MANINTOWN MEETS ARBITER: INSIDE THE WARDROBE

L’uomo Manintown incontra l’uomo Arbiter. Due visioni estetiche a confronto che si completano sotto il comune denominatore della cultura per l’Eleganza e lo Stile. Con Arbiter entriamo nel guardaroba di due personaggi tanto straordinari, quanto diversi: Giovanni Chianese, giovane avvocato e vintage addicted, e l’imprenditore e web icon Alessandro Squarzi. Due self made man che scavano nella moda del passato per trovare nuovi spunti per il presente.

Passione vintage: Dentro il guardaroba di Giovanni Chianese

«Penso che la gente si vesta come per difendersi dal prossimo e passare inosservata. C’è paura sociale di mostrarsi, di apparire e di essere. ‘Meno sono e meglio sto’, salvo poi sfogarsi diversamente. La maniera sana di vivere il contesto sociale secondo me è rispecchiata soprattutto dall’abbigliamento, ed è attualmente deviata». È tacitiano Giovanni Chianese, avvocato trentaduenne napoletano residente nel centro della capitale borbonica. È nato in campagna, caratteristica che traspare nella moltitudine di capi d’abbigliamento accumulati in una dozzina di anni e in centinaia di chilometri percorsi tra i mercatini partenopei. Capi che indossa con un portamento raro. Come sempre più appartenenti alla sua generazione, rifiuta l’imposizione di capi insignificanti e costosi e sceglie la via della ricerca, della verità, dell’economicità, dell’ecologia: il vintage. Impressionante la quantità e la qualità degli indumenti, dalle giacche in tweed alla decina di smoking, ai frac, tight, alle centinaia di cravatte, papillon, bretelle, cappotti, pantaloni in whipcord, stivali da equitazione, camicie inamidate inizio secolo, scarpe. A proposito di quest’ultime, è una delle poche persone a possedere ben cinque paia di Gatto, calzaturificio romano che fece la storia. «La mia è una raccolta non sistematica, un’accumulazione che risponde a un’esigenza di bello», racconta Giovanni Chianese. «È di fatto uno spaccato di quello che è stato creato per lo più a Napoli negli anni 60-70-80. Ci sono certe categorie di capi che si trovano spesso, mentre devi essere molto fortunato per trovare quelli più particolari, o altrimenti farteli fare. Attualmente non mi posso permettere la sartoria tanto in termini di denaro quanto di tempo. Mi riprometto di farlo in futuro per pochi capi particolari che non ho ancora scovato come la norfolk jacket o il burma. I più bei mercatini qui a Napoli fino a poco fa erano nei campi dei rom. Questo perché oggi questo genere d’abbigliamento, per quanto sia stato costoso all’epoca, bello e fatto su misura, ha valore zero». Parliamo di 50 centesimi, un euro o due per giacche in tweed. Gli stessi capi in mercatini o negozi blasonati a Londra, Milano o Firenze costano centinaia di euro o di sterline. Soprattutto le scarpe hanno prezzi più elevati, in base al ragionamento che la scarpa è la prima cosa che uno deve avere, in cui si rispecchia anche Chianese, che prosegue: «I miei riferimenti sono il mercato di Gianturco, quello notturno a piazza Garibaldi, la domenica ad Agnano, che oggi si tiene nell’ippodromo, Poggioreale ma è più antiquariato e modernariato, corso Malta e il sabato mattina a Quarto». Prediligo i tessuti invernali, ruvidi e pesanti, le giacche che stanno in piedi da sole, le fantasie a quadri, molto vistose, le righe molto larghe.

