Mal di Dandy

«I vestiti fanno l’uomo. Le persone nude hanno poca o nessuna influenza sulla società», diceva Mark Twain. Per questo bramiamo un nuovo dandismo. Fremiamo per quella figura perfettamente invisibile ma difficile da definire: aristocratico o democratico? Enigma o involucro? Vanesio o individualista? Politico o prigioniero di sé? Pavone o piccione? Fuori tempo o profetico? Esibizionista o antisistema? 

È questo il fascino del dandy: la sua non collocabilità nella semplice categoria dell’uomo “elegante”, perché l’eleganza è formalità. Significa aderire a un codice rigoroso, tradizionale, in modo appropriato per l’occasione, seguendo le leggi della conformità e della sobrietà. Spesso frainteso come superficiale, il dandismo – che esiste dalla fine del XVIII secolo – è uno spazio di possibilità creative in cui gli individui possono interpretare una persona oltre gli stretti binari delle regole rispetto ai ruoli del maschile e del femminile, del consueto e dello stravagante. 

Dandy.
Baba: blazer and pants Drumohr, t-shirt Tela Genova, coat OUT/FIT ITALY, shoes Green George
Giorgio: blazer, shirt and pants Corneliani, shoes Green George, gloves Stetson
Roman: blazer and pants Tombolini, t-shirt Cruciani , tie Paul Smith, shoes Green George
Taino: Jacket and pants Tombolini, cardigan Filippo De Laurentiis, shoes Green George, sunglasses Moscot

La morte del dandismo

Negli anni Sessanta del Novecento Roland Barthes, il critico, semiologo e intellettuale francese colpevole di aver speso litri di inchiostro nel tentativo di definire i capisaldi di una teoria della moda, scrive che il dandismo è sostanzialmente morto. Ucciso brutalmente dalla moda stessa. Nemmeno il lusso, promulgatore di un’esclusività, può lasciargli spazio. Esso funge da incubatore di standard, norme e “leggi” che contraddicono la prima regola del dandy: l’unicità creativa. Infatti, l’etica di questa figura era improntata a una libertà squisitamente inventiva finalizzata alla distinzione assoluta dalla massa, o, al contrario, simulare una persona trasandata, perfino un clochard, sempre al fine di prendere le distanze dalla massa.

«Per essere veramente eleganti, non bisogna farsi notare»

Ma facciamo un passo indietro. Nel 1810 due dittatori governarono l’Europa. Uno era Napoleone Bonaparte il cui impero si estendeva dalla Spagna alla Polonia. L’altro era George “Beau” Brummell. Il suo impero si estendeva da St. James Street, Londra a Oxford Street.  Se l’impero di Brummell era più piccolo di quello di Napoleone, il suo potere al suo interno era altrettanto grande. «Chiami cappotto quella cosa?», sibilò al duca di Bedford e l’uomo più ricco della Gran Bretagna se la svignò per comprarne un altro.

Brummell non aveva bisogno degli eserciti di Napoleone, era un esercito di un uomo solo. E che uomo: rifiutava la seta, il velluto e il pizzo che gli uomini avevano indossato per secoli. Invece optò per alcuni colori scuri, una cravatta bianca immacolata perfettamente annodata, un frac semplice e ben tagliato, niente gioielli e niente profumo: «Per essere veramente eleganti, non bisogna farsi notare». Un concetto rivoluzionario

Brummell non ha mai lavorato. Viveva di ingegno, di fascino e di gioco d’azzardo. Impiegava ore a vestirsi, per sembrare sistemato alla bell’e meglio, ma in realtà non sbagliando neanche il più minuscolo dei dettagli. Dietro il suo chic disinvolto non c’era reddito. Ma, imperterrito, continuava a spadroneggiare sugli aristocratici. Il suo potere non si basava su altro che sulla faccia tosta. Un esteta – come Oscar Wilde, che ne è stato il suo erede naturale – al punto di diventare volutamente autoreferenziale, esibendo un culto dell’immagine che andava dal bagnarsi i guanti per farli adattare meglio alle mani fino all’aggiustarsi la cravatta per ore perché sembrasse annodata in due minuti.

