BEAT BRITANNICI E CUORE ITALIANO, IL RITORNO DI IAKO

Jacopo Rossetto, conosciuto con il nome d’arte iako, è un giovane artista italiano originario di Venezia. Sfaccettato e sempre alla ricerca di nuovi stimoli, il suo modo di fare musica è il risultato di un mix ben riuscito tra sound elettronico, folk e rap. Una combinazione peculiare questa, che porta iako a una continua esplorazione di generi e influenze. Protagonista di un percorso atipico, all’inverso potremmo dire, il cantante si inserisce inizialmente nella scena musicale londinese per poi far ritorno nel suo Paese d’origine. Gli anni trascorsi nel Regno Unito segnano profondamente lo stile dell’artista che, rientrato in Italia, porta con sé quelle sonorità inconfondibili da club, tanto popolari nel panorama inglese.

E ora, dopo quasi due anni e mezzo stabilmente a Milano, iako realizza il suo primo EP in lingua italiana, un modo per ritrovarsi e per riscoprire le proprie origini. Apriti Grattacielo, questo il titolo del progetto, racconta esperienze vissute in prima persona dall’artista, in un’ottica sincera, autentica e ricca di contrasti. Una narrazione tra luci e ombre verso la riappropriazione di se stessi.

iako
iako, project by NoCarb Studio x Polimoda Firenze

«Dopo aver ascoltato tanto, a un certo punto è nata l’esigenza di fare qualcosa di mio»

Come ti sei avvicinato alla passione per la musica?

Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre ascoltato molta musica, nonostante non lo si facesse di mestiere. Mio padre è un grande appassionato di blues e ha sempre suonato la chitarra, da amatore. Fin da piccolo ho ascoltato un po’ di tutto, anche se ho iniziato a suonare relativamente tardi. Mi sono avvicinato alla chitarra verso i 12 anni, ma non ho mai studiato seriamente; poi, durante la mia adolescenza, ho scoperto il piano. Solo intorno ai 16-17 anni ho iniziato a prendere il tutto un po’ più seriamente.

Mio padre, poi, aveva una collezione di cd, ne ho masterizzati e catalogati diversi su iTunes. Oppure mi divertivo nel realizzare dischi di compilation. E dopo aver ascoltato tanto, a un certo punto è nata l’esigenza di fare qualcosa di mio.

«Per costruire il mio stile musicale ho preso un po’ di ispirazione qua e là; sicuramente dal punto di vista dell’elettronica Londra mi ha aperto mondi che prima non conoscevo»

Hai vissuto un periodo importante nel Regno Unito, a Londra, per poi tornare a Milano. Come ti hanno influenzato rispettivamente queste due città nel tuo modo di fare musica?

Londra sicuramente mi ha dato moltissimo a livello musicale, mi ha insegnato tanto, è stata una grande scuola. Da quando sono arrivato, nel 2015, sono rimasto lì per sei anni. All’inizio mi sono forzato nel fare un sacco di open mic; è stata un’importante gavetta perché sono riuscito a mettermi in gioco con le mie prime canzoni in inglese e a interfacciarmi con tantissimi artisti diversi. È stato tutto uno sperimentare con ventate artistiche sempre nuove. Per costruire il mio stile musicale ho preso un po’ di ispirazione qua e là; sicuramente dal punto di vista dell’elettronica Londra mi ha aperto mondi che prima non conoscevo. Ricordo un live all’Alexandra Palace: è stato uno dei più belli della mia vita, lunghissimi fili di lampadine piovevano dal soffitto sul pubblico, arrivando praticamente fino alle caviglie. Sembrava di essere immersi in una dimensione onirica, quell’atmosfera mi ha ispirato moltissimo. Poi, oltre all’elettronica, diversi altri generi hanno contribuito a plasmare il mio modo di fare musica, dal rap al folk.

Milano, invece, è una realtà per me molto più fresca, perché sono arrivato qui da appena due anni e mezzo. Con il passare del tempo sto sicuramente acquisendo sempre più confidenza con la musica italiana contemporanea, che mi ero un po’ perso durante il mio periodo all’estero. Nel 2016, mentre mi trovavo a Londra, in Italia stava spopolando il genere indi, con Calcutta ecc. Per molti miei amici quel sound ha rappresentato una vera e propria colonna sonora nel corso degli anni all’università; per me, invece, rimasto lontano per un po’, era un qualcosa di totalmente nuovo. Da quando ho fatto ritorno in Italia sto cercando di recuperare ed esplorare tutto ciò che per sei anni mi ero perso. E poi qui ho incontrato diverse persone con i miei stessi gusti musicali, quindi mi sto trovando bene, anche lavorativamente.

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iako, project by NoCarb Studio x Polimoda Firenze

«Le sonorità più inglesi e quelle italiane mi appartengono entrambe, cerco in qualche modo di farle convogliare in un’unica cosa»

In quale delle due città ti senti maggiormente “a casa”?

Attualmente ti direi a Milano, forse per un fattore linguistico più che altro. Avendo scritto recentemente sempre in italiano, chiaramente sento di appartenere maggiormente a un’industria musicale italiana. Il mio stretto legame con Londra però resta e resterà per sempre. A breve tornerò lì e suonerò in lingua italiana. L’ultima volta che ci ho provato, circa un annetto fa, è stato molto divertente; nonostante i testi ovviamente non venissero capiti, ero riuscito a creare una bella connessione con il pubblico.

