La moda del “distanziamento sociale”

“Il futuro inizia con una scintilla, un’intuizione. Una nuova consapevolezza che spezza le catene del passato e ispira la tecnologia a immaginare nuovi mondi” afferma Ridley Scott. 

Quando questi nuovi mondi incontrano il progresso tecnologico e la ricerca creativa, allora è legittimo pensare e creare futuri possibili, come già sta accadendo nel mondo della moda.

Gli abiti si digitalizzano, diventano 3D, si costruiscono intorno a materiali ibridi, sensori e dispositivi interattivi, si rivestono dei progressi tecnologici per diventare interfaccia tra corpo e società.

Diventano strutture composite, non solo per le forme, spesso articolate, ma soprattutto per la loro composizione materica. In questo sincretismo gli abiti si aprono ad astrazioni geometriche, si articolano in figure fitomorfe e invadono il corpo con innesti ed estensioni che sembrano creare protezioni interne o, al contrario, gusci-corazze esterne.

È il 1960 quando due medici americani, Nathan S. Kline e Manfred E. Clynes, coniano il termine cyborg per suggellare l’ibridismo dell’uomo-macchina, di colui che incorpora deliberatamente componenti esogeni per estendere la fusione autoregolatrice dell’organismo in modo da adattarlo ai nuovi ambienti, demarcando la linea di confine e di conflitto tra uomo e spazio.

Non è solo fantascienza, anche nella moda si stanno delineando inedite forme di abiti potenziati, trincerati dietro la tecnologia, che fanno da apripista a nuovi scenari comunicativi.

La figura stessa del fashion designer è in fase di ridefinizione, diventa sempre più un maker, sempre più un costruttore di forme che nella gestazione progettuale stabilisce un rapporto di cooperazione con informatici, scienziati e ingegneri, che attinge al mondo sartoriale così come al design industriale, alla biologia sintetica, alle nanotecnologie e alla simulazione numerica.

Il giornalista Bradley Quinn, autore del libro “Fashion Futures”, da anni sostiene che gli abiti, per come li conosciamo oggi, appartengono già al passato e che la vera sfida è quella di creare un dialogo di inclusione tra ciò che indossiamo e le tecnologie che usiamo ogni giorno. 

“La moda futura ci darà una nuova pelle multisensoriale che incorporerà le tecnologie più all’avanguardia potenziando le nostre capacità fisiche ed intellettuali”.

E se quello che prima era solo sperimentazione visionaria, progettazione borderline o rappresentazione distopica, nello scenario della moda post-covid, diventasse una possibile realtà?

Creare, attraverso un abito implementato di tecnologie, un livello di omeostasi tale da consentire all’uomo di adattarsi e di fronteggiare, nella sua nuova condizione di essere autoregolante, l’habitat esterno.

Alcuni fashion designer hanno già concretizzato l’idea di abito a “distanziamento personale”, creazioni “prossemiche” attente alla difesa dello spazio e alla distanza relazionale. 

Pensiamo agli abiti robotizzati del progetto Possible Tomorrows di Ying Gao, che collegati ad un sistema di riconoscimento delle impronte digitali si animano solo in presenza di persone le cui impronte non sono riconosciute dallo scanner; allo Spider Dress 2.0 della designer viennese Anouk Wipprecht rivestito di sensori di prossimità e di zampe elettroniche che si impennano quando qualcuno si avvicina troppo; allo Smoke Dress che emette fumo in caso di invasioni di campo del proprio spazio fisico o emozionale; oppure al Defensible Dress, realizzato dallo studio di design HÖWELER + YOON, che si indossa sotto gli abiti e suona quando qualcuno si avvicina troppo.

Abiti concepiti come barriere protettive in difesa di minacce esterne e di interazione con l’ambiente circostante. Armature urbane che delimitano il contatto grazie ad aperture aeree, come le architetture tridimensionali dell’avveniristica Iris Van Herpen.

Volumi mutanti che si contraggono in intrecci futuristici, biomimetici e zoomorfi, trame che sembrano liquefarsi in forme organiche e figure prismatiche, stampe 3D, resine sintetiche, vetro, ceramiche e metalli che assecondano il mutamento del corpo e ne sfruttano le possibilità ispirandosi all’ambiente circostante.

In questa dimensione la moda potrebbe diventare anch’essa campo di attuazione delle sperimentazioni condotte in altri ambiti, fortificandosi con le innovazioni tecno-scientifiche per ridurre i limiti umani, creando strutture autosufficienti indossabili come una seconda pelle. 

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