«La moda è ciò che uno indossa. Fuori moda è ciò che indossano gli altri»

La letteratura, il regno delle parole e dell’immaginazione, è stata onorata dalla presenza di dandy che saltano fuori dalla pagina ed entrano nella nostra coscienza. Lord Byron, poeta romantico e straordinario dandy, ne incarnava l’essenza con il suo fascino dissoluto e le sue relazioni tumultuose. La sua poesia “Don Giovanni” è un capolavoro del dandismo, che celebra il fascino seducente di una vita vissuta al limite.


Poi c’è l’inimitabile Oscar Wilde, un dandy il cui spirito era acuto quanto il suo abbigliamento, una sinfonia visiva di sartorialità impeccabile, accessori insoliti e un pizzico di audacia. «La moda è ciò che uno indossa. Fuori moda è ciò che indossano gli altri», sosteneva. In questa frase, il cuore della questione: per il dandy la moda non è semplicemente una questione di abbigliamento. È arte, ribellione, autoespressione.

Ne Il ritratto di Dorian Gray approfondisce il lato più oscuro del dandismo, esplorando le conseguenze di una vita incentrata esclusivamente sulle apparenze. In un mondo ossessionato dall’immagine, la storia del dandy funge da ammonimento e da specchio per l’isteria della società per la bellezza superficiale

«Il dandismo non è nemmeno un eccessivo piacere per i vestiti e per l’eleganza materiale. Per il perfetto dandy, queste cose non sono altro che il simbolo della superiorità aristocratica della sua mente»

Dalle giacche di velluto dell’era romantica alle creazioni d’avanguardia dei dandy moderni come David Bowie o Harry Styles (quest’ultimo, però, solo sotto l’accorta guida di Alessandro Michele), vestirsi è uno spettacolo in continua evoluzione. L’influenza del dandismo trascende i confini del guardaroba e penetra nella vasta tela dell’arte.


L’approccio disinvolto ma meticoloso alla vita del dandy rispecchia il processo creativo. Come disse una volta Charles Baudelaire, lui stesso dandy e poeta, «il dandismo non è nemmeno un eccessivo piacere per i vestiti e per l’eleganza materiale. Per il perfetto dandy, queste cose non sono altro che il simbolo della superiorità aristocratica della sua mente». Ancora oggi, artisti contemporanei come David Hockney e Grayson Perry traggono ispirazione dallo spirito di autocreazione e dalla sicurezza di sé del dandismo.

Giorgio: sweater John Richmond, coat Paul Smith, pants Berwich, shoes Giuseppe Zanotti
Baba: blazer and pants OUT/FIT ITALY, turtleneck Paul & Shark, shoes Green George
Roman: coat Alessandro Gilles, shirt John Richmond, turtleneck Loro Piana, pants Tela Genova 
Taino: balzer Alessandro gilles, turtleneck Tombolini, pants Berwich, shoes Green George
Chan: coat Alessandro gilles, cardigan Drumohr, shirt San Andres Milano, pants OUT/FIT ITALY
Taino: balzer Alessandro Gilles, turtleneck Tombolini, pants Berwich, shoes Green George
Giorgio: sweater John Richmond, coat Paul Smith, pants Berwich, shoes Giuseppe Zanotti
Baba: blazer and pants OUT/FIT ITALY, turtleneck Paul & Shark, shoes Green George
Roman: coat Alessandro Gilles, shirt John Richmond, turtleneck Loro Piana, pants Tela Genova 
Chan: coat Alessandro Gilles, cardigan Drumohr, shirt San Andres Milano, pants OUT/FIT ITALY

I dandy del cinema

Nel cinema, dalla soave classe di James Bond all’ardita eccentricità del Capitano Jack Sparrow di Johnny Depp, i dandy occupano da tempo un posto di rilievo nel mondo del cinema: sono gli accattivanti antieroi, i personaggi che si fanno beffe degli schemi sociali e vivono la vita alle loro condizioni. Le scelte sartoriali diventano emblematiche del carattere, conferendo un fascino irresistibile.


Non si può parlare di dandy nel cinema senza menzionare la figura iconica di Patrick Bateman di American Psycho. Nel romanzo di Bret Easton Ellis e nel suo adattamento cinematografico, Bateman è il dandy per eccellenza, ossessionato dagli abiti firmati e dai biglietti da visita meticolosamente realizzati mentre si abbandona ai suoi desideri più oscuri: il suo carattere sottolinea la dualità del dandy, la sua apparenza raffinata maschera una complessità più profonda, a rivelare un aspetto cavernoso della condizione umana. Questa ricerca dell’individualità può essere un viaggio solitario, poiché richiede un livello di autoriflessione che possa differenziarlo da tutti.

