Da Call my agent – Italia all’album di esordio: Kaze ci porta dentro il suo Post buio

Kaze

Alcune volte per realizzare un sogno o raggiungere un obiettivo bisogna avere il coraggio di rischiare e di lasciar andare ciò che non ci rende pienamente soddisfatti. Kaze questo gesto temerario e a tratti incosciente lo ha compiuto in quello che lei stessa definisce “un momento di follia” e che forse oggi non rifarebbe con la stessa facilità. Abbandona le corsie dell’ospedale di Milano, in cui lavorava come infermiera, e si getta a capofitto nella costruzione del suo futuro, quello bramato e desiderato sin da bambina.
Il frutto di questo duro impegno è Post buio, l’album di esordio della cantante/attrice uscito venerdì 12 aprile. Un titolo che definisce precisamente lo stato d’animo della sua interprete e racconta un momento spazio-temporale ben delimitato. Il ‘post buio’ è una fase della vita dell’artista in cui il peggio sembra essere finalmente alle spalle, ma non sono ancora arrivati l’alba e il tepore del giorno. Un limbo in cui Kaze riesce però a esprimere al meglio la sua arte e a dare sfogo alla sua creatività.

Il disco è composto da 10 tracce che la cantautrice ha scritto in diverse fasi della sua vita e che permetteranno agli ascoltatori di cogliere sfumature, contaminazioni e anche generi differenti. D’altronde Paola Gioia Kaze Formisano, questo il suo nome completo, di vite ne ha vissute parecchie. Dall’infanzia in Burundi all’arrivo in Italia quando ha solo 11 anni, poi il lavoro in ospedale e l’inizio della sua carriera attoriale. Dopo il debutto nel film Prime Video Anni da cane, che ha dato una scossa alla sua storia, approda nel cast di Call my agent – Italia, di cui è da poco andata in onda la seconda stagione (mentre una terza è stata già confermata da Sky Italia). Ora è pronta a regalare una nuova versione di se stessa, più intima e personale, attraverso le sette note. 

Kaze
Corset & Skirt Vivienne Westwood, Bracelets Sodini, Shoes René Caovilla

«Credo di essere proprio nel post buio esattamente come il disco»

Venerdì 12 aprile è uscito il tuo album di debutto, Post buio. Già dal titolo sveli molto di questo progetto. Racconti una fase in cui forse il peggio è passato ma non è ancora arrivata la luce.

Sì, esatto. L’idea che avevo era quella di chiudere questa fase magica che mi ha dato modo di scrivere tanti brani del disco. Tanti pezzi sono nati nel ‘post buio’. Non volevo chiamarlo alba perché la mia idea è che quando sei troppo felice e c’è troppa luce sei troppo accecato e non riesci a raccogliere i pensieri.

Parafrasando il titolo del tuo album, in che fase della tua carriera pensi di trovarti? 

Credo di essere proprio nel post buio. Mi piace che il disco sia stato pubblicato proprio in questo momento qui. Se fosse uscito prima, probabilmente non avrebbe avuto lo stesso valore. Dopo non lo so, perché del futuro non so niente. Quindi credo di essere proprio nel post buio esattamente come il disco.

Nel tuo disco c’è una contaminazione di stili e lingue. Ci sono artisti diametralmente opposti rispetto alla tua musica ma con cui ti piacerebbe collaborare? 

Questa è una domanda sempre pazzesca perché poi non ti viene mai in mente la risposta quando te la pongono (ride, ndr). In realtà sì, mi piace ascoltare un po’ di tutto e quindi mi piacerebbe sperimentare con qualcosa di molto diverso da me. L’altro giorno ho visto un video di Little Simz, che trovo incredibile. E quella sarebbe una collaborazione molto interessante. Abbiamo delle storie e delle origini comuni ma credo che lei abbia uno stile molto riconducibile. Semmai dovesse succedere nella vita, mi piacerebbe infilarmi in quel suo magico mondo e imparare qualcosa di nuovo.

