Il nuovo album della cantante Any Other è un percorso catartico lungo il viale dei ricordi

Any Other, all’anagrafe Adele Altro, ha lanciato il suo nuovo e terzo album: “stillness, stop: you have a right to remember” per 42 Records. Cuore gentile e animo sensibile, la cantante è reduce da anni complessi, in cui ha lavorato molto cavalcando il successo dell’ultimo disco Two, Geography del 2018, e affrontando al contempo aspetti irrisolti e dolori del proprio vissuto. A questo percorso è conseguito un disco intimo e introspettivo, dove la potenza dell’onestà si scatena in messaggi dalle eco universali. Un sound etereo e raffinato che si rinforza di venature rock, accostato a testi delicati, ma taglienti, precisi. Otto tracce, come sempre in inglese, in cui Any Other si mette in gioco e tira un po’ le somme, con il desiderio di liberarsi dalle grinfie del passato e andare incontro al futuro con spirito rinnovato.

Any Other nuovo album
Any Other by © Ludovica De Santis

Nella vita Adele fa anche parte del collettivo Queer Machete, fondato nel 2019 insieme agli amici e coinquilini Cecilia Grandi e Nino Buonincontri. Nata come forma di protesta un po’ ironica e spensierata verso la nightlife milanese, i tre hanno cominciato in modo «totalmente caotico e bellissimo» a fare dj set e proporre serate alternative ed economicamente accessibili alla comunità queer. Un progetto genuino che ha fatto successo e che riempie i cuori dei tre amici. Secondo Adele, inoltre, Queer Machete le permette di vivere la musica in modo diverso, dal momento che, come artista, si occupa di un genere totalmente diverso. «È il bello di essere una persona queer. Non devi limitarti a una versione unica di te, ma puoi abbracciarle tutte».

Any Other nuovo album
Any Other by © Ludovica De Santis

«Mi sembra tutto nuovo»

Sono trascorsi sei anni dall’ultimo disco. A primo acchito, un periodo lunghissimo. Cosa comporta racchiudere tutto questo tempo in un unico progetto e poi vederlo prendere il volo?

È strano. In generale sono molto lenta a fare le mie cose, e infatti anche tra il primo e il secondo disco sono passati 3 anni. Non ho mai avuto interesse nel garantire l’uscita di un disco all’anno, perché ho bisogno di tempo e distacco dai progetti per rileggerli col senno di poi e riuscire a capire, in un certo senso, come li ho realizzati. In questo caso il lasso di tempo ha compreso anche i due anni di pandemia, che sicuramente non hanno aiutato. Ero frenata da diverse dinamiche e preoccupazioni. Ricordo però che ad un certo punto sapevo che doveva accadere, dovevo produrre l’album. Era la primavera del 2022 e mi sono detta “okay è arrivato il momento e lo devo fare, perché se continuo a mettere davanti gli altri anziché me stessa (in termini di lavoro e coinvolgimento artistico) non farò mai più un disco”.

A posteriori, è stato strano anche per me rendermi conto di tutto il tempo che è passato. Mi accorgo che questa cosa ha avuto un effetto particolare sulla mia persona e sul mio essere artista. In un certo senso, mi sembra la prima volta che realizzo un album, il che è assurdo perché non ovviamente non è così. Però mi sembra tutto nuovo. Sicuramente aver lavorato e suonato tanto in questi anni mi ha regalato una nuova e maggior consapevolezza rispetto a ciò che posso offrire. Ma per farti un esempio: quando hanno riferito a me e Marco Giudici, il mio migliore amico e compagno di musica da dieci anni a questa parte, che la data di Milano era sold out, ci siamo stupiti tantissimo. Per qualche motivo non ci aspettiamo ancora “niente”, e alla fine se ci penso è una cosa bella.

Marco Giudici, tra l’altro, è corresponsabile dell’arrangiamento e della produzione di questo nuovo album. Una prima volta per Any Other. Com’è andata?

È andata benissimo, il che non significa che sia sempre stato facile. Lavorare a così stretto contatto con qualcuno a cui sei tanto legato tira fuori il peggio di te, perché non ci sono quelle barriere o limiti per cui senti di doverti trattenere o comunque comportare in un determinato modo. Però è andata benissimo proprio perché lui mi conosce a fondo, a livello artistico oltre che umano; quindi, il processo è risultato molto naturale. Sembra quasi che sia cominciato tutto proprio dieci anni fa, quando ognuno curava il proprio percorso e ci spalleggiavamo solo per alcune cose. Poi è successo sempre di più, finché non abbiamo collaborato in toto a questo progetto.

Devo ammettere poi che condividere scelte e responsabilità mi ha fatto molto bene, perché tendo a essere un po’ maniaca del controllo. Invece così mi sono potuta concentrare su altri aspetti che sono comunque molto importanti nella realizzazione di un disco e ho imparato a delegare.

