Aspromonte di Mimmo Calopresti

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Un film che parla di vita e verità, lontano dal clamore dei blockbuster miliardari, avulso dal circuito aulico del cinema divistico di massa, un film ‘Aspromonte, la terra degli ultimi’ distribuito da Italian International Film e prodotto da Fulvio e Federica Lucisano con Rai Cinema.

Una pellicola one of a kind e di turgido lirismo che non è sicuramente patinata, ma che è girata magistralmente e con indiscutibile raffinatezza, frutto del talento e dell’esperienza solida di un regista alternativo come Mimmo Calopresti, famoso per le sue pellicole di impegno e di denuncia etico-civile come ‘la seconda volta’ e ‘la parola amore esiste’, e dei suoi attori.

Marcello Fonte in primis, meraviglioso interprete che è poeta sul grande schermo ma soprattutto nella vita e, lo ricordiamo, Palma d’oro per ‘Dogman’ di Matteo Garrone, l’intensa e carismatica Valeria Bruni Tedeschi, una star internazionale che dopo le riprese ha scoperto che nella vita avrebbe voluto fare la maestra invece che l’attrice ma che recita sempre splendidamente.

E poi Sergio Rubini, altero e mai impettito nel ruolo del boss malavitoso di turno che vuole arginare il progresso, e Francesco Colella, attore portentoso che rivedremo in ‘Zero Zero Zero’ di Stefano Sollima, scelto dal regista per il ruolo di Peppe che insieme al figlio gestisce a livello drammaturgico una riflessione dolente e un’amara consapevolezza.

Infine emerge Marco Leonardi di cui ricordiamo gli esordi accanto a Ida di Benedetto in ‘Ferdinando uomo d’amore’ e soprattutto per ‘Nuovo cinema Paradiso’ di Giuseppe Tornatore e per ‘Anime nere’.” Aspromonte la terra degli ultimi è il racconto del Sud, del suo orgoglio, della forza della sua identità che diventa prigione, della grandiosa bellezza della sua natura che si intreccia con la miseria delle condizioni di vita, del suo isolamento e del sogno disperato dei suoi abitanti di far parte di un mondo più grande, è il racconto dell’impossibilità di un riscatto collettivo, della condanna all’abbandono e all’emigrazione come unica possibilità di rinascita.

Bisogna combattere per affermarsi, per esistere, per conquistarsi un futuro migliore e far vincere la civiltà sull’arretratezza di una vita buia e senza speranze. Bisogna darsi sempre una speranza, una via d’uscita, costruirsi una strada, un progetto per uscire da una situazione disastrosa che ti è stata assegnata da chissà chi. Alla fine, è un film che è il percorso di vita di un ragazzo che vuole cambiare il proprio destino, che intraprende un percorso di crescita e riscatto da una situazione difficile, che crede a una strada che lo possa portare verso la modernità.

Alla fine della sua vita di successi lontano da Africo e dalla sua terra (la Calabria), sentirà il bisogno di tornare per rivedere per l’ultima volta il posto dove è nato e cresciuto, per riassaporare l’aria di libertà che gli era rimasta attaccata addosso per tutta la sua vita. È un film che racconta non il rimpianto della propria infanzia, ma il ricordo di quello che si è stati, di quello che si sarebbe potuto essere, e soprattutto la bellezza di aver potuto vivere un sogno ed essersi nutriti del gustoso cibo dell’utopia con pienezza e soddisfazione.

Infine i vividi colori del paesaggio paradisiaco dell’Aspromonte vinceranno sul bianco e nero di una vita povera e senza speranza; gli ultimi della terra non si arrenderanno, consapevoli che solo combattendo tutti insieme possono vincere e affermare il loro diritto a un’esistenza soddisfacente e dignitosa”, scrive in modo eloquente il regista nelle sue note. 

Nella sua brulla magniloquenza, questo film strizza l’occhio al linguaggio crudo ed epico del western per elaborare un racconto asciutto ma romantico, virile e delicato, affresco corale che attraverso una narrazione nuda ma elegante propone l’urgenza insopprimibile della riflessione sulla insostenibile sperequazione sociale e del divario fra Nord e Sud.

Ma cos’è Aspromonte? È la terra lucente, dove non manca niente, come dice il poeta nel film: ci sono le montagne, il mare e c’è il silenzio. Una terra dove i sogni possono acquistare un timbro diverso, perché servono a farci sentire liberi, ci fanno essere quello che siamo. La storia, tratta dal romanzo ‘Via dall’Aspromonte’ di Pietro Criaco e scritta da Mimmo Calopresti e da Monica Zapelli, è ambientata ad Africo, un paesino arroccato nell’Aspromonte calabrese, negli anni ’50, dove una donna muore di parto perché il dottore non riesce ad arrivare in tempo a causa dell’assenza di una strada di collegamento.

Gli uomini, esasperati dallo stato di abbandono, vanno a protestare dal prefetto. Ottengono la promessa di un medico, ma nel frattempo, capitanati da Peppe, decidono di unirsi e costruire loro stessi una strada. Tutti, compresi i bambini, abbandonano le occupazioni abituali per realizzare l’opera coraggiosa. La questione meridionale non è mai stata così attuale e Calopresti fornisce la sua accorata e riflessiva lettura di questo tema spinoso con una forza espressiva che parla alla pancia e al cuore.

Un inno fulgido a una terra, la Calabria, dove è bello tornare anche quando tutto sembra sgretolarsi, ma i valori no, quelli no. Mai. Tensione civile, romanticismo rurale si intrecciano a comporre un affresco radioso e denso di umanità in cui le vite dei lavoratori della terra e dei pastori si dipanano sulle note di un luminismo possente eppure sempre garbato. La tessitura del film é esteticamente perfetta sia a livello di fotografia che per la sceneggiatura, abile la gestione dell’inquadratura condotta con una tecnica pittorica neoimpressionista.

La nobiltà della miseria e la sovrana eleganza della semplicità davvero disarmante sono al servizio di una storia di soffuso intimismo. Sobrio ma icasticamente efficace, lo storytelling è impreziosito da una musica vibrante, rigogliosa. Il poeta é la figura chiave che racchiude la saggezza di una comunità intera, umile ma pervasa da un’ancestrale dignità.

Il film vola alto e contrappone all’inesorabile destino di una terra bella ma amara e dimenticata, la magia delle letteratura. Una trama pastosa e mai stucchevole e una sinfonia di paesaggi eccezionali completano un quadro d’autore. Da vedere, e per certuni da rivedere, soprattutto per quella sinistra imborghesita che non ascolta il grido di riscatto del nostro Sud.

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Ph: Nazareno Migliaccio Spina

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