Guida al montgomery, il capospalla cult per la stagione fredda

Il Covid-19, oltre agli effetti nefasti che abbiamo imparato a conoscere, ha rafforzato con ogni probabilità un bisogno generalizzato emerso già prima della pandemia, inerente quella sensazione di conforto che offrono gli abiti particolarmente ampi e robusti, dalle linee coocon, arricchiti magari di una patina used che non guasta mai; quelli, insomma, in cui avvolgersi per sentirsi al sicuro nella temperie attuale, che la pandemia ha reso ancora più incerta.
Le qualità appena elencate sono presenti in toto in uno dei capispalla di punta della stagione autunno/inverno, ossia il montgomery o duffel coat, il giaccone con gli alamari che ha spopolato nelle sfilate delle fashion week a/i 2020 come nei cataloghi delle griffe più disparate. In realtà questo pilastro del guardaroba maschile, al pari di altri illustri “colleghi”, torna ciclicamente nelle proposte outerwear dei designer, magari ritoccato in modo più o meno consistente per adattarsi ai tempi che corrono.

Le origini, comunque, datano alla fine dell’800, quando i marinai della Royal Navy inglese, per ripararsi dalla furia degli elementi che sferzavano i mari del Nord, cominciano a infagottarsi in pastrani di stoffa pesante, confezionata a Duffel, cittadina delle Fiandre che finisce così con l’identificare l’indumento tout court. L’apice della notorietà viene però raggiunto durante la Seconda guerra mondiale grazie al generale britannico Bernard Law Montgomery, figura cruciale per le sorti del conflitto, che è solito indossare un paltò color sabbia, talmente spesso che le truppe prendono a soprannominarlo “Monty Coat”; da lì alla denominazione attuale, il passo è breve.


picture taken in 1958 showing French fashion designer Coco Chanel (L) strolling down the Veneto street in Rome, in company of French author Jean Cocteau (C) and young friend Miss Weiseveiller (R). (Photo credit should read STF/AFP/Getty Images)

L’apprezzamento dei militari è riconducibile ai tratti essenziali dell’indumento, improntati a rigore e praticità, rimasti pressoché invariati fino ai nostri giorni: l’ampiezza delle forme, strutturate pur senza il minimo accenno di rigidità; il tessuto in panno di lana; il cappuccio; il carré sulle spalle; le due tasche frontali a toppa, in cui riporre il nécessaire; e, ovviamente, la chiusura mediante alamari, i caratteristici cordoncini chiusi da bottoni allungati in corno, pelle o legno, pensati per garantire una presa rapida e agevole anche con le mani bagnate.
Terminata la guerra, le eccedenze finiscono sul mercato, e ad accaparrarsene le maggiori quantità sono i coniugi Morris, che danno vita negli anni ’50 a Gloverall, marchio divenuto sinonimo del capo stesso.

Mentre a perpetuare l’appeal marinaresco del duffel coat provvedono film cult dell’epoca come ‘Mare crudele’ o ‘I cannoni di Navarone’,  gli estimatori si moltiplicano curiosamente proprio tra le fila dei ragazzi (e ragazze) coinvolti nei movimenti di protesta e controcultura che scandiscono i decenni seguenti, dai beatnik americani ai mods, ai sessantottini di ogni latitudine; tutti conquistati dal calore e dalla solidità connaturate al capospalla, insieme ai volumi comfy. Alla lista si aggiungono rapidamente intellettuali, registi e artisti in generale, da Jean Cocteau (che prediligeva una vezzosa versione total white) a Stanley Kubrick, passando per Mick Jagger e Jean Genet, e non tardano ad arrivare le interpretazioni degli stilisti.

Negli anni il montgomery ha mantenuto la propria rilevanza nei circuiti della moda, pur seguendo l’andamento carsico cui è soggetto nell’ambiente qualsivoglia capo o accessorio, fino all’ennesimo revival nelle collezioni per la stagione fredda in corso; in questo senso c’è l’imbarazzo della scelta: indicativo il caso di Burberry, dove Riccardo Tisci dà libero corso alla fantasia tra modelli in nuance tenui – rosa sorbetto o bianco con profili scuri a contrasto – e altri vivacizzati dal celebre check della maison, riprodotto all-over. La varietà delle proposte è assicurata anche da Neil Barrett, che si diverte a ibridare il montgomery con dettagli presi in prestito da altre tipologie di capospalla, qui rivestendolo di soffice shearling a mo’ di teddy coat, lì trasferendogli l’imbottitura del piumino, o ancora inserendo la pelle intorno a spalle e chiusure frontali. Stesso discorso per Dsquared2, le cui versioni (come gli altri abiti dello show, d’altra parte) non conoscono mezze misure, passando dall’overcoat scivolato al giubbotto corto in vita.



MSGM punta invece sulla tonalità eye-catching del paltò rosso; in maniera analoga K-Way, brand simbolo degli impermeabili colorati, in scena a gennaio con il primo défilé in assoluto, sceglie per il duffel coat cromie luminose quali verde smeraldo e arancione, aggiungendovi inoltre le tipiche zip multicolor delle sue giacche waterproof.
I marchi Belstaff e Margaret Howell, all’opposto, omaggiano l’heritage militare dell’indumento, il primo declinandolo in una sfumatura salvia, interrotta sulla parte inferiore e lungo le maniche da bande di colore nero; il secondo portando in passerella un modello che più basico non si può.
Di tutt’altro tenore le variazioni sul tema di Yohji Yamamoto, extra long e fluttuanti, strette sul davanti da lunghi nastri che si rincorrono terminando in grandi bottoni rettangolari.

Una selezione di dieci proposte sulle quali orientarsi per arricchire il proprio armadio non può prescindere da diversi dei nomi appena menzionati, che hanno il vantaggio, tra l’altro, di essere disponibili sui vari e-store: sono infatti a portata di clic il cappotto checked nelle sfumature del beige e cammello, in 100% lana, di Burberry, il coat bicolore dalla texture “orsetto” di Neil Barrett, il montgomery over in pelle, foderato in shearling, di Dsquared2; e ancora, il duffel coat dalla nuance vermiglio di MSGM, quello minimal targato Margaret Howell e il modello di K-Way; l’assortimento dei colori di quest’ultimo, oltre a quelli sgargianti di cui sopra, comprende le tonalità canoniche del blu scuro e grigio tortora.
Chi preferisce l’outerwear classico ma con un twist potrebbe prendere in considerazione il cappotto taupe in misto lana PS Paul Smith, arricchito da strisce dall’effetto dégradé, oppure quello della capsule collection JW Anderson X Uniqlo, in cui all’interno del cappuccio fa capolino un rivestimento tartan.



Per gli amanti del low profile, un’opzione da valutare è il montgomery nero Dolce&Gabbana, dal taglio morbido, che evita qualsivoglia orpello per concentrarsi sulla fattura in sé, ineccepibile come d’abitudine della griffe italiana.
Impossibile non chiudere la lista con il duffel coat per antonomasia, quello cioè del sopracitato Gloverall, le cui prerogative risultano pressoché immutate da decenni: quattro alamari in corno; sottogola per poter eventualmente stringere il bavero; fit asciutto quanto basta; lunghezza al ginocchio; produzione orgogliosamente made in England. Un modello adatto ai viaggi sulle navi del secolo scorso come alla vita nelle metropoli odierne, a conferma della sua intrinseca trasversalità d’uso.

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