Roma, i Papi e le sartorie: il costumista Carlo Poggioli svela i segreti dei set a FraMmenti Club

Pietre come i frammenti di sculture romane, fregi, capitelli, portali di travertino e altri reperti archeologici, che spaziano dalla Roma imperiale al Rinascimento, per un palazzo quattrocentesco edificato su una struttura preesistente di epoca romana. Una sede storica, tra Piazza Navona e il Pantheon, ristrutturata mescolando elementi antichi, come la collezione di “pietre” di famiglia, ed elementi di design, e trasformata in una dimora d’epoca con otto suggestivi appartamenti di lusso.


Da affittare, ma soprattutto da vivere: non come semplici turisti, ma come viaggiatori. Una residenza di charme per chi vuole avere la sua casa nella città eterna, per pochi giorni o per una permanenza transitoria. Con spa, palestra, servizi dedicati: dalla spesa a domicilio al maggiordomo, al personal trainer. E, soprattutto, assoluta privacy. Per chi, in fondo, in albergo non riesce a sentirsi a casa propria.
In questa dimora d’arte unica, FraMmenti Club è un’occasione per un dialogo partecipativo per raccontare la Città Eterna, la sua inesauribile cultura e la sua rara bellezza, recuperando la formula degli antichi circoli letterari. Nascono così iniziative che coinvolgono artigiani, galleristi e artisti chiamati a raccontare la loro Roma in un contesto dove l’arte si respira in ogni sua forma. Nell’incomparabile cornice di Palazzo delle Pietre, Clara Tosi Pamphili ha dedicato la serata a Carlo Poggioli, costumista e presidente dell’ASC – Associazione Italiana Scenografi Costumisti e Arredatori.

I costumi di Carlo Poggioli

Un’occasione per parlare di una Roma che ospita le sartorie di costume più importanti del mondo, dove sono stati realizzati migliaia di abiti, dai film epici alle serie contemporanee, da Ben Hur a Il Trono di Spade. Carlo Poggioli ha ripercorso la sua carriera di costumista, dalla formazione con Maurizio Millenotti, Piero Tosi, Gabriella Pescucci, alle collaborazioni con registi come Terry Gilliam, Paolo Sorrentino (Youth, The Young Pope e The New Pope, Loro 1 e 2 e il suo ultimo film, ancora in post produzione), Roman Polanski (The Palace). Fino ai costumi per Terrence Malick e per la nuovissima serie Netflix tratta da Il Gattopardo.

Jude Law in The Young Pope, nei vestiti disegnati da Carlo Poggioli
Jude Law in The Young Pope, nei costumi disegnati da Carlo Poggioli

Carlo Poggioli: «I film che vincono gli Oscar coi costumi delle nostre sartorie»

Poggioli ha intrattenuto e divertito gli ospiti di Palazzo delle Pietre raccontando con gioiosa convivialità il suo rapporto con Roma, con il cinema e il mondo delle sartorie romane legate ai set cinematografici e teatrali. Un settore ricchissimo di storia e un patrimonio da proteggere, che spesso è affidato all’amore e alla memoria di chi, negli anni, ha lavorato per crearlo. Un archivio dal valore inestimabile che va regolamentato perché «ci sono film che vincono gli Oscar con i vestiti presi nelle nostre sartorie, fatti da sarte che non vengono neanche menzionate» ha raccontato Poggioli.


«Sto preparando i costumi per Antonio e Cleopatra per il Piccolo di Milano e avevo bisogno di abiti che avevo fatto in passato per una serie televisiva su Tutankhamon. Sono andato alla sartoria Tirelli, dove erano conservati, ed era stato tutto preso per una Aida. Abiti che avevo fatto fare in Marocco. Significa che un costumista ha preso i miei abiti e li ha venduti al produttore come suoi. È inammissibile. Uno dei nostri obiettivi è quello di riuscire ad apporre etichette digitali ai costumi di scena. Per fare un buon prodotto servono tre o quattro settimane e dietro a ogni costume c’è un grande lavoro di ricerca. Tutto questo lavoro va tutelato».

Carlo Poggioli
Jane Fonda in Youth, regia di Paolo Sorrentino costume design Carlo Poggioli

Com’è stato lavorare sul set con Terrence Malick?

