Inside Ballantyne con Fabio Gatto

Oggi l’azienda scozzese fondata nel 1921 grazie alla guida di Fabio Gatto, si rinnova con nuovi progetti e aggiungendo nuovi intarsi figurativi e lavorazioni per creare spettacolari sfumature. Si rivisitano e decostruiscono i capi che hanno reso famoso Ballantyne come i pullover con intarsi a rombo fatti a mano, o quelli con lavorazioni e pattern iconici per il brand: aran, a treccia, tartan, fisherman. E nasce anche il Ballantyne Lab, un progetto di ricerca e sperimentazione che partendo dagli archivi storici propone capsule collection innovative, vendute in selezionati punti vendita. Ne parliamo con Fabio Gatto, designer e imprenditore visionario che ha saputo traghettare l’azienda verso nuove sfide e mercati.

FABIO GATTO
FABIO GATTO

Da stilista e imprenditore come sei riuscito a combinare queste due facce di un percorso anche molto diverso?
Diventi imprenditore dopo che questo lavoro inizi ad amarlo in maniera viscerale. Sono arrivato in Ballantyne per sistemare un po’ le cose e poi pensare al brand. Poi, come spesso è accaduto nel mio percorso professionale, il sentimento ha poi influenzato le mie scelte. Mi sono innamorato di questo marchio e davanti all’archivio ho capito quante persone hanno lavorato con sensibilità e lungimiranza. Ecco perche brand come Chanel o Hermes si affidavano per fare le loro maglie.

Non ho mai pensato all’aspetto solo economico e di business, ma a quello di dare nuovo lustro a questo brand, praticando delle strade diverse.

Tra Italia e Scozia come stai organizzando la filiera produttiva?
Agli inizi per recuperare credibilità il primo step è stato di tornare a produrre in in Italia, in modo da avere contatto diretto col prodotto e con la materia prima. Poi non abbiamo fatto solamente “l’operazione Italia”, ma abbiamo ripreso anche “l’operazione Scozia” dopo anni. Ci siamo approdati constatando che della Scozia, di quel periodo, è rimasto poco. Quando sono arrivato lì mi hanno detto: “Ma come? Lei vuole la maglia che lei ha nell’archivio? Ma non vuole il prodotto di Brunello Cucinelli? Perché noi facciamo la maglia di Cucinelli.” E mi sono detto “Ho sbagliato tutto.” Dunque è stato faticoso e adesso stiamo capendo che se vogliamo aumentare la produzione in Scozia (oggi è il 10%, la vorrei far diventare almeno un 30%) devo diventare assolutamente un partner e  dunque io devo essere lì con loro e coinvolto perché allora le cose si fanno come le vuoi tu, diversamente sei uno dei tanti clienti.

Come sei riuscito a rileggere in modo moderno un elemento così riconoscibile come il rombo?
Questo era un sacrosanto dovere, noi dovevamo pensare di interpretare il passato con nuove vestibilità e colori. Il progetto del Lab deve servire a questo, per raccontare in chiave attuale e sperimentale il passato. La collezione, non dico conservatrice, ma rassicurante c’è sempre ma il Lab deve servire a comunicare il nostro pensiero. Io spero che un giorno questi pezzi saranno nell’archivio per testimoniare questo importante momento di cambiamento.

Sul Lab pensi anche di coinvolgere dei designer emergenti?
Sicuramente ci sarà un grandissimo lavoro sul Lab e tantissime novità. Questo è solamente un inizio per capire il sentimento e avere un primo feedback. Per questo ho deciso che non più di 13-15 punti vendita avranno in vendita la collezione del Ballantyne Lab. Saranno limited edition perché prima di tutto è impensabile industrializzare questo prodotto realizzato in una sorta di atelier dove viene costruita questa capsule. Questo però non vuol dire che non potrà avere uno sviluppo, anzi questo mi ha dato la possibilità di muovermi liberamente per quanto riguarda tempi e modi. Non sarà forse rivoluzionario, ma di sicuro molto moderno per approccio e design.

Come vedi il fenomeno del retail online?
Sappiamo che oggi c’è una minore frequentazione dei negozi, però non possiamo secondo me abbandonare e spostarci tutti sull’online, perderemmo una parte di italianità. E quell’idea di negozio-bottega che solo in Italia abbiamo. Sarebbe come perdere il Colosseo… Dunque noi dovremmo fare di tutto per conservare i nostri negozi, e non è una cosa impossibile, anche perché se tu analizzi, l’online è una cosa molto più fredda: tu clicchi, fai il tuo ordine, ti arriva, te lo guardi, capisci se piace o non. Vuoi mettere il calore di entrare in un negozio e trovare persone competenti che capiscono quello di cui tu hai bisogno, anche fosse il desiderio, mentre acquisti una maglia, di raccontare che ieri sei andato a vedere una mostra. È un aspetto da non trascurare, i negozi devono servire anche a questo. Io sto lavorando su questo anche per il nuovo e-shop di Ballantyne in modo da renderlo più accogliente se virtuale.

Cosa pensi di questa esplosione di Instagram come social media?
Penso che è un frutto di questi momenti, che non va demonizzato, anzi cerchiamo di estrapolarne il buono. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno rispetto al mezzo vuoto. Non è qualcosa che si può fare part-time, senza un pensiero, come l’online. Prima era sufficiente fare la foto e chi la indossava poteva essere banale, e solitamente lo era, il fotografo doveva fare una foto tecnica. Oggi secondo dobbiamo entrare nella sfera più emozionale.

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Prossime sfide e progetti?
Sicuramente la Ballantyne Lab è una sfida e un progetto, insieme a tutta la nuova parte accessori che ci sta regalando grandi soddisfazioni ed è andata subito in sold-out. È incredibile. Il mondo degli accessori deve essere ancora sviluppato bene perché è molto interessante e molto promettente.


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