L’attore Luca Cesa: tra insegnamenti, esperienze e il ruolo di Ettore Carniti in Folle d’amore – Alda Merini

Presentato fuori concorso al Torino Film Festival arriva su Rai1 il 14 marzo in prima serata Folle d’amore – Alda Merini, con Laura Morante, Federico Cesari, Rosa Diletta Rossi, Mariano Rigillo, Sofia D’Elia, Luca Cesa, Alessandro Fella, Giorgio Marchesi, Ludovico Succio. La regia è di Roberto Faenza.

Folle d’amore – Alda Merini racconta la vita straordinaria della grande poetessa Alda Merini: dal disagio psichico alla maternità, dagli amori impossibili fino all’accesso alla cultura e alla fama. Il ritratto di un’icona contemporanea inedito e appassionante.

Nel ruolo del marito di Alda, Ettore Carniti, Luca Cesa. Nato a Roma il 12 dicembre 1994, Luca si è diplomato al Centro Studi Acting di Lucilla Lupaioli, iniziando a lavorare sia nel cinema che in tv mentre era ancora in accademia.

Giovanissimo, il primo incontro di Luca con un grande del teatro italiano fu con Luca Ronconi. «Fui accettato per un corso propedeutico al Piccolo Teatro di Milano – racconta Luca – A volte ancora mi stupisco. Abbiamo lavorato insieme per una settimana poco prima che lui se ne andasse. È morto dopo un mese. Ero un novellino, non sapevo niente di teatro. Stavo facendo i primi test per entrare nelle accademie. Arrivo da lui, che era considerato un mostro del teatro ed ero teso, imbarazzato, spaesato. Lo guardavo e mi dicevo: questa è una persona importante. Aveva l’aura di una persona autorevole nel mondo del teatro. Pensa che poco fa sono passato davanti al Piccolo Teatro e mi sono ricordato di quando arrivai qui la prima volta, circa 9 anni fa. C’era scritto Piccolo Teatro di Milano – scuola Giorgio Strehler. Adesso è intitolata anche a Luca Ronconi. Mi sono sentito immensamente fortunato ad aver condiviso con lui anche solo una settimana. In quel poco tempo abbiamo provato qualche scena, nella mia totale ignoranza di questa materia che è il teatro. Mi sarebbe piaciuto poterci lavorare di più e, soprattutto, poterlo fare adesso con più esperienza. Era malato, a tratti aveva difficoltà a parlare e io non lo capivo. Ma non mi sarei mai permesso di chiedergli di ripetere o di dirgli che non avevo capito o sentito. Non sapevo cosa fare e lasciavo correre».

Roma ha tante accademie. Perché sei finito a Milano?

Avevo fatto la trafila di tutte le accademie in giro per l’Italia: il Piccolo, la Paolo Grassi, la Silvio D’Amico. Provai addirittura l’INDA di Siracusa, l’Accademia del dramma antico. Con mia grande meraviglia mi presero, ma ebbi paura di fare una scelta così impegnativa a soli vent’anni. All’ultimo momento ebbi paura che rientrare a Roma dopo tre anni a Siracusa sarebbe stato complicato. Amo il teatro, ma quello greco è un teatro molto particolare e in quel momento non me la sono sentita.

Luca Cesa: «Per me era tutto magnifico. Ma ero così eccitato che non riuscivo a rilassarmi: ero in continua tensione emotiva. Ero emozionato e non mi sembrava vero che stesse accadendo a me. Avevo sempre paura di sbagliare»

Hai frequentato anche un corso intensivo con John Strasberg…

Un’altra grande esperienza. Ha 86 anni ma ne dimostra 20 di meno. Ma per la mia formazione devo ringraziare Lucilla Lupaioli e i tre anni di formazione con lei. È stata la più completa che ho avuto.

Eri nel cast di “Una questione privata” dei fratelli Taviani. Paolo è appena morto. Che ricordo hai di lui?

Mi è dispiaciuto molto. Non ero neanche diplomato, ero tra il primo e il secondo anno di studi in Accademia. È stato come con Ronconi: mi sono ritrovato in un mondo enorme. Conoscevo i fratelli Taviani, ma soprattutto conoscevo Luca Marinelli. Era il periodo subito dopo “Lo chiamavano Jeeg robot”, “Non essere cattivo” e per me lui era un mito. Quando mi presero per quel ruolo sono impazzito. Abbiamo girato tra il Piemonte e la Francia. Vittorio Taviani non c’era perché già stava male. È morto circa un anno dopo. Ho lavorato più con Paolo. Per me era tutto magnifico. Ma ero così eccitato che non riuscivo a rilassarmi: ero in continua tensione emotiva. Ero emozionato e non mi sembrava vero che stesse accadendo a me. Avevo sempre paura di sbagliare. Ricordo che dopo una battuta arrivò l’aiuto regista e mi disse: “Luca, mi raccomando, Paolo ha detto che l’hai detta in romano. Mi raccomando alla B di bambino, non la spingere troppo. Parla italiano”. Volevo morire. Ricordo che pensai: sicuramente già mi odia.

Però non ti sei lasciato bloccare, non ti sei arreso…

Ero determinato e lo sono tutt’ora. Ho i miei periodi di debolezza, ma sono sempre di meno. La strada l’ho trovata e voglio che sia questa.

