Cinecult: Matthias & Maxime

Intenso, struggente, sensuale, travolgente. L’ultimo, irripetibile film di Xavier Dolan ‘Matthias & Maxime’ distribuito da Lucky Red e presentato al Festival di Cannes, segna il grande ritorno davanti alla macchina da presa dell’enfant prodige del cinema canadese.


Scena tratta dal film “Matthias & Maxime”

Classe 1989, Dolan, attore cool della scena francofona (lo ricordiamo anche come brand ambassador di una memorabile campagna adevertising per Louis Vuitton) dirige e interpreta un affascinante, malinconico e intimistico ritratto di un idillio reticente fra due giovani uomini molto diversi per estrazione sociale e per indole. Matthias (un magnifico Gabriel D’Almeida Freitas) proviene da una famiglia borghese di avvocati mentre Maxime (Xavier Dolan) è un ragazzo di umili origini con una madre borderline e tossicomane con la quale non riesce giocoforza a comunicare, e un fratello assente.


Scena tratta dal film “Matthias & Maxime”
Crediti foto: Shayne Laverdiere

Poco prima di partire per l’Australia dove sceglie di emigrare alla ricerca di un futuro migliore, il timido Maxime accetta di interpretare la scena di un bacio con lo spigoloso ed enigmatico Matthias, apparentemente anaffettivo e impegnato sentimentalmente con una ragazza bon chic, su richiesta di una amica della loro cerchia che sta girando un cortometraggio amatoriale. Quel bacio ‘galeotto’ fra i due amici d’infanzia cambierà le loro vite.



Fra campi lunghi e primi piani serrati, Dolan usa la macchina da presa come una sonda dell’anima addentrandosi nei meandri interiori dei due protagonisti che si ritrovano nella maturità in un mondo dove esistono solo ragazzi ciarlieri e goliardici e donne mature eccessive, deliranti, splendide e generose sulla falsa riga di Geena Rowlands o Barbra Streisand in ‘Pazza’ (stupenda come sempre come in ‘Mommy’ Anne Dorval che impersona la madre di Maxime).



Lo spettatore, in un andirivieni fra visibile e invisibile, si trova proiettato in un dramma elegiaco che lascia il segno con la sua spietata dolcezza, consumandosi nello spirito di Maxime, istintivo e tormentato barista con una voglia di vino rosso sulla guancia alla ricerca di un posto nel mondo, e di Matthias, raffinata e cerebrale vittima di un farraginoso e opprimente sistema di relazioni sociali che lo imbrigliano in una gabbia di convenzioni borghesi.



Montaggio sincopato ed efficace, ritmo vibrante, dinamismo psicologico si intrecciano e si fondono in una storia meravigliosa che fa venire le farfalle nello stomaco. Denys Arcand citato come oracolo di cinefilia canadese suggella un quadro che rievoca i temi cari al regista e attore canadese: la ricerca dell’identità sessuale, il rapporto fra le generazioni, i legami familiari.


Xavier Dolan
Crediti foto: Shayne Laverdiere

Con la sua bellezza sauvage Maxime ricorda il River Phoenix di ‘My own private Idaho’ film culto degli anni’90 diretto da Gus Van Sant, mentre l’assetto del cenacolo di ragazzi molto ‘Youth culture’ alla Bruce Weber ha un sentore della community familiare di Ferzan Ozpetek. Un’altra prova assai felice per il regista di ‘Tom à la ferme’ e ‘J’ai tué ma mère’ che, al suo ottavo film, si riconferma un talento formidabile e radioso nel panorama della cinematografia contemporanea.

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