E Brioni creò l’uomo

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Quando si sfila la camicia hawaiiana immancabilmente gialla, svelando lascivi addominali a tartaruga in ‘C’era una volta… a Hollywood’ di Quentin Tarantino, la sala buia che fissa il grande schermo sembra quasi trasalire.

Biondo, bello e avvenente come un nuovo Adone pulp, Brad Pitt protagonista dell’intimistico ‘Ad Astra’ è la star indiscussa del firmamento cinematografico globale, l’uomo dei sogni per le donne e il bersaglio di invidie ancestrali per gli uomini.

Brioni ha annunciato che è lui, il nuovo interprete ufficiale delle sue collezioni alta moda maschile. Sul red carpet di Cannes e Venezia Brad, al pari di Omar Hassan, Stefano Sollima, Maurizio Lombardi, Adriano Giannini e Pierfrancesco Favino, che sta mandando in visibilio le platee americane con ‘Il traditore’ di Marco Bellocchio, ha già sfoggiato il celebre smoking su misura della maison entrata ormai dal 2010 nella galassia del polo del lusso francese Kering.

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Photo by Matt Winkelmeyer/Getty Images

Come sempre è l’America, (Hollywood, New York, Miami poco importa), a indicare la via e a segnare il nostro destino, una sorte provvida quanto ineluttabile. Così come è stato per Giorgio Armani che nel 1982 giganteggia sulla copertina del ‘Time’, così per Brioni il treno del successo planetario passa nel 1955 quando l’autorevole periodico a stelle e strisce Life dedica un articolo alla maison di menswear blasonato che da 75 anni è una certezza per emiri e businessmen, divi di Hollywood e gentlemen racé, leader politici, artisti e capitani d’industria.

Non a caso Brioni viene definito ‘Il sarto degli americani’. Le testaten di punta della stampa di costume d’oltreoceano fanno a gara per ‘immortalare’ il talento creativo del nuovo brand.

Per descrivere lo stile della griffe capitolina, fondata a Roma in via Barberini nel 1945 da due intrepidi sarti abruzzesi, Nazareno Fonticoli e Gaetano Savini Life conia l’epiteto ‘Dior per uomo’. Il New York Times che non vuole essere da meno, parla di ‘new look maschile’ e per fare la sua parte anche il Boston Herald dipinge l’atelier prediletto dalle star della Hollywood sul Tevere, come ‘capofila di un nuovo rinascimento italiano’.

E se nel nome c’è sempre un destino, quello del marchio è già segnato fin dall’inizio: si chiama Brioni l’isola dell’Istria, meta privilegiata del jet set e destinazione ambita di aristocratici nomadi, dediti a sport élitari come il golf e il polo che diventa il portafortuna evocativo della maison già prima di Ralph Lauren.

La storia è una strada in salita lastricata di opportunità. Nel 1952, Giambattista Giorgini, gran cerimoniere del nascente Made in Italy, gioca la carta ‘Cherchez l’homme’.

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E così decide di mandare in pedana, insieme ai modelli femminili di Jole Veneziani, celebre per le sue sontuose pellicce, il nuovo mood maschile delle giacche da sera in shantung di seta colorato, in velluto froissé e in mohair jacquard firmate Brioni. Gli ‘indossatori’ della casa di moda per uomo (il primo e il più popolare nel belpaese fu Angelo Vitucci), conquistano subito Mary Pickford e il buyer del department store statunitense B.Altman & Co.

Che dedica a Brioni la prima vetrina in America sulla Quinta Strada di New York. È nata una stella. Brioni è il primo marchio di moda maschile (e l’unico fino al 1965) a calcare la pedana della leggendaria Sala Bianca di Palazzo Pitti, vivaio dei vari talenti come Valentino, Capucci, Mila Schӧn, Lancetti, Missoni, Galitzine, Forquet, Krizia, Basile, Fendi e chi più ne ha più ne metta.

E quella stessa Sala Bianca oggi celebra il passato e il presente di un pilastro della moda, italiana assurto grazie alla sartoria industrializzata a marchio globale, con un’installazione-retrospettiva curata da un guru dell’intellighenzia modaiola, il francese Olivier Saillard, incensato critico di moda già noto per le sue mostre parigine al Museo della moda del Louvre e al Palais Galliera, memorabile quella su Azzedine Alaia.

Ospite d’onore alla prossima edizione di Pitti Immagine Uomo, Brioni racconta una storia al maschile in cui Peter Sellers in giacca di astrakan va a braccetto con Pierce Brosnan in veste di 007 in ‘Golden eye’, e Clark Gable si incontra con Totò, Luciano Pavarotti e Nelson Mandela. E non solo.

Brioni in realtà è stato rivoluzionario per vari aspetti nella storia della moda. Soprattutto perché grazie al ‘bold look’ legato all’avvento dello sportswear d’oltreoceano, ha restituito scioltezza ed effortless elegance anche al completo formale più impettito gettando le basi di un vero e proprio golpe: l’emancipazione della sartoria tricolore dalla sudditanza al dispotismo della perfida Albione, ovvero l’egemonia di Savile Row e dei sarti britannici.

