PETER WHITE TORNA CON L’ALBUM “ACQUA E ZUCCHERO”: PRENDETENE UN SORSO, È RINVIGORENTE

Venerdì 27 ottobre è uscito il nuovo album di Peter White, intitolato Acqua e Zucchero. Peter White, al secolo Pietro Bianchi, è un cantautore romano classe 1996. Sincero, diretto, concreto, ma al tempo stesso romantico, abbraccia il poetico disordine che è la vita in tutte le sue complessità.

“Fuori posto” in una società bramosa di catalogare ed etichettare tutto in modo tale da renderlo più comprensibile, semplice, Peter rifugge le visioni bianco-nero. «Scusa, continuo a dare risposte ambivalenti, me ne rendo conto – afferma ridendo mentre chiacchieriamo al telefono – Però credo sia un po’ tutto così, no? Ci sono diversi strati, diversi aspetti per ogni cosa».

Il terzo album di Peter White

L’affetto per le sfumature, e per il realismo che esse rappresentano, caratterizza tutta la sua produzione musicale. Tale connotazione è particolarmente evidente nel suo terzo e ultimo album. Acqua e Zucchero è un progetto ibrido, frutto di un lavoro durato un paio di anni in cui sono confluite esperienze, introspezioni, personalità e musicalità differenti. Come le acque rimescolate del mare, che le onde portano a riva tra schizzi scintillanti e morbida spuma, i 14 brani contenuti nell’album restituiscono un panorama tutto sommato chiaro e coeso.

L’album giunge in seguito a un anno ricco di release e traguardi per Peter White, che in questi mesi ha totalizzato mezzo milione di ascoltatori mensili. Il cantautore ha anche intrapreso con successo un tour in varie città italiane, coronato dai sold out di Roma e Milano, che gli ha permesso di esibirsi live e cantare insieme al pubblico il repertorio con cui in questi anni si è fatto conoscere.

Peter White dopoesco
Peter White in uno scatto di @dopoesco

«Io apprezzo anche il lato più decadente di Roma, perché lo trovo molto poetico»

Partendo proprio dalle basi, tu sei di Roma e nei tuoi testi fai diversi riferimenti alla città: che rapporto hai con la capitale? Quanto ha influenzato il tuo percorso artistico?

Direi che abbiamo un rapporto ambivalente, di amore e odio. Come diceva il grande Alberto Sordi, “Roma è un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi”. Ed è assolutamente vero, ma allo stesso tempo è anche una città fatiscente. Passi da uno scenario all’altro in un batter d’occhio, puoi passeggiare in mezzo a scenari meravigliosi e ritrovarti in vie piene di sporcizia, con strade distrutte e il traffico intenso. Io apprezzo anche questo lato più decadente di Roma, perché lo trovo molto poetico. È una città che ti dà una forte carica, che ti attacca anche un certo modo di fare, perché è comunque molto libera sotto diversi punti di vista. Va detto che io apprezzo molto anche il viaggio. Amo viaggiare, confrontarmi con nuove culture e arricchirmi con tutto ciò che mi possono offrire.

La tua cifra stilistica è l’accurata ricerca che sta dietro le parole delle tue canzoni. Riesci a ricordare quando è stata la prima volta che hai realizzato l’enorme potere evocativo che hanno le parole, e come potevi sfruttare questo loro potenziale?

Penso si tratti di una consapevolezza che ho un po’ sempre avuto. Crescendo con due genitori giornalisti e frequentando il liceo classico sono sempre stato messo di fronte all’importanza di scegliere le parole con cura. L’attenzione nel selezionare un termine piuttosto che un altro, quindi, è sicuramente qualcosa che ho introiettato dal contesto in cui mi sono trovato. Allo stesso tempo però sono sempre stato maggiormente portato per le materie umanistiche rispetto a quelle scientifiche, non ho mai avuto difficoltà nello scrivere i temi o i saggi brevi. È sempre stato qualcosa che mi riesce semplice.

