Alessio Vassallo, vent’anni di carriera tra piccolo e grande schermo

Alessio Vassallo

Classe 1983, l’attore Alessio Vassallo si sente palermitano fino al midollo («Addirittura penso in palermitano», dice lui ridendo). Nonostante i diversi anni trascorsi a Roma, dove vive ormai stabilmente, il suo cuore guarda sempre alla tanto amata Mondello e a quel calore che solo la Sicilia sa regalare. Con numerosi traguardi raggiunti e ben oltre quaranta produzioni come interprete, nel 2024 Vassallo festeggia vent’anni di carriera, celebrati di recente con il Nastro d’Argento.

Tra i progetti più importanti che hanno segnato il suo percorso, da ricordare è sicuramente Il giovane Montalbano, oltre che La vita rubata (2007), Gli anni spezzati (2014) e La stoccata vincente (2023). Ora l’attore è protagonista in quello che è stato definito “Un lungometraggio ironico e sofisticato”; “Un film surreale tanto quanto autentico”; “Una commedia come non ne avevamo da tempo”. Parliamo del nuovo film Indagine su una storia d’amore, al cinema da giovedì 18 luglio. Sotto la regia di Gianluca Maria Tavarelli, i due protagonisti, Barbara Giordano e Alessio Vassallo, interpretano due giovani attori siciliani legati da una storia d’amore di ben otto anni. Dopo una serie di alti e bassi – in primis un tradimento da parte di lui – i due si ritroveranno a riflettere sul loro vissuto insieme, acquisendo così nuove consapevolezze.

Alessio Vassallo
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Alessio Vassallo a proposito di Indagine su una storia d’amore: «La forza del film sta proprio nel fatto di raccontare l’amore così come è diventato oggi»

Come è nato il progetto Indagine su una storia d’amore?

Il progetto nasce dall’amicizia con Gianluca Maria Tavarelli, il regista de Il giovane Montalbano, con cui ho lavorato per due stagioni. Il tutto ha avuto inizio con una serie di racconti, di confessioni che ci siamo fatti. Tra l’altro Gianluca aveva già diretto un film bellissimo, intitolato Un amore, e forse quello di cui si tratta in Indagine su una storia d’amore potrebbe essere considerato un amore 2.0. La forza del film sta proprio nel fatto di raccontare l’amore così come è diventato oggi.

Anni fa, quando internet e i social non esistevano, una volta conclusa una storia, la tua strada e quella dell’altra persona si separavano definitivamente. Oggi invece, volenti o nolenti, rimane sempre uno strascico; ti porterai sempre dietro un qualcosa di quell’ex fidanzato o fidanzata perché per forza di cose ti apparirà magari una sua story, magari una foto postata. Pur non vivendo più direttamente quella persona, la continuerai a vedere attraverso uno schermo. E questo è sicuramente un modo nuovo di avere a che fare con l’amore; i ragazzi di oggi forse ci sono abituati, noi no.

Poi si parla di precarietà, di questi giovani attori che fanno fatica a lavorare. Oggi la precarietà lavorativa viene sperimentata da tutte le nuove generazioni, soprattutto post università. Questa condizione poi si riflette inevitabilmente sulla realtà di coppia, si può parlare di una vera e propria precarietà sentimentale.

In ultimo, secondo me è interessante l’aspetto da reality show. I protagonisti sono convinti di potersi mostrare un po’ come succede oggi sui social, sfoggiando una vita che in realtà non appartiene loro. Tuttavia, forse per un fattore di ingenuità, forse perché si ritrovano schiacciati da un meccanismo che non conoscono, davanti alle telecamere si rivelano nella loro autenticità e lì si scatena il dramma.

«Tanti lavori mi hanno segnato, in particolare La stoccata vincente, una storia umana, oltre che professionale, incredibile»

Festeggi un gran bel traguardo, vent’anni sui set, tra serie tv, cinema e anche teatro. Quali sono le produzioni che hanno segnato momenti salienti del tuo percorso?

Quest’anno festeggio vent’anni di carriera, ho recitato in più di quaranta film. Diverse produzioni mi hanno segnato, anche all’inizio del mio percorso, quando avevo ventitré-ventiquattro anni; da La vita rubata a Gli anni spezzati. C’è un pre e post social, no? Pensandoci mi fa ridere il fatto che oggi il pre social non esista più (anche se nella mia esperienza è stato costellato da numerosi traguardi importanti).

L’incontro con Camilleri e con Il giovane Montalbano, La concessione del telefono ecc. sicuramente hanno rappresentato tanto per me. Sono stati progetti di successo, hanno riscosso una notevole popolarità. Avere l’opportunità di dar voce a produzione di questo tipo è stato un grandissimo privilegio.

Per quanto riguarda il teatro, invece, quest’anno mi occuperò di depressione, perché penso sia il male della nostra generazione.

Tanti lavori mi hanno segnato, in particolare La stoccata vincente, una storia umana, oltre che professionale, incredibile. Io mi allenavo al CONI con la felpa Italia, mi sentivo un campione olimpico, anche se non lo ero. È stata un’avventura surreale, di sacrificio. Io interpretavo un personaggio che realmente esiste (lo schermitore Paolo Pizzo) e che mi stava sempre accanto. Tra me e lui, quindi, c’era un confronto continuo.