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Un’operazione assai temeraria nella quale si cimentano, già nelle prime tre decadi del Novecento, gli alfieri della scuola napoletana, che lancia la giacca senza rollino, avvolgente come un cardigan, ma anche un altro abruzzese, Domenico Caraceni che sfida gli inglesi destrutturando la giacca maschile, svuotata di crine, ovatta e canovaccio.

Fra gli estimatori di questa felice intuizione svetta il rubacuori Galeazzo Ciano, genero del Duce. È l’alba di una nuova era, quella del gusto italiano per lo chic confortevole imparentato, neanche troppo alla lontana, con un certo easy glamour americano che fa rima con sofisticata trasandatezza.

È la ‘sprezzatura’ un po’ randagia di Sal Mineo in ‘Gioventù bruciata’ che riecheggia a modo suo l’anima nera del protagonista di ‘Una vita violenta’ di Pier Paolo Pasolini, epitome di una ‘eleganza faziosa’.

E mentre Cary Grant, Gary Cooper, Victor Mature, Richard Burton, John Wayne e Frank Sinatra si danno appuntamento con le loro magnifiche prede nell’atelier Brioni, nella capitale, stregata dalla favola hollywoodiana del giornalista Gregory Peck che seduce la principessa Audrey Hepburn in ‘Vacanze romane’, i ragazzi fanno a gara per essere ‘poveri ma belli’.

Ph: VALERY HACHE/AFP via Getty Images

Poco importa se il piatto piange, ciò che conta è far colpo sulle ragazze facendo ‘bella figura’, perché in fondo l’abito fa il monaco. Sono gli anni della grande euforia derivante dalla ricostruzione e agli italiani per essere veramente ‘stilosi’ basta un niente.

Così Brioni nel 1957 lancia al Waldorf Astoria di New York l’abito da cocktail da uomo con la collezione Hess: un tripudio di tinte sgargianti, viola ametista, bordeaux, rosa geranio, per completi tutt’altro che austeri in seta, cachemire e velluto.

Qui il look a colonna tipico del periodo, slancia la silhouette ed elimina gli orpelli prefigurando la ‘rivoluzione del pavone’ che, sulla scia delle innovazioni introdotte da Pierre Cardin, Ted Lapidus e Yves Saint Laurent nella moda maschile, affranca nella Swinging London il menswear dal tabù della rinuncia al colore sdoganando nel guardaroba virile una coquetterie che è fondamentalmente l’anticamera dell’identità fluida.

Mentre Dougie Millings crea le divise cool dei Beatles e Lansky vende i suoi stravaganti smoking neri e rosa a Elvis, il disegnatore Luigi Tarquini ‘illustra’ le divagazioni eccentriche e i folli capricci dei nuovi arbiter elegantiarum che in piena bufera ideologica sessantottina, seguono Brioni come il loro ‘profeta di stile’: per loro nulla è mai abbastanza.

Le immacolate camicie di pizzo nude look guarnite da jabot, le giacche guru blu royal e mandarino che precorrono quelle ‘Mao’ anni Ottanta disegnate da Thierry Mugler e tanto care a Jack Lang, completi da spiaggia e da tennis molto smart, mantelle a quadri stile Terence Stamp, la star di ‘Teorema’, si alternano a giacche tex mex o con il collo in visone o addirittura in broccato ricamato e ad accattivanti sahariane.

Ph: Pierre Suu/FilmMagic

Il look coloniale dal sapore etnico cede via via il passo alle più opulente creazioni da nababbo in pelliccia sommata al tessuto, cachemire per lo più, e alle giacche solcate da gessature in oro zecchino.

Insomma l’understatement di Giovanni Agnelli incontra la salottiera trasgressione del conte Giovanni Nuvoletti e di Robert Wagner. Il lusso c’è ma non si vede: il cappotto di vicuna più essenziale costa 30.000 dollari mentre per realizzare una giacca bespoke occorrono dalle 20 alle 45 ore di lavoro, a conferma di quell’eccellenza artigianale trasmessa alle nuove generazioni dalla scuola sartoriale di Penne e che è da sempre un primato da esportazione.

Se c’è una cosa che si può apprendere ripercorrendo le tappe salienti della storia di Brioni, questa risiede nel fatto che la moda sintetizza lo spirito del tempo anche attraverso delle audaci sperimentazioni, perché l’alta moda è il banco di prova delle idee del domani: si può inventare il futuro solo se si volge lo sguardo al passato.

L’avvenire della moda maschile era già stato tracciato nel 1954 da Savini e Fonticoli con una creazione pionieristica recentemente esposta a New York: giocando d’anticipo rispetto allo sbarco dell’uomo sulla Luna, i due sarti lanciavano una giacca futuribile chiusa da cerniere lampo e decorata da tasche multifunzionali e bottoni elettrici ‘voluttuari’ e ‘utilitari’, il tutto corredato da scarpe, guanti e casco avveniristici.

Un pezzo unico e originale che si rivela anche oggi di disarmante modernità.

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