Laila Al Habash, la rapper italopalestinese la cui musica è un incontro di diversità

La incrociamo alla prima stampa del film Noi anni luce. Non avevamo concordato un’intervista ma ci colpisce. Lontana dall’immagine che avevamo nella mente di una rapper, la notiamo per la sua semplicità, la sua luce, la sua grazia. Aggettivi, questi, che appaiono come un ossimoro in una frase che contenga anche il termine rapper.

È considerata una cantante rap, hip pop, underground, quindi le chiediamo se per lei è così importante avere un’etichetta: “Io pubblico la mia musica senza preoccuparmi di dire in che genere mi trovo. La maggior parte delle persone ascolta tanti generi diversi. Questa febbre maniacale dell’etichettare le cose è controproducente. Nella mia produzione ci sono tante influenze perché mi piace lavorare con persone che hanno gusti o background diversi dal mio.”

“La mia musica è un incontro di diversità.”

La copertina di Moquette ricorda Mina e c’è un una foto della Carrà. Due icone molto distanti da te a livello temporale…

Sono icone che porto nel mio cuore. In ogni famiglia c’è sempre un programma che mette d’accordo tutti e Mina e la Carrà erano due personaggi che tutti in famiglia amavamo vedere. Ho sempre respirato in casa le canzoni di Mina: sono belle da cantare, liberatorie. Per Raffaella Carrà provavo una sorta di attrazione magnetica, guardavo i suoi costumi, come si muoveva. Mi sembrava sempre colorata, immediata, simpatica, poliedrica. Mi ipnotizzava.

Sei una rapper. Nonostante oggi ci siano donne come Madame, Myss Keta, Elodie, che hanno contaminato il rap con il pop, o più pure e dure come Chadia Rodriguez, Leslie o Beba, il mondo della musica rap è maschile e maschilista.  Il rap nasce come denuncia sociale eppure è un mondo con un gender gap molto forte…

Io il rap lo tifo dagli spalti: non mi permetto di dire che sono una rapper… Forse non ho neanche il physique du rôle. Mi piace ascoltarlo, lo studio perché mi interessa l’incastro estetico di rime. È il genere in cui è più interessante seguire, a livello metrico, il flow o il testo. La contaminazione nella musica per me è solo un bene. Il gender gap non esiste solo nel rap o nel mondo musicale: è ovunque. Per anni abbiamo pensato che il palco fosse più adatto agli uomini, alle boy band, invece le artiste ci sono sempre state. Quello che era diverso era come venivamo trattate nel mondo discografico. Ora noi artiste siamo tante e la nostra presenza sarà sempre più normalizzata all’interno del settore.

Dall’ambiente underground romano al concerto dei Coldplay al Maradona di Napoli. Ti sei trovata davanti uno stadio enorme con un pubblico che non era il tuo. Ora la vedi come una bella esperienza, ma aprire un concerto di quel tipo è sempre un grande rischio…

Esibirsi al Maradona è stata una delle esperienze più forti che abbia mai fatto. Più di 40.000 persone: è stata una bella botta. Non ho dato affatto per scontata l’accoglienza calorosa dei fan dei Coldplay, perché nelle aperture dei concerti di band di fama mondiale non sempre va tutto liscio: sei davanti a un pubblico molto affezionato, che magari aspetta da anni quel concerto; e sei in uno stadio, dove magari il pubblico è da ore sotto il sole ad aspettare. Sai, potrebbe non fare loro molto piacere sentire più di mezz’ora del tuo show. Invece a Napoli ho trovato un bel pubblico, accogliente, caloroso. Si è creata subito sintonia e non me lo aspettavo: quindi sono ancora più felice di aver fatto questa esperienza.

Su Instagram hai scritto: “una delle sensazioni sbloccate: cantare Pino Daniele a Napoli, al Maradona, durante il solstizio d’estate. Mettimele in ordine e prova a spiegarmele

Parto dal solstizio d’estate. Mi ha incuriosito che stavo suonando il 21 giugno, che è il solstizio d’estate, uno dei giorni in cui si apre un varco tra il terreno e l’ultraterreno. Nelle tradizioni magiche è un giorno in cui è favorevole chiedere qualcosa perché si viene più ascoltati. In un giorno magico io ero lì, in uno stadio, uno dei posti dove molti artisti non arrivano mai a suonare, entrando dall’ingresso principale. Poi ero a Napoli a cantare Pino Daniele. Ma non in napoletano. Ho portato “Bambina”, una canzone in italiano. Con la band ci siamo guardati e ci siamo sentiti un brivido dietro la schiena come per dire: ma cosa stiamo per fare? Siamo a Napoli a cantare Pino Daniele… siamo pazzi!  Poteva andare in due modi: malissimo o benissimo. È andata bene.

Suoni la chitarra, sei una cantautrice, hai studiato pianoforte, e dal 27 luglio sei al cinema con  “Noi anni luce” di Tiziano Russo (Skam Italia), che debutta al Giffoni Film Festival il 23 luglio. Ti eri persa?

No! Mi hanno invitata a recitare in questo film… Faccio un altro mestiere, ho studiato altro e non ho mai recitato. Il cinema ce l’avevo in un angolino della testa, era una cosa sulla quale mi piaceva fantasticare. Non pensavo mi potesse capitare già adesso e mi sono divertita tanto. La fiducia che tutta la troupe ha riposto in me mi hai emozionata. Interpreto Mila, un personaggio importante ma laterale. Mi sento onorata che qualcuno abbia pensato a me. Non sono cose scontate.

Quindi se ti propongono un altro film, accetti?

