Venezia 2023, il film ‘Non credo in niente’ e la fatica di avere 30 anni. Intervista a Lorenzo Lazzarini

Segnatevi questa data: 28 settembre 2023, giorno di uscita del film Non credo in niente, opera prima di Alessandro Marzullo passata anche dal Festival del Cinema di Venezia. Il film è stato presentato tra gli eventi collaterali della kermesse, all’interno del panel “Co-produzione internazionale: uno sguardo al futuro”. L’incontro, che si è tenuto alla presenza del regista, della protagonista Demetra Bellina e del produttore e attore Lorenzo Lazzarini, si è svolto presso lo Spazio Fondazione Ente dello Spettacolo.

Il film, presentato in anteprima alla 59ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro è prodotto e distribuito da Daitona e Flickmates. Nel cast: Demetra Bellina (Comedians, Gabriele Salvatores, 2021), Giuseppe Cristiano (Io non ho paura, Gabriele Salvatores, 2003; Come Dio Comanda, Gabriele Salvatores, 2008), Renata Malinconico (Ovunque tu sarai, Roberto Capucci, 2017), Mario Russo (Calibro 9, Toni D’Angelo, 2018; Una femmina, Francesco Costabile, 2021), Lorenzo Lazzarini (Love in the Villa, Mark Steven Johnson, 2022), Gabriel Montesi (Esterno Notte, Marco Bellocchio, 2022; Siccità, Paolo Virzì, 2022), Antonio Orlando (Il Primo Re, Matteo Rovere, 2017; Il Traditore, Marco Bellocchio, 2018) e Jun Ichikawa (Cantando dietro i paraventi, Ermanno Olmi, 2003; House of Gucci, Ridley Scott, 2021).

Scena del film Non credo in niente
Una scena del film Non credo in niente

Non credo in niente, un tuffo nella vita dei trentenni di oggi

Quattro ragazzi, grandi ambizioni, un successo che sembra irraggiungibile e la fatidica data dei 30 anni che incombe. Non credo in niente è un viaggio nei sogni, nelle lotte e nelle delusioni di quattro artisti (o aspiranti tali): una hostess dai mille talenti, un aspirante attore che cerca rifugio nel sesso occasionale e una coppia di musicisti costretti a lavorare in nero in un ristorante per pagarsi le bollette. A unirli è la città di Roma, colta nella sua luce più crudele e decadente. Il film di Alessandro Marzullo è un racconto corale e frammentario in cui è facile immedesimarsi: attraverso un’estetica di contrasti, restituisce il disagio e la frustrazione di chi ha trent’anni oggi. Giocando con il montaggio e con il tessuto musicale, fatto di dissonanze e distorsioni, Alessandro Marzullo mette in scena proprio quella società “liquida” anticipata da Bauman. MANINTOWN ha intervistato in anteprima con Lorenzo Lazzarini, qui nella duplice veste di attore e produttore.

Dopo il Pesaro Film Fest, Venezia. Vi aspettavate di arrivare in laguna?

L’avventura di questo film, Non credo in niente, l’abbiamo scoperta e inventata giorno per giorno. A partire da quando Alessandro (Marzullo – ndr) ci parlò per la prima volta del film. Da luglio 2020 ad oggi, ne abbiamo passate tante: molti eventi ci hanno abbattuto e stimolato allo stesso tempo. Eventi incredibili, drammatici, che alla fine sono stati anche la fortuna di questo film. Venezia 2023 è solo uno dei tasselli, importantissimi, che servono ad accompagnare il film verso l’uscita del 28 settembre. Siamo molto emozionati.

Scena del film Non credo in niente
Scena del film Non credo in niente

«Per noi la produzione di un film è in pellicola, il Cinema si fa in pellicola… Inoltre, lavorare in pellicola, dà tutta un’altra energia, apprezzi e vivi ogni attimo e cerchi di renderlo al meglio»

Il film non è in digitale. Perché tornare alla pellicola? Aumenta i costi e i rischi. Lei è un produttore così temerario?

Temerario sì, anche un po’ incosciente magari, ma non penserei alla scelta della pellicola. I costi sono relativi, ma è proprio l’uso dell’analogico che fa ragionare più economicamente. La pre produzione, quindi, diventa fondamentale, cosicché sul set tutta la troupe, compresi gli attori, siano responsabilizzati ed attenti a sbagliare il meno possibile. Per noi la produzione di un film è in pellicola, il cinema si fa in pellicola. Senza parlare del fatto che proprio la scelta del Super 16mm ha reso quel senso di “zozzo” e di denso che serve alla nostra storia. Inoltre, lavorare in pellicola, dà tutta un’altra energia, apprezzi e vivi ogni attimo e cerchi di renderlo al meglio. Alla fine di ogni notte di ripresa, 12 per la precisione, mi trovavo a tenere strette fra le braccia le pizze di girato da consegnare in laboratorio e, dopo tante ore di set e il sonno arretrato, avere tutto il valore del lavoro fra le mani è un’emozione incredibile.

Il film, come avete dichiarato anche al festival di Pesaro, risente dello stile del regista Wong Kar- wai. Il cinema asiatico è stato inizialmente sottovalutato, finché non è arrivato agli Oscar. È ora di uscire dallo schema classico dove guardiamo al cinema francese o a Hollywood?

