Lo slow design di Mark Braun

Hexagon, produced by Mühle

È tutta una questione di identità e carattere, senza dimenticare la funzionalità. Si potrebbe descrivere così il lavoro di Mark Braun, product designer tedesco dagli occhi blu cielo. Le sue collaborazioni spaziano in molti settori e i progetti da lui ideati e creati hanno trovato la produzione di diverse aziende come Authentics, Covo srl, E15, Lobmeyr, la Redoute, ma anche Nomos Glashütte, Thonet, Bonacina, solo per citarne alcuni. Prodotti per il beauty maschile, mobili, oggetti in vetro, lampade e orologi: non c’è molto che Mark non abbia disegnato e per questo, ha ottenuto diversi premi, come il Design Plus, l’Interior Innovation Award e il German Design Award e ha avuto l’onore e l’occasione di esporre alcune sue creazioni in famose gallerie dal respiro internazionale, come la Saatchi Gallery di Londra. Tutto avviene a Berlino dove, dal 2006, Mark ha aperto il suo studio in un edificio che assomiglia a un hub di creativi, con grandi finestre e spazi comuni. Si è definito uno slow designer, perché spesso accetta sfide che lo portano a partire da zero per scoprire nuovi mondi della creatività. L’abbiamo incontrato a Milano durante il Salone del Mobile nello showroom di Bonacina, per la quale ha progettato una nuova collezione di lampade in bambù dal sapore orientale e, ugualmente, europeo.

Come sei diventato designer, da dove hai iniziato?
Il mio background è la carpenteria. Direi che sono partito dai prototipi dei miei progetti. Il primo è stato un servizio da tavola per un’azienda tedesca, un grande successo. Poi da lì ho cominciato a spaziare, mi piace molto, dal product, al lighting, ai mobili, fino agli orologi. Bisogna essere aperti al cambiamento, questo è sicuro.

Il mondo del product design è molto competitivo, cosa ne pensi?
Sì, è vero, ci sono molte sfide. Da una parte è vero, ci sono parecchie competizioni, ma più invecchio più quella parte del mio lavoro si allontana, perché divento sempre più consapevole delle mie scelte, dei mie gusti e del design che voglio creare. L’importante per me è rimanere curioso: se riesci ad essere curioso, hai tutto quello che serve per essere in vantaggio, il cliente si fida e tu lavori sempre meglio. 

Come è nato il progetto di watch design con Nomos Glashütte?
Dai miei bicchieri. Uno dei loro amministratori una sera, in un ristorante, ha bevuto dai miei bicchieri, gli sono piaciuti, ha pensato che sapessi lavorare bene il vetro e mi ha contattato. Mi hanno chiesto che tipo di orologio avrei comprato e di far loro qualche proposta. Non essendo un watch designer ho fatto alcuni errori inizialmente, ma per fortuna il carattere del mio orologio in generale è piaciuto. Una storia di successo, nata per caso.

Cos’è per te lo stile?
Credo che da un lato sia molto legato all’educazione, ma più in generale penso che avere stile significhi sentirsi bene con se stessi, godersi quello che si ha senza esagerazioni. Si tratta di prendere decisioni ragionevoli, perché le persone con stile non fanno niente per caso. Bisogna sapere chi si è e cosa funziona per se stessi.

Cosa ne pensi dello stile di Milano?
Il primo ricordo di Milano mi riporta a mio zio. Mi ha sempre sostenuto e, quando mi sono iscritto alla scuola di design, mi ha comprato un biglietto per Milano, dicendomi che non potevo sapere niente di design finché non fossi venuto in questa città durante il Salone del Mobile. Biglietto aereo, ma non di un albergo. Ovviamente non c’erano hotel liberi: avevo 25 anni e ho vagato per la città, incontrando tantissima gente meravigliosa per caso, che è rimasta con me in giro tutta la notte. Oggi, per me, Milano è prevalentemente una città di lavoro e la trovo bellissima, perché ha un suo stile che non cambia troppo negli anni. Il quartiere di Lambrate è molto interessante, è molto duro, industriale, un po’ abbandonato, ed è dove si può trovare lo stile più d’avanguardia, ma penso che Brera sia la zona dove trovare qualità.

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