Dilemma morale di famiglia: Francesco Frangipane racconta il film “Dall’Alto di una Fredda Torre”

Dall’Alto di una Fredda Torre è il film di Francesco Frangipane presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public che sarà prossimamente in sala. Nel cast Vanessa Scalera, Anna Bonaiuto, Edoardo Pesce, Giorgio Colangeli, Elena Radonicich e Massimiliano Benvenuto.

Prodotto da Lucky Red in collaborazione con Rai Cinema e Sky Cinema, Dall’Alto di una Fredda Torre è stato premiato come Miglior opera prima italiana al Rome Film Fest «per la forza con la quale ha saputo mettere in scena al tempo stesso un dramma familiare e un dilemma morale e per l’intelligenza con la quale ha valorizzato tutti gli attori che hanno partecipato al film».

Una scena del film Dall'Alto di una fredda torre di Francesco Frangipane
Una scena del film Dall’Alto di una Fredda Torre

Il film Dall’Alto di una Fredda Torre ha la forza di una tragedia contemporanea

Dall’alto di una fredda torre è un film corale, che mostra la sventura di un uomo e una donna ai quali viene dato un potere divino: decidere della vita e della morte di altri esseri umani. Nella fattispecie, della vita o della morte di un genitore. O di entrambi. Una sceneggiatura dove lo stile di Filippo Gili emerge con la forza di una tragedia contemporanea. Un film pieno di domande che restano insolute nella misura in cui lo spettatore non abbia voglia di approfondire un testo ricco di paradossi, di ossimori, e decida di non addentrarsi nelle piaghe dell’anima dei personaggi. Un viaggio esistenziale dal quale i due gemelli tornano, dopo aver attraversato l’inferno, a riveder le stelle.

«Dall’alto di una fredda torre non è un film sulla malattia, ma sulla scelta, sul viaggio; un film verso gli inferi che fanno questi personaggi»

Perché hai scelto di dirigere Dall’Alto di una Fredda torre e cosa ti lega così tanto alla scrittura di Filippo Gili?

Ho una lunghissimo sodalizio con Filippo Gili, Vanessa Scalera, Giorgio Colangeli e Massimiliano Benvenuto, che nello spettacolo faceva il fratello e nel film fa il dottore. Il nostro gruppo è nato anni fa al teatro Argot di Roma. Il primo progetto fu “Prima di andar via”, da cui Michele Placido ricavò una trasposizione cinematografica.

Io, pur essendo profondamente teatrante, ho fatto spesso incursioni nel cinema, perché sono stato aiuto di Marco Risi. Ho scritto diverse sceneggiature di film e da anni avevo voglia di realizzare la mia opera prima. Ho scelto una sceneggiatura di Filippo, perché la sua è, già in teatro, una drammaturgia potente, intelligente, mai didascalica. Una scrittura che non racconta il dramma ma racconta il tragico. Filippo Gili scrive tragedie contemporanee.

Quello che principalmente mi affascina è partire dalla quotidianità di una famiglia, che poi viene rotta da una notizia improvvisa che rompe quella normalità. E, da quella notizia, andare a indagare sulle micro rotture di ogni singolo personaggio.

Dall’alto di una fredda torre non è un film sulla malattia, ma sulla scelta, sul viaggio; un film verso gli inferi che fanno questi personaggi. È questo quello che mi affascina di più: come si fa a scegliere? Quali sono i parametri? La salute? L’età? O bisogna spingersi più in fondo e dire a chi voglio più bene? E se abbiamo un’idea diversa, come la mettiamo? Tiriamo la monetina? A me interessava raccontare il tema della scelta e aprirsi a delle domande. Non mi interessano le risposte, perché non ci sono risposte. Soprattutto non c’è una risposta giusta, perché salvare uno significa uccidere un altro. Quindi qualsiasi risposta è sbagliata. Le sceneggiature di Filippo permettono questo tipo di lavoro: toccare lo spettatore e lasciarlo tornare a casa con le stesse domande che si fanno i personaggi.

Una scena del film Dall'Alto di una Fredda Torre presentato alla Festa del Cinema di Roma
Una scena del film Dall’Alto di una Fredda Torre

Il fatto che foste già, in parte, una compagnia rodata, quanto ha contribuito al film? E come è stato inserire attori nuovi?

Per me è stata una risorsa. L’idea di lavorare con un gruppo di attori, e considero anche Filippo, con i quali siamo abituati a parlare lo stesso linguaggio, ad avere gli stessi gusti, le stesse visioni, è stato fondamentale. Con Anna Bonaiuto avevo già fatto Giusto la fine del mondo di Lagarce: un’altra drammaturgia, ma vicino al mondo di Filippo. Per me è stato fondamentale averli, umanamente ma anche artisticamente. Vanessa non è più la stessa del 2011, quando Prima di andar via iniziò ad andare in scena: nel frattempo ha fatto una carriera straordinaria. A mio avviso è l’attrice della sua generazione più talentuosa che abbiamo in Italia. Ed è riuscita a mantenere la sua formazione anche all’interno di una fiction come Imma Tataranni che le ha dato una grande popolarità mediatica, ma all’interno della quale ha conservato il suo graffio.

La grande novità per me è stata Edoardo Pesce, un attore con il quale non avevo mai lavorato e che non ha un background teatrale. È stata una scommessa, ma mi piaceva l’idea di usare lo straordinario talento di Edoardo in un ruolo diverso da quelli che ha sempre fatto. Ero convinto che potevo calarlo in un ruolo con una fragilità, figlio di una famiglia borghese, un orsacchiotto buono con tanti smottamenti interiori.

Era una scommessa in senso lato, perché è un attore eccezionale, e sono stato sempre convinto che fosse la scelta giusta.

Franceso Frangipane: «Dal lato cinematografico abbiamo deciso di non dare una risposta, perché non si può dare una risposta»

Molte domande esistenziali lasciate apparentemente aperte. In teatro lo spettatore ha un approccio diverso, è più avvezzo a simili tecniche. Questo tipo di lavoro, al cinema, rischia di lasciare lo spettatore disorientato?

È la scommessa che dovremmo capire come andrà. Su questo finale io e Filippo abbiamo discusso molto, ma io ho voluto che rimanesse il più aperto possibile. Teatralmente funzionava, ma anche dal lato cinematografico abbiamo deciso di non dare una risposta, perché non si può dare una risposta. Spero che non scateni quel nervosismo da spettatore che vuole sapere cosa succede, come va a finire. Preferisco scommettere sul fatto che gli spettatori escano portandosi a casa una domanda e spero, come succede in teatro, che tutti provino a immedesimarsi in questi due fratelli, a chiedersi “ma io che avrei fatto?”. Io che tipo di rapporto ho con mia madre, mio padre, mio fratello? Spero di farli tornare a casa con delle domande che magari non arrivano la sera stessa, magari dopo qualche giorno. Il finale è chiaro. Quello che rimane di non detto è solo perché o in che modo.

FacebookLinkedInTwitterPinterest

© Riproduzione riservata