La coscienza di Giuseppe Zeno

C’è un rischio che corrono di frequente gli attori: quello di restare inglobati in un ruolo che, come una lettera scarlatta apposta sulla pagina Wikipedia, li accompagna vita natural durante. Questa è un’eventualità che non preoccupa minimamente interpreti del calibro di Giuseppe Zeno. Nella sua trentennale carriera l’attore napoletano ha toccato tutti i linguaggi di comunicazione spaziando attraverso tv, cinema, piattaforme streaming e palcoscenici. A ogni personaggio interpretato Zeno ha regalato la sua impronta, dotandolo di una sua autenticità e di una sua credibilità. Una dote di cui possono vantarsi in pochi e grazie al quale è stato ed è richiesto su più fronti. Ogni ruolo è accettato e portato in scena è stato una scommessa vinta. Tutte le fiction che lo hanno visto tra i protagonisti hanno sbancato l’auditel, facendo sorridere sia mamma Rai che il Biscione di Cologno Monzese. “Blanca”, “Mina Settembre” e “Luce dei tuoi occhi”, solo per citare alcuni titoli, hanno registrato ottimi ascolti e gli hanno garantito l’abbraccio caloroso del pubblico. Non sono mancate, nella sua lunga carriera, neanche le occasioni oltreoceano. Giuseppe ha avuto la possibilità di recitare in produzioni internazionali, recitando al fianco di mostri sacri del cinema come Morgan Freeman e Toni Collette. Esperienze importanti che l’interprete ha affrontato con coscienza e con la consapevolezza che potrebbero trattarsi di occasioni irripetibili e uniche. Non si può parlare di Zeno senza poi far riferimento al suo amore per il teatro, che reputa una forma d’arte immortale. Dopo lo stop obbligato di qualche anno fa causato dall’emergenza covid, Giuseppe tornerà a calcare i palcoscenici di tutta Italia con un nuovo spettacolo teatrale in scena dal prossimo ottobre. In autunno è poi previsto il debutto della seconda stagione di “Blanca” mentre da fine aprile è sul set di una nuova serie Netflix.

Di solito il rischio che corre un attore è quello di essere bloccato in un ruolo o in un personaggio. Mi sembra che questo non sia un rischio che tu possa correre visto che negli ultimi anni tra teatro, cinema e tv hai portato sullo schermo o in scena diverse storie. La domanda sciocca è quanto dura la tua giornata? Quella seria è, come riesci a far tutto? Come organizzi il tuo lavoro e a cosa hai sacrificato?

In realtà sono molto meno impegnato di quanto si possa pensare. È un lavoro che non puoi assolutamente trascurare in termini di dedizione e di rispetto nei confronti del pubblico. La mia giornata è assorbita in gran parte dal mio lavoro e non solo quando sono impegnato fisicamente sul set o a teatro ma anche nei periodi in cui sono fermo e cerco di migliorarmi o approfondire alcune conoscenze. È un lavoro quotidiano e costante, che puoi gestire da lavoratore autonomo.

“Guardarsi indietro e dire ‘forse avrei potuto percorrere un’altra strada, forse sarebbe stata più corta’ non ha neanche tanto senso. L’importante è godersi la strada che stai percorrendo.”

Questa agenda particolarmente piena ti ha costretto a fare delle rinunce a ruoli altrettanto importanti? Hai dei rimpianti?

Qualche volta è capitato che, avendo degli impegni pregressi, sono stato impossibilitato a prendere parte a qualcosa che avrei voluto fare ma senza alcun rammarico. In questo sono anche fatalista, credo che sia un po’ il destino a decidere per noi ciò che dobbiamo fare. Guardarsi indietro e dire ‘forse avrei potuto percorrere un’altra strada, forse sarebbe stata più corta’ non ha neanche tanto senso. L’importante è godersi la strada che stai percorrendo.

