Expat. Fenomeno o uno stato mentale?

MARTINA – RESPONSABILE DELLE COLLEZIONI DEL SOUTH STREET SEAPORT MUSEUM

Brevemente, chi sei?
Sono milanese, ma ora sto per compiere il 7 anno negli Stati Uniti. È iniziato tutto con un programma di studio all’estero, nei Paesi Bassi, presso l’Università di Utrecht. Allora non pensavo che avrei vissuto e lavorato fuori dall’Italia. Alla fine di quell’esperienza avevo due opzioni: un master nel Regno Unito, o un internship negli Stati Uniti. Ho scelto gli States, e quei tre mesi sono diventati rapidamente qualcosa di più ampio.

Dove vivi adesso?
A New York. Nel 2015, stavo lavorando in Massachusetts, come direttore di una galleria d’arte situata all’interno del Massachusetts Museum of Contemporary Arts, ma ho voluto trasferirmi a New York per vivere più vicino al mio fidanzato. Adoro questa città e il mio lavoro, che ha tantissime responsabilità, mi permette di crescere e di costruirmi una posizione all’interno della scena dell’arte newyorkese.

Cosa vuol dire essere lontani da casa?
La maggior parte dei giorni sto abbastanza bene, ma ogni tanto casa e la mia famiglia mi mancano molto. New York è un mondo particolare, all’interno degli Stati Uniti, molti dicono che sia una “bolla felice”, ma ho vissuto in una zona piuttosto remota nel Massachusetts, nel Berkshires, tra foreste, colline e laghi, e in entrambe le località non mi sono mai sentita fuori dalla mia zona di comfort.

“Expat” ha una connotazione di appartenenza e di nazionalità…
La connotazione di “expat” è cambiata con il tempo e le circostanze. Io non la uso, perché in qualche modo “expat” per me ha un significato negativo. Sono orgogliosa di essere italiana e mi trovo costantemente a spiegare agli amici e ai colleghi la nostra cultura, la nostra storia e i nostri contesti politici. Mi sento con se avessi due case e due Paesi, anche se non sono naturalizzata americana. Entrambi per me sono casa, e mi sento coinvolta sul fronte politico e civile di ambe le Nazioni.

L’aspetto più interessante del Paese in cui vivi?
La sensazione di essere in grado di fare, grazie alla mia capacità di lavorare duramente e alle mie passioni. Con onestà e organizzazione si può diventare un punto di riferimento in ogni istituzione e diventare parte di una squadra, non importa da dove vieni.

Quanto pensi di fermarti?
Non lo so. Mi piacerebbe avere dei figli e crescerli qui, per un po’. Mi piace il New York pre-K, i kindergardens, e la scuola elementare, ma non sono abbastanza fiduciosa nel sistema della scuola americana. Credo che un’educazione e una mentalità Italiana/Europea e Americana potrebbero essere un grande regalo per un bambino.

EMANUELE – SCRITTORE

Brevemente, chi sei?
Sono nato in Italia, nelle Marche, e ho vissuto la mia infanzia e l’inizio dell’adolescenza in un piccolo villaggio sulla costa a qualche chilometro dalla città di nascita. Non ho mai smesso di muovermi. Mi sono trasferito di nuovo, di poco e da solo, a 14 anni per continuare gli studi, poi ancora per iniziare l’università. A 21 anni sono “emigrato” per la prima volta, per due anni a Berlino. E non ho più smesso: sono rientrato in Italia (Roma prima poi Firenze) e poi Parigi, Venezia, Barcellona, Francoforte, Parigi, Friburgo, Parigi, New York, e di nuovo Parigi.

Dove vivi adesso?
Vivo a Parigi, perché lavoro qui (insegno all’università), ho una compagna e una figlia, entrambe francesi.

Cosa vuol dire essere lontani da casa?
La sola vita possibile. Restare là dove si nasce è come non cominciare mai a respirare. O rifiutarsi di aprire gli occhi per paura di vedere troppa luce.

“Expat” ha una connotazione di appartenenza e di nazionalità…
Trovo che la parola sia legata a doppio filo con l’immaginario fascista e la logica assassina che portano al massacro quotidiano di vite nel Mediterraneo. L’assimilazione al luogo di nascita è una strana forma di astrologia rovesciata: invece di definirsi a partire dalla posizione del sole e degli altri corpi celesti al momento della nascita, lo si fa prendendo come dato la posizione che si occupava in quel momento sul corpo terrestre (che è uno dei corpi celesti). Dire che essere italiano o francese, o tedesco ha lo stesso valore del dire che si è gemelli ascendente bilancia, ariete o toro: sono etichette che possono essere utili per una conversazione a tavola, ma fondare la propria vita (o addirittura un ordine politico) sulla base di queste qualità è pura superstizione. Vi immaginate uno Stato che integri solo i gemelli e non i toro? O che addirittura massacri gli scorpioni per il solo fatto di essere nati a novembre? Come chiunque altro, sono francese quando vivo a Parigi, americano a New York, italiano a Firenze. Il resto è solo superstizione.

L’aspetto più interessante del paese in cui vivi?
L’arte, la moda, il formaggio e soprattutto il fatto che a Parigi, come in qualsiasi metropoli, si può vivere in una maniera che non ha nulla di ‘nazionale’.

Quanto pensi di fermarti?
Partirei stasera stessa per gli Stati Uniti, il Canada, Dubai o Pechino. Tutto dipenderà dalle esigenze di lavoro della mia compagna (che è regista ed artista). Io seguo lei.

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