Gli show più belli della Paris Fashion Week: 5 sfilate di cui sentiremo ancora parlare

Il fashion month di settembre è ormai alle spalle ed è il momento di tirare le somme. Parigi, in questa stagione, ha rivendicato un ruolo centrale tra le quattro capitali della moda. Funzionalità e creatività hanno sfilato mano nella mano lungo le passerelle dei vari marchi in calendario, ricordando a tutti la bellezza del “fare moda”. In un panorama dove insicurezze e sfiducia nel futuro stanno intaccando tutti gli aspetti del sistema, alcuni show della Paris Fashion Week si sono distinti per essere andati controcorrente. Si tratta di marchi che hanno perseverato e portato a termine uno dei compiti più difficili della moda odierna: creare sogni.

1. Il cuore di Demna Gvasalia da Balenciaga

Una sfilata in famiglia. Ecco cosa ha caratterizzato la presentazione della collezione SS24 di Balenciaga, forse lo show più chiacchierato della Paris Fashion Week. La famiglia di nascita e quella che Demna Gvasalia ha scelto e portato con sé alla maison in questi anni di direzione creativa. Parenti, amici e muse dello stilista hanno calcato la passerella, a partire dalla madre Ella, per finire con il marito Loïck Gomez. Noto anche come BFRND, Gomez ha indossato l’abito da sposa finale, e ha mixato e firmato (come sempre) la colonna sonora dello show.

Ancora, tra i modelli c’erano insegnanti del designer, come Linda Loppa, e altri membri del personale accademico dell’Anversa Academy. Star del fashion system come la giornalista e critica di moda Cathy Horyn, e volti della comunità LGBTQIA+ come Amanda Lepore. Gli amici di sempre, come l’artista Eliza Douglas e l’attrice Isabelle Huppert, la cui voce ha risuonato per tutto lo show mentre leggeva un testo istruttivo sulla costruzione di una giacca. La lettura si ripeteva in modo ossessivo con ritmi sempre più frenetici, creando uno stato di agitazione e apprensione in chi ascoltava. Metafora della pressione esercitata dal sistema moda.

La scommessa (vinta) di Balenciaga

Lo show, dunque, consisteva in un’opera che tratta le fondamenta della couture, l’importanza del ricordare le proprie radici e gli affetti più cari. Il tutto in un climax sviluppatosi in un mare rosso di pesanti tendaggi drappeggiati. Sulla passerella si sono succedute silhouette e look ormai noti nella storia della Maison, raffornzando l’attenzione sul messaggio che Gvasalia voleva trasmettere: il mondo di Balenciaga è l’insieme di ciò che egli ama della moda. È un riflesso della sua persona, delle sue abilità creative ed esecutive, della sua vita. È qualcosa che va oltre le tendenze e il concetto di lusso “trickle-down”. Una dichiarazione importante, una presa di posizione chiara e rinvigorente. Forse anche un modo per porre fine alle critiche che lo perseguitano dal disastro mediatico che ha seguito l’infame campagna del 2022. A giudicare dalle reazioni del grande pubblico, sembrerebbe avercela fatta.

2. Il nuovo ottimismo di Rick Owens

Una nebbia fucsia e gialla, petali di rose che cadono dal cielo e Diana Ross che canta I still believe in love. L’atmosfera al Palais de Tokyo era insolitamente positiva e ottimista da Rick Owens questa stagione. Lo stilista noto come “Principe delle Tenebre” ha scelto, infatti, di rompere (momentaneamente?) con le atmosfere lugubri e cupe che da sempre caratterizzano i suoi show, per indagare orizzonti più speranzosi. Certo è rimasto l’utilizzo del nero, le declinazioni extraterrestri, le silhouette affilate e le spalline ingigantite che arrivano fin sopra alla testa. Il generale sentore di leggerezza e freschezza però si respirava nelle cappe gonfiate dal vento, nei rosa polverosi che vanno dal cipria al malva, nei marroni caramellati e nei rossi succosi.

L’avanzare lentissimo delle modelle, dovuto sicuramente anche agli impossibili sandali-stivali dal plateau spropositato e tacco trasparente, dava un tono solenne allo show. Una nota quasi straniante se confrontata con l’estetica dei capi, che però in questo modo possono essere scrutati con attenzione, ammirati, impressi nella mente. Una lentezza che non appartiene alla società contemporanea, e che sicuramente non è propria della moda. Ma proprio per questo è stimolante ed eccitante, e lascia chi osserva con il dolce presentimento che il futuro ci riservi ancora qualcosa di bello.  

3. La stella splendente di Mugler

Casey Cadwallader non sta mancando un colpo. Alla guida di una delle maison di alta moda francesi maggiormente impresse nell’immaginario e nei cuori dei fashionisti di tutto il mondo, Mugler, Cadwallader sta ampliando la propria fanbase come pochi sono riusciti a fare in così poco tempo. Con un archivio complesso da maneggiare proprio per l’unicità e l’originalità che lo caratterizzano, il designer americano è riuscito a ridare forma e senso al marchio Mugler, rendendolo tra i più desiderabili del panorama contemporaneo.

