Le tonalità brillanti di Corentin Fila

 

Corentin Fila è un giovane attore parigino sulla via della grandezza. Il suo lavoro con André Techiné lo ha portato al successo, convogliando l’interesse del cinema francese sul suo considerevole talento e impegno. Gli insider del cinema d’oltralpe stanno già parlando del suo prossimo ruolo nel film francese “Volontaire” (in uscita il 6 giugno in Francia), che potrebbe cementare il suo status come nuova star degli schermi francesi. Ha parlato con noi, tra le altre cose, di televisione, typecasting e Téchiné.

 

Hai lavorato in tv e in film che hanno avuto un notevole successo da parte della critica. Che consiglio vorresti dare ai giovani attori, riguardo le differenze e i vantaggi di lavorare in questi due campi?
Immagino dipenda dai progetti, ma in generale la difficoltà con la televisione è la ricerca di risultati, che non impiega molto tempo. Mentre con il cinema “d’autore” puoi fare la stessa scena anche quindici o venti volte, con la tv la stessa scena la puoi rifarla al massimo cinque. Quindi sarebbe meglio essere subito pronti. Nel cinema puoi permetterti di sperimentare, di annaspare un po’ per diverse riprese, e puoi trovare la via giusta provando diverse cose: nel cinema sei un po’ più focused sulla ricerca.

 

Ogni attore teme un po’ la possibilità di cadere in un ruolo fisso. Nella tua carriera, hai mai sentito la pressione di conformarti ad un certo tipo di ruolo? Cosa fai per scongiurare l’evenienza?
Come giovane attore mixed-race avrei potuto temere di essere limitato a determinati ruoli, da giovani cittadini. Ma nel mio primo film – quello che mi ha portato ad essere riconosciuto su larga scala – (“Quand on a 17 ans”) interpretavo un contadino adottato, che viveva nelle montagne e omosessuale. Nulla di più lontano del clichè del giovane spacciatore. Quel film era pure diretto da André Téchiné, uno dei più grandi registi, e questo – credo- mi ha un po’ salvato dall’essere associato ad un’immagine fissa.

Il trailer di “Volontaire” dà l’impressione che la preparazione degli attori sia stata particolarmente dura. Come ti sei preparato? Come hai svolto le tue ricerche?
Diane Rouxel, la protagonista del film, e io abbiamo passato un po’ di tempo presso il comando della marina nella base Forfusco in Lorient. È stato incredibile. Politicamente parlando, sono più vicino all’ala sinistra, e avevo molti pregiudizi riguardo il mondo militare, ma ho incontrato persone meravigliose e un grande senso di umanità. Questa esperienza resterà con me. Fisicamente è stata anche parecchio dura. Io pratico boxe tre o quattro volte, ed ero già abbastanza in forma, ma Diana ha fatto un lavoro impressionante. Fantastico: non usa quasi mai uno stunt!

In “Mes Provinciales” interpreti il ruolo di Mathias: uno studente seducente e idealistico che vive di arte. Tu, in altre interviste, hai paragonato Netflix al cibo del McDonald’s, dicendo che lo usi come pillola per dormire. “Mes Provinciales” sta già raccogliendo molte critiche positive, per la sua cinematografia austera e la recitazione naturale. Come Mathias, ti limiti al consumo di prodotti intellettualmente alti? O hai qualche guilty pleasure? Cosa ti deprime nel cinema mainstream? E cosa trovi interessante, o promettente, nel cinema contemporaneo?
Di certo io cedo a qualche compromesso, rispetto al mio personaggio. Credo che Mathias sarebbe inorridito da metà delle cose che guardo. Non mi considero un esperto, ma è vero che ciò che mi colpisce del cinema d’autore è la sensibilità del punto di vista. L’idea di condividere con il regista una visione del mondo che può non essere piacevole, ma deve essere espressa. Ma credo che la gente dovrebbe guardare qualsiasi cosa voglia, è orrendo essere troppo elitari. Fortuna che il cinema mainstream esiste. Gli ultimi film grandiosi che ho visto sono del giapponese Ryusuke Hamaguchi: “Senses 1 & 2.”, il tipo di film che ti fa riflettere sulla percezione degli altri nel mondo.