 

Lezioni di stile: Il guardaroba di Alessandro Squarzi

 Alessandro Squarzi ha sempre sognato di lavorare nel mondo dell’abbigliamento. Anche quando, da ragazzo, dopo il diploma in ragioneria e il servizio militare faceva il rappresentante per prodotti di erboristeria, era malato per il vestire e andava regolarmente dal sarto a Forlì, sua città natale. Se i suoi amici compravano i jeans da Armani, lui cercava i Levi’s vintage. Ed è tuttora un cultore del vintage: a Forlì ha un capannone di mille metri quadri che ospita un archivio di capi storici con centinaia di pezzi tra cui numerosi giubbotti di pelle anni 30 e militari. Ma torniamo al sogno di Alessandro Squarzi: lavorare nell’abbigliamento. Classe 1965, ha iniziato a realizzarlo nel 1992, lavorando come commesso in un negozio a Forlì. Da commesso è diventato agente: grazie alla sua intraprendenza ha portato il fatturato dagli 8 miliardi di lire iniziali a 50 milioni di euro in 13 anni. Poi, con amici, ha dato vita al marchio di jeans Dondup. «Il jeans va preso blu scuro e indossato a lungo affinché si personalizzi, prendendo addirittura le tue forme. Cerco di trasmettere questa cultura», racconta Alessandro. «Ho sempre lavorato con grande passione, senza pensare al denaro, poi con gli anni sono arrivate anche le soddisfazioni economiche. Oggi ho anche il mio marchio Fortela, che conduco con quella stessa passione che mi anima da sempre: produco quello che avrei sempre desiderato trovare nei negozi senza mai trovarlo. Viaggiando per il mondo, vedevo che c’erano bei tessuti, ma con vestibilità sbagliate. Il nome doveva essere Tela Forte, ma non era registrabile, essendo parola di uso comune: così ho invertito i termini. È un marchio che rispecchia quello che sono io. Per i pantaloni uso tessuti giapponesi, rigorosamente rigidi e non stretch, confezionati in Italia. In Giappone hanno i vecchi telai denim americani, e non solo. I miei capispalla riportano in vita tessuti che stavano andando nel dimenticatoio». Prosegue Alessandro: «Sto usando dei copri materasso dell’esercito francese degli anni 50 nuovi, in canapa e lino: sovratingo e creo gilet e giacche. Disegno tutto io. Ho un altro marchio di sneaker che si chiama Atlantic Star, forte in Giappone e Corea. Poi produco i parka AS-65, sulla base di vecchi M-51 o M-65: lavo, sterilizzo, rimetto in taglia, rammendo e fodero con la pelliccia di visone, cincillà, coniglio, volpe, murmasky». Lui non ha dei canoni rigidi, se non di fare quello che si sente. Le scarpe sono prevalentemente Alden ed Edward Green, e soprattutto scamosciate. Due delle sue grandi passioni, per parlare di accessori, sono gli orologi e le penne. Ha una collezione di Montblanc Writers Edition: di tutta la serie le sue preferite sono l’Agatha Christie e la Hemingway. Come orologi, spaziamo nel vintage: dal Rolex Oyster Perpetual al Patek Philippe Calatrava, dall’Omega che metteva Kennedy a Cartier. Alessandro tiene a specificare che lui intende l’eleganza esclusivamente a 360 gradi: l’uomo è elegante per come si pone, per come si comporta nel mondo, per le sue movenze. Puntualizza: «Può essere elegante un muratore vestito da lavoro e può essere inelegante un uomo con la giacca. L’eleganza o ce l’hai o non ce l’hai, non puoi comprarla. Per me l’etichetta è importantissima, per esempio se in una serata è indicato un dress code va seguito, per rispetto a colui che ti invita. È questione di educazione. Io appaio come sono e sono così da sempre». Infine, per gli appassionati di vintage come lui, Alessandro ci regala alcuni consigli: bisogna andare a Pasadena, Usa, al mercato che si tiene ogni seconda domenica del mese, a Rose Bowl. A New York non si può mancare al Front General Store, un vintage molto selezionato gestito da ragazzi giapponesi, o al Quality Mending, sempre a Brooklyn. A Tokyo c’è J’antiques, a Londra Vintage Showroom, in Italia Angelo a Lugo, a Firenze Jules e Jim.

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