La stagione dell’abbandono: San Vittore a Milano 51 anni dopo

“Gli agenti, sfondati cancelli e porte, sono penetrali nell’interno poco dopo l’una. Una rivolta scoppiata nel pomeriggio di oggi nel carcere di San Vittore a Milano, alle tre della notte non era ancora stata del tutto domata.” 

Queste sono le parole pubblicate da La Stampa il 15 aprile 1969, in un periodo in cui l’Italia era in preda alle rivolte contro lo Stato anche la voce di quelli a cui non era permesso parlare entra in gioco chiedendo la riforma dei codici ed il rispetto per l’uomo.

A distanza di 51 anni i detenuti di San Vittore tornano a farsi sentire con una protesta che ha smosso l’intera città di Milano con ripercussioni su tutte le carceri d’Italia, un Paese tendenzialmente in panico.
Sovraffollamento, restrizioni ai familiari per le visite e rischio estremo di contagio hanno portato, dopo le ultime disposizioni governative a merito dell’espandersi su tutto il territorio del Corona Virus, ad una sommossa, in alcuni casi anche violenta, dei detenuti.

Donne, bambini, nonni ed amici dei reclusi hanno fatto sentire la loro voce, la loro paura, la loro preoccupazione e la loro rabbia nel sentirsi inutili innanzi a delle disposizioni che non tutelano i loro mariti, padri ed amici. 

Se restare a casa è la raccomandazione ricevuta dal governo per evitare il contagio, ogni singolo individuo, anche colui che nella sua vita ha commesso errori e ne risente le dovute conseguenze, ha il diritto e dovere di potersi tutelare. 

Ma è in questi momenti, come non mai, che negli occhi di una donna con lo sguardo rivolto al marito appostato sul tetto di San Vittore che si può solo immaginare la paura ed il timore di perdere chi si ama, d’altronde la più grande insidia per ciascuno di noi è di sentirsi abbandonati o dimenticati, specialmente se a dimenticarti è il tuo Paese.

Text: Francesco Vavallo (@francesco_vavallo)
Pics: Andrea Pascale (@aandreapascale)

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