I tuoi brani mixano sonorità diverse tra loro, soprattutto musica da club di stampo inglese e cantautorato italiano. Cosa ti piace maggiormente dell’uno e dell’altro? E perché proprio queste due anime per costruire la tua identità musicale?

Sono due anime che mi accompagnano da molto tempo, il cantautorato italiano è una costante con cui mi sono confrontato fin dall’infanzia. Da bambino ascoltavo in maniera quasi ossessiva Lucio Battisti, con mio fratello minore che era ancora più ossessionato di me. Questo genere musicale, con i suoi grandi interpreti, mi ha da sempre fatto percepire una certa magia, soprattutto nella parte testuale che mi affascina molto. E poi la parte strumentale, di composizione del suono, è un’altra componente a mio parere davvero coinvolgente.

Insomma le sonorità più inglesi e quelle italiane mi appartengono entrambe, cerco in qualche modo di farle convogliare in un’unica cosa (o almeno ci provo – ride, ndr).  

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iako, ph. Alessio Marisca

iako e il suo primo EP in italiano Apriti Grattacielo: «Secondo me l’italiano ti obbliga a metterti un po’ più a nudo rispetto all’inglese, è un importante stimolo»

Il 17 maggio è uscito il tuo nuovo EP Apriti Grattacielo. Qui tratti due tematiche importanti: la perdita di se stessi e il successivo ritrovarsi. Guardando al tuo vissuto personale, ti senti vicino a questo tipo di narrazione?

Tutto il mio nuovo EP deriva da esperienze personali. Io sono originario di Venezia, un posto molto piccolo, e poi ho trascorso diversi anni a Londra, una dimensione completamente opposta rispetto a dove sono nato. Venezia mi ha dato tantissimo e mi ha cresciuto, tuttavia il fatto di vivere per diverso tempo in una metropoli mi ha molto influenzato da un punto di vista personale. Le grandi città portano sempre con sé un lato piuttosto solitario, quasi alienante; proprio per questo, mentre ero a Londra, a un certo punto mi sono sentito forse un po’ perso. Poi, una volta trasferito a Milano, ho percepito una sorta di buco, mi sono reso conto di non aver vissuto tante cose successe in Italia durante la mia assenza. In un certo senso ora sto ricostruendo la mia vita. Nel corso del primo anno a Milano, era il 2021, ho sperimentato una certa difficoltà nel capire di nuovo chi fossi in un contesto per me diverso. Piano piano ho iniziato a sentirmi sempre più a mio agio qui, ora ho il mio gruppo di amici e di collaboratori con cui mi trovo bene. Una degna chiusura di un capitolo di grande caos.

Questo è il tuo primo EP interamente in italiano. Come mai questa scelta?

In realtà è stata una non scelta. Un giorno mi sono svegliato con la voglia di scrivere in italiano e da quando ci ho provato l’ho trovato molto divertente. È una grande sfida, perché secondo me l’italiano ti obbliga a metterti un po’ più a nudo rispetto all’inglese, ma al tempo stesso anche un importante stimolo.

Apriti Grattacielo
iako, project by NoCarb Studio x Polimoda Firenze

«Auguro a me stesso di continuare a fare musica e di non stancarmi mai»  

Hai preso parte all’ultimo album di Mace, nel brano Nuovo me, con Rkomi e Bresh. Puoi raccontarci di questa esperienza?

È stata un’esperienza veramente magica. Ho conosciuto Mace circa un anno fa perché lui aveva sentito uno dei miei brani e mi aveva invitato nel suo studio. Fin da subito ci siamo trovati molto bene, Mace è una persona umanamente molto disposta a entrare in contatto con altri musicisti, anche al di là del lavoro. Siamo diventati amici, ho fatto un paio di sessioni nel suo studio e con lui ho partecipato a un ritiro in Toscana per lavorare al suo disco. Dovevamo star via una sola notte, poi le cose sono andate diversamente: ci siamo trattenuti per un’intera settimana (ride, ndr). Con Mace si è creato veramente un bellissimo rapporto, lui mi ha stimolato moltissimo anche chiedendomi alcuni pareri musicali.

Se potessi confrontarti, musicalmente parlando, con un tuo idolo, una tua fonte di ispirazione, chi sceglieresti? Perché?

Forse Tom York perché è un personaggio che da un punto di vista artistico mi ha ispirato particolarmente. Apprezzo molto la longevità della sua carriera, riesce sempre a trovare nuovi stimoli e nuovi modi di fare musica. Il suo percorso non è mai fermo nello stesso punto ma, nonostante tutti questi anni, prende costantemente direzioni diverse; non solo in termini di canzoni, ma anche di colonne sonore o collaborazioni. E questa è una cosa che auguro anche a me stesso: di continuare a fare musica e di non stancarmi mai.  

Puoi spoilerarci qualcosa riguardo progetti all’orizzonte?

Ho tante idee ma sono molto confuso al momento (ride, ndr). Sicuramente inizierò a lavorare a un disco, poi quest’estate vorrei viaggiare per vivere un po’ di esperienze in posti diversi e per trovare nuovi spunti da mettere in musica. E mi piacerebbe lavorare a un podcast, ma non posso ancora dire riguardo cosa.

Apriti Grattacielo
iako, ph. Alessio Marisca
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