Giorgio: jacket and shirt Paul Smith, sweater and pants OUT/FIT ITALY, shoes Loro Piana
Baba: jacket and sweater AT.P.CO, jeans OUT/FIT ITALY, socks Red, shoes Green George

Un viaggio alla scoperta di sé verso l’espressione di sé

La rappresentazione del dandy solitario nella moda, nell’arte, nei libri e nei film riflette le profonde sfide dell’individualità, dell’anticonformismo e della ricerca della perfezione in un mondo che spesso valorizza la conformità e la mediocrità. Il viaggio del dandy è alla scoperta di sé e all’espressione di sé: può essere un percorso solitario, segnato dall’alienazione e dal peso di essere all’altezza dei propri ideali. Questa rappresentazione serve a ricordare la complessa interazione tra identità personale e aspettative della società e i sacrifici che si possono fare nella ricerca dell’autenticità.

È probabile che i dandy di domani emergano da una vasta gamma di background e campi, usando il loro stile e la loro auto-espressione per sfidare le norme e fare una dichiarazione. Continueranno a mescolare i confini tra moda, arte e identità. Man mano che si evolvono gli atteggiamenti sociali nei confronti del genere, della sessualità e del personalismo apriranno la strada a neo-insurrezioni sartoriali.

E come saranno? Potremmo immaginare potenziali archetipi o caratteristiche che in futuro potrebbero possedere. Ecco alcuni esempi speculativi.

Dandy odierni e dove trovarli

Il “dandy tecnologicamente avanzato”: in un mondo sempre più guidato dalla tecnologia, i futuri dandy utilizzeranno la tecnologia indossabile, la realtà aumentata e la moda digitale per esprimere la propria individualità.

“L’Eco-Dandy”: con una crescente consapevolezza delle questioni ambientali, i futuri dandy potrebbero adottare abiti sostenibili e di provenienza etica come dichiarazione di stile e responsabilità sociale. 

Il “dandy gender-fluid”: man mano che la società diventa sempre più tollerante e inclusiva nei confronti delle diverse identità di genere sfideranno le norme di genere abbracciando stili androgini e gender-fluid. Le loro scelte di moda confonderanno i confini tra mascolinità e femminilità.

Il “Dandy fai da te”: in un’epoca di individualismo e personal branding, adotteranno un approccio concreto alla moda, creando da soli i propri abiti e accessori, per rifiutare la moda prodotta in serie a favore di pezzi artigianali e su misura.

Il “dandy della fusione culturale”: in un mondo sempre più globalizzato, trarranno ispirazione da culture e tradizioni diverse, creando dichiarazioni di moda eclettiche e multiculturali che celebrano l’unità e la differenza. 

Il “dandy attivista”: i futuri dandy potrebbero usare il loro stile come piattaforma per l’attivismo sociale e politico. Possono accogliere scelte di moda che trasmettono messaggi potenti sui diritti umani, sull’uguaglianza e sulla giustizia.

Il “dandy virtuale”: con l’avvento della realtà virtuale e del metaverso, potrebbero estendere il loro stile negli spazi virtuali, creando avatar digitali meticolosamente curati quanto il loro aspetto fisico.

Il “dandy senza età”: mentre la società sfida l’ageismo e celebra la diversità, sfideranno le nozioni tradizionali di invecchiamento, abbracciando uno stile senza tempo che attacca le aspettative della società riguardo a bellezza e giovinezza. O no?

Crediti team:

Photographer & Art director: Domenico Petralia – Productionlink Agency

Stylist: Angelina Lapper

Producer: Caterina Antonovskaya

Make-up: Fabio Lo Coco

Hair: Matteo Bartolini– Productionlink Agency using Valera, Balmain hair couture

Photographer assistants: Laura Juvancic, An Shaoda, Joseph Perrone

Stylist assistants: Gergana Dimitrova, Martina Santesi, Victoria Shvets

Models: Giorgio Perotti – Why not models, Baba Diagne – Brave models, Roman Muravev – I love models, Chan Young Jung – Fashion models, Taino Lakota – Fashion models

Special thanks: Cross Studio

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