A proposito di parole, i tuoi testi sono personali ma anche universali nei messaggi. Sei un estroverso o parli dei sentimenti solo attraverso la musica?

Questa è una domanda interessante. Direi che ho un lato estremamente introverso e uno estremamente estroverso. Sono una persona che tendenzialmente sta bene in mezzo agli altri, non ho difficoltà ad aprire un dialogo, anzi. Mi piace parlare, chiacchierare e sentire storie. Però scelgo accuratamente con chi confidarmi, perché devo sentire di potermi fidare. Mi piacciono le persone dirette, oneste. In quel caso mi apro tanto.

Con la musica all’inizio è stato qualcosa piuttosto impattante devo ammettere, ma bellissimo: cantare di argomenti personali offrendoli a potenzialmente chiunque e vedere come nella tua esperienza si riflettono anche esperienza altrui è speciale. C’è da dire anche che proprio questo meccanismo però è peculiare, perché quando tu lanci nel mondo un pezzo, per quanto soggettivo esso sia, nel momento in cui ti lascia diventa subito qualcos’altro. Si trasforma proprio in base a chi lo riceve e ne fruisce. E ognuno lo fa a modo suo, rendendo quel pezzo diverso in qualche modo.

«Una particolarità di questo album è stata proprio la scelta del titolo che, al contrario delle altre volte, avevo in mente fin da subito. Sentivo che doveva avere questo nome, in quanto il concetto che ci sta dietro mi è molto caro»

È appena uscito Acqua e Zucchero, il tuo nuovo album. A partire dal titolo e dalla copertina, l’acqua è un elemento che ritorna spesso in questo progetto, soprattutto attraverso i riferimenti al mare. È una caratteristica che avevi in mente sin dall’inizio o è venuta da sé?

Questo album è frutto di due anni di lavoro, si tratta di un progetto che è stato molto impegnativo per me, e di cui sono tanto orgoglioso. Vederlo prendere il volo mi riempie di soddisfazione.

Una particolarità di questo album è stata proprio la scelta del titolo che, al contrario delle altre volte, avevo in mente fin da subito. Sentivo che doveva avere questo nome, in quanto il concetto che ci sta dietro mi è molto caro. Bere acqua e zucchero è il modo forse più semplice, ma comunque efficace, di riprendere la carica nel momento del bisogno. Una miscela quasi banale a primo impatto, ma energetica e accessibile a chiunque. È un titolo che presenta bene anche il contenuto dell’album: un disco ibrido, un miscuglio di musicisti, produttori e sonorità.

L’album, dunque, si è sviluppato con questo approccio: seguire in modo onesto il flusso degli eventi e trarne pezzi altrettanto sinceri. Non avevo previsto, però, che sarebbe stato un tema ricorrente nei brani. È qualcosa che è venuto da sé evidentemente.

Il progetto discografico contiene i featuring con chiamamifaro, Galeffi e Gemello. Qual è per te il valore aggiunto di avere delle collaborazioni nell’album?

In modo forse un po’ anacronistico a me piace chiamarli duetti, proprio perché si tratta di uno sforzo a due, un’occasione speciale dove due talenti danno vita a un pezzo unico, che rimarrà per sempre. Penso molto all’impronta indelebile che le collaborazioni lasciano nel tempo, perché testimoniano qualcosa del contesto in cui sono nate. Le considero dei “patti di eternità” che vengono stretti fra artisti-amici. I rapporti umani e le esperienze che vivi sono sicuramente il principale valore aggiunto, così come le nuove sonorità che gli altri ti fanno scoprire.

Parlando dei featuring di questo album, Gemello è sicuramente una conferma. Fino ad oggi abbiamo lavorato a diversi pezzi assieme e siamo amici, per cui è un ottimo alleato per le mie canzoni. Con chiamamifaro ci siamo conosciuti in occasione di questo progetto e devo dire che mi ha sorpreso nel migliore dei modi. Devi sapere che inizialmente, quando abbiamo lavorato al testo di Baricentro, il ritornello non mi convinceva. Non riuscivo a capire quale fosse il problema, ma non appena ho sentito la sua voce entrare nella canzone mi sono detto: “Ecco, è perfetto così”. Trovo che le nostre voci funzionino benissimo insieme, sono complementari in qualche modo. Galeffi infine è un grande autore oltre che un grande essere umano e lavorare con lui è stata un’esperienza davvero unica.

