestita e ha preso vita, mi sono divertito molto anche io nel vederla, quasi come se guardassi il lavoro di qualcun altro.

Come sta cambiando il tuo lavoro durante questa pandemia globale?

Sto continuando a lavorare con Stone Island, ma siccome sono considerato nella categoria ad alto rischio mi sto auto-isolando.  Per questa ragione sto facendo la mia consulenza tramite la piattaforma Zoom, che è stata una manna dal cielo.  L’anno scorso ho rinunciato agli shooting per gli editoriali e al mio lavoro di insegnamento. 

Che tipo di relazione hai con i social network?

Sono spesso su Facebook solo per vedere cosa fanno gli amici o per guardare video insensati.  Sembra che Facebook sia ormai popolato solo da vecchi strambi  come me.  Non credo che i giovani lo usino più.  Instagram è divertente, ma anche in questo caso è piuttosto insensato.  Mi piace pubblicare le foto che scatto quando vedo qualcosa di notevole o bello, altrimenti non mi preoccupo.  Tutte quelle foto di cibo, o di bambini…  Datemi un po’ di tregua! 

 Ho usato Tumblr per anni e mi è piaciuto moltissimo, ma poi l’hanno rovinato con la loro posizione puritana antiporno che ha eliminato qualsiasi cosa anche solo vagamente spinta.  Ho chiuso il mio account e da allora non l’ho più usato.  Ho trasferito alcune immagini sul mio profilo Instagram “foxtonscrapbooks”, ma non è la stessa cosa ad essere sinceri.  Twitter lo uso per le notizie, questo è tutto.  Io non twitto.  Non ho mai avuto a che fare con tutto ciò in realtà.  Per quanto riguarda gli altri social reputo che siano per bambini e  quindi non mi interesso di loro.

Come hai lavorato al libro di Stone Island? E quale è stata la sfida nella realizzazione del libro?

Io e il mio partner di lavoro Nick Griffiths abbiamo lavorato con Stone Island per gli ultimi 12-13 anni.  Ci occupiamo della regia, del casting e delle riprese di tutte le campagne e di altre immagini fotografiche.  Nick realizza molte delle immagini in movimento per le loro piattaforme online.  Ci consultiamo anche con il team di design per dare un contributo alle collezioni, e siamo coinvolti in molti altri aspetti del marchio.  Sabina Rivetti di Stone Island mi ha contattato un paio di anni fa con l’idea di fare un libro.  Credo che all’epoca avesse già l’editore Eugene Rabkin e Rizzoli come publisher.  Il mio ruolo come direttore artistico era proprio quello di guidare il lavoro e fare in modo che rimanesse fedele al “linguaggio” di Stone Island.  Deve essere moderno, reale e con stile quasi industriale.  Niente di troppo appariscente o troppo progettato.  Ho scelto Rory McCartney come designer per il libro, perché abbiamo lavorato con lui all’ultimo, “Stone Island, Archivio” e in questo modo ha capito bene l’estetica di tutto il progetto.  Abbiamo passato molto tempo a cercare tra le masse di immagini per trovare foto che si sperava fossero interessanti e informative, ma che non erano già state utilizzate in altre pubblicazioni.  Abbiamo avuto l’assistenza di una meravigliosa ricercatrice fotografica, Sarah Cleaver, che ha fatto un lavoro straordinario.  Credo che la sfida principale sia stata quella di mantenere il linguaggio visivo pulito e spassionato del marchio, ma di produrre un libro che fosse interessante da vedere.  Speriamo di esserci riusciti.

Ci dica qualcosa sui suoi progetti futuri…  le piace ancora lavorare nella moda?

Al momento con il modo in cui va il mondo non ho fatto grandi progetti.  Prendo ogni giorno come viene.  Mi piace ancora molto lavorare con Stone Island, è un’azienda fantastica per cui lavorare, ma ad essere onesti, mi sono piuttosto disinnamorato della moda e delle riviste.  Ho smesso di girare editoriali di moda perché trovo i parametri che le riviste fissano e l’aderenza ai crediti che impongono sono troppo soffocanti.  Forse sto diventando troppo vecchio per tutto questo.  Vediamo cosa succede!

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