Musica e moda, tre artisti a cui ispirarsi

Blood Orange
Inclassificabile, geniale, inimitabile nello stile e nella musica, Devontè Hynes, nome di battesimo di Blood Orange, è un concentrato di pura arte. Nato a Londra da genitori della Sierra Leone, il padre, e della Guyana, la madre, è un intellettuale, legge anche 5 libri contemporaneamente, ha conosciuto il jazz da Eric Dolphy, abita nell’East Village e rifiuta qualsiasi etichetta. Non definitelo indie, perciò, vintage o qualsiasi altro aggettivo possa venirvi in mente, perché, forse, è impossibile. “Spesso mi metto vestiti da donna” ha confessato, alternando con disinvoltura skinny jeans a corte T-shirt anni ’80, che lasciano intravedere l’ombelico. Adora i cappelli – da quelli in pelle nere stile Black Panthers ai cappellini da baseball – e gli occhiali da sole, rigorosamente vintage. Si veste di pelle, giacche e pantaloni, ma anche con jeans, salopette, magliette basic o colorate, camice dal sapore rétro. Freetown Sound suo terzo album in studio uscito questa estate, ha ricevuto gli elogi della critica ed è una combinazione perfetta di sintetizzatori anni ’80, r’n’b e suoni caraibici. Un mix apparentemente scollegato, ma che come il suo senso estetico, dà vita ad uno stile particolarissimo ed unico.
Benjamin Clementine
Completamente diverso invece il percorso artistico di un altro musicista inglese. Benjamin Clementine abbandona Londra ancora adolescente per trasferirsi a Parigi dove comincia a suonare ovunque, nelle piazze, in metropolitana, nei bar parigini, ai matrimoni. Questa vita dura per quattro anni, finché non viene scoperto da un talent scout. Storia già sentita, se non che, in questo caso, ci troviamo davanti a un talento cristallino e non a una delle sempre più frequenti apparizioni di artisti destinate a durare il tempo del singolo di turno. Il suo brano del 2013, I Won’t Complain, è stato recentemente scelto per lo spot del profumo Mr. Burberry e Clementine, altissimo, molto magro e con una grazia innata, è diventato un’icona di stile. Taglio di capelli squadrato all’insù, Benjamin ama i lunghi cappotti dalle forme classiche, i pantaloni sartoriali, le maglie girocollo; mentre le camice sono minimal e abbottonate fino al collo. Uno stile british con una piccola eccezione: suona scalzo, a contatto con la terra, semplicemente perché così, “sto da dio”. At Least For Now è uno degli album più intensi dello scorso anno, romantico, impulsivo, elegante, sembra quasi che Leonard Cohen abbia incontrato Chopin. Classe ’88, voce da tenore e autodidatta, suona pianoforte, “lo comprò mio fratello, era un piano verticale Yamaha”, sax e chitarra.
Chet Faker
Più precisamente l’ex Chet Faker, dal momento che quest’anno ha deciso di tornare ad usare il suo nome di battesimo, Nick Murphy. Comunque lo vogliate chiamare, questo ragazzone australiano, diventato famoso nel 2013 con la cover di No Diggity dei Blackstreet, è la quint’essenza dello stile hipster. Barba folta, cappellino di lana, T-shirt stropicciata, lo stile all’apparenza casuale si bilancia con il suo sound chill-wave che richiama James Blake o i Four Tet. Polistrumentista dalla voce avvolgente e a tratti straziante, si è imposto sulla scena indie australiana grazie all’album Built on grass, del 2014. Il passaggio di quest’anno al nuovo lavoro come Nick Murphy, con il singolo Fear Less, è una svolta verso influenze elettroniche. Nonostante non gli piaccia particolarmente essere definito artista hipster, gli elementi di genere continuano ad essere ben presenti: capello lungo, barba, camicia a quadri (accompagnata dalla t-shirt trasandata), zaino e stivaletto. Un personaggio da cui prendere ispirazione in questa parte finale dell’anno, da ascoltare magari mangiando cioccolato.

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