Giulio Greco, tra editoria e recitazione nel segno della curiosità

Multitasking è uno di quegli inglesismi (ab)usati fino a suonare come formule prive di reale significato, eppure davanti alla biografia di Giulio Greco, trentenne dai molti talenti, aria radiosa e piglio energico, è difficile trovare un termine più calzante. Non si limita, infatti, alla recitazione, muovendosi tra set e palcoscenici, film quali On Air – Storia di un successo, Hard Night Falling o Tafanos e pièces, ma ha cofondato la Giuliano Ladolfi Editore (con cui ha pubblicato il romanzo In concerto), si è laureato in scienze politiche e, una volta deciso di concentrarsi sulla carriera attoriale, ha perfezionato gli studi presso accademie, masterclass e soggiorni negli States, spinto sempre dalla curiosità, un motore inesauribile che, insieme alla grinta, permette di «capire un pezzetto alla volta chi siamo, entrando in contatto con persone che la pensano nei modi più diversi»; che, a ben guardare, è una descrizione efficace del lavoro dell’attore.



Hai titoli in uscita o sei impegnato in progetti di cui vuoi parlarci?

Quest’anno escono due film cui ho preso parte, uno è Rosaline, sorta di reboot di Romeo e Giulietta (Rosaline è infatti la cugina di quest’ultima, al centro di un intrigo amoroso).
L’altro è Francesco stories, particolarissimo perché pensato specificamente per Instagram. Il protagonista racconta momenti della sua vita attraverso il telefono, con l’obiettivo di coinvolgere appieno gli spettatori, facendogli vivere la storia in contemporanea ai personaggi, tra cui il musicista da me interpretato; tra l’altro amo cantare, quindi è stato bellissimo avere l’opportunità di farlo in scena.
Si è trattato di una sfida appassionante ma difficile sotto il profilo tecnico, abbiamo girato per buona parte in piano sequenza e bisognava lavorare nel formato 9:16.
Al momento sto preparando una pièce in Belgio, Le lacrime di Nietzsche (Les larmes de Nietzsche nell’originale), capitatami in modo un po’ “rocambolesco”, chiacchierando col regista dopo essere andato a vedere un’altra sua opera a teatro; mi ha proposto il provino per il ruolo di Freud da giovane, nel giro di tre giorni è partito tutto.
È uno spettacolo complesso, tratto dal romanzo eponimo di Yalom: parla della psicanalisi inscenando delle sedute cui Freud e il suo maestro Breuer sottopongono il grande pensatore tedesco, finendo con una specie di rovesciamento ad essere analizzati dal paziente, per cui il filosofo influenza i due psichiatri. Alla fine ne escono, umanamente, tutti “migliori”, il pregio principale dell’opera credo risieda nella capacità di far ridere e piangere con uguale intensità, affrontando le domande esistenziali che tutti si pongono, scavando nella sfera intima.


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Scorrendo la bio si nota come il tuo percorso si discosti parecchio da quello lineare dell’attore: hai cofondato una casa editrice, ti sei laureato in scienze politiche, hai viaggiato all’estero per formarti nella recitazione… C’è un minimo comun denominatore tra tutte queste attività e interessi?

La curiosità, sono convinto che porti a sperimentare, ad avere feedback che, a loro volta, ci permettono di migliorare, nel senso di capire un pezzetto alla volta chi siamo, entrando in contatto con persone magari lontane da noi, che la pensano nei modi più diversi.
Un’altra parola chiave è grinta, da piccolo provavo una forte irrequietezza, che poteva magari sfociare in comportamenti aggressivi; ne soffrivo, ma col tempo ho capito che, per dirla con Eraclito, tutto scorre, e attraverso un lungo lavoro sono riuscito a canalizzare quest’energia in maniera costruttiva.
Con pazienza, curiosità e grinta, appunto, ogni cosa, compresa la sofferenza, può essere  declinata in positivo. Amo la vita, però mi suscita curiosità l’altro lato, la parte oscura dell’essere umano, in senso artistico ovvio.



Nel tuo curriculum c’è molto teatro, hai studiato alla scuola Quelli di Grock, recitato in numerosi spettacoli e diretto lo show Raffaello 2020; nello specifico, cosa apprezzi del genere, e quali esperienze ti hanno segnato maggiormente?

Alla prima domanda potrei rispondere semplicemente Le lacrime di Nietzsche, racchiude tutte le emozioni e sfaccettature di cui parlavo prima. Poi è chiaro che le esperienze dell’inizio, legate a Quelli di Grock, siano state fondamentali, estremamente formative.
Il teatro è meraviglioso, nonostante si basi sulla ripetizione permette sempre di trovare, all’interno di questa, delle novità, è un’arte viva in cui tutto ruota intorno alle persone, quando sono sul palco riesco a sentire distintamente la presenza del pubblico.
Raffaello 2020 era uno spettacolo olografico, una cosa particolare perché interpretavo l’artista in occasione del 500esimo anniversario della sua nascita, in una mostra immersiva alla Permanente di Milano, gestendo anche la parte di regia.

Restando sull’argomento, ci sono spettacoli che ti hanno lasciato un ricordo indelebile?

Un dramma visto a Parigi sull’autore del Cyrano Edmond Rostand, dalla qualità ed energia incredibili.
Cito anche Fuori Misura – Il Leopardi come non ve l’ha mai raccontato nessuno, mi ha impressionato constatare come un solo attore, Andrea Robbiano, potesse reggere tutto su di sé, dall’inizio alla fine.


