Il talento non ha nessun colore. O ce li ha tutti. Intervista a Michelle Francine Ngonmo

I see you. Ti vedo. Michelle Francine Ngonmo racconta che sono queste le parole che il compianto Virgil Abloh le scrisse in una nota, complimentandosi con lei per l’impegno nella promozione degli afrodiscendenti o delle persone BIPOC (Black Indigenous People of Colour) nella moda italiana. Da qui è nata l’idea di dar forma al suo più recente progetto, i Black Carpet Fashion Awards, che si sono tenuti a dicembre scorso a Milano, in una serata piena di applausi, commozione e allegria: dieci premi per i leader non solo della black community ma anche del mondo LGBTQIA+, diversamente abili, che promuovono l’inclusione, la diversità e l’equità attraverso vari settori: Moda, Design, Arte, Cibo, Musica, Business, Sport e Cinema. Cinque sono stati scelti da una giuria tecnica, cinque da una giuria popolare.

Andi Nganso
Andi Nganso, Premio Della Giuria BCA
Angela Haisha Adamou
Angela Haisha Adamou, Premio della Giuria BCA

A tu per tu con Michelle Francine Ngonmo

Alla serata hanno partecipato molti ospiti internazionali di rilievo come Anna Wintour, Edward Enninful, Sebastian Suhl e Khaby Lame, tra gli altri. «Il colore nero come assoluto è la somma di tutti i colori, che si ottiene mescolando tutti i diversi pigmenti. L’idea è esattamente questa, tutti insieme, seduti allo stesso tavolo e unendo le forze, per discutere della bellezza della diversità e di come sia un fattore cruciale per il patrimonio culturale e per la crescita economica della società. È andata benissimo, al di sopra delle mie aspettative» e per una volta tanto, si rilassa e sorride.

Khaby Lame, Premio del Pubblico ex aequo BCA

Il punto è che Michelle, per sua natura, diffida dei giornalisti. 

Da un lato teme che possano aggirarsi nei terreni del fraintendimento o della battuta infelice, trappole che conosce bene visto che è laureata in Tecnologia della comunicazione e padroneggia perfettamente la differenza tra ciò che si dice e ciò che si fa nella sfera sociale, culturale, economica. Dall’altro lato, abrasivamente sincera com’è, ha paura che quelli dei media le facciano perdere le staffe in discorsi dove si accalora «perché non posso farci niente se non ho il dono della diplomazia». In realtà, dietro la sua infiammabilità nasconde una grande fragilità rivestita da una forte corazza emozionale, immediatamente pronta a incrinarsi non appena scova un’ingiustizia, un sopruso, una prevaricazione. 

«È proprio per questo che nel 2014 ho deciso di lanciare la manifestazione “I kilowatt della moda”, e l’anno dopo di fondare l’associazione Afro Fashion, basata sull’esperienza diretta durante gli anni universitari, quand’ero a capo della comunità di studenti africani o afrodiscendenti: scrivevo lettere di fuoco al sindaco, al rettore che sicuramente si saranno stufati di me», ride.

Sarah Kamsu
Sarah Kamsu, Premio del Pubblico ex aequo BCA

Ma chi è Michelle Francine Ngonmo?

Originaria del Camerun, ha viaggiato in tutta Europa e vive in Italia da decenni, con una marcata percezione della propria natura apolide, nomade. Da piccolissima (non sappiamo quanti anni fa: «Solo il giorno in cui scriverà la mia biografia le dirò quando sono nata») arriva in Italia, studia a Ferrara e da un decennio vive a Vercelli «per amore del mio fidanzato, ma non lo scriva, ché non vorrei sembrar troppo romantica.

E comunque è sempre per amore che ho lasciato un posto fisso, un ottimo stipendio per lanciarmi in quest’avventura folle: offrire ai giovani professionisti di origini africane una vetrina per superare lo stadio di “invisibilizzazione” a cui erano sottoposti. Non esistevano, non contavano, non erano presenti sulla scena del lavoro pur avendo ottimi curricula. Andando in giro per l’Italia mi sono confrontata con tante persone, di cui condividevo la volontà di raccontare e presentare un’Italia assente nella solita comunicazione stereotipata, appunto, che voleva gli afrodiscendenti malviventi se uomini, prostitute se donne».

La designer Zimeb Hazim
La designer Zimeb Hazim

E perché ha scelto proprio la moda, come terreno di coltura per questa iniziativa?

«Per la discrasia tra la narrazione dell’ambiente della moda che ci viene raccontato come aperto, disponibile all’altro, di mentalità accogliente e moderna, mentre invece non è così: certo, l’avvento del #MeToo e del movimento Black Lives Matter hanno fatto sì che si mettesse in evidenza come nella moda italiana i designer BIPOC siano inesistenti o invisibili. Nel 2021 avevo fondato, con Stella Jean e Edward Buchanan, WAMI – We Are Made in Italy, un collettivo che ha promosso per due stagioni, un gruppo di cinque designer emergenti che appartengono in tutto e per tutto all’Italia, tasse comprese. Abbiamo riscontrato qualche progresso: ora c’è una maggiore apertura, ma l’inclusività non riguarda solo la “razzializzazione”, ma ogni tipo di diversità».

 Tia Taylor
Tia Taylor, Premio del Pubblico BCA

Afro Fashion, la politica che mira a lavorare per il cambiamento

Le mentalità sono difficili da cambiare e richiedono tempo per farlo: perciò Afro Fashion mette in atto una politica che non mira a chiedere il cambiamento, ma a lavorare per il cambiamento. Il nostro orgoglio oggi è vedere i nostri designer lavorare nelle grandi maison italiane, sapere che le loro creazioni sono acquisite dalla FIT Museum di New York, accendere i riflettori su ciò che svolgiamo, ma soprattutto ammirare che nella comunità le persone ricomincino a sognare».

Ora Michelle sta lavorando a un glossario utile per tutti, dai professionisti della parola fino alle persone comuni, così che possano conoscere i termini giusti – se ci sono, che cosa ci costa usarli? – con cui rivolgersi alle persone senza il timore di causare danni. «Per esempio, in Italia molti dicono “persone di colore” per indicare i neri, ma in realtà people of colour va bene soltanto per gli anglosassoni, perché sta a sottolineare tutti coloro che non sono caucasici, compresi gli asiatici o i nativi americani. Non sarà un manuale, un pamphlet impositivo, un dizionario della costrizione verbale: prendetelo come un suggeritore di termini che contribuiscono a creare un clima di fiducia reciproca, di mutua stima, di reciproco rispetto». 

Dafne di Cinto
Dafne di Cinto, Premio del Pubblico BCA

Nell’immagine in apertura Michelle Francine Ngonmo (ph. Giovanni Battista Righetti)

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