L’ornamento è il corpo e quanto ne consegue. L’abito e la sua “gioia artistica”

Il corpo umano è natura e al contempo ornamento di natura e dei luoghi che l’uomo stesso ha costruito: paradigma delle forme che elabora. L’atmosfera è sostanziale perché l’uomo si esprima nel decorativismo che lo definisce. Prendendo in esame l’atto del vestirsi come scenografia antropomorfa, gli riconosciamo la sua rappresentazione di ruolo e la sua drammaturgia. Le quinte di questa scena sono membra in movimento sincroniche al concetto di coreografia e racconto di segni che si abbozzano e svaniscono nel gesto. Questo è il mondo dell’abito e l’atto del vestirsi e descriversi. La descrizione è un disegno, una mediazione materica e strutturale, tra l’epidermide, il “vello” (o ciò che ne rimane) e quanto di incisivo appare tra sguardo e arti.

Dal Cubismo Orfico di Sonia Delaunay al Surrealismo di Elsa Schiaparelli

La chimica di questi fattori porta ad acquisizioni qualitative che poco concedono al sentimentalismo della loro scoperta e più della scienza, disvelano scorci cognitivi ritmati tra fisico e fisicità, forma e personalità, premendo sulle meningi quanto la mano di Penone sulla corteccia di un albero. A cavallo tra Otto e Novecento, il progetto dell’abito si è fuso con quello dell’arte per favorire gli accenti formali del dialogo sociale e dell’espressione artistica. A intraprendere questa strada fu Sonia Delaunay che attraverso le contingenze cromatiche, simultanee, tracciate sul corpo umano dagli abiti da lei dipinti, espresse le istanze del Cubismo Orfico esaltando la personalità dei componenti dell’arcobaleno.

Poco dopo, fu Elsa Schiaparelli con la sua onirica versione sartoriale dell’inconscio, legata al Surrealismo (DalìMan Ray), a progettare con l’arte e le avanguardie del periodo, per la creazione di una Haute Couture dall’aspetto rivoluzionario e al contempo indagatorio. Oggigiorno, collaborazioni tra antichi pellettieri, già attivi alla corte di Napoleone III (Louis Vuitton) e le avanguardie artistiche del Sol Levante (Murakami Kusama), sono conseguenza di tali processi e testimonianze di un flusso ininterrotto di emozioni legate alla funzionalità pratica del vestire per apparire e comunicare. L’opera d’arte è divenuta vettore di nuove ossessioni consumistiche e rigeneratrice delle pulsioni copulative tra pubblico e mercato.

Esecuzione magistrale di un’emozione: L’Haute Couture di Cristóbal Balenciaga

Non si può però affermare che l’abito necessiti dell’arte per essere un’opera d’arte. Nel ‘900, Cristóbal Balenciaga ha posto l’Haute Couture come esecuzione magistrale di un’emozione al di là dell’accessorio che la correda e di una potenziale citazione o ispirazione dell’universo artistico. Per il sarto, originario di Getaria, a concorrere al gesto creativo e alle sue risultanze era l’esperienza sul territorio, legata ai processi culturali delle proprie origini, da allenare tra taglio e cucito, disegno e colore.

Velasquez, Goya, Zurbarán rappresentavano l’universo ispirazionale di una certa sua produzione. Parallelamente, le coeve riflessioni pittoriche sulla profondità spaziale emergevano dal conterraneo Pablo Picasso a influenzare l’architettura sartoriale di Cristóbal. L’accento posto da Balenciaga sulla schiena sembra raccontare di una memoria cubista.

La posa prospettica delle sue creazioni rappresenta una presenza sincronica, all’occhio, del davanti con il dietro. Questa visione ha nutrito l’ideale femminile attraverso linee quali: la Tonneau del 1947, la Balloon del 1950, la Semi Ajustée del 1951, la Tunique del 1955, la Robe-sac del 1957… Fendenti su tela che giganteggiano nel gazar di seta e nei diagonali di lana: racconti della visione dorsale e della sua forza espressiva, divenuti cardine dell’abbigliamento dell’era moderna. In questa proporzione, la scala tonale echeggia dalla nuca, a seguire, come in un lungometraggio, sino ai “titoli di coda”. Lo sguardo coglie, con imprescindibile meraviglia, la bellezza della donna al suo apparire sino alla sua memorabile uscita di scena.

Nella progettualità di Balenciaga il tessuto è il punto di partenza nella costruzione della linea: senza eccedere nell’accessorio. La sua moda non contempla i gioielli: la loro sparuta traccia è solo d’impressione. L’abito, in sé, è il soggetto prezioso della sua narrativa. Fra i pochi bijoux ammessi, al numero 10 di Avenue George V, vi furono quelli di Roger Jean-Pierre: punti di fuga dal nero assoluto, sacrale, prediletto dal creatore che nel 1967, con essi, illuminò l’Envelope Dress.