Come tu stesso hai sottolineato, le protagoniste di alcuni dei tuoi ultimi progetti sono donne (vedi Blanca o Mina Settembre) e i tuoi personaggi sono di supporto di queste figure femminili.

È un ruolo che mi piace nella misura in cui il personaggio ha una sua evoluzione, ha una sua vita, ha una sua tridimensionalità. Non amo definirli ‘personaggi di supporto’ ma di appoggio. Ben vengano queste storie al femminile, visto che in molte altre situazioni la donna viene messa da parte rispetto alla figura maschile. E poi può starmi bene nella misura in cui la responsabilità è senza dubbio minore, se va male non è colpa mia (scherza, ndr). Scherzi a parte, sono personaggi ben scritti e ben sviluppati, che hanno una loro completezza e una loro vita. Mina Settembre viene dalla penna di Maurizio De Giovanni, Blanca viene da quella di Patrizia Rinaldi. Sono artisticamente appaganti. 

Anche nel privato è così, visto che sei in netta minoranza?

Non mi reputo una minoranza, mi reputo un uomo fortunato. Nella mia vita ho tre donne che adoro e sono straordinarie. Mi sento decisamente fortunato.

Look Missoni
Look Missoni

Tra i tanti ruoli che hai interpretato forse quello di Antonio in “Storia di una famiglia perbene” è quello che senti più vicino perché c’è qualcosa della tua storia personale. È così?

L’unico fil rouge che lega la mia vita a quella di Antonio De Santis è il fatto che lui sia un pescatore come mio padre. La mia vita non è assolutamente paragonabile alla sua, se non per il senso di responsabilità nei confronti della famiglia che ho ereditato da mio padre e che cerco di portare avanti con la consapevolezza di chi sa di avere due creature alle quali deve fornire dei mezzi attraverso cui potranno crearsi un futuro. E non parlo di mezzi economici, ma parlo anche di possibilità, di poter operare nella vita delle scelte libere.

“Mi ha incuriosito recitare in un’altra lingua, mettermi alla prova con la coscienza di chi sa di non avere una perfetta padronanza ma che si mette in gioco con serietà.”

Hai assaporato il cinema internazionale con “The Ritual Killer”, noto in Italia con il titolo “Muti”. Una produzione completamente diversa rispetto ai tuoi precedenti lavori. Che esperienza è stata? 

L’ho vissuta come tante altre esperienze, senza viverla con l’ansia di chi sta facendo un’esperienza internazionale, anche con un po’ di incoscienza. C’era lo stimolo e la volontà di affrontare una produzione di questo tipo, così come affronto qualsiasi lavoro che mi viene proposto. Il film poi era dichiaratamente girato e collocato in due nazioni diverse, c’era una parte italiana e una americana. Mi ha incuriosito recitare in un’altra lingua, mettermi alla prova con la coscienza di chi sa di non avere una perfetta padronanza ma che si mette in gioco con serietà. Molte volte non è importante avere padronanza delle cose ma come le affronti per raggiungere un obiettivo. Poi ho fatto parte del cast di un altro film internazionale con Toni Collette e Monica Bellucci (“Mafia Mamma”, ndr) in cui c’erano altri attori italiani. Anche quella è stata una bellissima avventura, vissuta con la consapevolezza del fatto che si tratta di esperienze che potrebbero non ripetersi ma che vanno ad arricchire il mio bagaglio.

Il teatro è un altro elemento essenziale della tua carriera. A ottobre tornerai sul palco con “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto”. Come ti stai preparando per un ruolo reso celebre da un grande del cinema come Giancarlo Giannini?

