La donna che riapriva i teatri: Drusilla Foer racconta la fiaba contemporanea di Roberta Betti

Dopo il Torino Film Festival, continuano gli eventi in sala per La donna che riapriva i teatri, diretto e sceneggiato da Francesco Ranieri Martinotti, prodotto da Capetown S.r.l. in collaborazione con Rai Cinema e il Teatro Politeama Pratese e con il sostegno di Patrizia Pepe. La donna che riapriva i teatri, il docufilm di Francesco Ranieri Martinotti sulla figura di Roberta Betti, è una storia d’altri tempi con un profumo che stimola i sensi e riscalda il cuore. È insieme una scoperta, una sensazione, un’emozione: un racconto che trasporta lo spettatore in un mondo lontano, dove tutto era possibile.

Drusilla Foer
Drusilla Foer

La storia di Roberta Betti, l’imprenditrice che salvò un teatro

È la narrazione vera e incredibile di Roberta Betti, l’imprenditrice pratese che negli anni ’90 salvò il Teatro Politeama di Prato, un gioiello dell’architetto Nervi, destinato a diventare un garage. Grazie al sostegno di una piccola impresa di pulizie e di molti cittadini, Roberta Betti acquistò il teatro dalla banca e lo riportò alla sua antica gloria, offrendo alla città uno spazio culturale.

La donna che riapriva i teatri è un meraviglioso omaggio a una donna straordinaria e a un teatro che ha saputo resistere alla crisi e alla speculazione, e che rappresenta un esempio di mecenatismo e di passione per la cultura.

Una storia di coraggio che ne racchiude un’altra: quella tenerissima tra Roberta Betti e la sua compagna di vita Elvira Trentini, raccontata da Martinotti con delicatezza e discrezione.

«Una storia d’amore detta e non detta che ho lasciato com’era – racconta Ranieri Martinotti –  perché non hanno mai fatto coming out, non hanno mai voluto rendere pubblica la loro storia di grande amicizia in una città come Prato, dove rischiava di diventare motivo di pettegolezzi. Vivevano in due appartamenti adiacenti sullo stesso pianerottolo, con due ingressi separati. Dentro la casa c’era una porta che faceva comunicare i due appartamenti. Sono state grandi amiche, ma la vita privata appartiene a loro». L’intervista.

«Volevo raccontare una storia quasi sconosciuta, ma che è stato un fiore all’occhiello del nostro Paese; di quando ci si impegnava in prima persona»

Perché un docufilm su Roberta Betti?

Perché quando un autore incontra una storia che lo stupisce, lo sorprende, credo che abbia il dovere di condividerla con il pubblico che immagina di avere. E in un’epoca in cui a occuparsi del patrimonio culturale sono le fondazioni bancarie, gli sponsor, gli stilisti e i grandi marchi, mi sembrava importante raccontare la storia di due donne normali, addirittura due donne del popolo. Perché la Betti era figlia di un muratore e la Trentini era una immigrata istriana a Firenze che ha cominciato facendo le pulizie; poi hanno messo su un’impresa di pulizie che è diventata una società con 300 dipendenti.

Volevo raccontare una storia quasi sconosciuta, ma che è stato un fiore all’occhiello del nostro Paese; di quando tutti sentivano propria una città con i suoi beni, le proprie tradizioni culturali; di quando ci si impegnava in prima persona. Ecco, loro hanno sacrificato anni della loro vita: invece che andare in vacanza, sono rimaste lì a salvare questo teatro e a mandarlo avanti.

Francesco Ranieri Martinotti e Roberta Betti presentano "La Donna che riapriva i teatri"
Francesco Ranieri Martinotti con Roberta Betti e Elvira Trentini

«C’è un legame profondo tra queste due donne: Roberta Betti ha ospitato i primi spettacoli di Drusilla Foer»

Hai scelto come portavoce Drusilla Foer, una diva d’altri tempi. Si avverte la mancanza di queste figure?

Evidentemente c’è un filo che lega questi personaggi, queste persone, la loro sensibilità, la loro visione del mondo, e non a caso si sono ritrovate in questo documentario, in questa storia. Drusilla Foer è stata valorizzata e incoraggiata dalla Betti a insistere su un personaggio che, agli inizi, non era scontato che sarebbe diventata una personalità del mondo dello spettacolo e, oserei dire, della cultura italiana.