Con Terrence Malick è stata una grande esperienza. È un’artista geniale che crea mentre gira. Le sue sceneggiature sono poche pagine. Ne ho alcune dove si legge: “I vecchietti entrano nella stanza e arriva Robertino, che era Benigni (La vita è bella – nda), che si siede e parla con i vecchietti. Chissà cosa si diranno? Lo scopriremo poi”. Erano spunti, idee messe su carta che non avevano ancora uno sviluppo. È stata una bellissima esperienza anche il film su Gesù (A hidden life – La vita nascosta – nda). Abbiamo girato tra Marocco, Malta, Turchia, Roma, Israele, Islanda, con location pazzesche. Malick la sera tardi ti telefonava e ti chiedeva i costumi per il giorno dopo.

Quando ci conoscemmo, lui mi disse: «Io ti chiederò tante cose e tu mi dovrai dire ogni volta cosa è possibile fare. Però sappi che il mio motto è che, se c’è un ostacolo, noi siamo come l’acqua: aggiriamo l’ostacolo e continuiamo». Ricordo quando dovevamo fare i costumi per i diavoli. Tutti diversi. La sera prima mi chiamava e mi diceva come farli. Viaggiavamo tantissimo e ogni volta dovevi scaricare camion, mettere a posto la sartoria, tenendo presente che sono posti isolati dove non è che vai a comprare le stoffe: devi avere tutto l’occorrente, comprese le tinture. All’inizio, anche per soggezione, dicevo: «Vedo quello che riesco a fare». Col tempo, quando mi chiamava e mi diceva: «Io domani vorrei fare questo diavolo», avevo imparato a rispondere: «Guarda, oggi mi sento molto acqua». Lui rideva e accettava.

Come ha pensato il costume da bagno iconico di The Young Pope?

L’idea è stata di Paolo Sorrentino. Paolo vuole che gli abiti siano senza tempo, mai troppo descrittivi. Sul set, poi, tutto può cambiare all’improvviso: è programmata una scena e la sera ti dicono che il giorno dopo se ne gira un’altra e tu non sei pronto perché il vestito non è finito. Ma devi risolvere il problema o metti in difficoltà una produzione. Non girare un giorno ha un costo elevato, per cui cerco sempre di fare in modo che le cose funzionino.
Adoro Jude Law. Per The Young Pope abbiamo girato in agosto. Lui era il Papa e doveva entrare nella Cappella Sistina indossando dei mantelli: avevo cercato di farli leggerissimi, ma pesavano 10 chili perché erano ricoperti di pietre. Per evitare il peso della colla, le avevo fatte cucire a mano.
Migliaia di pietre cucite a mano. Ogni volta mi scusavo perché doveva indossare quegli abiti con un caldo torrido. Non li levava neanche durante le pause. Alla fine gli chiesi perché e lui mi rispose: “Tu non sai come è utile per me il peso di questi costumi, perché mi fanno capire il peso della Chiesa che un Papa ha sulle spalle”. Una frase che non dimenticherò mai.
La tiara era fatta di sughero, ma pesava lo stesso perché era piena di fili metallici e ricoperta di pietre. Ci fu un momento allucinante. Stavamo per girare. Jude era sulla sedia gestatoria. Paolo Sorrentino mi dice che Jude, sulle spalle dei portantini, deve alzare lo sguardo al soffitto affrescato e chiede se la tiara avrebbe retto. E gridava: “ma lo può fare?”. Tremavo, perché avevamo una tiara sola e pensavo: se la tiara cade da quell’altezza, abbiamo finito di girare. Ho afferrato del biadesivo e ho attaccato la tiara sulla testa di Jude mentre lui diceva: “2 millimeters left”… Nel frattempo Paolo da lassù che urlava: “giriamo!”. Jude mi guarda e dice “don’t worry”. È bello quando hai la collaborazione di queste star. È difficile quando hai quelli antipatici.

Chi sono gli attori antipatici?