Dipende da cosa mi propongono, però mi piacerebbe

Mamma italiana e papà palestinese. Sei mai stata in Palestina?

Quando avevo sei mesi. È complicato per me andare in Palestina, a livello burocratico, perché ho avuto un passaporto palestinese. So da miei coetanei italo palestinesi che non è facile per noi accedere ai territori occupati militarmente dal governo israeliano. Ma in Palestina vivono molti miei parenti.

L’Occidente appoggia l’Ucraina e si volta dall’altra parte davanti all’occupazione della Palestina da parte di Israele. Al popolo palestinese vengono negati addirittura gli aiuti umanitari. Cosa provi?

Spero con tutto il cuore che la situazione in Ucraina si possa risolvere il prima possibile. Spero che il fatto che l’Ucraina è più vicina all’Europa, che gli ucraini siano sentiti più simili, contribuisca a far cessare questa situazione e a far arrivare aiuti. Al contrario di come è accaduto in Siria, in Palestina e in altri Paesi arabi.

Come mi sento? Non ho nessun sentimento di vendetta o di rivalsa. Quello che mi addolora è notare la reazione delle persone, perché sembra che ci siano posti dove è sbagliato che cadano le bombe e posti dove invece è giusto che questo accada. Questo mi dà fastidio. Come se ci fossero nazioni dove le persone sono abituate, quindi possono cadere le bombe, e tutti ci voltiamo dall’altra parte. È una distinzione che mi addolora profondamente.

È una storia che ti appartiene?

Sì. Io ho un cognome palestinese, ho la mia famiglia lì. I miei cugini vivono lì. Sono grata al fatto di essere nata in Italia. Il passaporto italiano è qualcosa che spesso si dà per scontato. Io sarei potuta nascere lì per qualsiasi coincidenza. I miei genitori sono andati a vivere in Palestina negli anni 80 e poi sono tornati, perché le condizioni stavano peggiorando. Mi emoziona sempre vedere mio padre, che è qui da più di cinquant’anni, e sentirlo parlare del Paese suo. Quando lui dice il Paese mio, si riferisce alla Palestina. Tutti i palestinesi sentono una grande appartenenza e una grande sete di giustizia. Soprattutto, il popolo palestinese ha fame di pace

Hai un passaporto italiano perché tua madre è italiana. Ma ci sono tanti altri ragazzi della tua età o più piccoli che sono nati in Italia, cresciuti qui, parlano i nostri dialetti, che probabilmente non vedranno mai il loro Paese di origine, e che non hanno passaporto…

Sono cosciente di avere un trattamento diverso perché per metà sono italiana e ho anche la fortuna di non essere mai stata discriminata perché non ho ereditato tratti somatici spiccatamente mediorientali. Non rientro nello stereotipo della donna araba. Non sono mai stata discriminata perché sono bionda con le lentiggini. Conosco ragazzi italo palestinesi, con la mia stessa storia, che non hanno una vita facile come la mia. Sono felice che sempre più spesso si parli della complessità della nostra società, ma abbiamo ancora tanta strada da fare.

Laila Al Habash
Laila Al Habash

Il razzismo è un problema che sta più sui giornali e sui social o lo percepisci forte anche in strada, tra la gente comune?

Io sono cosciente di vivere in una bolla. Vivo a Milano in un bel quartiere, faccio la cantante. Una frase che non mi piace è “il mondo reale”, come se ci fossero mondi più reali di altri, ma sono consapevole di non essere sempre a contatto con le esperienze che fanno la maggior parte delle persone in Italia. Quello che mi auguro, ed è la cosa che trovo più logica, è una maggior integrazione nelle prossime generazioni. Anche perché che altra opzione c’è? Nel momento in cui lo straniero non vive più chiuso nel suo ghetto, ma è l’artista che ascolti, lo scrittore che leggi, il tuo compagno di banco, per forza ci sarà un’integrazione. Spero di non essere naif, perché quello che vedo e sento in questo momento mi terrorizza.

Se con una macchina del tempo potessimo andare nella Roma dei Cesari, troveremmo non solo romani e greci, ma anche daci, gli attuali romeni, palestinesi, cartaginesi, gli attuali libici: troveremmo un mondo molto più variegato di quello che viene raccontato

E la cosa che mi fa sorridere è la difesa estrema dell’italianità come se esistesse una razza italiana. Se tutti noi ci facessimo un test del DNA, ci scopriremo molto più simili di quanto non siamo in apparenza. Anche un confine: cos’è un confine? Sicuramente parliamo lingue diverse, ma al di là di questa differenza siamo molto simili. Dentro di noi c’è un crogiolo di etnie. Quindi chi stiamo difendendo? Un personaggio immaginario. Cos’è una razza pura? Di cosa parliamo quando parliamo di sostituzione etnica? Sono discorsi ottusi.

Ti affascinano le antiche arte divinatorie. Il tuo futuro è nelle stelle o nelle tue mani?

Non credo sia nelle mie mani. Tutt’al più metà e metà. Non credo che le cose capitino per caso. Mi sono trovata in situazioni davvero incredibili, coincidenze o incontri che non potevano essere casuali. Il futuro probabilmente è un po’ in mano al fato e un po’ lo costruiamo noi. Noi possiamo solo vivere il momento. Un secondo fa è già passato. Vivendo il nostro presente tessiamo il nostro futuro.

Studio astrologia. Mi piace tutto ciò che è mistico. Leggo le carte e studio libri che approfondiscono quest’arte.

E nel tuo futuro cosa c’è?

Sto lavorando al mio secondo disco ma non se ne può parlare.

Laila Al Habash

Credits

Photographer Sha Ribeiro

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