Tra poco sarai in Rai con Folle d’amore Alda Merini diretto da Roberto Faenza. Un regista coraggioso. Alla fine degli anni 70 Faenza scrisse un libro che fu subito ritirato per pressioni politiche: parlava degli Stati Uniti, dell’Italia, di Kennedy, Cuba, basato su documenti secretati conservati in archivi statunitensi…

Non lo sapevo! Ma mi hai fatto venire in mente che durante le cene alla fine dei set, una volta ci raccontò un aneddoto che riguardava gli anni in cui ha insegnato negli Stati Uniti. Ci raccontò della volta che fu arrestato, non ricordo se durante una manifestazione, di come, con il risarcimento ottenuto dopo aver vinto la causa, ci girò un film. Raccontava storie incredibili. Una persona che sembra aver vissuto mille vite. È fantastico quando parla: lo ascolteresti per ore. Lavorare con lui è stato fantastico. È un uomo che trasmette serenità, libertà. Una persona diretta che parla senza fronzoli. Sembra sempre con la testa fra le nuvole, invece sta pensando a mille cose. Quello per cui lo ringrazio è che mi ha dato la libertà di esprimermi come desideravo; ha rispettato la mia idea del personaggio, della storia. Il regista è lui, ma si confronta con gli attori e questa è una cosa che ho apprezzato.

Come ti sei trovato ad affrontare la storia di una donna così particolare come Alda Merini?

È un personaggio talmente iconico che abbiamo trattato tutto il materiale che avevamo con molta attenzione. Avevamo quasi paura di uscire fuori da quella che era la sua realtà, che volevamo rispettare profondamente. Penso che sia una delle figure femminili più rilevanti della letteratura contemporanea italiana. Le sue poesie sono piene di sentimenti, di paure, di amore. È una donna che viveva di emozioni.

Attore Luca Cesa
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Conoscevi già Alda Merini?

Poco. Appena ho saputo di essere stato scritturato per il ruolo di suo marito, Ettore Carniti, sono andato a comprarmi il libro. Volevo conoscerlo e ho letto il libro della figlia, Emanuela Carniti, Alda Merini, mia madre. Nel libro Emanuela descrive il rapporto tra i suoi genitori: era quello che mi interessava. Volevo capire il rapporto tra Ettore e Alda, due figure profondamente divergenti. Lui era per la famiglia classica, era un panettiere, lavorava di notte, voleva tornare a casa e trovare il pranzo pronto. Magari rientrava e lei stava fumando e scrivendo poesie, mentre le figlie disegnavano per i fatti loro. Alda era una donna impensabile per quell’epoca. E questo era il loro principale motivo di scontro. Non era la famiglia del mulino bianco che lui si aspettava.

Erano anni in cui i genitori e i mariti, potevano chiedere che una donna fosse internata in manicomio anche solo per stranezze personali. I manicomi erano pieni di donne sane ma artiste, anticonformiste, lesbiche…

Prima delle legge Basaglia, per qualsiasi debolezza mentale o caratteriale, alzavi il telefono, chiamavi la Croce Verde e ti facevano rinchiudere in manicomio. Sommando i vari ricoveri, Alda sarà stata rinchiusa almeno dodici anni.

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Come vedi un uomo come Ettore?

Un uomo che ha sposato una donna che lo ha profondamente cambiato, che lo ha quasi fatto uscire fuori di testa. Un uomo che si è trovato da solo a fronteggiare una famiglia con quattro figlie, manicomi, litigi. Il biografo di Alda Merini ci raccontava che lei lanciò un armadio dalla finestra, sui Navigli. Avere a che fare con una donna così, per un marito, non è facile. Ettore ha vissuto una vita complicata. Anche le figlie si sono trovate con due genitori con caratteri completamente diversi. Lei era una donna libera, che ha avuto storie con altri uomini. Incontrò il marito un giorno al cinema, le piacque e si sposarono. Era una donna che si innamorava tutti i giorni .

Pensi di tornare in teatro?

L’ultimo spettacolo l’ho fatto due anni fa. Due fratelli di Fausto Paravitino al Tor Bella Monaca di Roma. Nasco in teatro e vorrei continuare a farlo ma, o trovi una produzione importante con un budget adeguato, oppure sei costretto a pagarti da solo tutte le spese per andare in scena. L’ho fatto con i compagni di studi, quando ci scrivevamo le commedie, le portavamo in giro per i teatri off di Roma, magari a Trastevere. Amo il teatro, ma fatto così è difficile. Cerchi di proporlo e non ti danno spazio, neanche lo leggono o lo guardano. Abbiamo provato a presentare tanti spettacoli, ma abbiamo sempre ricevuto rifiuti. Alla fine ti scoraggi. Vengono finanziati solo i teatri grandi e non c’è spazio per le piccole produzioni, non ci sono aiuti o sovvenzioni. Non voglio lasciarlo, ma alla fine ti costringono a farlo, perché non è che uno può fare spettacoli sostenendo tutti i costi solo per dire che hai recitato.

Attore Luca Cesa
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Credits

Photographer Gioele Vettraino

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