Moda e arte in dialogo

La storia della Couture è costellata da sarti “cesellatori di forme”, divenuti celebri per la loro maestria: da un giovane Cardin che con lo shantung di seta assottiglia la vita e arrotonda i fianchi con l’ovatta, nel Bar di Dior, al sapiente moulage dei pepli d’ispirazione ionica di Madeleine Vionnet, sino agli angoli retti quanto sinuosi, tagliati ad arte dal tunisino Alaïa, che nel 1965, contribuisce alla creazione del Mondrian di Saint Laurent. Quest’ultimo esempio rappresenta la somma dialettica più alta mai raggiunta nel dialogo tra arte e moda. Spigoli neoplastici nel jersey lunare proposto da Courrèges, interpretato cromaticamente da Yves, ispirato da Piet e scolpito, a suon di forbici, da Azzedine, a quel tempo prestato alla Maison di Rue Spontini.

Yves Saint Laurent ornamento
Cocktail dress worn by Diana Gaertner. Yves Saint Laurent, Fall-Winter 1965, haute couture collection. Last fashion show. Centre Pompidou, Paris, January 22, 2022, courtesy Musée Yves Saint Laurent Paris

Linee nette che inquadrano la multi-sfaccettata superficie di qualcosa che non è fissato a una parete, e neppure dipinto, né tantomeno di carbonio tagliato a brillante, ma brilla dei colori e dell’ammirazione che l’occhio gli riserva per la geniale esecuzione della sua essenziale quanto composita figura: un Mondrian su traccia anatomica. Giallo, rosso, blu, e l’acromatico bianco sostenuti da un reticolato nero: il colore è steso come se fosse materia pittorica, vernice. Perché è il tessuto, e non la stampa, che ne danno la forma. Ogni riquadro, ogni linea è sartoria. Mondrian stende il colore, Yves incornicia il tessuto, ed ecco che gli abiti sono, a tutti gli effetti, opere d’arte.

Dal gioiello d’artista all’ornamento

La grafica dell’autunno inverno del 1965 dilata la percezione del vero retinico antropomorfo e apre al plasticismo delle raffigurazioni decostruite, risignificate e pop della frontiera contemporanea. La scuola della forma s’informa di una nuova visione fuori schema che era partita dal Cubismo Orfico per poi completarsi con Saint Laurent. In questa corrente s’impone il gioiello d’artista, il cui paesaggio è tutto legato all’immaginazione che assoggetta materia, struttura e colore, nell’effetto legato all’emozione e ad una nuova coscienza formativa.

Mentre nella bijouterie si evoca il gioiello prezioso e si falsifica la rarità, nel gioiello d’artista s’impone valore all’insieme delle forme più che alla sostanza, in nome del progetto/oggetto che si afferma nel messaggio e si nega all’apparenza della materia. L’alta gioielleria, dal ‘900 in poi, ha subito fughe continue dal concetto di desiderabilità. La percezione contemporanea del prezioso non parte da quest’ultimo ma si lega al soggetto portatore di idee, alle forme che si raccontano per l’uomo, oltre l’apparenza, per l’incastro tra unicità dell’intuizione e sua esecuzione e rapporto con gli stati di coscienza.

Ecco come si delinea il gioiello d’autore. Se l’operatività di Balenciaga, Saint Laurent, Chanel…, è da valutarsi come sofisticato elaborato del segno anatomico dell’umano, nella totalità delle proporzioni dettate da Vitruvio, la decorazione e nello specifico, il gioiello, sono accessorie ed evolute esattamente nella direzione di indicatore di un punto di fuga prospettico ed emotivo, nell’impaginato generale del corpo. I metalli, le resine, le materie più disparate, dall’organico ai derivati del petrolio, le stampe stesse, sono intervenuti in un lessico che si è accordato con le esigenze culturali di un pensiero fuori canone nel sottrarre la materia al concetto di valore per donarle l’emblematicità della soggettività rappresentativa.

Alexander Blank e David Bielander: i gioielli d’artista guardano alla natura

Personalità contemporanee del calibro di Alexander Blank e David Bielander hanno ispirato il gioiello d’artista verso la visione di una natura alla Henri Rousseau e alla Bosch che si corregge all’occhio dell’uomo nelle personificazioni perverse del suo animo, tra il naïf e l’araldica, per impadronirsi di un adulto con le contraddizioni dell’infante che, in fatto di crudeltà, non possiede argini ed opera tra i costanti estremi del “memento mori” e della forza salvifica dell’eroe, sorta di Re Artù di una modernità fiabesca. Lo svizzero Bielander crea gioielli dalle forme vegetali estratte dall’universo ortofrutticolo, come nature morte da indossare, parti anatomiche protesiche alle esistenti, crostacei, ricci, aurei cartonati per impacchettare ugole, polsi, e segnatempo, teste incoronate per un regno di cartapesta e una sovranità popolare da consegnare a un immaginario corriere della personalità, come colui che le ha realizzate.

Il tedesco Blank, attraverso le resine, s’impone al mondo con la morte dei personaggi della Warner Bros (Memento Juniori): quei Looney Tunes che ci hanno appassionato da quando ancora pedalavamo su tre ruote e oggi, grazie alla memoria e alla simpatia per un tempo perduto di un’infanzia ritrovata, sono divenuti simbolici di un sentimento.

