Mimì. Il Principe delle Tenebre: Il film horror di Brando De Sica è la fuga dalla realtà di due sognatori

Mimì. Il principe delle tenebre, lungometraggio d’esordio di Brando De Sica prodotto da Indiana Production, Bartlebyfilm e Rai Cinema e distribuito in Italia da Luce Cinecittà, arriva al cinema il 16 novembre.

Una favola nera, quella di Brando De Sica, che celebra l’aspetto immaginifico del cinema e la sua capacità di interpretare l’attualità attraverso la lente del fantastico e dell’horror. Un film che miscela le fascinazioni gotiche del primo Tim Burton al realismo di autori italiani come Matteo Garrone.
Nel cast i giovanissimi Domenico Cuomo (Mare fuori) interprete di Mimì e Sara Ciocca (Improvvisamente Natale e Una famiglia mostruosa) nel ruolo di Carmilla. Il regista e sceneggiatore Brando De Sica racconta a MANINTOWN perché non è un film sui vampiri.

Brando De Sica e Domenico Cuomo
Brando De Sica e Domenico Cuomo

«L’horror in realtà è una continuazione del comico, è un Giano bifronte. La cosa più vicina a un comico è un horror»

A parte pochi casi, in Italia l’horror è un genere meno frequentato. Hai avuto difficoltà a realizzare questa pellicola e come mai ti sei allontanato così tanto dallo stile di famiglia?

L’horror in realtà è una continuazione del comico, è un Giano bifronte. La cosa più vicina a un comico è un horror. Entrambi hanno bisogno dei tempi giusti, entrambi hanno bisogno di maschere, entrambi lavorano sul dionisiaco dell’animo umano. In qualche modo sono simili. La passione per l’horror è stata, per fortuna, colpa di mio padre, perché da piccolo fu il primo che, a 5 anni, mi fece vedere Dracula il vampiro di Terence Fisher e poi La notte dei morti viventi di George Romero. Mio zio Manuel e papà sono dei grandi fan del cinema horror. Fui folgorato e ho continuato nel tempo a ricercare questa emozione.

Per quanto riguarda il finanziare un film horror in Italia, io ho avuto un altro genere di problemi. Circa dieci anni fa la sceneggiatura di questo film era pronta. Purtroppo ha avuto una gestazione lunghissima perché incontrai una produzione con cui si crearono delle situazioni spiacevoli. Ma, alla fine, sono riuscito a salvare il film che avevo scritto e a farlo nonostante le persone cercassero di seppellirmi: solo che non avevano considerato che io ero un seme.

Nel cast c’è Domenico Cuomo: lo hai visto in Mare Fuori

Quando scelsi Domenico, aveva appena cominciato a fare Mare fuori e aveva pochissime pose rispetto agli altri ragazzi del cast. L’ho scelto tre anni fa, quando non era ancora conosciuto.

Domenico Cuomo in Mimì. Il principe delle tenebre
Domenico Cuomo in Mimì. Il principe delle tenebre

«A parte la scrittura, la fotografia, il sound design, il lavoro con gli attori è forse una delle cose che amo di più in assoluto»

Come mai hai scommesso su attori alle prime armi?

Nella mia testa, per questo tipo di storia, servivano degli attori non troppo conosciuti per immedesimarsi di più. E poi cercavo dei preadolescenti. Mimì. Il principe delle tenebre è un film che parla anche del passaggio dalla pubertà all’adolescenza. Domenico, al tempo, aveva 17 anni e Sara 13. Li ho scelti perché ho trovato il personaggio nel loro sguardo, nella loro anima, nei loro cuori puri. Io scelgo così gli attori: per il carattere che hanno, per il tipo di personalità, perché percepisco quali caratteristiche hanno e come lavorare con loro all’interno del personaggio. È un qualcosa di energetico. Domenico aveva quest’aria così aristocratica, principesca, esattamente com’era Mimì nella mia testa.

Dieci anni fa, invece, avevo pensato a Ciro Petrone, che in
Gomorra faceva Pisellino. Ma era diventato troppo adulto e ho dovuto rifare il cast. Non ci poteva essere un Mimì migliore di Domenico Cuomo. Quando lo vidi mi innamorai immediatamente. Decisi anche di usare gran parte del budget del film, che era piccolissimo, per il casting, per avere più tempo, per consultare più casting director che mi facessero vedere più attori. Alcuni li abbiamo presi dalla strada nonostante, a causa del Covid, fosse difficile fare street casting. Era un momento in cui era difficile anche incontrare l’attore personalmente; dare – alle comparse come ai protagonisti – il tempo necessario per potersi esprimere; iniziare il casting con la ginnastica come faccio di solito, per buttare via le energie elettrostatiche.

La fase del casting per me è importante: non resto seduto dall’altro lato di una scrivania, altrimenti diventa una cosa tipo polli in batteria. Venendo da una famiglia di attori, e avendo io stesso recitato, amo moltissimo gli attori. A parte la scrittura, la fotografia, il sound design, il lavoro con gli attori è forse una delle cose che amo di più in assoluto.

