L’architettura a Venezia tra coscienza e speranza: il laboratorio del futuro di Lesley Lokko visto attraverso uno sketchbook

Si è aperta il 20 maggio la 18esima Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, a cura di Lesley Lokko. The Laboratory of the Future, questo il titolo della kermesse, non è una Biennale facile, né vuole esserlo. La curatrice, già famosa scrittrice, teorica dell’architettura e docente nelle principali università internazionali, vuole dar vita a un “workshop di esperienze”, per usare le sue parole, un luogo di tensione tra le arti, basato sull’idea che non sia possibile costruire un mondo migliore se prima non lo si racconta e immagina.

Per questo il focus è sull’Africa, sebbene non si tratti di una rassegna dedicata unicamente al continente nero. Proprio partendo da quest’ultimo, però, è possibile invertire la rotta, rifacendosi a una tradizione millenaria di tecniche e sensibilità progettuali sostenibili. La tesi della visionaria intellettuale a capo della Biennale è quindi che, se non si attuano dagli stati africani i i processi di decarbonizzazione e decolonizzazione culturale, non ci sarà alcun futuro, semplicemente. “Futuro”, tuttavia, significa anche sperimentazione e, in fondo, hope: tanti sono i progetti che trasudano speranza, definita da Lokko una “moneta potente”.

In Laguna è dunque presente la grande architettura (magnifiche le installazioni di David Adjaye e Francis Kéré), ma anche il reportage investigativo e il cinema di Amos Gitai, così efficace nel raccontare i luoghi. C’è rabbia come pure incanto, fascino e politica, insieme al laboratorio per il futuro.
Sono stato all’opening con il mio sketchbook per guardare, capire e prendere appunti.

Lesley Lokko, la Biennale come piattaforma e veicolo di cambiamento

Lokko è una personalità sui generis, architetta, scrittrice besteller, docente di architettura con esperienze negli Stati Uniti, in Europa, Australia e Africa. Pluripremiata, nell’arco di un trentennio si è dedicata alla relazione tra cultura etnica e spazio. Ha fondato l’African Future Institute, scuola di specializzazione di architettura ad Accra, in Ghana, paese in cui vive ed opera.

“Interpreto la Biennale – queste le sue parole – come una sorta di piattaforma, non per iniziare da zero il cambiamento, ma per amplificare e focalizzare l’attenzione su quello che sta crescendo e maturando da tempo”.

Biennale architettura Lesley Lokko
Lesley Lokko (artwork by Jacopo Ascari)

Le opere in mostra

Il padiglione centrale è inteso come “una raccolta di singole opere, azioni, percorsi e distinzioni, intrecciati tra loro dal punto di vista spaziale e curatoriale”. Le “cause di forza maggiore” sono, secondo Lokko, clausole che esonerano dall’assumersi responsabilità e prendere coscienza: i progetti qui raccolti sono esperienze progettuali e artistiche che combattono tale deriva comportamentale.
Risaltano le esperienze progettuali raccolte all’interno della sala Adjaye Future Labs, dove modelli fisici sono abbinati a film narrativi per raccontare il processo di creazione di luoghi, identità e memoria.

Biennale architettura Padiglione centrale
Il padiglione centrale (artwork by Jacopo Ascari)

Il modernismo tropicale secondo il V&A

Il Padiglione delle Arti Applicate, da alcuni anni curato dal Victoria & Albert Museum, è dedicato a una ricerca rigorosa sulla storia imperiale del modernismo tropicale, un momento di transizione in cui furono conquistate nuove libertà e in cui la rottura con il passato coloniale del Ghana e dell’Africa centrale si manifestò attraverso l’architettura.

Modernismo Tropicale
Modernismo tropicale (artwork by Jacopo Ascari)

Le “relazioni pericolose” di Lesley Lokko

L’Arsenale si concentra invece sui professionisti che lavorano al superamento del margine produttivo tra l’architettura e la miriade di elementi “altri” – paesaggio, ecologia, pianificazione, finanza, dati, salute pubblica e AI; sono le “relazioni pericolose” che secondo Lokko “incoraggiano un’insicurezza e un’avversione al rischio”. Tra proposte profondamente diverse, emergono le installazioni all’aperto, la grande foresta abitabile di Adjaye e la ricostruzione di antichi saperi secondo Kéré.

Relazione Pericolosa
La foresta abitabile di David Adjaye (artwork by Jacopo Ascari)

140 progetti internazionali per una nuova idea di urbanità

Platform Architecture&Design, invece, dedica al tema una grande rassegna alla Scuola Grande della Misericordia. A cura di Luca Molinari, Simona Finessi e Angelo Dadda, la mostra si focalizza sull’evoluzione del progetto architettonico in un “tempo sorprendente e spiazzante”. Afferma Molinari che “La metamorfosi è l’immagine più prossima per indicare una fase di profonda trasformazione che sta mettendo in discussione i nostri stili di vita, gli strumenti e i linguaggi con cui li rappresentiamo”. Ad introdurre l’argomento, una mia grande illustrazione, rappresentazione volutamente tradizionale di un’idea di città che torna a crescere su sé stessa, come un flusso che ricomincia a scorrere, coincidente con l’identificazione di un nuovo futuro.

Jacopo Ascari, The New Together
Jacopo Ascari, The New Together

Nell’immagine in apertura, l’artwork The New Together dell’illustratore Jacopo Ascari

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