Alexis Giannotti e il suo Omogene

Nato nel Principato di Monaco, Alexis Giannotti ha un rapporto speciale con l’Italia, ha infatti frequentato la facoltà di architettura, dipartimento Disegno industriale, a Firenze e poi, sempre nel capoluogo toscano anche il Polimoda, e da quando ha lanciato la sua linea Omogene nel 2013 è stato presente alle manifestazioni più importanti, ad esempio come finalista dell’edizioni maschile del del prestigioso concorso “Who’s On Next?”, e come uno dei brand scelti, a gennaio 2016, per The Latest Fashion Buzz, progetto realizzato da Pitti Immagine in collaborazione con L’Uomo Vogue e GQ Italia per supportare designer che lavorano su un nuovo concetto di modernità nel menswear. A giugno Giannotti con Omogene ha partecipato a Men’s Hub, nuova piattaforma, ideata dalla Camera Nazionale della Moda Italiana, in collaborazione con Vogue Talents, a sostegno di brand emergenti. Omogene faceva parte di un gruppo di sette marchi italiani e stranieri che hanno presentato per la prima volta la loro collezione in occasione di Milano Moda Uomo. Poche settimane dopo questo importante momento abbiamo raggiunto il designer per farci raccontare meglio la sua visione creativa e la sua collezione.

Quando hai capito che volevi lavorare nella moda?
Non mi sono mai interessato alla moda da ragazzo, soltanto più tardi ho preso consapevolezza delle possibilità di questa come mezzo di espressione. Da piccolo pensavo seriamente di seguire le orme del papà di mio nonno, Alexis Axilette, che all’inizio del secolo scorso era un artista di Durtal. Ma la pittura, a mio avviso, non offriva quello che cercavo, un contatto intimo con me stesso e la società, il mondo in generale delle Belle Arti era per me distante da una certa realtà. Ho trovato nel Disegno Industriale la filosofia che cercavo, quella di un prodotto riflesso di un pensiero, funzionale ed estetico. Ma non bastava a dare soddisfazione piena alla mia visone, la “creazione funzionale” che si adattasse pienamente con l’essere umano, capace di diventare qualcosa di nostro, attraverso se stesso.
Trovo nel lavoro di Martin Margiela la traduzione del mio pensiero, la nota giusta nel creare attraverso materiali tessili, che è diventata la mia vocazione, il mio mezzo più intimo e personale di espressione, così come trovo me stesso nell’essere un “designer di moda”. Mi sono sentito totalmente spontaneo nel catturare la mia identità attraverso forme, tagli, linee, rimanendo però sempre pronto ad una costante mutazione. Avevo bisogno di questa alchimia che rendesse questo processo “omogeneo” coltivandolo sempre con un occhio da esteta, ampiamente tutelato da un background razionale da designer industriale e da fotografo (passione che nutro da sempre).

Perché una linea tua?
Perché volevo qualcosa di diverso da quello che era presente sul mercato. Mi sembrava fosse la scelta più adeguata per dipingere il mio punto di vista.

Ci racconti la collezione che hai portato al Men’s Hub e quali le caratteristiche principali del tuo stile?
Per questa stagione, ho voluto ritornare alla mia essenza, essere nuovamente ingenuo e spontaneo. Da tanto tempo volevo esplorare il mondo del Jazz, per le sue forme, la sua attitudine, in particolare ho trovato una vicinanza con la sua filosofia, l’assenza di regole. Attitudine rappresentata da Chet Baker che ha ispirato la strada, sterrata e impervia, dei miei design.
Il mio stile è fatto di forme e tagli, che  definisco “in movimento e funzionale”. La mia attenzione stilistica è dominante su un capo che ho sempre indossato, per tutte le circostanze, durante la mia gioventù, parlo dell’outerwear, tecnico e sportivo, ma funzionale che oggi reinterpreto in chiave narrativa. È il caso di una serie di parka e running jacket che ho sviluppato per la prossima estate, sono sintesi di forme e funzionalità collegati alla mia visione di designer e pronti per essere contestualizzati nel nostro quotidiano. Usando materiali come laminati di cotone e spalmature gommate croccanti.

Da dove arrivano le ispirazioni?
Cerco di lavorare su forme e funzionalità, non su elementi superflui. Alcune fonti di ricerca sono i libri, il web, la gente che incontro quotidianamente, ma soprattutto la fotografia di strada e il reportage, film come quelli di Wim Wenders o lo Stanley Kubrick di “2001. Odissea Nello Spazio”, per la bellezza delle forme e i colori crudi.

Tue icone di riferimento?
Il fotografo americano Joel Meyerowitz. E poi il fotografo svizzero René Burri e il francese Marc Riboud. Perché collego certi punti della mia visone di stilista con i loro lavori, la loro visione della società e la ricerca estetica, di composizione. Di Meyerowitz mi piace l’aspetto di continua ricerca, di uno che non smette mai di guardare attorno a sé, perché, e cito sue parole: “Frenetico il numero di cose belle che accadono nel quotidiano”. Questo fotografo non si è mai stancato di vedere attraverso la lente del quotidiano la bellezza di certe forme e colori. René Burri per il suo stile quasi “da pittore”, perché riusciva a mettere in scena un momento della vita in modo da renderlo grafico e unico nella sua forza. Marc Riboud per la sua foto storica durante la protesta contro la guerra in Vietnam, cioè lo scatto di una donna con il fiore faccia a faccia con una fila di soldati con i fucili puntati su un simbolo di pace. Meyerowitz e Riboud avevano una naturalezza nel proporre schemi di colore attraverso le loro fotografie che mi ha sempre ispirato per i miei lavori.

A chi pensi quando crei? Chi credi posso indossare i tuoi capi?
A qualcuno in movimento, mistico e futuristico. Ritengo importante lasciare alla gente la possibilità di una libera opinione e interpretazione dei mie capi.

Cosa è sinonimo di eleganza per te?
Il tempo è una forma di eleganza. L’eleganza viene con il tempo e attraverso il passaggio del tempo, è qualcosa che è sempre stato qui, ma che si intravede con il passare degli anni, non è solo il volume o l’attitudine di un capo.

Cosa non può mancare in un guardaroba maschile, a tuo avviso?
Direi un trench impermeabile. Con una lavorazione tecnica e speciale. Abbiamo bisogno di poco in realtà, ma il capospalla rende al meglio la personalità di ognuno di noi. Deve essere versatile e un bel oggetto, per il suo studio delle forme.

Quale l’importanza di una manifestazione come il MEN’S HUB?
Quella di creare incontri, condividere visioni con le persone appartenenti al settore e non solo. Poi mi ha dato modo di confrontarmi e conoscere con altri designer, cosa sempre importante.

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