Motta, la disciplina del talento

La bravura di Motta, riflesso di un talento coltivato e perfezionato metodicamente fin dai tempi dei Criminal Jokers, è ormai conclamata. Numeri, riconoscimenti, i semplici dati della carriera da solista del cantautore pisano, avviata nel 2006, stanno lì a dimostrarlo: stabilmente ai vertici delle classifiche nazionali, due album – La fine dei vent’anni, del 2016, e Vivere o morire, del 2018 – premiati entrambi con la Targa Tenco (un unicum), rispettivamente nella categoria miglior opera prima e miglior disco in assoluto, un terzo (Semplice, uscito l’anno scorso) concepito come racconto del suo percorso di maturazione creativa e umana, che ne certifica la statura di chansonnier con pochi eguali nel panorama musicale italiano.

L’impressione che dà, parlandoci, è quella di un artista maturo, appunto, profondamente consapevole. Dosa con attenzione le parole, sempre puntuali, ponendo l’accento sulla positività che sembra permeare oggi il suo lavoro, sulla gioia («un’esperienza meravigliosa», dice) di ritrovarsi sul palco attorniato da una folla festante, sulla conquista della libertà, fondamentale (lui la mette in termini di «non sentirmi schiavo di me stesso, artisticamente parlando»), sulle parentesi – felici – che esulano dal suo ambito in senso stretto (la colonna sonora de La terra dei figli, il libro Vivere la musica), sul «godermi le cose semplici», sulla volontà, pensando soprattutto agli anni che verranno, di «essere in pace con me stesso», come rivela alla fine dell’intervista.

Motta cantautore talento
Shirt and pants Di Liborio, bracelets Nove25, rings and necklace stylist’s archive

L’intervista con Motta, tra i protagonisti dell’issue Hot child in the City di Manintown

Si è appena concluso un tour che ti ha portato in varie città italiane. Com’è stato l’impatto col palco, esibirsi nuovamente dal vivo dopo la pausa forzata del Covid?

Pazzesco, assolutamente. Il palco in realtà l’avevamo riguadagnato già la scorsa estate, si era trattato però di stringere i denti davanti alla stranezza del live col pubblico seduto. C’era nell’aria un senso come di solitudine, perché il fatto di non potersi abbracciare, ballare o semplicemente alzarsi toglieva all’evento l’idea di comunità, che ho invece ritrovato, fortissima, in questi ultimi concerti.
Condividere uno stanzone con tanta gente che la pensa come te ti fa sentire meno solo. Un’esperienza meravigliosa, per me come per i musicisti della band.

Hai detto che la semplicità cui rimanda il titolo dell’ultimo album è una conquista. Quali altri conquiste, artistiche e non, senti di aver raggiunto nel periodo che ha preceduto, accompagnato e seguito l’uscita del disco?

La più importante, forse, consiste nell’aver ottenuto, con grande fatica, una libertà che mi consente di fare ciò che voglio. Può suonare come una banalità, ma prendere scelte drastiche, rispetto ai lavori precedenti, mi ha permesso di aprire un sacco di porte; ora posso decidere se passare per quelle già spalancate o aprirne di nuove (a livello di costruzione della canzone, intendo). La conquista principale, quindi, sta nel non sentirmi schiavo di me stesso, artisticamente parlando, a costo di provare – per paradosso – quelle vertigini date dal poter immaginare un album in maniera totalmente libera, per quanto possa esserlo chiunque fa musica.

Motta Carolina Crescentini
Shirt Di Liborio

Ricorre, in Semplice, il concetto di normalità, cui si rifà esplicitamente il brano cantato con tua sorella, Alice. Cos’è la normalità per Motta?

Sembrerà assurdo ma quella canzone è stata composta prima della pandemia, durante un periodo in cui provavo felicità nel passare le giornate senza girare come un trottola per l’Italia; una situazione davvero piacevole, sebbene durata pure troppo, visto quanto è successo dopo! Comunque sia, ho capito che godermi le cose semplici, che in passato mi erano mancate, mi faceva stare bene.
Scrivere e poi cantare il brano con mia sorella è stato un po’ come passare l’evidenziatore su questo tipo di normalità, guadagnando dal processo nuovi spunti, un punto di vista differente.

A proposito del duetto, la scelta di coinvolgere Alice è stata influenzata da un big della musica italiana, vuoi raccontarcelo?

Ho sognato De Gregori, telefonava per avvertire mio padre che sarebbe venuto a casa nostra, effettivamente è arrivato e ha ascoltato Qualcosa di normale. Una volta sveglio, ho chiamato Caterina Caselli per raccontarglielo; mi ha spinto a scrivergli, per cercare di rendere un minimo concreta quella “visione”. Perciò ho inviato una mail a De Gregori, motivata anche dal debito nei suoi confronti che, nella canzone, si percepisce chiaramente. Mi ha risposto, dicendomi che il brano l’aveva colpito positivamente, e suggerendomi di cantarlo con una donna. Alla fine, ho pensato ad Alice.

