I dieci anni della Bao Bao Bag, borsa cult anche in versione maschile

Lanciata nel 2010 e diventata un instant classic del brand, la Bao Bao Bag di Issey Miyake taglia il traguardo dei dieci anni come meglio non si potrebbe, continuando a esercitare un fascino trasversale sui consumatori, tanto da poter forse scomodare l’espressione, spesso abusata, di accessorio-icona.

La genesi del modello e, in generale, il profilo del suo autore risultano in realtà piuttosto distanti dalla cultura dell’hypeormai comune nel fashion system. Membro, insieme a Rei KawakuboYohji Yamamoto e Hanae Mori, di quel manipolo di creativi giapponesi affermatisi sulla scena della moda parigina a cavallo degli anni ’70 e ’80, grazie a un approccio cerebrale e incline al decostruttivismo (in antitesi al glamour sfavillante tipico degli eighties), Issey Miyake è infatti uno stilista sui generis, fautore di una visione sincretica nella quale coesistono progettazione, décor, tecnologia e sperimentazione materica.

Intenzionato a stravolgere silhouette, volumi, texture e, di conseguenza, il rapporto fino ad allora univoco tra le forme del corpo e quelle degli indumenti, il designer ha fatto della plissettatura un marchio di fabbrica, perfezionandola in modo da rendere ingualcibili i tessuti e realizzando abiti adatti ad ogni fisicità, maschile o femminile. Tra le sue numerose innovazioni si ricorda A-POC, acronimo di A piece of Cloth, un processo unico per ricavare capi d’abbigliamento finiti da un singolo filato.

Un simile connubio di ricerca, funzionalità e pragmatismo non poteva non riversarsi sugli accessori della griffe, a cominciare appunto dalla Bao Bao: nel 2000, lasciandosi ispirare dal Guggenheim Museum Bilbao dell’archistar Frank Gehry, un turbinio di linee curve e ritorte perfettamente scolpite, Miyake realizza una borsa in PVC dalla struttura modulare, nella quale tutto ruota intorno al triangolo, inscritto in un reticolo e moltiplicato sull’intero rivestimento esterno; questa ripetizione della figura geometrica conferisce un aspetto pressoché tridimensionale alle superfici, ulteriormente accentuato dai riflessi delle stesse quando esposte alla luce. Leggerezza e flessibilità del materiale, inoltre, permettono alle forme di modificarsi, adeguandosi alla posizione verticale o orizzontale dell’accessorio come al contenuto dell’interno; tutte caratteristiche racchiuse icasticamente nel concetto shapes made by chance”, coniato dallo stesso stilista.

Il successo è tale che, dieci anni dopo, Bao Bao diventa una collezione a sé, declinata di volta in volta in borse a spalla, shopper, cabas, clutch, perfino portafogli o trousse. Di lì a breve l’offerta viene estesa alla clientela maschile, che può tuttora scegliere tra versioni a mano o con tracolla, capienti e strutturate – è il caso di tote bag, cartelle e sacche – oppure dalle misure più contenute, tipiche di zaini, messenger, marsupi e buste. La palette cromatica è in linea con l’ampio assortimento di formati: si va dai basilari bianco e nero alle sfumature accese di giallo, turchese o paprika, passando per grigi, blu e verdi dall’effetto satinato.

Il rigore geometrico del modello, esaltato da giochi di luce ed effetti ottici, conquista rapidamente art director, stylist, grafici e altri insider dell’industria creativa. A confermare come la borsa sia ormai considerata un oggetto di design piuttosto che un “semplice” accessorio griffato è poi l’elenco dei rivenditori, dove, oltre a note boutique ed e-tailer come FarfetchSsense e Bloomingdale’s, spiccano gli store di due fra i più rilevanti musei in attività, LACMA e MoMa
Del valore non meramente estetico del proprio lavoro sembrava d’altra parte consapevole lo stesso Miyake, quando dichiarò di pensare alle sue creazioni come «strumenti al servizio della creatività di chi li indossa»; una definizione oltremodo appropriata anche per la Bao Bao Bag.

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