Operazioni come quella di Blank divengono amuleto e trofeo, apparente ornamento che veste le facce del quotidiano della maschera narrativa di una vita nel gioco ma che gioco non è.

Memento Juniori
Memento Juniori, Blank Planet, Alexander Blank, courtesy Ornamentum Gallery, New York

L’ornamento come emblema di uno stato mentale

Questo bestiario è legato ad una gipsoteca che si annuncia per il corpo, in piccole proporzioni, ad anello o su cavo d’acciaio, da approdo più che da gesto: manifesto di un futuro già qui per le cavità ossee dell’immaginazione. Nessuna connotazione di genere lega questi conclamati autori del gioiello d’artista, ma la purezza dell’ornamento come emblema di uno stato mentale oltre ogni ruolo se non la libera immaginazione. Questa araldica universale, cruda, priva di pastorizzazione è per “il chiunque”: colui che possiede l’accesso al Pantheon dell’immagine per ciò che lo ispira e rappresenta. In tale misura, quando il gioiello attinge dalla tradizione dell’emblema di potere, si scioglie, si deforma: i preziosi cristalli minerari, storicamente educati dai belgi al taglio “brillante”, si trasformano nella maniera surreale creata dell’estone Julia Maria Künnap che a Tallin opera sulle pietre preziose la deformazione onirica di uno specchio aberrante.

L’accessorio diventa scultura e ornamento: l’arte concettuale di Ted Noten

Per il belga Ted Noten l’accessorio diviene scultura e ornamento da addizionare, trasportabile, tra universo moda e cruda cristallizzazione dell’agire umano, in una sorta di teca impugnabile delle emozioni. Armi in azione, dal proiettile in traiettoria, esploso nella fissità di un apparente vetro, così come animali e oggetti di varia natura divengono cristallizzazioni visibili nel plexiglass che li contiene a rappresentazione di come le informazioni si trasformino nella soggettività del quotidiano in immagini accessorie ed estetiche ai sentimenti, etichettate dai nomi più sofisticati della moda e decorative dell’anatomia dei luoghi e delle persone, nella distanza tra il vero dell’esperienza e la sua narrativa. Il corpo umano è divenuto il piano d’appoggio delle esecuzioni formali più estreme e lessico globale dei sentimenti. Gioielli e abiti esemplificano il valore totalizzante della semantica anatomica antropomorfa legata all’arte. La diffrazione luminosa non riguarda più l’iridescenza ma l’intuizione.

La sua risultante estetica è interiorizzata dalle esperienze conoscitive della psicanalisi e le lavorazioni dei materiali, le loro forme, nell’insieme come nel dettaglio, rispondono a questo sentimento espresso in superficie. La moda riflette l’architettura dei bisogni formali del suo tempo: nel dialogo con l’arte la costante di un matrimonio divenuto indissolubile. La plastica costruzione delle proporzioni, l’omogeneità semantica e definitoria dei corpi abitabili del costume moderno, genera la percezione unitaria di una nuova coscienza del vestire che oggi s’intravede sulle sponde del futuribile. A questo processo ben si coniuga il gioiello d’artista, la sua corrente umana, personificata da figure storiche e nuove, che divengono tangenti a quelle della moda (a questo settore da sempre sensibili), da Rey Kawakubo, a Martin Margiela, da Walter van Beirendonck a JW Anderson, per citarne solo alcuni.

Dall’arte del modo al modo dell’arte

Esempio interessante di questo scorcio interdisciplinare tra storia dell’arte, gioiello e capacità sartoriale è l’opera del vincitore dell’ultima edizione del premio LVMH, Satoshi Kuwata. Attraverso il brand da lui fondato, Setchu, ha impresso il suo Giappone alla sapienza artigiana della grande tradizione sartoriale londinese ripartendola in spigolose dorsali nel calore modellante delle pieghe di un origami. Questi rilievi creano una sorta di taglio baguette (effetto diamante) del tailleur pantalone e un preziosismo luministico, da interfaccia tessile, che a sua volta diviene multiplo modulare quanto il tatami nella sperimentazione architettonica alla base del progetto della villa imperiale di Katzura a Kyoto.

Le righe nere del Mondrian, del 1965, sono oggi le pieghe che accolgono i giochi atmosferici dell’illuminazione e ripartiscono l’anatomia in una nuova terza dimensione spaziale di carattere neoplastico. Unendo l’esperienza ‘stilistico-tridimensionale’ di Balenciaga a quella ‘stilistico-cromatica’ di Saint Laurent, l’abito è passato dall’essere “l’arte del modo” a “modo dell’arte”.

In questo panorama l’accessorio artistico è la “protesi emotiva” la cui funzione è pura emozione: “gioia d’artista”, sentimento oltre la logica quotidiana a favore di un’abrasione dell’ovvio. La sartoria è lo strumento d’appoggio dove integrare o far interagire la forza emotiva di un racconto in perfetta grammatica, sintassi e non secondaria fonetica, dell’arte sul corpo per il corpo. I gioielli d’artista sono “in-vestiti” di questo.

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