Narrazioni di una moda “cross-cultural”: incontro tra culture, tradizioni e sostenibilità

Gli abiti con le loro trame e i loro intrecci si trasformano nel racconto identitario di chi li realizza. Tessuti, stampe, tagli e cromie diventano la narrazione visuale di popoli, comunità e luoghi. Esploratori di radici, crocevia di retaggi e di culture condivise. A realizzarli sono giovani fashion designer, figli dell’emigrazione culturale e generazionale, dall’upbringing eurocentrico ma dall’estro nativo. Esportatori di una tradizione che diventa ibrida inclusione con lo spirito innovativo del multiculturalismo metropolitano, ma anche disegn creativo che si fa portavoce della ridefinizione di una moderna mascolinità cross-cultural”. Le collezioni sono un invito ad una riflessione aperta ed a una conversazione senza pregiudizi sulla bellezza e sulla percezione della diversità tra culture e tradizioni.



PARIA FARZANEH |Iran/Londra|

La designer di origini iraniane, dopo la laurea alla Ravensbourne University, si è rapidamente imposta sulla scena dello streetwear, nel 2017, grazie alle sue creazioni di fusione e ad un’armonia sinergica tra i poetici motivi persiani e il brulicante contesto urban londinese. I tagli occidentali si sagomano su pattern e colori della tradizione medio-orientale. Le foglie lanceolate del paisley, le stampe xilografate del Ghalamkar (realizzate a mano nella città dei calligrafi e degli stampatori di Isfahan) e i motivi delle ceramiche iraniane diventano sfondi ed intarsi di gilet, track jacket, maglioni e camicie. Le giacche imbottite si muniscono del crimeano cappuccio balaclava e i pantaloni cargo si colorano del verde militare delle uniformi di combattimento. Il tecnologico Gore-Tex incontra l’artigianalità sostenibile delle stoffe persiane. Uno spaccato dell’Iran che Paria non solo esporta nella creazione dei suoi abiti, ma che fa rivivere anche nella narrazione dei sui show, come “Ceremony”, l’emblematica sfilata ispirata alla tradizione dei matrimoni in Medio Oriente. O quella legata all’influenza del Nowruz, il capodanno persiano dei rituali e dell’equinozio di primavera. “Cerco di accompagnare il pubblico in luoghi nei quali non sono mai stati. Non si tratta soltanto di spingerli verso un prodotto o un trend”.



PAULO E ROBERTO RUIZ MUÑOZ |Perù/Parigi|

Paulo e Roberto sono designer, gemelli, limegni di origine, parigini di adozione e fondatori del marchio D.N.I. (Documento Nacional de Indentidad), il brand di moda sostenibile promotore della visione di un Perù contemporaneo svincolato dai pregiudizi, spesso, legati all’America Latina. Il loro è una narrazione stilistica che parte dai ricordi: la cittadina natale Casa Grande, le vecchie foto di famiglia, i giochi in strada, i barconi da pesca, le botteghe del quartiere, i mototaxi, le persone del posto. Un viaggio emozionale tra passato e presente. Un linguaggio che mescola, con innovativa sapienza creativa, le materie prime autoctone, la cultura chicha, l’artigianalità millenaria del Perù e i suoi simboli: i francobolli, la vigogna, l’aguayo, il lama e il Machu Picchu. D.N.I., inoltre, fonda la sua filosofia sul rispetto di un’economia circolare fatta del riutilizzo di tessuti di alta qualità, provenienti da stock di lusso, e del recupero di materiali di scarto come legno, monete e catene usati per realizzare gioielli.



PRIYA AHLUWALIA |India- Nigeria/Londra|

La giovane fashion designer, nata nel 1992 da padre nigeriano e madre indiana, ha fatto del suo eponimo brand un lavoro stilistico di esplorazione, ricerca e sensibilizzazione alla sostenibilità. Priya mescola gli elementi dell’eredità nativa con le radici londinesi, ispirandosi ai volti che incontra su Goldhawk Road, al Columbia Road Flower Market e a Brixton, e sfruttando le potenzialità del vintage e del riciclo per dare ai tessuti e agli abiti una seconda vita e al guardaroba maschile una nuova identità. L’impegno verso una moda etica nasce dall’esperienza dei due viaggi intrapresi, nel 2017, a Lagos, in Nigeria e a Panipat, la città a 90 km da Delhi conosciuta a livello mondiale come il “cimitero dei vestiti usati”, ultimo approdo dall’Occidente degli abiti dismessi o donati ad associazioni caritatevoli. Muovendo proprio dalle sue radici porta alla luce storie dell’industria dei rifiuti dell’abbigliamento e li traghetta verso una visione contemporanea. Un mix e match di ispirazioni dove i materiali riciclati si legano a doppio filo ai nuovi tessuti eco-compatibili e ai tagli laser, il patchworking da “seconda mano” alle macro geometrie di Barbara Brown e ai check del periodo ska, gli abiti sartoriali allo streetwear e ai lounge pants ispirati alla cultura rave degli anni ‘90.  



AMESH WIJESEKERA |Sri Lanka/Londra|

Amesh Wijesekera è lo stilista cingalese dalle colorate creazioni che raccontano, con uno sguardo immerso nella modernità londinese, il “Made in Sri Lanka”, il design contemporaneo, l’artigianalità locale e la bellezza dell’Asia del Sud. Il suo è un viscerale amore per i tessuti, che si traduce in un prezioso lavoro di cooperazione con gli artigiani e le donne dell’isola, e per le tinte forti e psichedeliche, che rievocano tutta l’energia esotica della sua terra. L’uncinetto, la maglieria, i telai a mano, il batik e i tessuti trafugati nel mercato di Pettah, a Colombo, si incontrano e si fondono con le avanzate tecniche digitali dando vita a creazioni interamente realizzate a mano. È un brand che non solo ha sposato la filosofia della sostenibilità e del riciclo, ma è anche una celebrazione della diversità, della fusione culturale, dell’individualità e del senso di libertà. “La moda è il mio mondo fantastico dove posso esprimere me stesso. Dove non esistono barriere”.



RAHEMUR RAHMAN |Bangladesh/Londra|

Rahemur, nato a Londra da genitori bengalesi, usa la moda come creativo strumento di retell per ritrarre ed esplorare, a suo modo, il fascino identitario della terra di origine, il Bangladesh. Il suo è un colorato mosaico di storia e tradizione, di pattern grafici e texture, di sensibilità sostenibile e consapevolezza ecologica, del folclore dell’Asia del Sud e della vivacità londinese del borgo di Tower Hamlets. Rahman è un elegante e giocoso cromatista, tanto che i suoi sono abiti realizzati “for people who dream in colour”, come testimonia la collezione ispirata alla palette di vecchie foto di famiglia di un matrimonio degli anni ’90: rosa pastello, verde menta, tè blu, marrone rètro. Ma è anche un fervido sostenitore dell’eredità del tessile e della cultura sostenibile fatta di tessuti organici, come la seta biologica e il cotone khadi, e di tinture naturali, come l’indigo. È una cultura di appropriazione restituita come eredità da condividere e proteggere.

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