La formula vincente per lo streetwear ideata da Ronnie Fieg di Kith

Se lo streetwear si presenta oggi come un fenomeno di portata mondiale (il volume d’affari nel solo settore delle sneakers, secondo Cowen Equity Research, era pari nel 2019 a 100 miliardi di dollari) è anche grazie a personaggi che, in tempi non sospetti, hanno intravisto la possibilità di renderlo il vettore di un cambiamento epocale che ridefinisse i parametri della moda tutta, dalla concezione di esclusività al rapporto con le nuove generazioni, passando per il buzz mediatico, le modalità di vendita, i social ecc.
Personaggi tra i quali va annoverato di sicuro Aaron “Ronnie” Fieg, fondatore e guida creativa di Kith, insegna retail prediletta dai consumatori branché e label di abbigliamento urban tra le più quotate, soprattutto negli Stati Uniti.
38enne, newyorchese in purezza – è cresciuto nel Queens coltivando un’autentica ossessione per quelle che all’epoca venivano bollate ancora, forse semplicisticamente, come scarpe da ginnastica – Fieg è riuscito, nell’arco di un decennio (il primo negozio è stato aperto nel 2011), a lanciare la sua creatura nell’Olimpo della fashion industry, inanellando decine di collaborazioni con svariati brand, dai titani dello sport (vedi alla voce Nike o Adidas) alle griffe del lusso, dalla bevanda pop per eccellenza (Coca-Cola) ai nomi storici del casualwear, per finire con una novità che risale a qualche giorno fa. Il designer ha infatti avviato, in tandem con Clarks Originals, l’etichetta 8th Street, che intende posizionarsi a metà tra la souplesse delle celeberrime polacchine scamosciate e il footwear performante dei giorni nostri, e ha anticipato su Instagram il primo frutto della co-lab, Lockhill, una ginnica mid-top in pelle e suède con suola spessa di prammatica, che debutterà nel corso del mese insieme a un altro modello, denominato Sandford.



Come vuole l’epos squisitamente americano del self-made man, l’odierno asso della moda street è partito dal basso, ad essere precisi dal lavoro presso David Z., il negozio di calzature di suo cugino, dove entra appena 13enne come magazziniere per passare in men che non si dica al reparto vendite e diventare, infine, head buyer. Il retailer, tra l’altro, è frequentato da quelli che allora sono esordienti di belle speranze, artisti come Jay-Z, Tupac e i Wu-Tang Clan, e lui si ritrova, a 25 anni, a gestirne gli acquisti, interfacciandosi con fornitori quali Converse o Asics.
Proprio quest’ultimo, nel 2007, gli offre una chance che si rivelerà il punto di svolta della sua carriera: Fieg ha la possibilità di mettere mano alle GEL-Lyte III, scarpe da running tra le più famose e apprezzate del marchio giapponese, e gli regala un boost cromatico, tingendo la tomaia di nuance vibranti, dal giallo fluo al viola, e mescolandole in tre differenti combinazioni, con distribuzione limitata a 252 paia per ciascuna (da cui l’appellativo “252 Pack”); il numero risibile non è certo casuale, il creativo è convinto infatti che la scarsità del prodotto rappresenti la via maestra per titillare le fantasie dei fanatici della categoria, o sneakerhead che dir si voglia. Le calzature, tra l’altro, finiscono sulla copertina del Wall Street Journal, e a quel punto il sold out è scontato, e rapidissimo.



