Il ritorno dei cappelli Von Dutch, tra social e nostalgia degli anni 2000

Gli anni Zero sono diventati una sorta di golden age della moda da cui mutuare innumerevoli trend: dopo i revival di pantaloni a vita bassa, cinture con fibbia-logo de rigueur, occhialoni a mascherina et similia, ora sembra sia il turno dei trucker hat, o meglio del brand che nella prima decade del nuovo millennio ha reso il cappello con il retro in mesh traforato, usato perlopiù dai camionisti americani (da cui il nome), uno dei più venduti – e vituperati – accessori del periodo.
Si parla di Von Dutch, label californiana che raggiunse l’acme della popolarità negli anni Duemila, quando i berretti in questione erano un tormentone perfino tra star e starlette (Madonna, Justin Timberlake, Jay-Z, Britney Spears e Ashton Kutcher, solo per citarne alcune), per poi entrare in crisi e finire rapidissimamente nel dimenticatoio.

Adesso, a quanto pare, sarebbe pronta per un ritorno in grande stile nell’agone del ready-to-wear, proponendosi addirittura come marchio “pigliatutto” che al numero sterminato di varianti dei citati cappellini affianca magliette, calzature, borse e una linea in edizione ultralimitata, che consta per esempio di jeans stampati e bauletti tempestati di paillettes, cristalli e broderies dai prezzi non proprio ecumenici.
Gli indizi del comeback di Von Dutch, sotto questo punto di vista, ci sono tutti: limitandosi ai più recenti, vanno registrate la notizia di una docuserie prevista entro l’anno su Hulu, che ne racconterà ascesa e caduta, e la presentazione di una collezione di denim pants dall’allure esclusiva prodotti in Italia, che comprende modelli maschili dai lavaggi spericolati o istoriati dal lettering della griffe.


Justin Timberlake (Photo by James Devaney/WireImage)

Per comprendere come un brand epitomo di un’estetica parecchio discutibile, archiviata da tempo, stia raccogliendo favori tra celebrità e frotte di imberbi tiktoker, è bene anzitutto riavvolgere il nastro, tornando alle imprese del capostipite Kenneth Graeme Howard, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Von Dutch.
Precursore di quella Kustom Kulture che si sarebbe diffusa negli Stati Uniti dalla metà del secolo, Howard lavorava come meccanico nei sobborghi di Los Angeles. Alla fine degli anni Trenta perfeziona la tecnica del pinstriping, tracciando sulle superfici di auto e moto grafiche come il Flying Eyeball, l’occhio alato assurto in breve a simbolo dell’attività.

Quattro anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1992, le figlie cedono il nome agli imprenditori Michael Cassel e Robert Vaughn, che nel ‘99 fondano la Von Dutch Originals, inaugurando l’anno seguente un flagship store a L.A., su Melrose Avenue.

È l’inizio di una parabola fulminea, sospinta anche dal contemporaneo, improvviso interesse per il mondo del tuning innescato dal primo film della saga di Fast & Furious: il trucker hat viene adottato dal gotha di Hollywood, che ne fa l’accessorio prediletto per le uscite off-duty; i più temerari lo sfoderano addirittura sui red carpet, mentre le prezzemoline à la Paris Hilton ne calcano uno praticamente h24.

Il novello oggetto del desiderio, un semplice berretto da baseball in cotone e rete, non può certo definirsi un capo di pregio, ma tant’è. L’azienda, ovviamente, asseconda la mania, declinando i cappellini in ogni alternativa possibile e immaginabile, dal denim raw alla pelle, passando per fantasie camouflage, tie dye, glitter, eccetera. La fiammata però si esaurisce presto, e nel 2004 lascia l’incarico lo stilista Christian Audigier, autore degli stravaganti design che avevano inaspettatamente fatto sfracelli tra vip e non; il marchio si trascina ancora qualche anno finché, nel 2009, viene ceduto alla società francese Groupe Royer.
Ad ogni modo, il successo di Von Dutch era figlio soprattutto della celebrity culture degli anni Zero veicolata da videoclip, reality show e siti di gossip; venuta meno quest’ultima, il declino era per molti versi inevitabile.



Nel 2016, tuttavia, a risollevare le sorti del Flying Eyeball è nuovamente una celebrità, stavolta 2.0: nel feed della regina di Instagram Kylie Jenner spuntano i famigerati trucker hat, seguiti in successione da bra, minigonne, giubbotti e altri indumenti con la scritta ricurva di Von Dutch bene in vista. Che sia un’ingegnosa trovata pubblicitaria o il ghiribizzo di turno della star poco importa, la strada per il revamp della griffe è ormai tracciata, e come non bastasse lo strapotere mediatico di Jenner arrivano gli esempi di rapper, supermodel e influencer, vale a dire le personalità che hanno ormai scalzato i divi “tradizionali” quanto a capacità di condizionare i gusti dei consumatori.
Il copricapo Von Dutch torna a essere un feticcio ostentato da Travis Scott, Megan Thee Stallion, DaBaby, Tyga e altri assi del rap, così come dalle modelle du moment (Bella Hadid, Kendall Jenner) e star del web quali Emma Chamberlain e Jordyn Woods, tutti accomunati dall’enorme seguito di cui godono nel pubblico più giovane.
D’altronde il rinnovato interesse per il brand sembra attecchire principalmente tra adolescenti e affini: ad esempio su TikTok, social d’elezione della generazione Z, l’hashtag #TruckerHats conta 1,4 milioni di visualizzazioni. Von Dutch beneficia insomma della riscoperta generalizzata di marchi in voga almeno una ventina di anni fa, trascinata da un pubblico di nativi digitali abituato ad attingere in massima libertà dalle tendenze passate più diverse, traslando nell’abbigliamento il concetto di anemoia, la “nostalgia per un tempo che non si è mai vissuto” che connota quest’epoca più liquida che mai.



In tutto ciò, la label prova a sfruttare al meglio il momentum: distribuzione e direzione creativa delle collezioni tornano in house; si dà fondo all’archivio, traendone oltre ai berretti camicie dal retrogusto workwear, bowling bag e altri prodotti che hanno segnato gli anni d’oro; nell’ottica di riannodare i fili con lo show business hollywoodiano, viene riaperto il negozio di Los Angeles; infine arrivano le collaborazioni, che oggi rappresentano la via maestra per rinfrescare la grammatica di stile dei brand e aprirsi a nuovi clienti.
Nel settembre 2020 ecco allora la co-lab con Puma, una capsule collection che glorifica l’estetica (fin troppo) irruenta e appariscente dei 2000, tra nuance pastellate, grafismi che ibridano i segni distintivi delle due griffe e pattern retrò a quadretti, con l’ovvia prevalenza di felpe, tute, sneakers e altri essenziali dello streetwear imperante.

Lo scorso marzo, invece, esordisce nella sfilata Fall/Winter 2021 di Koché una partnership incentrata su proposte quali maglie adorne di piume e cappelli puntinati da borchie cilindriche. Commentando lo show, la stilista Christelle Kocher appariva entusiasta della collaborazione con «un marchio street che ammiro e finalmente vive un rilancio»; e se a parlare così è una delle designer più autorevoli della sua generazione, vincitrice di un Andam Prize e direttrice artistica della prestigiosa Maison Lemarié, c’è da credere che la rentrée di Von Dutch sia definitiva.  

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