Voglio citare non soltanto Giannini ma anche Mariangela Melato e chi ha concepito e scritto questo film, Lina Wertmüller, che avrebbe dovuto curare anche la regia dello spettacolo. Ne sarei stato felicissimo ma sono altrettanto felice che a farlo sia un regista di altrettanta esperienza come Marcello Cotugno. In realtà non mi sto preparando in modo particolare. Se ti prepari pensando al film e pensando a ciò che hanno fatto quei due attori in scena, cercando anche goffamente di imitarli, non ne esci vincente. Devi pensare di trovarti di fronte a una scrittura nuova. Devi operare una scelta del tutto personale nel rispetto di quella che è la visione registica della messa in scena. Io sto cercando di vedere il meno possibile il film. Ho cercato di rimuovere, a livello di memoria emotiva, tutti i condizionamenti. Parliamo poi di linguaggi completamente diversi, quello cinematografico e quello teatrale. Sto cercando di prendere spunto dal testo. Non ci troviamo negli anni ‘70, come nel film della Wertmüller, ma i due protagonisti vivono quella situazione ai giorni nostri. 

Look Missoni, sunglasses Spektre 
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“Secondo me il teatro è una forma di rappresentazione scenica che difficilmente morirà, forse l’unica forma d’arte che sopravvivrà.”

Il teatro, insieme al cinema e in generale al mondo dello spettacolo, è stato una delle vittime più grandi del covid. Tu stesso, in prima persona, con tutte le maestranze coinvolte nello spettacolo I soliti ignoti, hai affrontato queste conseguenze. Si dice spesso in tono sofferto che “il teatro stia morendo”. Ma è davvero così? A più di 3 anni dalla pandemia come stanno le cose?

Secondo me il teatro è una forma di rappresentazione scenica che difficilmente morirà, forse l’unica forma d’arte che sopravvivrà. Se guardi al presente è più agonizzante il cinema. Il teatro vive in quel momento lì e chiunque voglia vederlo deve vivere quel momento lì. Non puoi rimandare. Nessuna tecnologia potrà mai fornire la possibilità di vedere quello che succede a teatro. È un linguaggio che ha modo di esistere, di vivere e di morire in quel determinato luogo. Qualunque altra forma di rappresentazione può avere vita in qualunque altro luogo: su un cellulare, su un tablet, su una televisione. Se il teatro sopravvive da millenni, un motivo ci sarà. Quel che è certo è che va sostenuto perché i costi sono alti, ma è una forma d’arte che difficilmente morirà.

Il nostro spettacolo, nella fattispecie, è stato gambizzato dal covid. I due anni di fermo non ci hanno permesso di riprendere perché poi sia io che Vinicio Marchioni avevamo preso altri impegni. Purtroppo lo spettacolo ha vissuto soltanto per due stagioni ma è stato accolto con molto calore in tutti i teatri italiani. 

Da qualche mese sei sul set della serie Netflix “La vita che volevi”. Cosa puoi anticiparci?

È la mia prima esperienza sotto la direzione di Ivan Cotroneo, con un progetto scritto e diretto da lui. È un piacere e una gioia totale e mi porterò un bellissimo ricordo legato alla grazia con cui è stato costruito il tutto. Non posso anticipare molto ma è un argomento di attualità che farà sicuramente molto bene a chi lo guarderà e che ha creato un’emotività che è abbastanza insolita per i tempi stringenti che ci sono su un set televisivo.

“Io sto vivendo anche di più di quello che speravo. Quando sogni qualcosa da bambino non hai gli strumenti per immaginare la vita che vuoi da grande.”

E tu stai vivendo la vita che volevi da bambino?

Io sto vivendo anche di più di quello che speravo. Quando sogni qualcosa da bambino non hai gli strumenti per immaginare la vita che vuoi da grande. Se dovessi dirti oggi se sono soddisfatto della vita che sto vivendo ti direi sì, sono decisamente soddisfatto. Tutto quello che ho chiesto al buon Dio mi è stato sicuramente restituito. Non so se nella forma che sognavo da bambino.

Credits

Talent Giuseppe Zeno

Editor in Chief Federico Poletti

Text by Stefano D’Onofrio

Photographer Davide Musto

Stylist Stefania Sciortino

Ph. Assistant Dario Tucci 

Hair & make-up Eleonora Mantovani

Make-up Assistant Silvia Evangelisti

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