La Divina Commedia a suon di rap: l'”infernvm” di Murubutu e Claver Gold

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, chè la diritta via era smarrita”. Nella sera di quell’imprecisato giorno di primavera del 1300 il Sommo Poeta “nato sotto gloriose stelle” ha costruito su questo verso iniziale la sua cattedrale perfetta, la grandezza sacrale e monumentale di una Commedia “Divina” e immortale. A distanza di anni, temporalmente tanti, l’allegorico peregrinar dantesco continua ad essere cibo prediletto per menti ed intelletti, più che mai nell’anno che segna il settecentesimo anniversario della sua scomparsa. E così le anime eternamente dannate e i loro aguzzini, demoni e guardiani antropomorfi di anime disumanizzate, si reincarnano, questa volta, per metempsicosi poetica nella sonata rap dell’”INFERNVM”. Il concept-album, distribuito dall’etichetta discografica indipendente di San Benedetto del Tronto, la Glory Hole Records, muove dalla prima cantica del poema madre per diventarne rilettura, immaginario traslato e adattamento dell’uomo e delle sue debolezze alla società odierna.



Daycol Emidio Orsini, in arte Claver Gold, l’ex ragazzo del quartiere popolare di Ascoli Piceno dalla penna intimista e introspettiva e dallo stile identitario nudo e crudo, e Murubutu, pseudonimo di Alessio Mariani, il professore liceale di storia e filosofia che ha fatto del suo rap didattico uno strumento di storytelling colto e letterario, hanno ricucito a quattro mani cerchi, gironi e bolge per intraprendere la loro catabasi, la loro discesa nel regno delle tenebre, della notte, del male, come auctor e viator, come autori e pellegrini, come Dante e Virgilio. Il cammino nell’aldilà intrapreso dai due rapper, da fedele riproduzione della struttura dantesca, ha inizio nella “Selva Oscura”, il luogo simbolo della dannazione e del peccato che diventa omonima traccia di apertura del disco. È la voce dell’attore Vincenzo di Bonaventura che, come un demoniaco eco oltretombale, sussurra e interpreta alcuni celebri frammenti di versi danteschi cavalcando suoni cupi, metallici, confusionari e armonicamente sgraziati come il luogo di immobile bruttezza di cui ne sono la rappresentazione. Prima di arrivare sulle rive dell’Acheronte, si apre alle nostre orecchie l’Antinferno sul ritornello parafrasato di Davide Shorty “con le anime nude e senza nome, senza infamia e senza lode, senza vita e senza morte”, quelle degli ignavi, anime peccatrici di vili e codardi che in vita non si schierarono né in nome del bene né in quello del male. Con il brano Caronte Murutubu e Claver Gold passano in rassegna i loro personaggi dolenti e maledetti, scelti tra gli altri come metafore trasversali e personificazioni allegoriche di fragilità e tematiche attuali. Il vecchio nocchiere, canuto e dagli infuocati occhi rossi, timoniero dell’impero delle anime perse e accompagnatore rabbioso di anime traviate, rappresenta così nella configurazione simbolica di questo viaggio il tema della dipendenza dall’eroina che traghetta alla morte “ogni anima che è una foglia che cade nell’ombra”. Minosse, il mitologico re di Creta, il giudice del cieco carcere che soppesa le colpe delle anime e assegna loro il cerchio al quale sono destinati, dove ogni pena si fa carne e corrisponde a un peccato, incarna la riflessione della vita dopo la morte e la possibilità di essere giudicati.



Paolo e Francesca i lussuriosi, gli amanti-cognati, i peccatori d’amore adulteri che in vita hanno ceduto alla passione ed ora sono dannati per l’eternità a fluttuare in una bufera infernale, il loro è la prova di un amore fatale e assoluto che resiste anche all’aldilà come canta nel ritornello Giuliano Palma “resta con me anche se non c’è un domani, resti per me il migliore tra i peccati”. Pier della Vigna simbolo di vessazione e ostracismo, cancelliere e notaio di corte, morto e indotto suicida dopo essere stato fatto accecare da Federico II di Svevia per corruzione. “L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto”. Il celebre suicidio-fuga terrena assume forma di denuncia contro la delicata e solitaria piaga del cyber-bullismo giovanile raccontato, in questo toccante pezzo, attraverso la storia di un adolescente, Pier, che sceglie di togliersi la vita “nella stanza, sul mio banco, all’alba giù in cortile. Oggi non ci sono più, c’è un albero di vite”. ”Dannata, sozza e scapigliata” che si alza e si siede continuamente senza trovare pace, è Taide, “la puttana”, personaggio della commedia del latino Terenzio, punita nell’Inferno perché adulatrice con l’inganno e immersa nello sterco. Murubutu e Claver Gold nobilitano questa figura, accennata e secondaria, dipingendola ora come una donna moderna e malinconica che ha perso la capacità di amare affrontando delicatamente il tema della prostituzione. E poi ancora Ulisse, assetato di una conoscenza che supera i limiti umani e divini, i Malebranche, i diavoli uncinati a guardia dei barattieri che diventano pretesto di accusa per quelli moderni che girano intorno al denaro che fa da perno, e Lucifero, l’angelo più bello del Paradiso conficcato nel ghiaccio di Cocito che nell’Infernvm svela un’inedita sofferenza che sa di umano. Sono loro a completare la mappa di questo ambizioso, raffinato e rispettoso viaggio lungo undici tracce.



I puristi della Divina Commedia, forse arricceranno il naso a tale contaminazione anacronistica dei generi, o magari no. In fondo “il fine giustifica i mezzi” soprattutto se il fine stesso è la divulgazione di un sapere e di un valore educativo che, sotto qualsivoglia forma si manifesti, ha la capacità di risvegliare l’interesse e la curiosità di chi li accoglie.   

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