«Credo che il fatto di poter seguire approfonditamente tutte le fasi del progetto sia ciò che gli dona libertà alla fine. Gli permette di nascere e di evolversi liberamente»

Acqua e Zucchero fa parte di un nuovo percorso musicale, un cambio di rotta verso l’indipendenza. Dal momento che segui tutti i passaggi dei tuoi progetti musicali, ti chiedo: ti sei sempre sentito un artista a tutto tondo? Poter seguire lo sviluppo delle proprie idee, a partire dal loro concepimento all’effettiva concretizzazione, è il sintomo di un “bisogno di controllo” che ti caratterizza o piuttosto l’espressione di un desiderio di libertà?

È una bellissima domanda. Non ci ho mai pensato, ma probabilmente è un po’ entrambe le cose. Credo molto nelle sfumature, nulla nella vita è bianco e nero. Sicuramente esiste una parte di voglia di controllo, ma perché sono una persona a cui piace fare le cose in un certo modo, soprattutto se credo molto in un progetto. Non faccio mai qualcosa tanto per fare. E anzi, credo che proprio il fatto di poter seguire approfonditamente tutte le fasi del progetto sia ciò che gli dona libertà alla fine. Gli permette di nascere ed evolversi liberamente. Ovviamente poi non si tratta solo di me: c’è sempre un team fantastico che mi accompagna, lavora sodo e fa prendere vita alle mie idee.

Sei nel bel mezzo di un tour importante che ti sta facendo girare l’Italia. Cosa ti ha colpito maggiormente dell’esperienza?

Abbiamo fatto un bel giro, mi sono esibito in diverse location speciali: da Torino a Milano, qui presso l’Arci Bellezza dove risiede l’affascinante antica Palestra Visconti, dal Monk di Roma a Bologna. Ho scoperto alcuni locali stupendi che non conoscevo, nonostante siano diversi anni ormai che canto sul palco, e questo mi è piaciuto molto. Come sai ad oggi sono usciti sei dischi con il mio nome, ma fino ad ora ho fatto uscire singoli per lo più. Molti di loro sono confluiti in questo nuovo album, Acqua e Zucchero, per cui è stato divertente cantarli con la consapevolezza che sarebbero entrati a far parte di un nuovo progetto, con un nuovo contesto.

Peter White dopoesco
Peter White in uno scatto di @dopoesco

Con uno sguardo ancora più ampio, se dovessi fare un paragone tra il Peter del primo album e quello di oggi, cosa diresti che è cambiato maggiormente?

La consapevolezza. Quando sali su un palco per la prima volta e ti esibisci per un pubblico, ti porti dietro una certa spensieratezza, un modo di porti e di comportarti particolare, che col tempo lascia il posto a qualcos’altro. Direi proprio a una consapevolezza maggiore di quello che stai facendo, di ciò a cui vai incontro, impari a identificare ed esprimere ciò che vuoi comunicare, infondere, trasmettere, ottenere con la tua arte. Quando approcci il tuo primo disco sei felicemente spaesato, emozionato, provi tutto, sperimenti su diversi aspetti e vedi cosa ne esce. Forse ad oggi vedo questo mondo con meno spontaneità, nel senso che non ho più quello sguardo inedito e ingenuo che mi caratterizzava agli inizi della mia carriera, ma ho guadagnato più sicurezza in me stesso.

Cosa auguri al Peter del futuro?

In questo periodo cerco di rimanere focalizzato sul presente, per godere di quello che mi succede al massimo. Non voglio proiettarmi troppo in avanti. Sicuramente però mi auguro di poter continuare a fare ciò che amo, ossia scrivere musica e cantare. È quello che mi piace e che mi riesce meglio, per cui non riesco a immaginarmi fare altro. 

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