Motta concerti
Shirt and pants Di Liborio, bracelets Nove25, rings and boots stylist’s archive

Hai firmato la soundtrack del film La terra dei figli. Un ritorno alle origini, per certi versi, al corso di composizione del Centro sperimentale di cinematografia, frequentato nel 2013. Come ti sei trovato? È un’esperienza che vorresti ripetere?

Lavorare nel cinema mi piace molto, da sempre, tra l’altro non la percepisco come un’attività secondaria rispetto alla mia, anzi, credo ci siano dei parallelismi tra le due. Si potrebbe paragonare la realizzazione di una colonna sonora all’arrangiamento di un testo già scritto, che dunque va rispettato.
Altro elemento che apprezzo, del settore, è l’idea di un gruppo di persone che operano come una comunità per lo stesso risultato, ciascuna curandone una parte. Inoltre mi sono trovato benissimo sia con il regista (Claudio Cupellini, ndr) sia col montatore, Giuseppe Trepiccione, mi ha fornito parecchi consigli perché aveva ben chiara, persino più di me, la musica che poteva corrispondere a una determinata scena.
Finora, insomma, mi è andata particolarmente bene con i film, conto di replicare.

Nel 2020 hai pubblicato per Il Saggiatore Vivere la musica, come valuti a posteriori il tuo debutto nella scrittura?

Innanzitutto devo ringraziare l’editor che mi ha seguito nella stesura del libro, Damiano Scaramella, senza contare che la serietà della casa editrice mi ha responsabilizzato, da subito. Tutto è partito dall’esigenza non di raccontare una storia, né tantomeno da quella di buttar giù un’autobiografia (avevo 32 anni, troppo presto, decisamente), piuttosto dalla voglia di condividere con i lettori i miei trascorsi musicali, le esperienze con gli insegnanti, spesso tragiche, qualche (rara) volta magnifiche. Era un modo per affrontare l’aspetto didattico di quest’arte, che può avere risvolti oserei dire drammatici.

Motta Semplice album
Turtleneck and trousers Angelos Frentzos

In un’intervista del 2017 sostenevi che a cambiarti la vita fossero stati i giganti del cantautorato, Dalla, lo stesso De Gregori. Tra i colleghi emergenti di oggi, ce n’è qualcuno che per te ha ottime potenzialità, cui guardi – e ascolti, magari – con piacere?

Negli ultimi mesi, da produttore, mi è capitato di lavorare con una cantautrice 21enne, Emma Nolde. Mi ha trasmesso un’energia strepitosa, è stato come se avessi visto un me non solo più giovane, ma anche assai più bravo, io a quell’età non avevo idee tanto chiare. Emma, a mio parere, riesce a tirare fuori un’energia bellissima.

Vesti frequentemente Gucci, hai anche assistito ad alcune sfilate del marchio, cosa ti lega al brand disegnato da Alessandro Michele? Quanto conta, secondo te, l’abito e più in generale il look, per chi fa il tuo mestiere?

Mi sono avvicinato a quel mondo con divertimento, finendo per conoscere Alessandro Michele, Lorenzo D’Elia e altre persone del team Gucci. Ogni tanto dico a Carolina (Crescentini, sua moglie, ndr) che si può considerare la moda come un gioco estremamente serio. Sono convinto, infatti, che alla base vi sia una componente ludica, e per quanto il mio lavoro sia “indossare” le canzoni che scrivo, non gli abiti, averci a che fare è stato senz’altro divertente. Non so, sinceramente, quanto il look sia importante, penso però che, nel momento in cui ci si sforza di trovare se stessi, di capire chi siamo, cosa – e come – vogliamo comunicare, certi aspetti ci aiutino a sottolineare tutto ciò, a volte persino a scoprirlo.

Prendo in prestito il titolo del tuo primo, grande successo: come ti vedi alla fine dei prossimi vent’anni?

Mi vedo – o almeno lo spero – in sintonia con l’età che avrò, preso a godermi quanto costruito nei vent’anni precedenti per essere in pace con me stesso e, seppure sia difficilissimo, felice. Sto lavorando per questo, mettiamola così.

Motta cantautore stile
Suit John Richmond, rings and necklace stylist’s archive

Credits

Talent Motta

Editor in Chief Federico Poletti

Text Marco Marini

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Federica Mele

Hair & make-up Fulvia Tellone @simonebelliagency

Hair & make-up assistant Asia Brandi @simonebelliagency

Location Industrie Fluviali

Nell’immagine in apertura, Motta indossa total look Gucci

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