CRESCERE SUL SET (E VINCERE LE PAURE): LA FILOSOFIA DI WYATT OLEFF 

Siamo sulle colline hollywoodiane, sotto il sole californiano, tra palme e cieli azzurri. Precisamente, siamo sul set di un servizio fotografico, animato dal ritmo frenetico delle persone indaffarate. Chi organizza l’equipaggiamento fotografico, chi le luci, chi il trucco o i look, il guardaroba, la location, e soprattutto (anche se nessuno lo confessa) il catering fornito di proposte vegane, cibi salutari e burger da fast food. Sono tutti in attesa della star, del vip, che nel nostro caso è il 20enne Wyatt Oleff, uno dei nuovi attori prodigio della scena statunitense. Giovane – anzi, giovanissimo – capelli ricci neri e sguardo bucolico, Wyatt Oleff  arriva accompagnato dal proprio entourage, tra cui la madre Jennifer, che segue la sua carriera da quando era bambino ed è la produttrice esecutiva dei suoi short movie come attore e regista. 

Total look Versace

Per chi non lo conoscesse, nel suo curriculum ci sono i film Guardians of the Galaxy 1 e 2, dove interpreta il giovane Peter Quill, seguiti dal ruolo del vulnerabile Stanley Uris in IT (il film tratto dai romanzi di Stephen King) e dallo show Netflix I Am Not OK with This. L’ultima fatica è la serie tv City on Fire per Apple TV+. Ci sediamo per l’intervista tra un cambio look e l’altro, scoprendo una gentilezza e una velocità di pensiero non comuni alla sua età.

Hai iniziato a recitare a 5 anni. Come  hai scelto di diventare attore così giovane? 

Non sono sicuro di riuscire a ricordarmi esattamente il motivo per cui ho preso questa decisione. Conoscendo la passione di cui sono capace mi sembrava la cosa giusta, ed è bello poter cambiare ogni volta personalità per un progetto. La cosa più difficile è stata lasciare Chicago, la città che amo, dove sono nato e cresciuto. La migliore città del mondo, clima invernale a parte (ride, ndr). Prima mi sono trasferito a Los Angeles: all’inizio sembrava il paradiso terrestre, ma col passare del tempo ho scoperto che è un posto in cui è difficile fare amicizia perché è tutto così lontano e dispersivo…  Adesso vivo a New York e, visto che adoro la pizza, è il posto giusto dove stare! (ride di nuovo, ndr).

È difficile conciliare la carriera di attore professionista con la scuola?

Onestamente: sì e no. A volte uscivo prima per andare alle audizioni, quindi spesso perdevo le ultime due ore di lezione che dovevo assolutamente recuperare il giorno dopo. Oltre a preparare i test e a ripassare le lezioni dovevo anche memorizzare le battute, prepararmi per il personaggio… non era sempre facile, perché poi diventa un lavoro. Ma in fondo, ti accorgi che i veri problemi sono altri, quindi diciamo che non mi è mai sembrato di strafare. Tutto sommato, film e tv a parte, credo di aver vissuto un’infanzia abbastanza normale…

Wyatt Oleff: «Crescere sul set è stata la migliore formazione che potessi ricevere»

Com’è stato crescere in questo mondo?

Recitare sin da piccolo mi ha insegnato parecchio su come funziona l’entertainment business. Di solito chi vuole fare l’attore passa attraverso le scuole di recitazione e io ho sempre pensato che avrei fatto lo stesso. Ma tutti i registi mi hanno sempre detto che non ne avevo bisogno: crescere sul set è stata la migliore formazione che potessi ricevere. Certo, è un modo diverso di crescere, ma mi piace, non conosco altro né vorrei fare altro.

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Come vedi la tua crescita professionale?

Sono cresciuto grazie alle persone con cui ho lavorato. Sono stato molto fortunato ad avere intorno persone incredibili come Andy Muschietti o Jonathan Entwistle, professionisti dal talento unico. Ci sono tante persone che mi hanno ispirato: grazie a loro ho avuto modo di esprimere la mia voce, di essere creativo oltre la tecnica della recitazione di un dialogo. Sono un convinto fautore della collaborazione d’insieme: mi affido molto ai registi, capire la loro etica di lavoro e il loro approccio alle riprese è importante, perché voglio essere sicuro di dare il meglio e avvicinarmi il più possibile alla visione che hanno per me. Sempre aggiungendo qualcosa di mio, o almeno provandoci.

Possiamo quindi dire che nel prossimo futuro ci sarà un lavoro dietro la macchina da presa?

Assolutamente. Mi interessa moltissimo scrivere e dirigere. Per ora sono concentrato sulla recitazione, in questo momento so di non essere pronto a prendere in mano la responsabilità totale che un progetto cinematografico o televisivo richiede. Non credo di poterlo ancora gestire, mi fa troppa paura.

«Noi della Generazione Z dobbiamo confrontarci, oltre ai problemi comuni alle altre generazioni, anche con la questione ambientale che a me sta molto a cuore»

Parlando di paure… Qual è la tua paura più grande?