André Téchiné è conosciuto per la carica emotiva dei suoi film, per l’esplorare le complessità di amore e desiderio. È un regista “serio” eppure i suoi lavori hanno una carica di leggerezza e realismo che tendono ad essere chiusi. Cosa ti ha sorpreso nel lavorare con lui, e cosa hai imparato riguardo alla professione di attore?
Lavorare con lui, diventarne amico, è stato un regalo eccezionale, Andrè è un vero gentleman del cinema in Francia e, a settantacinque anni, ha ancora una vena da bambino che lo rendo assolutamente sensibile, inoltre è molto modesto. Ha spesso parlato con me di “Organized Chaos” riguardo quale fosse il modo migliore per girare certe scene: “Organized” perché il dialogo è ripetuto più volte e “chaos” perché un po’ di anima deve uscire dall’attore, e la scena sarà eccezionale.

Da mattina a sera, descrivici il tuo sabato ideale a Parigi.
La mattina vado a lezione di boxe, al 10° Arrondissement, poi cammino un po’ da solo lungo il Canal St Martin, prima di andare a bere qualcosa con i miei amici in Rue du Faubourg St Denis ( a meno che non abbia un’altra lezione di boxe la mattina seguente).

Quale ruolo da film classico ti piacerebbe interpretare? Perché? E come lo faresti a modo tuo?
Questa è una domanda molto difficile, o forse non ho abbastanza immaginazione ma, sinceramente non riesco a pensarne uno solo. Amo tutti i film di Jim Jarmush. Forse ssceglierei i primi – come “Permanent Vacation” o “Stranger than Paradise” come classici – ma sono talmente perfetti che non li cambierei in nulla. Quindi non ho una vera risposta…

Moda e cinema sono universi differenti, ma hanno qualcosa che li collega. Cosa hai imparato durante i tuoi anni da modello?
Non credo che lavorare nella moda mi abbia aiutato come attore. Posare e recitare sono cose completamente diverse: posare è più una questione di attitudine, al contrario della recitazione, per cui devi sentire davvero qualcosa. E soprattutto, non dovresti preoccuparti di risultare bello mentre reciti. Non dovresti affatto.

Tua madre era un’insegnante e tuo padre un artista. Cosa hai imparato da loro che ti ha aiutato nel tuo percorso?
Mio padre era un regista congolese con tantissimi amici africani artisti che venivano spesso a casa. Benchè non fossi molto legato a lui, ringrazio per la possibilità avuta di ascoltarli analizzare il mondo così tante volte, qualcosa che mi ha influenzato. Da bambino, ero spesso sul set, anche se ho vaghi ricordi di quei momenti. A dir la verità credo che la mia sensibilità venga da mia madre, con cui ho condiviso molto della mia vita.

Se un fashion editor dovesse descrivere il tuo stile, che parole userebbe?
Non ne ho idea. Metà dandy, metà austero, o metà nulla. Rilassato, credo.

Quale canzone ti fa sempre sentire meglio?
“Origin of Man” di The Budos Band.

Quando leggi il giornale o un magazine, cosa ti rende pessimista riguardo il futuro? Cosa ti fa credere che è tutto rovinato per le prossime generazioni?
Oltre che l’ambiente – per quanto riguarda l’umanità – nulla è completamente rovinato. Non sono completamente pessimista. Quello dei migranti è una questione che mi preoccupa molto. Ho lavorato per un mese e mezzo in un campo per rifugiati e mi ha dato una speranza incredibile. Con l’associazione inglese “Good Chance” abbiamo organizzato workshop di teatro con i migranti ogni giorno e il sabato davamo show di improvvisazione aperti ai Parigini. Forse è un po’ ingenuo da dire, ma quello scambio mi ha dato speranza e mi ha fatto capire che l’animo umano non è così cattivo. Nemmeno i nazisti o i reazionari sono completamente andati. Credo molto nella virtù degli incontri. Nessuno dovrebbe chiudersi in sé stesso. Vivere una vita aperta alle prime volte e ai nuovi incontri, questa è la chiave.

®Riproduzione Riservata

Talent: Corentin Fila
Interview: Matthew Hicks
Photographer Francesco Brigida
Stylist: Nicholas Galletti
Groomer: Richard Blandel @ B Agency

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