Inoltre, quando esce un disco c’è una porzione pubblica, che è quella di cui si impossessano gli altri, e una parte tua privata, che riguarda te e come lo fai. Quella parte te la porti dietro per sempre. Quindi è bello poter passare il tempo a suonare con il tuo migliore amico perché condividi momenti che rimarranno indelebili nelle vostre memorie. Durante la stesura dell’album, poi, ho passato un periodo di vita davvero difficile, ma lui c’è stato, sempre e comunque. E di questo sono davvero grata.

Any Other nuovo album
Any Other by © Ludovica De Santis

«Da persona queer mi rendo conto che anche io ho bisogno di punti di riferimento, di trovarmi, anche nei prodotti artistici di cui fruisco»

Creare punti di contatto credo sia particolarmente importante per la comunità queer. Trovare qualcuno in cui identificarsi e in cui rivedere la propria esperienza di vita è fondamentale nel processo di accettazione di sé e di ricerca del proprio posto nel mondo. Il tuo album affronta una serie di tematiche molto personali, tra cui l’identità di genere, la salute mentale, il rapporto con i genitori. Trattandosi di argomenti cari alla comunità queer, in quanto caratterizzanti di tante esperienze che accomunano chi ne fa parte, senti una responsabilità in questo senso? Oppure vivi la tua musica come esperienza catartica personale?

Credo che una cosa non escluda l’altra. Sicuramente lo faccio in primo luogo perché ha qualche utilità per me stessx. Allo stesso tempo, però, le esperienze che ho vissuto e che vivo sono estremamente trasversali e orizzontali, non le reputo speciali nel senso di particolarmente singolari. Da persona queer mi rendo conto che anche io ho bisogno di punti di riferimento, di trovarmi, anche nei prodotti artistici di cui fruisco. Perciò la vivo come un guardarci tutti in faccia e dire “okay, siamo sulla stessa barca”. Mi fa molto piacere quando qualcuno mi scrive o mi si avvicina ai concerti per ringraziarmi di averlo fatto sentire meno solo, perché a me capita la stessa cosa con altri artisti.

Dal momento che suoni in Italia, ma anche tanto all’estero, ti sembra che questo meccanismo funzioni in modo diverso nei vari paesi?

Sul piano di cosa viene recepito direi di no, nel senso che ai concerti credo ci sia un piano di comunicazione non verbale per il quale, anche se qualcuno non conosce l’inglese, per esempio, può sentirsi comunque connesso ai miei brani. Le emozioni e le sensazioni ti arrivano. Parlando invece di consapevolezza mi sono resa conto che fuori dall’Italia c’è maggior familiarità con certe tematiche, come il significato di gender imbalance o del termine queer banalmente. Devo dire però che le cose sono cambiate tanto negli ultimi anni e in positivo. Sicuramente poi non è un solo il nostro paese a essere in difetto, nessun posto è il paradiso in questo senso.

Poi di fatto c’è tanto lavoro da fare su queste tematiche, anche solo a livello di industria musicale, e a prescindere dal confronto tra paesi. E non mi tiro fuori da questo discorso, sia chiaro. Penso che abbiamo tutti bisogno di analizzare il nostro contesto e vedere dove possiamo migliorare, per rendere il mondo un posto più giusto e accogliente nei confronti davvero di tutti.

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Any Other by © Ludovica De Santis

«La rabbia è un’emozione sana. Può e deve essere gestita in modo costruttivo, perché in caso contrario le conseguenze sono terribili»

Spostando il focus, parliamo dell’aspetto visivo del tuo fare musica. Il videoclip di If I Don’t Care, uno dei due brani anticipatori dell’album, affronta il tema della gestione della rabbia attraverso una scelta artistica che comprende sbrilluccichi, colori dalle tonalità morbide e delicate, abiti e accessori che rimandano al mondo dell’infanzia. Da dove viene questa associazione così curiosa fra tema del brano e visual?

È partito tutto da uno spunto che ho dato io, ma che poi è stato rielaborato in modo spettacolare dalla mia migliore amica Cecilia Grandi (@tuttotonno su Instagram). Ha avuto lei la responsabilità della direzione artistica del video. L’idea di fondo era trasmettere come la rabbia non sia necessariamente qualcosa di negativo. È un’emozione legittima, che a volte si scatena per proteggerci da certe cose. Spesso la rabbia viene rifiutata o definita come qualcosa da soffocare e reprimere. Invece è un’emozione sana, può e deve essere gestita in modo costruttivo, perché in caso contrario le conseguenze sono terribili.

