Food talk: Ettore Bocchia parla della cucina molecolare

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È stato definito un rivoluzionario che ha ribaltato l’approccio alla cucina. Eppure Ettore Bocchia, fondatore e autorità massima della cucina molecolare, è una persona dallo charme discreto che riesce a spiegare anche concetti complessi ma in modo semplice e diretto. Dalle sue parole emerge la grande passione per la ricerca dei migliori ingredienti, frutto di lunghi viaggi alla scoperta delle eccellenze produttive. Lo abbiamo incontrato nel suo regno, il ristorante stellato Mistral con vista mozzafiato sul lago di Como. Un posto speciale all’interno del Grand Hotel Villa Serbelloni di Bellagio, una struttura unica per atmosfera e stile, risalente al 1873 quando fu trasformata da casa privata in hotel di lusso.

Quando hai capito saresti diventato uno chef?

Ho iniziato in questo settore a dodici anni e poi a ventisette ho deciso di mettermi a studiare e lavorare duramente per raggiungere determinati risultati

Quali sono state le esperienze per te veramente importanti?

Sicuramente quando ho investito per studiare a quella che è considerata la scuola di cucina più importante al mondo, l’Ecole Lenôtre di Parigi. Lì ho potuto studiare e apprendere l’impostazione francese e alcuni importanti concetti. Ho dedicato molto tempo nelle scuole e in quelli che erano i miei hobby: fare ricerca del prodotto e capire quale era la filosofia dei miei colleghi, anche quelli delle generazioni precedenti alla mia. Per diletto o per studio ho iniziato a viaggiare venticinque anni fa. Ho conosciuto molti colleghi e ho continuato a viaggiare per assaggiare e capire la cucina del mondo.

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Quindi sei sempre stato un viaggiatore curioso?

Sì. Sono stato e sono tuttora una persona curiosa. Per me è importante anche confrontarmi con i giovani. Hanno una prospettiva completamente diversa della cucina, più stilistica. È uno scambio molto interessante e reciproco. Mi fa piacere notare che hanno molta attenzione nei confronti del prodotto, perché un piatto non è mai fine a se stesso e conta la qualità degli ingredienti.

Lo scorso hanno hai festeggiato i cento anni del Grand Hotel Villa Serbelloni. Che cosa avete realizzato per l’occasione?

La proprietà ha richiesto un determinato stile per il menù del centenario: i classici della cucina francese. In determinate cucine si parla ancora questo linguaggio. La cucina francese ha dettato legge per oltre un paio di secoli, dalla fine del 1700 ai primi anni 2000.

Quali piatti consiglieresti a chi mangia per la prima volta al tuo ristorante Mistral?

Sono stato il primo in Italia ad applicare la scienza alla cucina. Consiglierei il menù di cucina molecolare che varia i suoi prodotti seguendo il ciclo delle stagioni. La cucina molecolare ha cambiato il linguaggio culinario.

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Com’è nata l’esigenza di scrivere un libro?

Volevo puntualizzare e rendere noto quelli che sono stati i miei anni di carriera e dove mi trovo in questo preciso momento. L’ho fatto più per me stesso. Non volevo farmi conoscere al grande pubblico, piuttosto certificare quello che ho fatto e come è partito il mio viaggio nella cucina molecolare.

Qual è secondo te il fraintendimento più comunque riguardo alla cucina molecolare?

Si parlava di questa cucina intesa solamente come piatti che prevedono un alto tasso tecnico che è importante, ma non deve sminuire quella che è la qualità del prodotto, il focus di ciò che si mette nel piatto. Non voglio fare una cucina che diventa uno spettacolo fine a se stesso. La cucina molecolare ha rimesso in discussione tutte quelle che erano le preparazioni delle ricette tradizionali.

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Come hai sviluppato le competenze scientifiche che applichi alla tua cucina?

È stato un percorso lento, un passo alla volta, fatto assieme a fisici e chimici, docenti universitari con cui ho studiato i processi di cottura degli alimenti e la loro struttura.

Di quale prodotto sei particolarmente orgoglioso?

La sfida è oggi avere prodotti di eccellenza. Sono molto orgoglioso di avere il fegato grasso d’oca di Aleandro Sousa, un foie gras etico in quanto l’animale non ha un alimentazione forzata, ma si ciba naturalmente. Un ingrediente introvabile e realizzato in quantità limitatissime, che è diventato tra i protagonisti di un piatto signature.

Cosa ne pensi dei numerosi programmi televisivi a tema food?

È stato positivo. Hanno messo una lente di ingrandimento sulla figura dello chef. Un tempo ci si vergognava di fare il cuoco, oggi è un lavoro cui si ambisce ed è molto apprezzato. Tutto questo lo si deve anche alla televisione, che ha reso spettacolare quello che facciamo.

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