Le top model in passerella per Mugler

L’alto tasso di drama e hype che circonda le sfilate di Mugler è sicuramente legato al cast sempre inclusivo e glamour. Stavolta c’erano icone pop del calibro di Angela Bassett, Paris Hilton, Helena Christensen, Paloma Elsesser, Anok Yai e Fan Bingbing. Ancora, Mariacarla Boscono, Amber Valletta e Irina Shayk, che sono ormai di casa. In un corridoio d’aria provocato dai ventilatori industriali posti ai lati della passerella, metri e metri di tessuto si muovevano scenograficamente dietro le modelle. L’effetto voluto era quello di creature marine che avanzano nell’acqua fluide, morbide e sensuali. Sono apparse però anche creazioni dalle forme rigide, bizzarre, stravaganti. Un abisso di esseri ammalianti e conturbanti.

Tutti questi aspetti caratterizzavano l’estetica di Thierry Mugler, il fondatore del marchio, e Cadwallader li sta portando avanti con spirito innovativo. Lo show era il primo live alla Paris Fashion Week dall’arrivo del nuovo direttore creativo nel 2018, e si è svolto il penultimo giorno di calendario. Nonostante ciò, è stato uno dei più acclamati della stagione. Cos’altro aggiungere? Bravo, Casey.

Fiori per riflettere sullo stato dell’arte alla Paris Fashion Week

«Floreale? Per la primavera? Avanguardia pura». L’esclamazione ironica della temutissima Miranda Prisley de Il Diavolo veste Prada risiede “rent free” nella mente di chiunque lavori nella moda e non solo. Questa stagione, però, anche l’immaginaria direttrice di Runaway potrebbe doversi ricredere. Il fiore, infatti, era alla base delle collezioni SS24 di Marni e Undercover: non un banale decoro stagionale, ma uno strumento di riflessione su tematiche ampie come l’importanza del lavoro manuale nella società odierna e il dualismo vita-morte.

4. “L’estasi della mano secondo”: Francesco Risso di Marni

Gli abiti-scultura e découpage floreali di Marni hanno sfilato negli spazi dell’hotel particulier di Rue de l’Université, ex-casa di Karl Lagerfeld a Parigi. Più vicini alla Couture che al RTW e realizzati a scopo scenografico più che utilitaristico, queste creazioni visivamente incantevoli hanno dato modo agli ospiti di volare in un mondo fantastico, lontano.

L’amore per il fatto a mano, per l’artigianalità e per l’aspetto tattile della materia che Risso ama, viene chiamato dal designer «l’estasi della mano». Sugli abiti bustier con crinoline e su una giacca si potevano ammirare le centinaia di immagini di fiori stampate su cotone, ritagliate singolarmente, e poi pazientemente cucite una a fianco all’altra. Alcuni minidress invece erano il risultato della manipolazione di lattine scartate, rimodellate a forma di fiori che parevano sbocciare dal corpo e sporgere all’esterno. Lo scopo di queste apparizioni era quello di combattere la virtualità messa perennemente al centro delle nostre vite, ripensare la manualità e ridare spazio alla concretezza. Un modo per risvegliare i sensi e procurare gioia e piacere, rimanendo fuori dagli schermi.

5. Tra la vita e la morte: la sfilata gotica di Undercover

Parte la colonna sonora di Wings of Desire, il film di Wim Wenders. Grandi candelabri di cristallo rivestiti di tulle nero illuminano la passerella, allestita in un garage sotterraneo. In questo modo la luce che emanano è fioca, offuscata (o forse protetta?). I capi si intravedono sotto lo strato di tulle, insieme ad accessori e decorazioni come spille, pietre preziose, carte da gioco e rose di seta. Nell’insieme sembrano i fiori secchi custoditi affettuosamente tra le pagine di un libro. Quest’estetica tipicamente romantica – nel senso storico, non sentimentale – imbocca traiettorie gotiche con i ragni neri e oro ricamati sul tulle, definendo una narrazione precisa. Malinconia, sogno, paura ed emozioni stranianti sono infatti temi cari al Romanticismo, così come lo è il revival del gusto gotico.

Incantare, ammaliare, stregare. Esiste un aspetto oscuro nell’atto di affascinare qualcuno, in quanto l’origine del verbo (come per i suoi sinonimi) rimanda a pratiche magiche, maligne. Esse hanno lo scopo di privare la persona colpita della propria coscienza, del proprio intelletto, per poterla manipolare o trarne un qualche tipo di vantaggio. Il fashion designer giapponese Jun Takahashi ha dato vita a uno show magico alla Paris Fashion Week con la sua collezione SS24 Deep Mist. Un sogno ad occhi aperti, pervaso di una malinconia figlia del rinnovamento conseguente a una perdita.

Perché gli abiti terrario sono diventati virali

Un messaggio di speranza, però, si intravede nei tre look finali: si tratta di abiti-terrario che sembrano indossati da fate o spiriti benigni. I mini abiti sono stati ricavati dall’utilizzo di veri e propri grandi vasi di vetro, contenenti rose recise e farfalle svolazzanti. Rivestiti di tulle e illuminati artificialmente dall’interno, i capi restituiscono l’effetto dei candelabri, ma sono arricchiti da qualcosa di molto più prezioso del cristallo. La vita.

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