Quattro anni dopo, decide che è arrivato il momento di uno step ulteriore e stringe un accordo con il multimarca di New York Atrium, inaugurando sul retro uno store chiamato Kith. Il nome deriva da un’abbreviazione dello scozzese “kith and kin”, un’espressione arcaica traducibile grossomodo con “amici e famiglia”, ed effettivamente rende la volontà del proprietario di offrire ai clienti uno spazio dove sentirsi accolti e serviti al meglio, stipato di scarpe – ça va sans dire – firmate tra gli altri Nike, Puma, Timberland e Red Wing.
Fieg prosegue inoltre ad apporre la propria firma su ristrettissime capsule collection, ammaliando caterve di modaioli, disposti a sorbire file chilometriche pur di accaparrarsi la limited edition di turno, come avviene per le New Balance 574 Made in Usa, una manciata di modelli nei toni del rosso o verde bosco, disponibili esclusivamente all’evento di apertura del negozio di SoHo.
Quando l’anno seguente diversi clienti chiedono lumi sui pantaloni che indossa, personalizzati con zip ed elastici sul fondo, il designer sente di poter alzare ancora l’asticella e vara una linea di apparel incardinata sugli essenziali dello streetwear (capi svelti come felpe, tee, cargo pants, bomber, denim jacket e via dicendo), in cui sintetizza i propri tic stilistici, dalla predilezione per le cromie pastellate alla semplificazione di tagli e volumi.

Sopra ogni cosa, elabora una strategia perfetta per fidelizzare la clientela: se per catturarne l’attenzione le novità sono cadenzate dai drop (“rilasci” di articoli in quantità esigue), Fieg capisce infatti – parecchio in anticipo rispetto al dilagare del concetto di shopping esperenziale divenuto il mantra contemporaneo del retail – che gli avventori vanno appunto intrattenuti a 360 gradi, stimolati con location che siano accattivanti e uniche nel proprio genere.
Il rinnovamento dei punti vendita di Kith, a partire dal flagship di Brooklyn, viene perciò affidato allo studio Snarkitecture di Alex Mustonen e Daniel Arsham (l’artista che tramuta gli oggetti comuni in “reliquie del futuro” cristallizzate, pupillo del fashion system con all’attivo partnership con Dior, Uniqlo e Adidas), il cui interior design prevede ambienti ariosi, largo ricorso alle cromature e distese di sneakers Air Jordan, impilate a centinaia su colonne e pareti oppure appese al soffitto. In ogni store, inoltre, uno spazio è riservato al Kith Treats, un bar che vende cereali e snack, buona parte dei quali, tanto per cambiare, in edizione limitata.



Poi ci sono le collaborazioni, ovvio, una quantità industriale di progetti susseguitisi senza soluzione di continuità: c’è l’imbarazzo della scelta, si spazia dalle Nike Air Force 1 (lanciate nel 2020 e venerate dai collezionisti alla stregua del Sacro Graal), alle capsule con Coca-Cola, dove il font ondulato della multinazionale di Atlanta o il profilo della bottiglietta vengono sparpagliati su abiti e accessori, dalla “Off-Palette” a quattro mani con l’onnipresente Virgil Abloh di Off-White (una serie di hoodie, magliette e boots in tonalità poudré) alla Kith for BMW, per cui Fieg brandizza addirittura una berlina M4, in aggiunta a tute, maglieria e giubbini intarsiati di simboli e colorazioni caratteristiche della casa automobilistica.
Per non parlare del terzetto d’eccezione svelato nella sfilata Autunno/Inverno 2018-19, tre distinte co-lab con Tommy Hilfiger, Greg Lauren e Versace, che si alternano sulla passerella in un tripudio di outfit dall’allure anni ‘90 (Hilfiger), abiti patchwork consunti quanto basta (Lauren) e barocchismi sotto forma di stampe opulente riprodotte su cappelli, shorts, camicie sblusate, down jacket e sfavillanti tracksuit in velluto (Versace).

A febbraio ha invece aperto i battenti l’ultimo avamposto della griffe, il primo in Europa, situato nel centralissimo VIII arrondissement di Parigi. Una boutique di oltre 1500 metri quadrati zeppa, al solito, di trainers e limited edition assortite, il cui debutto è stato salutato dall’ennesima sneaker co-firmata da Nike, una Air Force fornita di swoosh tricolore nelle sfumature del rosso, bianco e blu in omaggio alla Francia. Dopo essersi imposto come attore di peso del panorama street d’oltreoceano, il vulcanico fondatore di Kith è dunque determinato a replicare la formula a base di collaborazioni a gogò anche nel Vecchio Continente.

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