«Volevo togliermi un po’ di muri e corazze e lasciare uscire questo lato di me più infantile»

Infanzia in Burundi fino a 11 anni, poi l’arrivo in Italia. Quanto c’è di queste due fasi della tua vita nel disco?

Della fase legata alla mia infanzia non c’è molto direttamente, non ho raccontato concetti che portassero lì, ma c’è molto della me bambina. Volevo togliermi un po’ di muri e corazze e lasciare uscire questo lato di me più infantile. Nell’ultimo pezzo del disco, Sopra sta terrazza (mamma), penso ci sia tanto di questa bambina che cerca protezione e che ha tutta l’ingenuità. Tra l’altro è uno dei primi pezzi che ho scritto e l’ho lasciato esattamente come l’ho scritto allora, non ho cambiato praticamente nulla perché mi piaceva l’idea di lasciare un po’ di ingenuità della Paola più piccolina. C’è tanto di quella emotività lì.

Il resto, la parte un po’ più matura, appartiene alla seconda fase della mia vita perché sono tutte esperienze che ho vissuto crescendo.

Quindi si tratta di un disco che ha avuto una costruzione molto lunga nel tempo, non è stata una scrittura avvenuta in pochi mesi…

No, molti pezzi sono stati scritti tre anni fa, altri l’anno scorso, altri ancora tre mesi fa.

Con questo disco impariamo a conoscere la Kaze cantante. Cosa ci racconti invece della Kaze ascoltatrice? Cosa c’è sul tuo Spotify?

Al momento c’è il nuovo album di Beyoncé, sin da piccola sono sempre stata sua fan, ma c’è veramente di tutto. Non mi chiudo in un genere solo e questa cosa mi ha aiutata a costruire le sonorità del disco. Oltre Beyoncé un artista a cui ho fatto sempre riferimento è Mac Miller. Ho sempre trovato la sua scrittura incredibile. E poi c’è tanto rock. Tra i primi ascolti dell’adolescenza c’erano gli AC/DC e gli Iron Maiden, che mi aveva fatto ascoltare un mio fidanzatino di allora. Ultimamente c’è anche tanto jazz. C’è questo ultimo disco di Raye, che si intitola My 21st Century Blues, che è pazzesco.

«Essendo molto orgogliosa di questo disco, non vedo l’ora di farlo sentire dal vivo»

Quanto conta la dimensione live? Cosa provi portando la tua musica dal vivo?

È la parte che mi piace di più dopo lo studio. Per fare bene live occorre tanta esperienza. Io non sono mai stata una persona pronta. La prima volta che sono salita sul palco ero terrorizzata, immobile e con gli occhi chiusi. Adesso che ho imparato a gestire l’ansia in maniera diversa e a vedermi più sicura, non vedo l’ora. Ho tolto un po’ quelle paure che mi frenavano. Essendo molto orgogliosa di questo disco, non vedo l’ora di farlo sentire dal vivo.

Un altro capitolo molto importante della tua carriera è sicuramente Call my agent – Italia. Il tuo personaggio, Sofia, continua a lavorare come receptionist dell’agenzia nonostante sogni e cerchi di diventare un’attrice. Tu per seguire la tua passione, però, hai fatto una scelta diversa dalla sua, visto che hai mollato il tuo vecchio lavoro. Non è così? 

Sì, in un momento di follia. Se me lo chiedessi adesso, forse non lo farei con tanta leggerezza. In quel momento mi ha accompagnata l’ingenuità di quell’età lì. È stato proprio un attimo. Mi avevano preso in Anni da cane, il primo film che ho fatto, sono andata in ospedale e mi sono licenziata senza ragionarci. Non vedevo altro in quel momento.