Tra i vari ruoli in cui ti sei calato nel corso di questi anni, quale hai sentito più vicino a te e al tuo carattere?

Forse i ruoli legati a Camilleri. È difficile rispondere a questa domanda perché poi, di fatto, ogni attore si nasconde dietro al personaggio, come fosse una maschera.

Parlando invece di produzioni internazionali, I Medici per esempio, com’è stato lavorare in progetti non solo italiani?

È stata un’esperienza sicuramente costruttiva. La vera sfida consisteva soprattutto nel riuscire a lavorare con una lingua che non ti appartiene. Secondo me questo è molto più interessante perché pensi di meno.

Indagine su una storia d'amore
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«Io sono legatissimo a Palermo, la mia terra. Addirittura penso in palermitano»

Che rapporto hai con Palermo? È una città che ancora senti tua oppure, giustamente, ti sei ormai naturalizzato a Roma?

Io sono legatissimo a Palermo, la mia terra. Addirittura penso in palermitano. Vivo da vent’anni a Roma, ma ogni volta che ho l’occasione torno sempre con piacere nella mia città, nella mia Mondello. Non c’è niente di meglio. Lavoro permettendo ovviamente, perché la mia è una professione che porta a stare fuori.

Sempre a proposito delle tue origini, c’è un tratto tipicamente palermitano (o siciliano comunque) che senti di portare dentro in modo particolare?

Senza dubbio ti direi il senso di accoglienza e il fatto di porsi sempre in ascolto degli altri.

Rispetto ai tuoi progetti futuri, con chi sogneresti di poter fare un film prossimamente? Oppure, c’è un ruolo che ti piacerebbe interpretare?

Non ce n’è uno nello specifico. Io più che altro sono molto legato alle storie. Se c’è una storia interessante da raccontare, allora mi ci butto anima e corpo.

Durante le tue numerose esperienze sul set, ti è mai capitato di incontrare qualcuno che ha rappresentato un momento di svolta?

Durante questi anni ho avuto a che fare con diversi personaggi di un certo calibro. Ho incontrato più volte Andrea Camilleri: mettere in voce i suoi scritti, portarli in televisione, al cinema e anche a teatro è stato un vero onore. Poi sicuramente, come accennavo prima, un altro grande incontro è stato quello con Paolo Pizzo. Persone del genere, e storie come le loro, rimarranno per sempre impresse in me.

In linea generale, le storie vere (con i relativi personaggi) sono sempre quelle da cui mi sento maggiormente affascinato e che, più di altre, sanno trasmettermi qualcosa.

Indagine su una storia d'amore
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Alessio Vassallo ai giovani attori della nuova generazione: «Continuare a studiare è indispensabile per il bene della propria carriera. È necessario rimettersi sempre in gioco, avere il coraggio anche di dire no ed essere versatili»

Guardando a un altro progetto che ti ha visto tra i suoi interpreti, la mini-serie Rai Marconi, come è stato lavorare al fianco del protagonista Stefano Accorsi e con gli attori più giovani, ad esempio Nicolas Maupas?

Conosco Nicolas da un bel po’, addirittura da prima dell’uscita di Mare fuori. In generale ho avuto modo di interfacciarmi con diversi attori della nuova generazione; Giacomo Giorgio, per esempio, che ha lavorato con me in Sopravvissuti.

La mini-serie Marconi è stata una bellissima esperienza, a mio avviso i set in costume sono i più entusiasmanti. Sembrava di essere entrati in una macchina del tempo per poi venir catapultati in un’altra epoca. Recitando in costume si ha la possibilità di sperimentare non solo vite ma anche secoli che non ci appartengono, che sono ormai passati. Io interpretavo il ruolo di un antagonista, un fascista. Quando ci si cala nei panni di un personaggio, sia esso buono o cattivo, è sempre fondamentale non giudicarlo per renderlo credibile. Bisogna tenere in considerazione il tipo di epoca in cui si è chiamati ad immedesimarsi (e quella fascista non è sicuramente stata un’epoca facile).

Con Stefano Accorsi mi sono trovato benissimo. È stato interessante, poi, lavorare sotto la regia di Lucio Pellegrini, che avevo già incontrato girando la serie Romanzo siciliano.

Cosa consiglieresti a un giovane che oggi ha il desiderio di intraprendere il percorso della recitazione?

Il mio consiglio spassionato è quello di leggere molto. La letteratura è fondamentale per questo mestiere. E poi bisogna rimanere legati alla motivazione reale per cui si è scelto e si continua a scegliere il lavoro di attore, non vedendolo unicamente come una via per apparire o per fare pubblicità. La recitazione implica tanto sacrificio, tanto studio e tanta dedizione; se uno di questi tre elementi viene a mancare allora non si parlerà più di arte ma di merchandising.

Continuare a studiare è indispensabile per il bene della propria carriera, un percorso lungo che potrà durare venti, trenta, trentacinque anni e oltre. Farsi travolgere dal successo momentaneo e fermarsi ad esso è molto pericoloso per l’attore; è necessario invece rimettersi in gioco, avere il coraggio anche di dire no ed essere versatili.

Indagine su una storia d'amore
Alessio Vassallo

Credits

Photographer: Alessandro Pensini

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