Perché quando Drusilla sale sul palcoscenico di Sanremo o presenta i David di Donatello, non è che fa la presentatrice e basta, ma esprime un pensiero, delle opinioni. C’è un legame profondo tra queste due donne. Agli inizi Drusilla era uno dei tanti attori che cercavano la propria strada e ha trovato la Betti che le ha detto: “Vai avanti così, ti incoraggio e soprattutto ti do la scena”. Perché è stata la Betti a ospitare i suoi primi spettacoli. Per questo Drusilla non poteva non essere dentro questo documentario e non poteva non aiutare a raccontare questa storia.

I documentari sono un prodotto in forte crescita e la Rai è uno dei maggiori produttori del settore. Mancano i racconti degli anziani che ci trasmettevano la loro memoria? Quel ruolo oggi lo svolgono i biopic?

Oggi diventano record di ascolti documentari dove vengono raccontati gli amori tra un calciatore e la sua ex moglie, mentre questa è una storia particolare, legata a un territorio. In giro per l’Italia è pieno di queste storie, ma bisogna andarle a cercare e bisogna saperle ascoltare.

Io l’ho incontrata per caso e ho deciso di farne un documentario. Non so perché poi hanno successo anche dei documentari tipo quello del rapporto tra un cantante tatuato e sua moglie che fa l’influencer. Quello che so è che difficilmente documentari come questo usciranno nelle sale.

«C’è un punto in cui Roberta Betti dice che ha suscitato l’orgoglio cittadino… il carattere di questa donna incontrava quello di una cittadina industriale»

Quella del Politeama è stata una raccolta di crowdfunding che ha avuto successo. Guardando il docufilm sulla Betti e il Politeama di Prato non si può non pensare a storie come quella del Valle di Roma abbandonato a se stesso…

Oggi lo chiamano crowdfunding, all’epoca era un azionariato popolare diffuso: vendere azioni una ad una alle poche o tante persone appassionate che ancora pensavano che la cultura fosse un valore primario. C’è un punto in cui la Betti dice che ha suscitato l’orgoglio cittadino. Roma è una città sorniona. Prato è una di quelle piccole città operose, dove c’erano tante fabbriche di tessile; e il carattere di questa donna incontrava quello di una cittadina industriale dove la gente si prendeva il proprio telaio, se ne andava a casa e si metteva a lavorare e rischiava.

Poche chiacchiere e tanti fatti. Lei a un certo punto ha smesso di fare chiacchiere e ha convocato le banche, ha convocato gli industriali, è andata alla Consob. Se chiude il teatro Valle i romani vanno in un altro teatro. Nel docufilm c’è la storia di quel vecchietto che dice: “Guardi io vorrei comprare cinque azioni ma devo anche comprare il latte, ne posso comprare solo tre?

Francesco Ranieri Martinotti, Roberta Betti e i giovani protagonisti del musical
Francesco Ranieri Martinotti, Roberta Betti e i giovani protagonisti del musical

«La perfezione non ti commuove, non ti emoziona»

La donna che riapriva i teatri è un progetto artigianale…

Sì e ha tutti i difetti dell’artigianato, che ha l’orlo imperfetto, con la cucitura leggermente storta, però la perfezione non ti commuove, non ti emoziona. Quindi uno deve accettare anche di fare dei film indipendenti, artigianali, con più lavoro di manodopera e meno di tecnologia per cercare di raggiungere il cuore del pubblico. Ho pensato addirittura di fare un circuitazione diversa, persino nelle sale teatrali, evitando il cortocircuito delle uscite in sala tra grandi debutti, magari stranieri, ed eventi vari.

Credi che l’AI avrebbe dato un simile cuore a questo docufilm?

Il punto è che poi si arriverà a un’intelligenza artificiale così sofisticata che dirai: Mi fai un prodotto artigianale con questi difetti. E magari arriveremo a un livello di tecnologico tale per cui, mettendo le indicazioni, ci si arriva pure a quel risultato. Rimane il fatto che sì, forse la macchina si potrà avvicinare il più possibile, ma gli mancherà l’anima, quel qualcosa di umano che ora arriva credo… spero. Gli mancherà l’urgenza che nasce da una sofferenza. Soprattutto credo che, essendo “intelligente”, non avrebbe l’incoscienza di un autore di fare progetti dettati dalle emozioni.

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