Il mito di Ralph Lauren rivive in ‘Very Ralph’

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Chi dice Ralph Lauren pensa subito all’America. È da questa idea che prende le mosse il docu-film ‘Very Ralph’ diretto e realizzato da Susan Lacy, trasmesso su HBO e in esclusiva in Italia su Sky Arte il 16 novembre. La regista che ha già firmato due lavori poderosi, uno su Steven Spielberg e l’altro su Jane Fonda, entrambi biopic in forma di storytelling documentario, ha impiegato 10 anni per riuscire a intervistare Ralph Lauren e arrivare a definire il progetto del film con lui.

“Mi sono preparata con accuratezza per realizzare questo progetto che ha richiesto 15 interviste con lo stilista e sei mesi di lavoro, amo Ralph Lauren perché la sua moda è portabile; la difficoltà è stata realizzare un film che fosse il mio film, non quello di Lauren, ma credo di esserci riuscita, Ralph Lauren ha sempre avuto una visione ed è salito su un treno da cui non è ami sceso, per citare Anna Wintour”, ha spiegato la stilista alla conferenza stampa del docufilm.

Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma edizione 2019 (la quattordicesima della festa) il film risulta particolarmente interessante e ricco di informazioni nella prima parte in cui si ripercorre l’infanzia di Ralph Lipschitz, vero nome dello stilista di origini russe ebraiche, nato a New York nel Bronx da un padre pittore e artista che gli ha trasmesso la passione per il colore e l’arte.

Ralph Lauren è l’incarnazione del sogno americano, un self made man amante dei bolidi di lusso, delle case arredate con raffinatezza e senza badare a spese, dei cani, dei cavalli, della vecchia Hollywood, del cinema e di sua moglie, Nicky, la sua musa perché come dice lo stilista nel film :”la sua è una bellezza naturale, la vedo la mia donna ideale con i lunghi capelli al vento su una decapottabile”. E le donne americane da quel momento lo hanno seguito.

Tutto però è cominciato dal menswear dove Ralph (non da solo naturalmente, c’era anche Giorgio Armani e Calvin Klein che infatti compare nel film) ha rivoluzionato lo stile: se prima di lui gli uomini si vestivano in divisa (Flugel parlò della ‘grande rinuncia’), già verso la fine degli anni’60 con la contestazione giovanile, Ralph pensò che gli uomini avevano la necessità di un guardaroba glamour e sexy, più casual ma non meno elegante. Una sintesi di spirito pop americano, di leisurewear e di tailoring made in Savile Row che conquistò gli uomini americani.

Dalle cravatte dall’ampiezza inedita e dai colori squillanti che vendeva in un ufficio nell’empire state building nella Grande Mela, Ralph Lauren arrivò all’intero guardaroba, conquistando le vetrine di Bloomingdale’s i primi a credere in Ralph Lauren. Lui stesso aveva ideato nuovi accostamenti, la giacca militare vintage stile Jimi Hendrix sui pantaloni formali, la giacca di tweed sui jeans da portare con gli stivali texani, e riformulò già nel 1970 i codici della moda maschile sulla scia della rivoluzione del pavone a Londra e della grande svolta nel menswear introdotta da Yves Saint Laurent, Ted Lapidus e Pierre Cardin.

Lo sportswear si mescolò con il formale, sull’onda del successo delle coloratissime polo con il simbolo del cavallino, il polo perché per Ralph rappresenta lo sport d’élite per antonomasia. Le icone di Ralph sono Frank Sinatra, Fred Astaire, Cary Grant. Ralph Lauren voleva fare l’attore o il regista di cinema e il cinema è preponderante nell’estetica evocativa e aspirazionale del marchio a stelle e strisce.

Poi arrivò il ready-to-wear femminile che contamina lo stile country, il gusto della aristocrazia wasp americana (molto presente nelle collezioni di Ralph Lauren), il look anni’30 delle star di Hollywood, lo stile safari e il folk dei nativi americani, il gusto tappezzeria, il look vittoriano, ecc. La moda di Ralph Lauren è un po’ un collage, una forma di eclettismo come si racconta nel film.

Tutto è eleganza e bellezza e lo stilista dice chiaramente di non essere un avanguardista ma di puntare su un classico contemporaneo che sia timeless. La seconda parte del docufilm è inutilmente agiografica e sembra uno statement politico a favore dell’american style: gli americani a differenza degli italiani fanno quadrato e non si fanno la guerra in ridicole scaramucce come usano i principi della moda italiana. Vanessa Friedman e Anna Wintour rincarano la dose spezzando una lancia affilatissima a favore del mondo di Ralph, quasi che Ralph Lauren avesse inventato la moda a livello globale, errore dettato da un intendimento palesemente celebrativo e anche un po’ mistificatorio.

Si salva la parte in cui si racconta che Ralph Lauren ha aperto all’inclusione e ai modelli e modelle di colore: Tyson Beckford, un bellissimo modello muscoloso fotografato per la prima volta nelle riviste da Bruce Weber (artefice del successo mediatico di Ralph Lauren a livello planetario) in abito formale gessato, e Naomi Campbell, la ‘venere nera’ che, come rivela la regista, “è stato faticoso contattare perché è sempre impegnatissima”. Ed è vero che i rapper rubavano i suoi capi nei department store perché li ritengono uno status symbol (e Kanie West che è un’altra icona ebony al maschile che sfoggia spesso Ralph Lauren anche nei concerti).

Pregevole la ricostruzione attraverso le testimonianze di Woody Allen, Calvin Klein, Hillary Clinton, Tyson Beckford, Karl Lagerfeld, André Leon Talley, Jason Wu, Martha Stewart, la succitata Vanessa Friedman (che esalta Lauren e puntualmente stronca gli stilisti italiani e francesi perché non sono americani), Paul Golderberger e altri. Quotato a Wall Street dal 1997, Ralph Lauren è un impero miliardario diffuso in tutto il mondo e non ha certo bisogno di fanfare o di panegirici.

Peraltro nel film c’è un’omissione fondamentale: Ralph Lauren ha disegnato i magnifici costumi per Robert Redford nel film ‘Il grande Gatsby’ (1973) e quelli di Diane Keaton per ‘Io e Annie’ di Woody Allen (1977) dove veste Diane Keaton con abiti maschili: gilet, cravatte, ampi cappelli, giacche mannish.

In questo ci duole ammetterlo Ralph Lauren non è stato un innovatore assoluto come il film vorrebbe far credere: già Giorgio Armani profeta del minimalismo androgino, in un’epoca di emancipazione femminile vestiva la super manager Marisa Bellisario con outfit da ‘powerdressing’ ispirandosi al libro ‘Dress for success’. E vestì Richard Gere proprio come un dandy stile ‘Il grande Gatsby in ‘American Gigolò’.

Armani ha portato la moda nel cinema, Ralph Lauren ha portato il cinema nella moda. E questo è pacifico crediamo. Ma i due rivelano anche delle grandi affinità: “Entrambi sono sul trono del loro impero e ne sono proprietari e questo è raro nella moda -commenta Susan Lacy- inoltre entrambi sono due grandi sarti”.

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Ph: Albert Jade

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