Models Never Talk: la moda è ancora una questione di abiti?

Il titolo di questo spazio, Models Never Talk, è tratto da una performance fashion curata da Olivier Saillard, curatore e storico di moda, nonché ex direttore (fino al 2017) del Palais Galliera di Parigi.
Nell’esibizione in questione, le modelle portano in scena i retroscena di un fashion show, quello che viene detto loro di fare e il loro sentire. L’abito non compare mai, piuttosto risulta descritto e immaginato di conseguenza dal pubblico. È una performance a metà tra arte e moda, dove tutto ruota più intorno alla parola e al percepito che non al capo in sé, a meno che non si conosca precisamente la collezione o look cui ci si riferisce.

Per quale motivo parlarne? Perché, in questi giorni, in molti si sono chiesti se la moda sia ancora una questione di abiti, oppure no. Quanto contano le creazioni e quanto le persone dietro di esse? Alessandro Michele, da Gucci, aveva incentrato molto del lavoro sul suo personaggio; scalzato dal trono creativo della maison ritenuta più cool e in fermento degli ultimi anni, gli è subentrata una personalità (Sabato De Sarno) molto meno sfavillante, in termini di apparenza, probabilmente per riportare il centro del discorso sul brand anziché sulla personalità.

Le nuovi direzioni del fashion system, tra sfilate, show televisivi e immaginari

Per fare un esempio noto a tutti in Italia, cioè Sanremo (che abbiamo commentato insieme nei giorni passati), quanto contano gli outfit e quanto, invece, si sta parlando degli stylist dei cantanti e dei marchi che sceglieranno?

Sappiamo tutto quel che c’è da sapere, chi sono, chi vestiranno, i brand che hanno scelto, le loro idee in termini di moda e stile, da Lorenzo Posocco (che segue, tra le altre, Dua Lipa ed Elodie) a Nick Cerioni (mente dietro i look di artisti come Jovanotti, Laura Pausini, Tananai, Achille Lauro), a ripetizione nel sistema sanremese già da qualche edizione, senza nuovi nomi.

L’impressione, ultimamente, è che la moda abbia fatto un passo avanti verso un’estetica ostentata e gridata, lo stupore e tutto ciò che poteva risultare catchy per il suo pubblico, affidandosi a personalità che sanno cavalcare l’onda, creando magia e un filtro attraverso cui vedere tutto il resto, con le collezioni che passano inevitabilmente in secondo piano.

Se il Festival è stato preso d’assalto dagli stylist, e non dalla moda, che ovviamente è sempre stata parte di esso, le sfilate sono state comandate dalle personalità dei direttori creativi, che hanno fatto il bello ma anche il cattivo tempo (come dimostra il caso dei recenti scandali di Balenciaga), indirizzando anche la scelta della location, quasi più rilevante delle stesse mise.

I capi in sé contano (ancora)?

La domanda sorge quindi spontanea: la moda è ancora una questione di abiti?

Al fianco di questa accelerazione verso le personalità e il loro saper creare e cavalcare il tempo del buono e cattivo gusto, si è inserita la creazione parallela di grandi spazi dove esporre gli outfit delle personalità più importanti del passato, nei quali l’abito, spogliato di qualsiasi retroscena, era il protagonista assoluto. Parliamo di musei nati a Milano, come l’Armani/Silos, o a Parigi, ad esempio il Musée Yves Saint Laurent.

Mentre si pongono tutte queste domande, gli eventi corrono: abbiamo già assistito alla performance tutta italiana di quest’anno, cioè Sanremo, con la gigantesca commistione tra moda, canzoni e personalità, da Chiara Ferragni in giù. Nel frattempo, scompaiono quei nomi illustri che il fashion l’hanno fatto nascere e plasmato fino all’ultimo, come Paco Rabanne, che ci ha lasciato nelle scorse settimane. Nell’era del “a cura di…”.

Models Never Talk Venezia
Models Never Talk al Teatrino di Palazzo Grassi, Venezia, nel 2016 (ph. Matteo De Fina)

Nell’immagine in apertura, un momento della performance Models Never Talk di Olivier Saillard ai Milk Studios di New York, nel 2014 (ph. credit Olivier Saillard)

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