Manintown Portraits: Lorenzo Seghezzi

La prima volta che ho incontrato Lorenzo Seghezzi eravamo in un caffè di Chinatown, era il 2018, Lorenzo studiava fashion design in Naba e aveva un appuntamento con una drag queen per consegnarle un abito fatto da lui.
Le sue idee erano già ben chiare due anni fa: lottare contro la mascolinità tossica, iniziare un dialogo sul mondo LGBTQ+, analizzare il binarismo di genere e utilizzare gli archetipi della moda per dare vita a un nuovo modo di concepire il guardaroba.
Nel frattempo Lorenzo si è diplomato, è stato selezionato per Milano moda graduate 2019 e Fashion Graduate Italia 2019, ha sfilato ad Alta Roma a gennaio 2020, è stato finalista degli Isko I- Skool Denim Design Awards 2020 e ospite speciale di Gender Project.
In questi due anni sono successe tante cose, il mondo queer ha cercato di far sentire la propria voce, il me too ha preso il sopravvento e abbiamo cominciato a porci diverse domande: Come si combatte il maschilismo? Possiamo mettere in discussione costruzioni sociali così longeve? Da dove partiamo per far sentire la propria voce? Come possiamo fare per creare una lotta sociale collettiva?
Ad alcune di queste domande è molto difficile rispondere, Lorenzo ha cercato di farlo all’interno delle sue prime tre collezioni, un’esplosione di riferimenti queer che ha un solo e unico obiettivo: combattere la mascolinità tossica attraverso l’abbigliamento.

Photographer Clotilde Petrosino/Vogue outtakes 

Producer & Stylist Alessia Caliendo 

MUA Romina Pashollari



Il tuo brand mette in discussione una serie di costruzioni sociali, vuoi parlarci un po’ del tuo percorso?
Sono Lorenzo Seghezzi, fashion designer milanese che va per i ventiquattro. Mi piace cucire capi d’abbigliamento che mettano in discussione tutti quei dogmi e quelle regole socialmente imposte per la società eteronormata cisgender ma troppo strette ed ostacolanti per tutte quelle persone che vengono collocate ai margini o addirittura escluse da essa. Cerco di esprimere questa sensazione di oppressione che la mia generazione (e non solo, ovviamente!) sente, tramite vestiti nei quali voglio integrare tecniche sartoriali e ispirazioni sempre diverse.
Creare vestiti è il mio sfogo personale, è quello a cui penso tutto il giorno e proprio per questo sto cercando di trasformare questa passione in un vero e proprio lavoro.

Photographer & stylist Rossocaravaggio

Model Giuseppe Forchia

Jewelry by Atelier Amaya

MUAH Mattia Andreoli




Recentemente hai subito un attacco di omofobia e cyberbullismo, cos’è successo?
Dieci giorni fa, un noto magazine ha pubblicato un bellissimo articolo riguardante il mio lavoro e la mia esperienza personale come parte della rubrica “The Queer Talks”, progetto fotografico di Clotilde Petrosino che vuole dare voce alla comunità LGBTQ+ raccontando le storie di coloro che ne fanno parte. L’articolo ha coinvolto un team eccellente che è riuscito a portare agli occhi di molti lettori tematiche di cui, a mio avviso, si parla ancora troppo poco. I problemi che il binarismo di genere arreca alla società in cui viviamo, i limiti imposti dalle etichette e dagli stereotipi e così via. L’articolo ha anche presentato una serie di miei ritratti scattati da Clotilde Petrosino stessa nei quali indosso capi delle collezioni di vari brand tra cui Versace, Vivienne Westwood e Antonio Marras selezionati dalla producer e stylist Alessia Caliendo e alcuni dei capi delle mie collezioni. Tra essi un corsetto che, a quanto pare, ha creato parecchio scalpore. Il pezzo ha avuto un riscontro molto positivo ma, come è normale che sia, ha avuto anche qualche commento negativo. Nulla di grave o che non mi aspettassi fino a quando più persone mi hanno fatto notare una serie di storie instagram pubblicate da uno stylist e fashion editor omosessuale abbastanza conosciuto nel settore della moda.
Questa persona ha criticato esplicitamente la mia figura dichiarando in modo becero quanto per lui un uomo con la barba e il corsetto faccia esteticamente schifo, quanto noi giovani siamo fissati ed invasati con i concetti di fluidità di genere, di non-binarismo e di lotta per i nostri diritti rimarcando quanto queste cose per lui siano superflue, urlate ed ostentate inutilmente. Non avendo inizialmente idea di chi fosse, ho pensato di lasciar perdere, ma poi ho saputo che questo comportamento era recidivo. Il mio tentativo di avere una conversazione e un confronto civile in privato è stato vano e ai limiti del surreale. Quando all’omofobia si aggiungono misoginia, transfobia e incoerenza totale, la situazione diventa ancora più grave. La quantità di sostegno e i messaggi positivi che ho ricevuto sono stati molto più di quelli che mi aspettavo. Spero vivamente che l’essersi confrontato con tutte le persone che gli hanno scritto dopo aver letto le mie storie lo abbia aiutato a capire che ha effettivamente esagerato e che un pensiero così chiuso non può più essere tollerato, nel 2021, da parte di una persona che vuole avere un ruolo nel mondo del fashion. Più di tutto mi auguro che questa spiacevole vicenda possa aiutare molte delle persone che si rivedono nel suo punto di vista a capire che non c’è bisogno di offendere, denigrare, sminuire il lavoro e la personalità altrui quando  si può parlare in modo civile ed educato.