Kaze
Dress Philosophy By Lorenzo Serafini, Bracelets Pianegonda, Shoes Giuseppe Zanotti

«Marzia Ubaldi ha avuto una vita incredibile, ha fatto delle cose assurde. Se noi oggi abbiamo tanti diritti è perché donne come lei hanno compiuto dei gesti nel pratico»

In questa seconda stagione, Sofia si trova in una fase diversa della sua vita e rivendica una sua indipendenza, anche da Gabriele (il suo compagno). Ti riconosci in questa nuova versione di lei?

Sì, tantissimo. Penso di essermi riconosciuta in lei maggiormente in questa versione qui rispetto a quella della prima stagione. È un personaggio che ho sempre trovato vicino a me. Ho fatto molti lavori simili a quello di Sofia, sono stata receptionist anche io. E soprattutto in questa versione di Sofia che cresce e si emancipa da tante cose mi ritrovo molto. Penso che il personaggio abbia insegnato a me più di quanto io abbia dato al personaggio. In questa storyline sono riuscita a ritrovare un po’ di coraggio nel fare dei passi che non avevo il coraggio di fare. Credo che questa versione mi abbia permesso di crescere molto. 

In Call my agent – Italia 2 hai avuto la possibilità di condividere più scene con Marzia Ubaldi, che lo scorso ottobre ci ha lasciato. Che compagna di lavoro è stata per te? Qual è l’insegnamento più grande che ti ha dato?

Con Marzia abbiamo ho instaurato un bellissimo rapporto sin dalla prima stagione, anche se non avevamo tante scene insieme. Sul set ci dicevamo sempre di esserci conosciute in un’altra vita. Avevamo un rapporto in cui lei era molto ‘nonna’ nei miei confronti. Ho sempre apprezzato tantissimo i racconti delle persone più grandi, è qualcosa che mi piace molto ascoltare. Marzia Ubaldi ha avuto una vita incredibile, ha fatto delle cose assurde. Se noi oggi abbiamo tanti diritti è perché donne come lei hanno compiuto dei gesti nel pratico.
Ricordo di quando mi raccontò di aver lasciato il marito perché lei voleva recitare e lui no. Prese la macchina e se ne andò. Scelte che alla sua epoca erano molto più difficili da prendere. Ho passato tante ore a imparare tanto da lei. Mi ha sempre detto di non farmi mettere i piedi in testa, cercava di proteggermi e schermarmi dal mondo. Le sarò sempre grata, sia per gli insegnamenti come attrice ma anche per il tempo che mi ha dedicato e la cura con cui mi ha affidato i suoi racconti. ​​È stato veramente difficile quando ci hanno detto che non c’era più. Sono contenta di averla vissuta e di avere un pezzettino di lei da portare con me.

Da quanto mi racconti noto molte similitudini tra il rapporto che lega Sofia ed Elvira e quello tra te e Marzia…

Sì. Addirittura, in un paio di occasioni, è successo che durante le scene, anziché chiamarla Elvira, la chiamassi Marzia. Era talmente sottile la differenza che ogni tanto sbagliavo.

Viste le tue passioni per la recitazione e per la musica, ti piacerebbe unirle in un progetto? Magari in un musical o in una colonna sonora?

Io ho una passione per i musical da quando sono piccola. È una cosa che mi è sempre piaciuta tantissimo. Tuttavia non sono una gran ballerina, perciò non so se riuscirei a gestire a livello fisico la difficoltà di cantare, ballare e recitare insieme. Nel futuro però, allenandomi, vorrei fare questa esperienza. Per quanto riguarda le colonne sonore, mi hanno sempre affascinato tanto. Se ci fosse la possibilità, lo farei volentieri perché mi permetterebbe di spaziare attraverso orizzonti diversi. Scrivere una colonna sonora è molto diverso rispetto a  stendere i tuoi pezzi, devi pensare al prodotto che stai andando a musicare.

Total Look Sarawong

Credits

Photographer Riccardo Ferrato

Stylist Antonio Votta

Make Up Artist Emanuele Sofia

Hair Stylist Luca Milesi

Stylist Assistant Maria Varratta

Location Ghost Studio

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