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Parlando invece di set cinematografici, a quali sei più legato?

Sicuramente a On Air – Storia di un successo, ha rappresentato uno snodo fondamentale, sebbene a distanza di tempo penso che da un lato sia stato un gran bene, dall’altro mi abbia fatto male, nel senso che partendo in quarta ci si aspetta di andare sempre a mille, invece in questo mestiere non funziona così, ci sono continui alti e bassi.
Ora, con una consapevolezza diversa, avverto il desiderio di un nuovo film da protagonista, non per la fama, i soldi e il “contorno”, ma per il lavoro in sé, sento la necessità di tirar fuori tutto ciò che ho accumulato interiormente, quasi un’urgenza emotiva.
Reputo significativi anche i corti realizzati con gli studenti, ti danno la libertà di creare cose diverse, stabilendo un rapporto di parità.

Biondo, occhi azzurri, il physique du rôle del modello… Pensi che la bellezza possa aver contribuito a incasellarti in determinati personaggi, precludendotene altri?

Sì e mi chiedo come sia possibile che l’aspetto, ossia un dato di fatto (sono così, biondo, occhi chiari, sbarbato…), debba costringermi a sudare il doppio per convincere chi deve giudicarmi sul lavoro. Sono voluto andare in America per questo, lì a nessuno importa che tu sia alto, basso, magro, muscoloso ecc., prescindono dall’aspetto, oppure lo stravolgono rasandoti a zero, mettendoti lenti a contatto, facendoti ingrassare o dimagrire, il lavoro del resto consiste in questo!
Non capisco neppure perché l’attore italiano “medio” debba avere certe caratteristiche, come se esistesse un archetipo della categoria, senza contare che viviamo in un mondo globalizzato, eppure l’esteriorità rappresenta ancora un limite.
Ho avuto spesso a che fare con pregiudizi simili, come la convinzione secondo cui l’attore non dovrebbe fare il modello, quando persino Brad Pitt non disdegna le pubblicità ed è testimonial di Brioni.



Trovi che il cinema italiano stia effettivamente iniziando a rinnovarsi, a imboccare strade che fino a non molto tempo fa sarebbero risultate impraticabili?

Credo di sì, bisogna solo dare chance e supporto economico agli autori che si muovono in questa direzione, basta guardare Freaks Out, l’ultimo, fantastico film di Mainetti, uno che dal casting alla storia fa tutto a modo proprio.
Mi piacerebbe, poi, che si interrompesse il filone della criminalità organizzata, non ho nulla contro anzi, sono innamorato di Suburra, penso tuttavia che da una mole di soggetti sullo stesso argomento escano prodotti molto connotati a livello regionale, dunque napoletani, romani… Amo le città e culture menzionate, però più lavoriamo sulla dimensione micro, meno avremo una visione artistica di respiro internazionale, ancorandoci a un tipo di cinema che parla solo del (e al) posto in cui è ambientato.


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Pensi che per gli attori l’abito faccia il monaco, oppure è, al pari di altri, uno strumento al suo servizio? Tuo padre lavorava nella fashion industry, sei stato testimonial di diversi marchi, che rapporto hai con la moda?

Non penso che l’abito faccia il monaco, sebbene in quest’ambito un errore che spesso si compie sta nel giocarsi il costume, puntarci troppo insomma.
I costumi aiutano, indubbiamente, se per recitare devi indossare una giacca stretta avrai una fisicità del tutto diversa che se fossi in tuta, però sta a te, puoi magari apparire sciolto nella giacca stretta e rigido nella tuta.
Gli abiti sono al servizio dell’attore, personalmente mi sono trovato a indossare collane o anelli che non sarebbero apparsi sullo schermo, solo perché sentivo che potevano spingermi a calarmi meglio nella parte.
Il mondo della moda mi affascina, apprezzo gli shooting, sono una figata perché posso viverli da attore, ma nonostante mi sia stato proposto migliaia di volte, non sono mai stato un modello di professione, che va ai casting col book; è un settore complicato, dove si viene costantemente giudicati, in una società che già ci spinge a dare di continuo valutazioni, dai piatti del ristorante alle mail.



Cosa ti auguri per il futuro?

Vorrei fare del bene agli altri, mi hanno chiamato da poco per delle conferenze nelle scuole superiori, un’iniziativa davvero coinvolgente.
Mi piacerebbe prima o poi passare dietro la cinepresa, inoltre ho scritto un progetto e, fondi permettendo, spero di realizzarlo a breve.
Un altro possibile obiettivo è la conduzione, e poi continuare con la casa editrice, è stata – e rimane – un pilastro fondamentale, una palestra grandiosa tra lavori editoriali, incontri con gli autori e Giuliano, un secondo padre per me.
L’augurio è che ci siano sempre più persone intenzionate a fare da mentori ai giovani e questi, dal canto loro, prendano ad esempio uomini e donne così, non il tizio con milioni di follower che vende la felpa sui social.




Credits

Photographer & art director Davide Musto

Photographer assistants Valentina Ciampaglia, Dario Tucci

Stylist Alfredo Fabrizio

Stylist assistant Federica Mele

Nell’immagine in apertura, Giulio indossa t-shirt Gabriele Pasini

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