Io sono classe ‘93, come il regista Alessandro Marzullo, e inevitabilmente siamo cresciuti con il Cinema anni Novanta, con i grandi film hollywoodiani mainstream, ma siamo anche una generazione che ha vissuto in pieno la crisi degli anni 2000, che ci ha costretti a guardare altrove. Le influenze sono giuste e formative, ma credo che dovremmo guardare al nostro cinema, il cinema italiano che fu e che ha insegnato a tutto il mondo.

Scena del film Non credo in niente
Una scena del film Non credo in niente

«Non si cerca più di arrivare al pubblico, di farlo emozionare, non c’è la missione di arrivare ai grandi numeri, è un sistema produttivo che è fine a se stesso nella fase che va dallo sviluppo alla post produzione»

Venezia, senza i blockbuster americani, potrebbe essere un’occasione per il cinema Italiano ed europeo. Ma basterà l’assenza degli americani per risollevare il nostro cinema o serve altro?

Non basta. Ma la Mostra credo che abbia altri scopi, anche perché siamo in una fase in cui, il più delle volte, precede l’uscita al cinema e tra i due eventi possono passare anche vari mesi. La missione sta a noi produttori, ma c’è tanto da fare.

Lei è co-founder di Daitona, nonché attore con una buona formazione teatrale. Cosa rende il cinema italiano non più competitivo?

Non si cerca più di arrivare al pubblico, di farlo emozionare, non c’è la missione di arrivare ai grandi numeri, è diventato un sistema produttivo fine a se stesso nella fase che va dallo sviluppo alla post produzione. La distribuzione fa fatica a rientrare degli investimenti e, soprattutto, non c’è più voglia. Sono pochi quelli che veramente rischiano e che se lo possono permettere. Importante, poi, è anche l’aspetto umano. Non si parla più con i registi, con gli autori, non si discute, non si combatte, ma si è diventati dei puri amministrativi tra bandi, Spid e email. Visto che nasco come attore, faccio la stessa annotazione per i selftape: ormai anche i coprotagonisti vengono scelti attraverso uno schermo. E, infine, anche l’esperienza umana di Non credo in niente che viene restituita, non è solo il film di 100 minuti, ma tutto quello che ha mosso e che muove.

Scena del film Non credo in niente
Una scena del film Non credo in niente

«Crediamo che oggi, almeno per quanto riguarda il tipo di film che stiamo producendo, il metodo distributivo più efficace sia creare l’evento, rendere esclusiva la visione del prodotto, dando valore a tutto quello che c’è di prezioso nella composizione del film»

Nello scaricabarile che va dalle produzioni ai gestori di sale, lei è ai piani alti della filiera: produce. Qual è oggi il problema nella produzione? Che futuro hanno le piccole case di produzione indipendenti? Essere piccoli o medi è uno svantaggio di fronte ai colossi internazionali o consente qualcosa in più?

Non parlerei di piccoli o grandi, piuttosto di scafati o fortunati. Noi, come produttori attivi da 8 anni, ci siamo dovuti creare un nome, speriamo buono, dal nulla. Nessuna delle nostre famiglie viene dal settore e abbiamo cercato di fronteggiare gli scogli della produzione in vari modi. Nelle difficoltà del settore non ci siamo scoraggiati e questo ha stimolato la fantasia nel produrre. Altrimenti Non credo in niente non avrebbe mai visto la luce. Stiamo cercando, anche in vista delle recenti riflessioni ministeriali, modi alternativi di produrre e, soprattutto, di distribuire i film. Crediamo che oggi, almeno per quanto riguarda il tipo di film che stiamo producendo, il metodo distributivo più efficace sia creare l’evento, rendere esclusiva la visione del prodotto, dando valore a tutto quello che c’è di prezioso nella composizione del film.

Ritratto di Lorenzo Lazzarini
Ritratto di Lorenzo Lazzarini

«È sempre più raro quel fiuto che dovremmo avere per gli autori, per le grandi storie che vanno raccontate e per individuare come vanno raccontate e distribuite. Il produttore dovrebbe solo produrre»

L’Italia è oggi un mercato appetibile per le produzioni internazionali che beneficiano del tax credit. È ben regolamentato o la legge va rivista?

Da quello che ho visto, e qui parlo come attore, avendo avuto la fortuna di partecipare a grandi produzioni statunitensi ed inglesi che hanno girato in Italia, la mole produttiva è aumentata a dismisura, dando lavoro continuativo e ben pagato a molte figure professionali. Questo è però diventato una difficoltà per le produzioni più piccole, che hanno difficoltà a contrattualizzare, per esempio le maestranze, a cifre che stiano al passo con le paghe straniere. Si sta viziando il mercato. Mi auguro che il tax credit per gli stranieri sia attivo per molti anni ancora, ma temo le ripercussioni sul mercato.

In Italia negli ultimi anni si sta producendo tanto. L’Italia rischia di diventare un service, un Paese dove si producono film di altri, lasciando morire la grande tradizione cinematografica italiana?

Sono le piattaforme che producono. Noi rischiamo sempre di più di essere soltanto i loro “organizzatori generali”. C’è chi ne ha fatto un business, anche noi lo facciamo con la produzione dei commercial, senza i quali non potremmo sostenere la problematica del cash flow del cinema.
Ma così si rischia di scardinare il vero lavoro del produttore: è sempre più raro quel fiuto che dovremmo avere per gli autori, per le grandi storie che vanno raccontate e per individuare come vanno raccontate e distribuite. Il produttore dovrebbe solo produrre.

Locandina del film Non credo in te
Locandina del film Non credo in te
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