Tobias Ahlin – chiacchiere con un innovatore culturale

E’ giovanissimo, ma ha già lavorato in alcune delle aziende più rinomate e ambite del mondo, Spotify e GitHub per dirne due. E’ un creativo, un visionario e un innovatore in tutti i sensi.
Playlist preferita di Spotify? Ne ha creata una tutta sua negli anni con più di 600 brani!

Come ti piace descriverti? Sei un designer, un insegnante e un programmatore: come si coniugano queste diverse attitudini in te?
La domanda che temo di più è “Cosa fai”. I miei tentativi di dare una risposta completa e comprensibile di solito iniziano con un elenco di lavori e occupazioni concrete e si concludono con pezzi sbriciolati di carta e un bicchiere vuoto di whisky. Attualmente mi sto occupando di analisi dei dati, fisica, statistiche, sto anche imparando a suonare il pianoforte, e sto approfondendo la mia conoscenza del francese. Penso che quello che lega tutto sia l’amore per la novità, la convinzione di poter sempre imparare cose nuove, e la follia degli altri nell’assumermi. So bene però quello che amo: incontrare nuove persone, imparare cose nuove, e creare cose nuove. Mi piace finire quello che ho iniziato, ma amo anche smettere un lavoro o un’abitudine per provare qualcosa di nuovo. E’ così che hanno preso forma tutti i miei interessi, progettazione, insegnamento, e programmazione, ma non so ancora quale sarà il prossimo!

In passato, tra le tante collaborazioni, sei stato anche in Spotify e in GitHub. Che ruolo avevi?
Ho avuto la fortuna di iniziare a Spotify la stessa settimana in cui il loro progettista precedente smetteva. Era una società più piccola allora, e come designer fresco di laurea, mi sono trovato responsabile del design dell’interfaccia utente per tutti i prodotti di Spotify.
Il servizio era già enormemente popolare in Svezia, ma non a livello internazionale: discutere il prodotto con amici e sconosciuti ha formato il mio modo di pensare riguardo ciò che può essere prezioso in un’esperienza del genere. La gente spesso menzionava i dettagli, come ad esempio la sensazione di un’animazione o quanto velocemente una canzone iniziasse, questo li aveva fatti amare Spotify. Non strane caratteristiche tecnologiche, ma come sentivano le cose. Lavorando in grandi aziende come Spotify e GitHub, il mio approccio era una sorta di Aikido (ndr. Arte marziale giapponese). Ora per mirare dritto alla semplicità e fare di questo il mio unico obiettivo, cerco persone e progetti che si allineino con questa visione, anche se solo temporaneamente. Se mi capita di incontrare resistenza, cerco di riallineare quella resistenza con la mia visione, ma se non ci riesco, cerco di passare a un altro progetto. Alla fine questo significa che non potrò mai fare tutto quello che voglio, ma sicuramente avrò fatto più che se fossi rimasto in un posto lottando per una sola causa.

Qual è la tua visione come sviluppatore?
Il mio approccio e la visione è sempre stato più o meno lo stesso: voglio creare prodotti che la gente ami. Mi piace semplificare e migliorare l’essenza di un’app o di un prodotto. Ora, facile a dirsi perché la maggior parte delle aziende non è d’accordo con questa visione. Non si ottiene nessuna pubblicità se togli delle caratteristiche al tuo prodotto, e non sarà certo possibile ottenere nessuna promozione. La maggior parte delle aziende di tecnologia ha forti incentivi a lanciare continuamente nuovi aggiornamenti e aggiungere cose nuove. L’impegno per la semplicità è spesso in conflitto diretto con tali incentivi.

A proposito di posti, con GitHub immagino lavorassi da remoto…Pensi che questo sia il futuro per la tua professione? O addirittura per qualsiasi tipo di professione?
La sede centrale di GitHub si trova a San Francisco e io di solito lavoravo da qualche parte in Europa, come facevano molti dei miei colleghi. Non tornerò mai a lavorare di nuovo alla scrivania. Credo che lavorare in remoto sia una modalità che sempre più aziende abbracceranno, e che sia fantastico per una serie di motivi. Tutte le nostre vite sono intrinsecamente imprevedibili, e avere la possibilità di non trascorrere la maggior parte delle nostre giornate legati a uno spazio fisico, rende più facile condurre una vita felice e alla fine fare anche un buon lavoro. E se si sta eseguendo un business, il lavoro a distanza fatto bene significa più facilità nell’assumere perché non si è limitati alla tua città o paese, significa avere meno spese per il materiale e per gli spazi da ufficio, e soprattutto vuol dire avere dipendenti più felici e più produttivi. Credo e spero che diventerà la regola piuttosto che l’eccezione.

Cosa ti piacerebbe creare in futuro?
Una scuola. Credo che ci sia bisogno di cambiare radicalmente il nostro modo di pensare l’educazione. In tutto il mondo, le scuole hanno la tendenza a perdere lentamente contatto con la realtà, e di insegnare la teoria per il bene dell’insegnamento della stessa teoria. È inutile. Si continua poi per tutta l’università con libri di testo da memorizzare, nonostante i posti di lavoro sono pratici per loro stessa natura. Se il nostro lavoro è, alla fine pratico, perché non s’impara con la pratica? Perché non ci concentriamo sulla creazione di cose e facendo errori? Oltre a questo credo che il ruolo della scuola nella società, non sia solo quello di prepararci per il lavoro, ma anche alla vita in generale. Trovo che ad esempio la Scuola di vita di Alain de Botton sia un grande esempio della direzione verso cui dovremmo andare. Le nostre scuole sono fondamentalmente disallineate con il modo in cui effettivamente impariamo, e hanno bisogno di cambiare.

Ai primi di giugno sei a Milano per iCodex, il primo hackathon d’innovazione culturale, secondo te qual è l’importanza della cultura nella nostra società?
Secondo me la cultura nella nostra società ha il ruolo fondamentale di mettere in discussione lo status quo, di combattere l’ignoranza, e di creare empatia. Siamo a un livello sempre più alto di consumo di informazioni, e ci viviamo dentro e vogliono vedere e sentire solo cose che approviamo. Rischiamo lo sviluppo di una società sempre più polarizzata, con partiti estremisti che spuntano lungo l’intero spettro politico. La cultura non mette necessariamente tutti d’accordo, ma può farci capire l’un l’altro, e tenere insieme.

Photography | Agnes Stenlund

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