Di perdere il senso di chi sono, la mia identità. L’idea di non essere in grado di riconoscermi più in me stesso è un pensiero orribile. Molte delle mie paure sono radicate nel cercare di capire perché quello che faccio è importante. Mi hanno consigliato di fare un po’ di yoga e meditazione per alleviare le tensioni, ed è quello che faccio anche se riesco a concentrarmi meglio se ho qualcuno che mi guida. L’idea di essere immobile e ‘non pensare a niente’ mi terrorizza. Quando ci riesco però è bello poter fare un passo indietro e dire: “Ok, forse non dovrei preoccuparmi di questa cosa, qualunque essa sia, perché non è poi così importante“.

Pensi che sia una paura generazionale?

 Sì, soprattutto per noi post boomer o Millennial, Centennials, GenZ o qualsiasi altra etichetta vogliate darci. Noi della Generazione Z dobbiamo confrontarci, oltre ai problemi comuni alle altre generazioni, anche con la questione ambientale che a me sta molto a cuore. Parliamo della sopravvivenza della vita stessa… so che sembrano parole enormi e allo stesso tempo molto vaghe, ma ci sono quasi 8 miliardi di persone su questo pianeta, e sembra che nessuno faccia veramente nulla, a partire da industrie e corporations. A me tutto questo mette molta pressione. Senza considerare poi l’insicurezza, la fragilità mentale, le problematiche post Covid… temi che mi pesano moltissimo, così come ai miei coetanei.

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A chi ti ispiri come attore?

In cima alla lista dei miei idoli metto Bryan Cranston perché è capace di ‘catturarti’ solo con gli occhi, ha uno sguardo che vale mille parole. Anche io vorrei essere capace di esprimere questo magnetismo. Quando lo vedo recitare capisco dove voglio arrivare, ma ci vuole tempo. Nelle settimane a New York mentre giravamo City on Fire mi sono riguardato tutto Breaking Bad e mi sono sentito molto ispirato dalla sua interpretazione.

A parte la recitazione, hai altre passioni?

Si, mi piacerebbe evolvere come artista, lavorare su graphic novel, videogiochi e storyboard. Mi piace disegnare, mi piace creare arte. Mia madre è un’artista e capisce benissimo gli alti e bassi dell’essere creativo. Sono davvero fortunato ad avere qualcuno che ha sempre sostenuto le mie aspirazioni. In famiglia siamo tutti artisti, anche se in modi diversi. Mio nonno ha una mano straordinaria, quando ero piccolo disegnavamo sempre, abbiamo diversi album di disegni che abbiamo creato insieme…

«Un film che potrei guardare ogni giorno? La La Land. Non so, c’è qualcosa in quel film che mi fa stare bene»

Cosa fai per divertirti?

Mi piace uscire con gli amici, specialmente ora che vivo a New York. Per il resto faccio cose normali, disegno, scarabocchio, suono la chitarra e suono il pianoforte. La musica è importantissima per me: adoro i Radiohead, Billy Joel, i Pink Floyd e i Grateful Dead. Mio padre cerca di farmi scoprire sempre diversi generi musicali, ho decenni di arretrati che devo ascoltare! Anche grazie a lui i miei gusti musicali sono molto eclettici. Ultimamente i miei musicisti preferiti sono Billy Joel, Black Country New Road e i Men I Trust.

Il tuo film cult?

Un film che guarderò sempre, e che potrei guardare ogni giorno, è La La Land. Non so, c’è qualcosa in quel film che mi fa stare bene. È una bella avventura, ispira positività.

Il videogioco del momento?

 Sto giocando molto al nuovo Zelda: Tears of the Kingdom, che occupa la maggior parte del mio tempo libero.

Un tv show che ti ha colpito?

Sto guardando Maniac, imperfetto e contorto come la mente umana. Spaventoso, ma molto bello. Impegnativo.

Cosa stai leggendo? 

Mi hanno consigliato Annihilation, una miscela inquietante di horror e fantascienza. L’ho appena cominciato e sì, so che c’è un film, ma sono di quelli che preferiscono prima leggere il libro.

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«La moda è il modo in cui mi esprimo: come mi sento dentro e come voglio mostrare alla gente il mio stato d’animo»

Cos’è la moda per te?

Risposta semplice: la moda è il modo in cui mi esprimo, come mi sento dentro e come voglio mostrare alla gente il mio stato d’animo. Una libertà che magari altre generazioni non avevano. Cambio spesso umore e quindi a volte mi sento appariscente, altre volte voglio scomparire, it’s all over the place.

Come definiresti il tuo stile?

Il mio stile è un mix&match, varia dai capi firmati di alta moda a piccoli tesori acquistati usati. Mi definisco eclettico: tra i pezzi che amo di più ci sono i pantaloni a vita alta e gli stivali da cowboy.

Un ruolo che vorresti interpretare?

Qualunque cosa di un ‘auteur’, magari in Europa. O una collaborazione creativa in un piccolo film motivazionale, che faccia riflettere, che raggiunga qualcuno e magari cambi la vita delle persone. 

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Credits

Editor in chief Federico Poletti

Photographer Dennis Leupold

Stylist Oretta Corbelli

Grooming Barbara Lamelza

Stylist assistants Allegra Gargiulo

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