Volevo che passasse questo messaggio, e con più leggerezza possibile. Il claim del brano poi, da cui deriva il titolo If I Don’t Care, è tanto legato a un’idea di leggerezza, di lasciar andare, di non farsi sopraffare. Infine, è una scelta estetica che rende tutto un po’ più camp e questa caratteristica mi piaceva tantissimo (ride, ndr).

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Any Other by © Ludovica De Santis

«Quando lavori con qualcuno che ti ha a cuore sai che qualsiasi spunto, suggerimento o proposta arrivi da lì, è dettata dall’amore»

Collaborare con i propri migliori amici, ma più in generale con persone a cui si è legati da sentimenti di affetto, ammirazione e simpatia, ovviamente regala esperienze memorabili. A livello di risultati, però, credi che comporti qualche differenza?

Assolutamente sì e in senso positivo. Da una parte c’è la questione della fiducia, per cui quando lavori con qualcuno che ti ha a cuore sai che qualsiasi spunto, suggerimento o proposta arrivi da lì, è dettata dall’amore. E viceversa. Mentalmente ti mette in uno stato d’animo diverso, più sereno. Nel mio caso poi, che con Cecilia e Marco ho iniziato a suonare rispettivamente 15 e 10 anni fa, ci si conosce così bene che si sanno già i riferimenti culturali, musicali e artistici reciproci. Di conseguenza ci si intende molto prima e in modo più profondo.

È vero che si tratta di lavoro, ma alla fine della giornata sono alcune delle tante esperienze che farai nella vita e se hai la possibilità di affrontarle insieme alla tua famiglia scelta, cosa può esserci di meglio? Per me è una questione di priorità: di certo vuoi che le cose vengano bene, ma se puoi farle bene e con chi ami, hai vinto a priori.

Any Other by © Ludovica De Santis

«Bisogna ascoltarsi, perché quando si sta bene con se stessi poi si sta meglio anche con gli altri»

Chiudendo il cerchio, c’è qualcosa in particolare che vorresti venisse trasmesso o notato da chi ascolterà l’album?

Capita spesso, soprattutto durante la crescita, di aver a che fare con persone, contesti, situazioni che ci fanno mettere in dubbio chi siamo e la validità di chi crediamo di essere. E non ci fa bene. Abbiamo tutti un istinto che ci aiuta a identificarci e dobbiamo assecondarlo, perché quella cosa lì è valida. Io non l’ho fatto e di conseguenza ne ho sofferto tanto, perché non sono stata in grado di dire: no, se sento di essere così è perché lo sono davvero. Perciò ho appreso che riconoscerlo è davvero importante. Bisogna ascoltarsi, perché quando si sta bene con se stessi poi si sta meglio anche con gli altri. Abbiamo una responsabilità nei nostri confronti, e ce lo dobbiamo di capire come fare a star bene.

Il titolo “stillness, stop: you have a right to remember” richiama in diversi modi quanto hai appena affermato. L’accento sul ricordare, poi, mi sembra particolarmente interessante. Che significato ricopre questo verbo all’interno del progetto?

Ricordare è davvero importante. Ne ho preso coscienza andando in terapia e scoprendo il fenomeno della rimozione dei ricordi in seguito a un trauma. È un qualcosa che accade a chiunque, più di quanto si pensi. E, come dicevo prima, ho avuto esperienze di vita piuttosto comuni. In generale comunque non credo che le difficoltà rendano necessariamente più forti e che, di conseguenza, dovremmo essere sempre grati di doverle affrontare. Ricordarsi di tutto, però, tanto delle cose belle quanto di quelle spiacevoli, mi sta servendo a mettermi in gioco, ad additare le brutture e a superarle con consapevolezza. Il titolo dell’album rimanda a questo: ricordati di te, di chi sei e non permettere a nessuno di fartelo dimenticare.

Any Other, cover del nuovo album

Nei live Any Other suonerà il nuovo album con una band di 5 elementi. Il tour organizzato da DNA concerti comincia con un concerto speciale proprio oggi, venerdì 26 gennaio, allo Spazio Teatro 89 a Milano.  Proseguirà poi il 17 febbraio allo SPAZIO211 a Torino, il 23 a Musici Per Caso a Piacenza, il 29 al Locomotiv a Bologna, il 1° marzo a Officina degli Esordi a Bari, il 2 all’Angelo Mai a Roma, l’8 allo Spazio Teatro 89 e il 9 al Colorificio Kroen a Verona.

Con il nuovo album Any Other tornerà anche in tour in Europa. Al momento sono già annunciate le date in Germania, organizzate da Brighter Agency: gli appuntamenti tedeschi in programma sono il 12 aprile a Heppel & Ettlich a München, il 13 a Bedroomdisco Kirchenkonzert a Darmstadt, il 14 a Bumann & SOHN a Köln, il 15 a Kantine am Berghain a Berlin, il 16 a Die Hebebühne a Hamburg e il 18 a Feinkostlampe a Hannover.

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