Domenico Cuomo e Sara Ciocca in Mimì. Il principe delle tenebre
Domenico Cuomo e Sara Ciocca in Mimì. Il principe delle tenebre

«Ormai è tutto nice and easy, usiamo sempre gli stessi attori anche se il pubblico è stanco»

Tu ami fare i casting e molti attori si lamentano del self taping…

I video sono stati utili per fare una grande scrematura quando eravamo tutti in lockdown. Pur di andare avanti è stato usato quel metodo. Nel mio caso, però, le ho volute incontrare personalmente dedicando loro del tempo. In questo viaggio picaresco che è Mimì, con tanti personaggi, era importante che tutti fossero giusti per la parte. Dovrebbe essere sempre così e il casting non dovrebbe essere un’eccezione. Gli attori sono l’elemento più importante di un film dopo la storia. È vero però che ci sono due problemi. Il primo è che alcune produzioni prendono gli attori per fama e non per bravura. Oppure per numero di follower. Altri perché sono raccomandati.

Ma la cosa peggiore è che ci sono molti registi che magari non hanno gusto. Arriva una persona che non avevano preventivato e che fa un provino bellissimo, ma hai paura, preferisci giocare sul sicuro e prendi quello che ha già lavorato e porta pubblico al film. Alla fine, però, hai sempre gli stessi attori. Sono in tutti i ruoli e non scegli più un volto poco conosciuto perché ci credi. Ci sono tanti attori e registi che conosco e che non lavorano nonostante siano più bravi di quelli che stanno lavorando. Ci sono anche gli attori che preferiscono non rischiare con il nuovo regista arrivato. Ormai è tutto ‘nice and easy’, usiamo sempre gli stessi anche se il pubblico è stanco. Poi vengono premiate quelle situazioni che sembrano del tutto nuove, quando semplicemente si tratta di persone che hanno rischiato.

Brando De Sica durante le registrazioni del film
Brando De Sica durante le registrazioni del film

«Mimì è un film ricco di simboli, un film sulla ricerca di identità, sull’importanza dei sogni e sulla fuga dalla realtà»

Come ti sono venuti in mente i vampiri visto che oramai li abbiamo visti un po’ in tutte le salse?

Questo non è un film con i vampiri, ma un film visto nell’ottica dei fan dei vampiri . Quando ho scritto il soggetto, non lo sapevo. Io scrivo inconsciamente e, finito il film, dopo il montaggio e il sound design, realizzo che è come se fosse stata una grande seduta di psicanalisi. Solo alla fine capisco quello che ho fatto.
Mimì è un film ricco di simboli, un film sulla ricerca di identità, sull’importanza dei sogni e sulla fuga dalla realtà. Sul momento del passaggio dalla pubertà all’adolescenza. I vampiri sono simbolici perché i vampiri non esistono: non riflettendosi allo specchio, non sono, e per essere devono bere il sangue e prendere il DNA di una persona.

Domenico Cuomo, Sara Ciocca e Brando De Sica, sul red carpet del Locarno Film Festival con Mimì. Il principe delle tenebre
Domenico Cuomo, Sara Ciocca e Brando De Sica, sul red carpet del Locarno Film Festival con Mimì. Il principe delle tenebre

«Il lavoro più nobile che un essere umano può fare, è quello di nobilitarsi e cercare di essere un uomo migliore»

Tu quanto hai faticato per trovare la tua identità?

Parlerei più di centralità e di organizzazione dei vari io che abbiamo dentro di noi. Per organizzare i vari io e trovare una centralità, c’è stato un percorso molto faticoso e difficile. Sono stato aiutato dall’analisi e, soprattutto, dallo yoga e dalla meditazione trascendentale. Con tutti questi strumenti ho lavorato su tutti gli io della mia persona e nell’anima. Perché alla fine, il lavoro più nobile che un essere umano può fare, è quello di nobilitarsi e cercare di essere un uomo migliore. Non solo non per se stesso, ma anche per tutti gli altri che beneficiano del tuo cambiamento. Cercare di trovare la centralità è importante per essere giusti, onesti e buoni.

Quando sei andato a studiare negli Stati Uniti sei riuscito a trovare un ambiente dove essere ‘figlio di’ o ‘nipote di’ era meno pesante?

Negli Stati Uniti non sentono questo peso. È tutto molto normale. Questo peso l’ho trovato soltanto in Italia. Ma se ci pensi bene, solo la categoria artistica viene additata o viene attaccata. Conosco figli di notai che fanno i notai, figli di chirurghi che fanno i chirurghi, figli di tassisti che fanno i tassisti. Una categoria molto rispettata, ad esempio, sono i figli dei ristoratori: se leggo “ristorante aperto dal 1915”, vuol dire che si deve mangiar bene, che è un posto che ha delle tradizioni. Poi, se ci pensi, il figlio ha ereditato le mura, ma se non capisce niente di carbonara è un disastro.

Per i figli di attori, registi, cantanti, che fanno il lavoro dei genitori, è diverso. Ma noi non siamo come i figli dei politici, non possiamo occupare posti dove facciamo danni alle persone. Come dicono gli americani, al massimo facciamo due ore di popcorn e Coca Cola. Se poi il mio film è una schifezza, non me lo faranno rifare. Poi io sono il meno aiutato, perché mio padre ha lavorato sempre e solo con un produttore: Aurelio De Laurentiis. Non ha fatto lobbismo nel tempo. Io in qualche modo, sono il figlio del clown e sono fiero di esserlo. Quando mio padre ha cercato di aiutarmi con il film che si bloccò, rifiutai perché volevo farcela da solo.

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