Strani ma veri: la rivelazione ‘Miss Agata’ di Anna Elena Pepe a Venezia 80

Una dramedy per raccontare una tragedia e solo 20 minuti per farlo. È Miss Agata di Anna Elena Pepe e Sebastian Maulucci che, alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ha vinto il Premio Starlight International Cinema Award per la migliore sceneggiatura (scritta da Anna Elena Pepe e Nicola Salerno). Un corto che arriva, colpisce e termina. Veloce, gentile, feroce.

Dopo essere stato proiettato allo Short Film Market del Clermont – Ferrans International Film Festival, al Golden State Film Festival di Los Angeles, al Queens Underground Black History Month Film Festival a NY, Miss Agata chiude a Venezia il suo percorso festivaliero.

Miss Agata è un corto che fonde due pregiudizi completamente diversi: quello verso gli stranieri e quello verso le donne che chiedono aiuto per essere protette. In realtà una donna strana, come Agata, e uno straniero come Nabil (Yahya Ceesay), sono molto più simili di quanto non sembri. Entrambi i termini, strano e straniero, provengono dal latino ‘extraneus’, che indica una persona diversa dal normale.

Agata è strana. È una donna fuggita da un compagno violento. «Le vittime di violenza domestica possono sviluppare un disturbo post traumatico da stress (DPTS), simile a quello dei reduci di guerra. Il trauma ripetuto può portare a distorcere la realtà, ad agire irrazionalmente e a non vedere più le opportunità che la vita può dare. Questo film è dedicato a tutte le vittime imperfette». Questa didascalia chiude il corto di Anna Elena Pepe che, con MANINTOWN, abbiamo incontrato a Venezia.

Anna Elena Pepe vincitrice del Premio Starlight International Cinema Award
Anna Elena Pepe vincitrice del Premio Starlight International Cinema Award

«Le vittime imperfette sono quelle che non agiscono, o non reagiscono, secondo il copione che la società impone alla vittima»

Cosa sono le vittime imperfette?

Le vittime imperfette sono quelle che non agiscono, o non reagiscono, secondo il copione che la società impone alla vittima. Che è quello di subire e basta o di fare la scelta giusta, di comportarsi “bene”. In questo caso Agata cerca di reagire, ma facendo la scelta sbagliata.

Gli eventi che possono causare il DPTS sono la guerra, ma anche l’aggressione a sfondo sessuale. Un soldato ha diritto a soffrirne mentre una donna è vista come una che esagera. Nel corto la donna se lo sente dire sia dall’ex compagno che dalla collega d’ufficio…

Sì, è molto triste e complicato. Per questo ho deciso di fare un film al riguardo. Si pensa che una volta che il perpetratore della violenza non è più presente, non ci sia più il problema. Invece queste persone non riescono a rifarsi una vita, ad avere una carriera o un’altra storia. Ma questo ovviamente non fa notizia, non se ne parla. Anzi la persona in questione diventa anche un problema con cui la società non vuole avere a che fare.

Picchiare la moglie per “correggerla” è stato un diritto del marito fino al 1963. Quanto è ancora radicata nella società italiana la “violenza di diritto” di un uomo sulla compagna?

È una deriva molto malata dell’ossessione del “rispetto dei ruoli”: le donne storicamente facevano certe cose, gli uomini altre. Ai maniaci del controllo, chi agisce diversamente fa perdere la testa. Ma purtroppo non è una realtà solamente italiana.

Scena del film Miss Agata
Scena del film Miss Agata

«Il corto ha due anime forti, quella che parla di violenza di genere e quella che parla di integrazione»

Nel corto il personaggio interpretato da Andrea Bosca dice: «Lo vedi cosa mi fai fare?». Cosa impedisce a molte donne di vedere che non è colpa loro se sono picchiate?

Premetto che è difficile capire gli esatti meccanismi, che variano da storia a storia. Molte donne sono vittime del cosiddetto “Trauma Bond”. Un legame traumatico che le lega al perpetratore, da cui non riescono a staccarsi, e che è stato costruito nel tempo, gradualmente. La persona inizialmente si pone come anima gemella, che fa sentire la vittima al sicuro, capita e amata come mai prima. Poi piano piano cominciano le cosiddette “red flags”, episodi preoccupanti che la vittima spesso ignora, e quando comincia a capirli, purtroppo è già nel vortice dell’abuso da cui è difficile staccarsi.

Il corto è già stato proiettato in festival stranieri. Reazioni che ti hanno colpito?

Quello che mi ha colpito è che il corto arrivi agli spettatori indipendentemente dalla lingua. È girato in italiano, ma le razioni sono state istantanee e molto forti in Francia, In Inghilterra e in America.
Cosa non scontata perché chi fa comedy sa che lo humour non è sempre facilmente traducibile.
Diciamo che il corto ha due anime forti, quella che parla di violenza di genere e quella che parla di integrazione. Per la violenza ho avuto molte donne che mi hanno approcciato dopo le proiezioni, dicendomi che si sono sentite capite e si sono riviste; che hanno riso con Agata, ma si sono anche commosse. Da una parte mi fa piacere, ma al contempo mi preoccupa vedere quante persone abbiano in qualche modo vissuto un abuso, fisico o psicologico.

Scena del film Miss Agata
Scena del film Miss Agata

«La responsabilità della violenza è di chi la infligge, punto»

Quanto noi donne siamo responsabili di tramandare il patriarcato?

La responsabilità della violenza è di chi la infligge, punto. Detto questo sicuramente un lavoro di prevenzione alla base va fatto, profondo e che abbraccia tutta la società, donne e uomini. È per questo, per esempio, che un film come Barbie è stato importante. Perché è arrivato alle masse, ha creato consapevolezza. Molte persone la parola ‘patriarcato’ non la conoscevano bene e soprattutto non la riconoscevano.

Lavori con le immagini. Il corto, per la sua brevità e il suo linguaggio, arriva meglio a un pubblico giovane?

La brevità aiuta sicuramente. Però i giovani di oggi sono molto sensibili e non vanno sottovalutati. Mio nipote è adolescente e guarda la Corazzata Potëmkin senza batter ciglio.

Il cinema, anche il corto, può essere uno strumento per fare politica?

Secondo me sì. È un po’ quello che si faceva nella Commedia Italiana di una volta, cercare di usare il cinema e lo humour per dare messaggi importanti. Ci tengo però a puntualizzare che un cortometraggio cinematografico non è una pubblicità progresso. La narrativa è differente, gli elementi sono costruiti ad arte in modo che il messaggio arrivi in maniera trasversale.

Nel film Chiara Sani è Giulia, una donna che si spaccia per emancipata, aperta di vedute, invece si rivela piena degli stereotipi più beceri.

Giulia rinchiude molti stereotipi di pregiudizio contro gli immigrati. Quando abbiamo presentato il film a New York, mi hanno detto che era la “perfect italian Karen”. Karen è un termine usato negli Stati Uniti per indicare questo tipo di persone, che sono così comuni che hanno persino una parola apposta che li definisce!

Scena del film Miss Agata
Scena del film Miss Agata

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