Ho incontrato poche persone antipatiche o che mi hanno fatto problemi. Uno è John Cusack: non ho più parlato con lui. Il lavoro del costumista è quello di aiutare gli attori a entrare nel personaggio. Prima di incontrarli mando sempre i disegni, il campione dei tessuti, per far sì che siano preparati a quello che poi indosseranno.
Con John Cusack è stata la prima volta che ho litigato con un attore. Lui ha una sorta di claustrofobia e non sopporta le giacche. Il problema è che doveva fare un film dell’Ottocento. Lamentò che le spalle erano troppo strette. Avevamo già ingrandito la giacca: se continuavamo, diventava un modello anni ‘70. Dovevamo girare il giorno dopo e rifare la giacca daccapo era impensabile. Decido di mettere della lycra sotto le braccia usando una tecnica che usano i ballerini. Il primo giorno di girato, Cusack esce dalla roulotte e mi fa chiamare dicendo: “guarda, si è rotta la giacca”. L’aveva rotta lui. Chiamo il regista e il produttore e dico loro: “nella scena precedente, che non abbiamo ancora girato, lui deve avere una colluttazione. Facciamo che durante la colluttazione la giacca si è rotta. È tutto realistico”. E lo abbiamo lasciato così per gran parte del film.

Si è mai sentito in soggezione con gli attori?

Un attore che mi preoccupava era Michael Caine. Per Youth dovevamo fare la prova costume e gli abiti erano molti. Andai nel suo appartamento a Londra. Trovarsi davanti a una icona del cinema di quella levatura mette in soggezione. Michael Caine è un grande professionista e, nonostante la sua età, è stato in piedi per ore. Durante la prova non proferiva parola. Annuiva col capo. Rimaneva davanti allo specchio. Ero preoccupato che non gli piacesse nulla. Io sudavo freddo. All’ultimo costume gli mostro gli accessori, tra i quali il cappello che ha tenuto nel film, e mi dice: “Grazie Carlo perché finalmente, mentre tu mi provavi tutti questi abiti, io capivo che cosa dovevo diventare. Pensavo alle scene che dovevo girare”.

Molti stilisti creano abiti di scena. Qual è la differenza tra stilista e costumista?

Noi collaboriamo con la moda. Ho appena collaborato con Saint Laurent. La differenza fondamentale è che la moda pensa sempre a donne iconiche, che anche in cucina indossano abiti meravigliosi, come nei film degli anni ‘50. Il cinema crea dei personaggi. la moda è rivolta a un’ideale di bellezza. Noi vestiamo uomini e donne di ogni età, grassi o magri: dobbiamo fare dei caratteri. Comunque il cinema ha aiutato la moda e la moda ha aiutato il cinema. Pensiamo ai film degli anni ‘40 con i costumi di Adrian. Se disegnava degli abiti per un film, si innescava un meccanismo industriale per produrli per i grandi magazzini. Guadagnavano vendendo le copie degli abiti di scena nei grandi magazzini tipo Harrods. Ci sono stati casi dove i gli abiti hanno guadagnato più del film. Io però penso che i due mestieri vadano tenuti separati. Nel film di Sorrentino ho avuto a che fare con Saint Laurent, ma hanno rispettato le mie indicazioni per gli abiti della protagonista. Se però arriva uno stilista che vuole imporre il suo modello perché altrimenti non è distintivo della sua maison, allora la collaborazione sul set non funziona.

Chi si rivolge a un costumista del suo calibro, pretende l’aderenza alla realtà storica o le chiede creatività?

Dipende. Ad esempio ci sono registri giovani ai quali non devi parlare di costume. Però riesco a farli ragionare e dico loro: se tu affronti questo periodo, ad esempio fai Il Gattopardo, racconti un momento dell’Italia, un pezzo di storia. Puoi uscire fuori da un certo territorio, ma entro certi limiti.
Quello che oramai sono tremende sono le piattaforme. Hanno gli algoritmi che dicono: questi costumi non attirano i giovani, perché magari sono troppo gonfi. Allora ambientate la serie in un’altra epoca dove gli abiti sono più aderenti. Devi rispettare il periodo storico, non puoi raccontare il falso ai nostri giovani. Come mettere la nobiltà con neri americani nel ‘700. Questo vuol dire insegnare il falso. Ci sono registi che mi chiedono di allontanarmi dalla realtà. So che sbaglio, ma sbaglio come dico io, con una libertà creativa nella misura in cui è possibile averla. Ma se devo fare una cosa storica come Il Gattopardo non è che gli posso mettere le minigonne.

Carlo Poggioli
Una scena di Cold Mountain: i costumi sono opera di Ann Roth e Carlo Poggioli
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