Sono sempre di più le persone che gravitano intorno al mondo della moda che denunciano le malefatte di alcuni personaggi del settore, siamo finalmente pronti a un cambiamento?
Io sono convinto che il cambiamento stia già avvenendo in questo momento grazie a tutte le persone che trovano il coraggio e la forza di denunciare quello che è sbagliato e, vorrei aggiungere, controproducente per il settore stesso. Sono cresciuto sentendomi dire “preparati Lorenzo perché il mondo della moda è cattivo e meschino” ma sono pronto ad impegnarmi per renderlo un mondo stimolante ed onesto fondato sulla solidarietà e sull’unione delle menti creative.



Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
Sono tantissimi e diversissimi tra loro. Si passa dalle tavole anatomiche illustrate alla pittura surrealista di Ernst e Dalì, sono ossessionato dalle opere di Meret Oppenheim, di Alberto Burri e di Francis Bacon. Amo la letteratura di Pasolini e di Tondelli, il cinema di John Waters, “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” di Greenway, le mie amiche drag e performer, la fotografia di Robert Mapplethorpe, le popstar e le rockstar degli anni 80, i vestiti di fine ottocento e inizio novecento, gli insetti, i rettili, gli uccelli, le venature del legno.




Sei stato ospite speciale di gender project dove hai presentato la tua ultima collezione “Queer Asmarina”, dicci qualcosa in più.
Ho avuto la fortuna di essere coinvolto nella seconda edizione di Gender Project, progetto nato a Londra dalla mente dell’artista, nonché ormai cara amica,Veronique Charlotte. Gender Project è un progetto no profit itinerante che ogni anno raccoglie i ritratti di cento persone della comunità queer di una città diversa per poi presentarli in una mostra Nel mio caso abbiamo pensato di approfittare del grande spazio per organizzare una sfilata di presentazione della mia collezione ss2021 “Queer Asmarina”. La collezione, realizzata durante il primo lockdown utilizzando materiali di recupero che avevo in casa, vuole essere un omaggio al rapporto più unico che raro tra la comunità africana e quella LGBTQ+ a Milano, in particolare nel quartiere di Porta Venezia. L’influenza della cultura africana nel quartiere è tanto forte che per decenni è stato chiamato “Asmarina” (“piccola Asmara”, capitale Eritrea) e negli ultimi anni è diventato punto di ritrovo per la comunità LGBTQ+ milanese. Basti pensare che in Eritrea, Repubblica Presidenziale monopartitica che di fatto è una dittatura totalitaria, l’omosessualità e il transgenderismo vengono, ancora oggi, puniti con la pena di morte per capire che questo è un fenomeno più unico che raro. Con zero budget, zero esperienza nell’organizzazione di eventi e in piena impennata di casi covid, insieme al mio compagno siamo riusciti ad organizzare un evento che ha avuto un riscontro positivo inimmaginabile per me e che ha coinvolto un sacco di persone fantastiche. Abbiamo addirittura dovuto ripetere la sfilata per due volte perché il numero di spettatori era troppo alto!



Quali sono i tuoi obbiettivi futuri?
Mi piacerebbe riuscire a definire il mio brand in modo ancora più professionale ed espandere la mia rete di vendita, arrivare ad avere una totale indipendenza economica, collaborare con altri artisti, organizzare nuovi eventi, migliorare le mie skills di sartoria e design, trovare nuove ispirazioni… Uno dei miei più grandi obbiettivi è quello di trovare uno studio spazioso adatto a lavorare in comodità. Mi piacerebbe anche molto comprare una macchina da cucire industriale.

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